Cassazione toga nera

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 29 aprile 2014, n. 17968

Ritenuto in fatto

1. Il Giudice delle indagini preliminari di Vibo Valentia, con decreto del 4 aprile 2013, ha disposto, su conforme richiesta del Pubblico Ministero, l’archiviazione del procedimento N. 125/12/44 R.G.N.R. instaurato contro ignoti per il reato di diffamazione, ritenendo che sia stato legittimamente esercitato il diritto di cronaca. Il denunciante si doleva di alcuni articoli apparsi su siti INTERNET, in cui si dava notizia del suo arresto e lo si definiva “tombarolo”.

2. Ricorre B.G., a mezzo dell’avv. D.B., per violazione del contraddittorio, essendo stata disposta l’archiviazione del procedimento senza sentire le parti, nonostante avesse presentato motivata opposizione con richiesta di integrazione probatoria (era stata chiesta l’individuazione dei responsabili dei siti su cui erano state pubblicate le notizie e il loro esame, nonché l’esame della persona offesa). Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Deve premettersi che, allorché sia presentata opposizione della parte privata alla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, il giudice può provvedere de piano all’archiviazione allorché l’opposizione sia inammissibile e sia infondata la notizia di reato (art. 410, comma 2, cod. proc. pen.). Ai sensi del 10 comma dell’art. 410 cit., l’opposizione è inammissibile quando non indica “l’oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova”. Condizioni per l’archiviazione de piano sono, pertanto, l’inammissibilità dell’opposizione e l’infondatezza della notizia di reato.

La giurisprudenza ha precisato che l’investigazione è suppletiva, e quindi idonea a rendere ammissibile l’opposizione, quando si pone rispetto ai risultati conseguiti dalle investigazioni del pubblico ministero in rapporto di strumentalità dialettica secondo i profili della pertinenza e della rilevanza, intendendosi per pertinenza l’inerenza alla notizia di reato, e per rilevanza l’idoneità della investigazione proposta a incidere sulle risultanze dell’attività compiuta dal pubblico ministero (Conf. Sez. 6, c.c. 2 dicembre 1996, Ferretti).

A ciò deve aggiungersi che i “mezzi di prova”, che devono accompagnare la richiesta di prosecuzione delle indagini, devono possedere i requisiti della concretezza e della specificità: devono essere, cioè, sufficientemente determinati, tali da orientare il Pubblico Ministero verso uno strumento di prova accessibile e specifico. E’ stato conseguentemente ritenuto che il decreto di archiviazione è ricorribile per Cassazione per violazione del principio del contraddittorio, ove il giudice non si limiti all’esame della pertinenza e rilevanza delle investigazioni proposte, ma effettui una valutazione prognostica circa la fondatezza delle indagini suppletive richieste, giacché in questa evenienza è necessario procedere con il rito camerale, nel contraddittorio delle parti (si vedano Sezioni Unite, 14 febbraio 1996, n. 2. Più recentemente, Cassazione penale, sez. IV, 19/04/2011, n. 24563). L’art. 410 c.p.p., infatti, configura un sistema equilibrato in forza dei quale, attraverso il meccanismo dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, si vuole rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell’azione penale in caso di inerzie e lacune investigative del pubblico ministero, ma, nel contempo, si vuole anche evitare istanze di prosecuzione delle indagini meramente pretestuose o dilatorie, offrendosi in tali ipotesi al giudice lo strumento per disporre de plano l’archiviazione (cfr. Corte Cost., 11 aprile 1997 n. 95). 2.

Alla luce di tali principi non può sostenersi che il decreto di archiviazione emesso dal Tribunale di Vibo Valentia abbia esorbitato dai limiti anzidetti, in quanto l’opponente non aveva indicato l’oggetto della investigazione suppletiva, né i relativi elementi di prova. Infatti, si era limitato a richiedere la prosecuzione delle indagini, che doveva vertere: a) “sulla individuazione degli autori dei reato”; b) “sulle dichiarazioni che potranno rendere gli stessi autori e i responsabili dei siti Internet”; c) “sulle dichiarazioni che potrà rendere l’opponente … sul contenuto degli articoli incriminati e su ogni altra circostanza utile ai fini dell’indagine”; d) “sull’acquisizione documentale dei siti Internet incriminati”.

L’opponente non indicava, quindi, uno specifico tema di indagine, ma si limitava a chiedere l’identificazione degli autori della pubblicazione e il loro interrogatorio; l’acquisizione di informazioni dallo stesso opponente; l’acquisizione, sotto forma cartacea, degli articoli comparsi sui siti Internet (se è questo il senso della richiesta sub d).

Si tratta, all’evidenza, di investigazione suppletiva priva di rilevanza (nel senso dianzi precisato), perché non idonea ad incidere sulle risultanze dell’attività compiuta dal pubblico ministero (che pure si era limitato a recepire la querela di B.), giacché non arricchiva in alcuna maniera il bagaglio di informazioni della pubblica accusa (gli elementi di fatto, necessari alla formulazione del giudizio, erano tutti presenti nella querela dell’opponente). Inoltre, non erano indicati, nella opposizione, “i relativi elementi di prova”, in quanto l’interrogatorio dei querelati (da identificare), richiesto con l’opposizione, rappresenta un mezzo di difesa e non un mezzo di prova. Un atto, cioè, che non rientra nella disponibilità ne’ del denunciante ne’ del P.M., esistendo nell’ordinamento processuale italiano il diritto dell’indagato al silenzio e di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio solo se lo vuole ed a fini difensivi. Parimenti, non erano idonei a giustificare la prosecuzione delle indagini la richiesta di audizione dell’opponente, né quella di acquisizione documentale, in quanto, pur trattandosi – astrattamente – di mezzi istruttori, rappresentavano, in concreto, una superfetazione, essendo rivolti all’acquisizione di atti e notizie già presenti nel fascicolo processuale (gli articoli asseritamente diffamatori e le circostanze esposte in querela). 2.1. Compiutamente esaminata, nel provvedimento impugnato, è l’altra condizione richiesta dalla norma per l’emissione del provvedimento de piano: l’infondatezza della notizia di reato. Il Giudice delle indagini preliminari ha sottoposto ad attenta disamina gli articoli apparsi sui siti internet e, pur ritenendoli lesivi della reputazione del querelante, ha escluso che potessero fondare la responsabilità penale dei querelati, siccome espressione del diritto di cronaca riconosciuto dall’ordinamento.

Ha valorizzato, in particolare, la circostanza che gli articolisti si erano limitati a propalare una notizia apparsa su un comunicato ufficiale dell’Autorità (quello del Nucleo Tutela Patrimonio dei carabinieri di Cosenza) ed il fatto che il termine “tombarolo”, utilizzato all’indirizzo del querelante, non aveva nessuna carica denigratoria aggiuntiva, ma serviva ad indicare il precipuo oggetto della sottrazione, ai pari di altre definizioni ad effetto invalse nel gergo giornalistico. 3. Tanto basta per ritenere infondata, e ai limiti dell’ammissibilità, l’opposizione di B.G.. Giova aggiungere, sotto il profilo del merito, che sono state svolte dall’opponente argomentazioni dirette a dimostrare la fondatezza della notizia di reato, sia per l’asserita natura diffamatoria delle espressioni, sia per la loro gratuità (avendo – sostiene – il termine “tombarolo” un pregnante significato dispregiativo), sia, infine, per la falsità, sotto alcuni aspetti, della notizia contenuta negli articoli (il fatto che B. fosse stato sorpreso in zona archeologica e fosse stato trovato in possesso di oggetti trafugati).

Si è trattato di opposizione, quindi, incentrata sulla idoneità degli elementi raccolti, noti al Pubblico Ministero e al Giudice, a sostenere l’accusa in giudizio: aspetto su cui il Giudice delle indagini preliminari è andato, motivatamente, di contrario avviso. Contro questa parte del provvedimento non è consentita alcuna impugnazione, giacché questa Corte ritiene, aderendo ad un preciso orientamento giurisprudenziale (cfr. ex plurimis: Sez. 5^, Sentenza n. 110524/2007 Pres. Pizzuti, rei. Rotella – rv. 236520; Cass. Pen., 12/3/2008, n. 13458), che in tema di opposizione alla richiesta di archiviazione, qualora il G.i.p. abbia dichiarato “de piano” l’inammissibilità dell’opposizione della persona offesa, motivandola, come nella specie, sotto entrambi i profili richiesti dall’art. 410 cod. proc. pen., il giudice di legittimità non può sindacare la valutazione di merito di infondatezza della notizia di reato quale svolta dal giudice delle indagini preliminari. Infatti, il provvedimento di archiviazione, ordinanza o decreto, è per sua natura inoppugnabile (art. 409, comma 6, cod. proc. pen.), quale che sia il procedimento a conclusione del quale viene emesso, neppure dalla parte offesa che ha esercitato la facoltà di proporre opposizione alla richiesta del P.M., salvo, in quest’ultimo caso, il ricorso in Cassazione per violazione del contraddittorio (art. 409 c.p.p., comma 6; C. Cost. 11.07.91 n. 353; Cass. 436/03 rv. 223329; 76/03 rv. 223657; 5144/98 rv. 210060; 1159/92 rv. 191455).

Violazione che, per il motivo prima illustrato (non vi era stata richiesta di investigazioni suppletive, né indicazione di mezzi di prova), non ricorre nella specie. In conclusione, poiché il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di archiviazione è consentito nei soli casi di mancato rispetto delle regole poste a garanzia del contraddittorio, non possono in alcun modo essere oggetto di censura le valutazioni espresse dal giudice a fondamento della ordinanza di archiviazione e neppure le considerazioni in base alle quali il P.M. abbia richiesto la archiviazione, essendo il giudice investito della richiesta del tutto libero di motivare il proprio convincimento anche prescindendo dalle valutazioni dell’organo titolare dell’azione penale (v. Cass. 28/09/1999, Mezzaroma).

Ciò comporta l’inammissibilità dei profili di ricorso in oggetto, come sopra esposti, per quanto attinente a pretesi difetti di valutazione o di motivazione del provvedimento impugnato, anche in relazione a supposta pretermissione o erronea valutazione delle tesi della persona offesa esposte negli scritti difensivi e nell’atto di opposizione, ovvero a violazione di disposizioni legislative o di interpretazioni giurisprudenziali in tema di diffamazione, in considerazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, fissato nell’art. 568 c.p.p., comma 1, che riguarda anche le ipotesi in cui la impugnazione può essere proposta. Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il corrente al pagamento delle spese processuali.

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