cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 23 settembre 2014, n. 38728

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana – Presidente
Dott. FUMO Maurizio – rel. Consigliere
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere
Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 31 ottobre 2012;
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;

letta la memoria difensiva contenente motivi nuovi, depositata dall’avv. (OMISSIS) in favore del ricorrente;

udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VOLPE Giuseppe, che ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso;

sentito, infine, l’avv. (OMISSIS), che si e’ riportato al ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza del 18 dicembre 2009 con la quale il Tribunale di quella stessa citta’ aveva dichiarato (OMISSIS) – nella qualita’ di amministratore, prima formale e, poi, di fatto, della societa’ fallita ” (OMISSIS) S.r.l.” – colpevole del reato di cui alla L.F., articolo 223, comma 2, n. 2, e, concesse attenuanti generiche, l’aveva condannato alla pena condizionalmente sospesa di anni due di reclusione, oltre conseguenziali statuizioni.2. Avverso l’anzidetta pronuncia l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’articolo 606, lettera b) c) ed e), in relazione agli articoli 125, 127, 191, 197 e 192 c.p.p.. Si duole, al riguardo, dell’assoluto difetto di motivazione e dell’erronea valutazione delle risultanze processuali. Sostiene, inoltre, la mancanza dei presupposti della contestata fattispecie delittuosa e del rapporto di causalita’.
Con la memoria in epigrafe indicata, l’avv. (OMISSIS) ha proposto motivi nuovi, con i quali ha eccepito violazione dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in relazione alla L.F., articolo 223, comma 2, n. 2, ribadendo la mancanza degli elementi costitutivi della stessa fattispecie delittuosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le censure del ricorrente sono destituite di fondamento. Ed invero, la sentenza impugnata non puo’, di certo, ritenersi priva di compiuta motivazione a sostegno del ribadito il giudizio di colpevolezza a carico dell’imputato. Non puo’ neppure dirsi che la stessa sia affetta da errori di diritto o da distorta valutazione delle risultanze di causa. E’, invece, ineccepibile il percorso giustificativo che ha portato all’individuazione, nella fattispecie in esame, dei presupposti necessari ai fini della relativa riconducibilita’ al paradigma del reato di cui all’articolo 223, comma 2, sub specie dell’aver cagionato il fallimento della societa’ “per effetto di operazioni dolose”. Le premesse metodologiche di tale sviluppo argomentativo sono del tutto corrette, posto che il giudice di appello ha preso le mosse da ineccepibile puntualizzazione in diritto degli elementi strutturali e soggettivi dell’ipotesi di reato in questione, sulla base di indiscussa lezione giurisprudenziale di questa Corte di legittimita’; per poi condividere la corretta sussumibilita’ della fattispecie concreta nell’alveo dell’ipotizzata norma incriminatrice.
Cosi’ e’ del tutto corretto il richiamo alla nozione di “operazioni dolose”; tratteggiata dalla giurisprudenza di legittimita’, in termini di ampia accezione, che prescinde da qualsivoglia riferimento a fatti costituenti reato o comunque illeciti, in chiave civilistica, per ricomprendere in essa qualsiasi comportamento del soggetto agente (tra quelli espressamente indicati dallo stesso L.F., articolo 223), che, concretandosi in un abuso od in un’infedelta’ delle funzioni e nella violazione dei doveri derivanti dalla relativa qualita’, cagioni lo stato di decozione della societa’, con pregiudizio della stessa, dei soci, dei creditori e di terzi interessati. Alla corretta individuazione della componente obiettiva, ha fatto poi riscontro l’esatta focalizzazione del requisito soggettivo, consistente nella volonta’ diretta non gia’ al fallimento (a differenza della diversa ipotesi, prevista dalla stessa norma, della causazione dolosa del fallimento), bensi’ alla stessa “operazione” dalla quale poi consegua, sul piano della mera causalita’ materiale, il dissesto fallimentare, che si ponga, dunque, come conseguenza prevedibile e persino accettata nel rischio del suo verificarsi.
All’indubbia giustezza di siffatte affermazioni, possono solo aggiungersi i seguenti rilievi.
Nel ribadire l’accezione lata della locuzione “operazioni dolose” va precisato che a differenza delle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale c.d. impropria, nella specifica fattispecie in esame la nozione di “operazioni” postula una modalita’ di pregiudizio patrimoniale discendente non gia’, direttamente, dall’azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensi’ da un fatto di maggiore complessita’ strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralita’ di atti coordinati all’esito divisato (cosi’ Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Rv. 247314).
Non e’, del resto, revocabile in dubbio che, in mancanza di puntualizzazione normativa del relativo concetto, l’individuazione dell’essenza precipua della norma incriminatrice vada effettuata per esclusione rispetto ad altre ipotesi incriminatrici meglio definite o di piu’ immediata percezione. Cosi’ rispetto all’analoga, diversa, fattispecie prevista nello stesso capoverso dell’articolo 223, al n. 2, ossia la causazione volontaria del fallimento, balza evidente che alla sostanziale identita’, o possibile sovrapponibilita’ sul piano oggettivo, fa riscontro una netta divaricazione della componente soggettiva. Infatti, in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, configurabile come eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’elemento soggettivo risiede nella mera dimostrazione della consapevolezza e volonta’ della natura “dolosa” dell’operazione alla quale segue il dissesto, nonche’ dell’astratta prevedibilita’ di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, non essendo necessarie, ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo, la rappresentazione e la volonta’ dell’evento fallimentare. Deve, infatti, reputarsi sufficiente, per la configurabilita’ del reato in questione la rappresentazione dell’azione nei suoi elementi naturalistici e nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi della societa’ (Sez. 5, n. 17690 del 18.2.2010, rv. 247315).
2. Cosi’ delineata la corretta cornice giuridica di riferimento, non v’e’ dubbio che l’inquadramento in essa della concreta fattispecie non appare ne’ erroneo ne’ implausibile. Ed infatti, con insindacabile apprezzamento di merito, tale in quanto congruamente motivato, il giudice di appello ha ritenuto che l’accensione di un ingente mutuo, al fine dichiarato del consolidamento di posizione debitoria nei confronti di due istituti di credito, che, singolarmente, prestavano onerose fideiussioni bancarie a garanzia dello stesso finanziamento; il pagamento delle sole due prime rate del piano di ammortamento, nonostante la societa’ avesse liquidita’ per farvi fronte; la custodia, assolutamente imprudente ed irragionevole di tali liquidita’ non gia’ in banca, bensi’ nella cassaforte della sede sociale ed il successivo furto delle stesse ad opera di ignoti, sono state ritenute integranti la nozione di operazioni dolose, caratterizzate da abusivita’ degli elementari doveri inerenti alla qualita’ di amministratore. Con apprezzamento, parimenti, insindacabile e’ stato ritenuto che tali dolose condotte abbiano causato il dissesto della societa’, le cui condizioni economiche, peraltro, erano tutt’altro che floride, avendo presentato, nelle ultime annualita’, bilanci sempre in perdita.
In piena coerenza con quanto in precedenza affermato, in ordine all’irrilevanza delle illiceita’ delle dette condotte sotto il profilo civilistico, e’ stato correttamente ritenuto irrilevante l’esito positivo del giudizio civile di responsabilita’ a carico dell’odierno ricorrente, posto che la prospettiva penalistica risponde a logiche diverse, nei termini sopra puntualizzati.
3. Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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