Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 15 ottobre 2014, n. 43091
Ritenuto in fatto e in diritto
1. D.P. ricorre per cassazione – a mezzo del suo difensore – avverso la sentenza Tribunale di Chieti del 15.11.2012, che ha confermato la pronuncia del locale Giudice di pace, con la quale è stato condannato alle pene di legge per il delitto di cui all’art. 633 cod. pen. (la vicenda ha ad oggetto l’apposizione di un cartello pubblicitario sul fondo di D.N.T. ).
2. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato. A dire del ricorrente, non vi sarebbe prova che sia stato esso imputato – mero legale rappresentante della società “Gamma Comunication S.r.l.” che ha apposto il cartello pubblicitario – a disporre la collocazione del cartello sul fondo della D.N. ; il giudice di merito inoltre non avrebbe considerato che l’apposizione del cartello era regolarmente autorizzata dalla locale Provincia, la quale aveva anche prescritto la distanza di metri tre dal limite della carreggiata, per cui la condotta contestata sarebbe stata perfettamente in linea a quanto disposto dall’autorità amministrativa, con conseguente assenza del dolo prescritto per la consumazione del reato.
La censura è manifestamente infondata.
E invero questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui la carica di legale-rappresentante di una società costituisce il soggetto in una posizione di garanzia, dimodoché egli risponde della condotta che i dipendenti della società pongono in essere nello svolgimento dei compiti loro affidati, salvo che dimostri di aver delegato ad altri la direzione dell’attività dei dipendenti o la loro vigilanza (da ultimo, Cass., Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014; Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013 Rv. 258434). Correttamente, pertanto, in assenza della prova dell’aver il D. delegato ad altri la direzione dei lavori della ditta, il giudice di appello ha ritenuto che l’imputato debba rispondere del fatto ascrittogli.
Manifestamente inconferente è poi il richiamo alle prescrizioni della autorizzazione amministrativa, in quanto ogni autorizzazione viene rilasciata con la clausola implicita “salvi i diritti dei terzi”, dimodoché essa non può certo autorizzare alcuno ad invadere i terreni altrui.
3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione in favore della parte civile costituita, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute in questo grado dalla costituita parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre IVA e accessori di legge.
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