Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 1 ottobre 2014, n. 20734
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo – Presidente
Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24459/2009 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 215/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 14/05/2009 R.G.N. 563/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte territoriale, sulla base dell’istruttoria svolta, anche a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio espletata in grado d’appello, ha ritenuto accertato che il (OMISSIS), nell’indicato periodo ultradecennale, quale operaio addetto al reparto filatura di un’azienda produttrice di filati sintetici, era stato esposto all’amianto in misura superiore al c.d. valore soglia di cui alla legislazione di prevenzione contenuta nel Decreto Legislativo n. 277 del 1991.
Avverso tale pronuncia, l’Istituto ha proposto ricorso per cassazione fondato su di un unico motivo. L’intimato ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
2.- La doglianza e’ fondata, per le ragioni gia’ esposte da questa Corte in analoga controversia (v. Cass. n. 4579 del 2012).
Pacificamente il fatto costitutivo del diritto ad usufruire dei benefici di cui alla Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8, e successive modifiche e integrazioni, non si identifica con la mera durata ultradecennale di una attivita’ lavorativa svolta in un luogo di lavoro in cui sia presente l’amianto, bensi’ con l’esposizione del lavoratore al rischio di ammalarsi a causa dell’inspirazione – per oltre un decennio – di fibre di amianto presenti in quel luogo in quantita’ superiore ai valori limite prescritti dalla normativa di prevenzione del Decreto Legislativo n. 277 del 1991.
Ne consegue che l’accertamento giudiziale della semplice durata di quell’attivita’, senza accertamento del rischio effettivo e, quindi, senza l’apprezzamento di una esposizione “qualificata” non costituisce, di per se’, ragione di riconoscimento del diritto al beneficio contributivo.
Secondo questa Corte la prova, che grava sul lavoratore, dell’esposizione all’amianto in misura superiore alle soglie previste dalla legge “deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilita’ di una concentrazione di fibre qualificata, questa puo’ essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilita’” (in termini, Cass. n. 19456 del 2007; conformi: Cass. n. 10390 del 2009; Cass. n. 4579/2012 cit.; di “rilevante grado di probabilita’” parla Cass. n. 16119 del 2005 e Cass. n. 4898 del 2010 aggiunge che tale accertamento deve essere effettuato per “ogni anno utile compreso nel periodo ultradecennale”).
Tanto premesso, si osserva che la Corte territoriale, in difformita’ dall’opinione espressa dal primo giudice, ha ritenuto raggiunta la prova dell’esposizione qualificata richiamandosi alla consulenza tecnica di ufficio espletata in grado di appello.
La relazione peritale, riportata nella sentenza qui censurata, ha specificato che “per il lavoratore in esame, (OMISSIS), si considera una esposizione sicuramente possibile e probabilmente superiore al livello delle 100 fibre annuo su tutto il periodo considerato ma tale livello di probabilita’, date le condizioni specifiche delineate, appare di significativita’ contenuta…”.
A seguito dei chiarimenti richiesti dalla Corte bolognese, il perito ha ulteriormente specificato che “l’esposizione concretizzatasi in termini di concentrazione ambientale stimata media, fibre/cc-ambiente, e’ pertanto possibile e probabile… anche se tale probabilita’ positiva appare quantificabile in termini di contenuta positiva significativita’ (51 – 54%)”.
Orbene, la motivazione espressa dai giudici di appello in ordine all’accertamento di un fatto decisivo per il giudizio, mediante l’adesione alle risultanze della consulenza tecnica citata, appare insufficiente atteso che non spiega come un giudizio probabilistico di “contenuta significativita’”, stimato in poco piu’ del 50%, possa tradursi in quel grado di “elevata probabilita’” che la giurisprudenza di legittimita’ innanzi richiamata postula come necessario.
3.- Le precedenti considerazioni conducono a ritenere fondato il ricorso, sicche’ la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, che procedera’ ad una piu’ approfondita e coerente verifica dell’esistenza dell’esposizione qualificata al rischio amianto, suscettibile, come tale, di rivalutazione contributiva. Il giudice di rinvio provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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