CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 9 settembre 2014, n. 18965

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI Federico – Presidente
Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere
Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. GHINOY Paola – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15150-2008 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., (gia’ (OMISSIS) S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), che la rappresentano e difendono unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3812/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/07/2007 R.G.N. 5847/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2014 dal Consigliere Dott. NOBILE VITTORIO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CERONI Francesca che ha concluso per l’improcedibilita’, inammissibilita’, in subordine rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Napoli del 21-3-2001 (OMISSIS), quadro presso il (OMISSIS), gia’ preposta prima all’ufficio 8 e poi all’ufficio 10, assumeva: che il 15-10-1999 era stata assegnata all’ufficio 7 senza specifiche mansioni; che il 14-1-2000 le era stata affidata la preposizione dell’ufficio 1 Segreteria del Servizio senza ricevere le consegne dal precedente titolare ne’ gli strumenti normativi necessari; che dagli inizi del 1999 la Direzione aveva adottato nei suoi confronti soprusi e angherie; che dal 18-9-2000, trasferita all’ufficio 6, aveva trascorso la sua giornata quasi del tutto inattiva perche’ non le era stato affidato alcun incarico; che tali comportamenti erano stati particolarmente gravi in quanto iniziati in un periodo per lei difficile per gravissimi motivi familiari (essendo stato il coniuge colpito da una grave malattia che lo aveva portato alla morte nel dicembre 1999). Tanto premesso la ricorrente chiese il risarcimento dei danni subiti per effetto delle continue vessazioni (mobbing) di cui era stata destinataria, da quantificarsi anche in via equitativa; chiese, poi, che accertata la sua dequalificazione, le fossero assegnate mansioni adeguate alla sua professionalita’, con condanna della societa’ al risarcimento danni, da quantificarsi anche in via equitativa.
La s.p.a. (OMISSIS) contestava quanto sostenuto dalla (OMISSIS) e concludeva per il rigetto della domanda.
Il giudice adito, con sentenza depositata il 7-10-2003, dichiarava la nullita’ della domanda riguardante il mobbing ed accoglieva la richiesta risarcitoria per danni alla professionalita’ per esservi stata dequalificazione nel periodo 18-9-2000/21-3-200; quantificava equitativamente il risarcimento nella misura della meta’ delle retribuzioni ricevute per le giornate di effettiva attivita’ con riferimento al predetto periodo, oltre accessori.
Con ricorso dell’8-7-2004 la (OMISSIS) impugnava parzialmente la decisione di primo grado, con riferimento soltanto all’accertamento della dequalificazione, in quanto i testi escussi avevano reso dichiarazioni non interpretate correttamente dal primo giudice. Evidenziava, poi, che quest’ultimo si era spinto ultra petita in quanto aveva disposto il risarcimento del danno con riferimento alla perdita di professionalita’, mentre la (OMISSIS) aveva chiesto il risarcimento per danni subiti sul piano biologico. Precisava comunque che non era stato provato alcun danno, considerato in re ipsa dal giudice, e concludeva, pertanto, per la parziale riforma della sentenza di primo grado con rigetto della domanda riguardante la asserita dequalificazione e condanna dell’appellata alla restituzione della somma di euro 4.760,11 corrisposta in dipendenza della esecuzione della sentenza di primo grado.
La (OMISSIS) si costituiva resistendo al gravame di controparte e proponendo appello incidentale, chiedendo che la quantificazione del risarcimento fosse estesa anche ai giorni di assenza dal lavoro nel periodo riconosciuto dal primo giudice e che fosse accolta anche la domanda di risarcimento da mobbing essendo stato dedotto ogni elemento utile ai fini della sua individuazione.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 31-7-2007, rigettava entrambi gli appelli.
In sintesi la Corte territoriale, in base alle risultanze della prova testimoniale, riteneva accertato il demansionamento con il trasferimento all’ufficio 6 Vigilanza, allorquando la (OMISSIS) si trovo’ gerarchicamente sottoposta al quadro (OMISSIS), svolgendo attivita’ del tutto secondarie e marginali. Nel contempo la Corte confermava la determinazione equitativa del risarcimento del danno, evidenziando che il primo giudice non era incorso in alcuna ultrapetizione, avendo la attrice fin dall’inizio chiesto il risarcimento dei danni per essere stata “adibita a mansioni dequalificate rispetto al grado rivestito e ed alla professionalita’ raggiunta”.
La Corte di merito riteneva, poi, corretta la quantificazione operata dal primo giudice sulla base delle giornate lavorative effettive e, seppure considerava valida la domanda di risarcimento per mobbing, la rigettava nel merito, non essendo stati neppure allegati reiterati e specifici comportamenti datoriali vessatori e aggressivi a suo danno, come tali “mobbizzanti”.
Per la cassazione di tale sentenza la (OMISSIS) s.p.a. ha proposto ricorso con cinque motivi.
La (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
La s.p.a. (OMISSIS) ha depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunciando violazione dell’articolo 2103 c.c. e degli articoli 1362 e ss. sull’interpretazione del CCNL di categoria 11-7-1999 e dell’accordo 7-5-1997, la ricorrente si duole che la Corte territoriale “si e’ lasciata suggestionare dalla considerazione che la (OMISSIS) dal 18-9-2000 era stata assegnata all’ufficio Vigilanza, dove non aveva conservato la posizione di preposta” e deduce che le mansioni di preposizione non sono le uniche attribuite ai quadri e neppure quelle maggiormente qualificanti” e che la Corte di merito avrebbe dovuto accertare la equivalenza o meno delle nuove mansioni rispetto a quelle precedenti.
Il motivo in parte e’ inammissibile e in parte e’ infondato.
In primo luogo non viene indicata specificamente la collocazione tra gli atti processuali del CCNL e dell’accordo aziendale richiamati (v. Cass. S.U. 3-11-2011 n. 22726), dei quali vengono, peraltro, riportati soltanto alcuni stralci del tutto inidonei ai fini dell’osservanza del principio di autosufficienza, in relazione al vizio di interpretazione dei detti atti denunciato.
La censura si incentra, poi, nella denuncia di insufficiente e contraddittoria motivazione al riguardo e circa il necessario accertamento della equivalenza o meno delle nuove mansioni rispetto alle precedenti.
Tale censura e’ infondata in quanto la Corte di merito, dopo aver attentamente analizzato le risultanze della prova testimoniale ha accertato che la (OMISSIS), allorquando venne spostata all’ufficio 6 “ha perso la preposizione che aveva avuto in precedenza” ed “e’ stata addetta a tenere un registro statistico delle rapine, mansione che, oltre ad essere di minima rilevanza, la teneva occupata solo per poco tempo”. Successivamente la (OMISSIS) “all’inizio del 2001 fu spostata all’ufficio budget ed addetta a digitare dati al computer, per poi giungere all’ufficio Segreteria ove si occupo’ dello smistamento della Posta.
Tanto rilevato la Corte territoriale ha affermato che “le mansioni affidate alla appellata dal settembre 2000, dunque, non sono piu’ state quelle di preposto con altri dipendenti a lei sottoposti ma, oltre ad essere di poca rilevanza, escludevano anche la posizione di preposto che, sebbene non siano le uniche affidate ai quadri, sono certo quelle maggiormente qualificanti, rappresentative e gratificanti; anzi, ella fu sottoposta gerarchicamente ad un altro quadro e lasciata sostanzialmente inattiva, visto che le attivita’ affidatele la tenevano occupata poco tempo nell’ambito della giornata lavorativa”.
Tale accertamento di fatto risulta congruamente motivato e resiste alla censura della societa’ ricorrente, che, peraltro, in effetti, neppure indica specificamente quali siano state le mansioni qualificanti (anche se non di preposizione), svolte dalla lavoratrice, che sarebbero state trascurate dalla Corte di merito.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la mancata considerazione del fatto che la (OMISSIS) aveva rifiutato di ricevere il foglio contenente il carico di lavoro che le era stato affidato”, cosi’ manifestando “un sostanziale rifiuto di eseguire le mansioni maggiormente qualificanti che le erano state assegnate”, e che nel periodo in questione la lavoratrice era rimasta spesso assente per malattia e cause varie.
Anche tale motivo e’ in parte inammissibile e in parte infondato.
In primo luogo la ricorrente afferma di aver censurato sul punto con l’atto di appello la pronuncia di primo grado, ma non riporta specificamente il contenuto di tale atto nella parte de qua, in ossequio al principio di autosufficienza.
La ricorrente, poi, neppure indica alcuna risultanza istruttoria dalla quale sarebbe emersa la circostanza di fatto invocata, per cui deve ritenersi che la stessa in definitiva sia rimasta una mera asserzione.
Infine della circostanza che “il demansionamento si e’ perpetrato per meno di sei mesi durante i quali la presenza al lavoro della appellata non e’ stata certo costante” la Corte di merito ha gia’ tenuto ampiamente conto.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta ultrapetizione deducendo che i giudici di merito hanno riconosciuto un risarcimento del danno alla professionalita’, pur avendo il ricorso introduttivo ad oggetto soltanto il danno alla salute.
Tale motivo e’ infondato giacche’, come ha rilevato la Corte d’Appello, la (OMISSIS) con il ricorso introduttivo aveva chiesto il risarcimento dei danni per essere stata “adibita a mansioni dequalificate rispetto al grado rivestito ed alla professionalita’ raggiunta”, di guisa che non vi e’ stata alcuna ultrapetizione. Del resto si tratta chiaramente di una componente del danno (complessivo) lamentato con la domanda.
Infine con il quarto motivo la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata avrebbe “taciuto del tutto sui parametri in base ai quali ha operato la liquidazione equitativa”.
Anche tale motivo e’ infondato.
Come e’ stato chiarito da questa Corte “qualora proceda alla liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito, affinche’ la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarieta’, deve indicare i criteri seguiti per determinare l’entita’ del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimita’ solo allorche’ si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati” (v. fra le altre Cass. 4-4-2013 n. 8213).
Nel caso in esame la Corte d’Appello, nel respingere l’appello incidentale della (OMISSIS) e nel confermare la pronuncia di primo grado, circa la quantificazione del risarcimento del danno nel 50%, delle retribuzioni giornaliere spettanti per ogni giorno di effettivo servizio, ha affermato che, “considerato anche che il demansionamento si e’ perpetrato per meno di sei mesi” (vedi sopra), “appare rispondente ad equita’ ritenere che il suo bagaglio professionale sia stato compromesso solo durante le poche giornate in cui ella si e’ dedicata alle nuove mansioni che, peraltro, non richiedevano alcun impegno e non la occupavano per tutte le ore di lavoro”.
Tale motivazione risulta senz’altro conforme al principio sopra richiamato (essendo evidenziati il criterio e i fatti rilevanti) e resiste alla censura della ricorrente.
Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della (OMISSIS).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla (OMISSIS) le spese liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *