Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 29 gennaio 2014, n. 3958
Fatto e diritto
1. Con sentenza del 20/02/2013, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza con la quale, in data 03/10/2008, il giudice monocratico del Tribunale della medesima città aveva dichiarato O.G. colpevole, nella sua qualità di amministratore del condominio sito in (omissis) , dell’appropriazione indebita di somme di denaro e della documentazione contabile ed amministrativa relativa al condominio, lo aveva condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 400,00 di multa ed aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinandolo “alla restituzione dei documenti e delle somme di cui all’imputazione nonché al risarcimento del danno”.
2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione dell’art. 165 cod. pen. per avere la Corte confermato la sentenza nella parte in cui aveva subordinato la sospensione condizionale della pena alla restituzione della documentazione ed al risarcimento del danno, nonostante né il Condominio né alcun condomino si fosse costituito parte civile, né fosse stata documentata alcuna causa civile di risarcimento.
3. Il ricorso è fondato.
4. Va premesso che, in punto di fatto, la doglianza del ricorrente trova riscontro negli atti processuali in quanto, in effetti, non risulta che il Condominio o singoli condomini, si siano mai costituiti parte civile.
La Corte territoriale, avanti alla quale la medesima censura era stata dedotta, l’ha respinta rilevando che l’imputato non aveva “versato al condominio alcuna somma di denaro per ripianare l’ammanco da lui causato. Restituendo parte della documentazione di pertinenza del condominio l’O. non ha fatto nemmeno la metà del suo dovere. In questa situazione la subordinazione della sospensione condizionale della pena disposta nella sentenza impugnata merita di essere condivisa e confermata, essendo l’unico strumento per verificare la resipiscenza dell’appellante e formulare un definitivo giudizio prognostico favorevole sulla sua condotta futura”.
La suddetta motivazione, va disattesa per le ragioni di seguito indicate.
5. La questione che è stata posta dal ricorrente può essere enunciata nei seguenti termini: “se il giudice, in mancanza della costituzione di parte civile, possa d’ufficio subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno e alle restituzioni”.
La soluzione del quesito, richiede un preliminare chiarimento sulla distinzione fra il c.d. danno criminale ed il danno civilistico.
La perpetrazione di un reato determina due effetti: la violazione del bene giuridico tutelato dalla norma violata; i danni (materiali e morali) che la persona offesa subisce in quanto vittima del reato.
Per danno criminale s’intende quelle conseguenze che ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma penale violata: Cass. 43188/2004 Rv. 230506; Cass. 2431/1997 Rv. 207312; Cass. 13171985Rv. 171868. Si tratta, quindi, di un danno che, a seguito della violazione della norma penale, essendo arrecato alla società, ha natura pubblicistica.
Diverso, invece, è il danno civilistico, ossia il danno che il reato arreca alle singole persone offese e del quale può essere chiesto il risarcimento e/o la restituzione, nel processo penale attraverso la costituzione della parte civile: art. 185 cod. pen., artt. 74 – 538 – 578 cod. proc. pen..
Il suddetto danno, con tutta evidenza, contrariamente al danno criminale, ha natura esclusivamente privatistica e può essere fatto valere dalla persona offesa anche in sede penale.
Questa Corte, proprio alla stregua della suddetta distinzione, ha così ricostruito la disciplina dell’art. 165 cod. pen.: “[…] Il testo originario dell’art. 165 cod. pen., comma 1 era così formulato: La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno. Con la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 128, l’art. 165 cit. venne sostituito e il comma 1 così formulato: La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. Infine, con la L. 11 giugno 2004, n. 145, art. 2, comma 1, dopo le parole: conseguenze dannose o pericolose del reato sono inserite le seguenti: ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa. Risulta evidente che il testo originario dell’art. 165, comma 1 riguardava proprio e soltanto il danno civilistico patrimonialmente inteso e, in tal senso, la giurisprudenza del tempo non aveva dubbi che la norma fosse dettata nell’esclusivo interesse della parte civile, il quale, pertanto, poteva formulare la richiesta di subordinazione della sospensione condizionale della pena all’adempimento delle obbligazioni civilistiche (Sez. 4, n. 205 del 05/02/1974 – 13/01/1975, Bari, Rv. 128976; Sez. 2, n. 9464 del 30/03/1982, Giugliano, Rv. 155659). Le modifiche successive hanno aggiunto la possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena, dapprima, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e, successivamente, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività: si tratta, appunto, di previsioni aggiuntive e non modificative di quella originaria ed è evidente l’intento legislativo di tutelare non solo la persona che ha subito in conseguenza del reato un pregiudizio economicamente apprezzabile e risarcibile, ma anche – e la parola altresì lo evidenzia – il bene giuridico protetto dalla norma penale violata mediante la riparazione del danno criminale”: Cass. 22342/2013 riv 255664.
Il suddetto principio è talmente pacifico che nessuno ha mai dubitato che la sospensione condizionale della pena possa essere subordinata al risarcimento dei danni nella sola ed esclusiva ipotesi che la parte offesa si costituisca parte civile.
Questa Corte, infatti, ha affermato che: “non è possibile subordinare la sospensione condizionale della pena all’adempimento di un obbligo risarcitorio in favore della parte offesa senza che quest’ultima abbia esercitato l’azione civile nel processo penale, potendo in tal caso il giudice soltanto prendere in considerazione, al fine di individuare gli adempimenti imponibili, gli accadimenti lesivi riconnessi causalmente al fatto di reato, che ne caratterizzano il contenuto offensivo. Ne consegue che va annullata la sentenza con la quale il giudice, in relazione ad una condanna per il reato condanna di violazione degli obblighi di assistenza familiare, subordini, in assenza della costituzione di parte civile, la concessione del suddetto beneficio al pagamento della somma non corrisposta a titolo di mantenimento della figlia”: Cass. 933/2003 riv 227943 in motivazione, precisò che “soltanto in presenza dell’esercizio dell’azione civile per il risarcimento e/o le restituzioni, la scelta può ricadere sugli obblighi nei confronti del soggetto passivo del reato o del danneggiato, mentre, in mancanza di tale iniziativa, si possono eventualmente prevedere adempimenti incidenti sulle conseguenze del reato. Risarcimento del danno da reato e restituzioni implicano necessariamente che il giudizio inerente al fatto, conclusosi con la sentenza penale di condanna che applica la sospensione, abbia esteso la propria valutazione anche alle istanze risarcitorie del danneggiato da reato, il che, ovviamente, può accadere soltanto nel caso in cui nel processo penale sia stata esercitata l’azione civile. Trattandosi di una pronunzia sulle conseguenze civili del reato, infatti, soltanto una precisa domanda della persona legittimata attribuisce al giudice il potere di pronunciare sulla domanda medesima. Al di là dell’indubbia ispirazione pubblicistica che anima l’art. 165 c.p., non è consentito imporre un obbligo risarcitorio, geneticamente riconducibile a rapporti privatistici, senza istanza della parte interessata. La possibilità per il giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose del reato non presuppone, invece, l’esercizio dell’azione civile in sede penale. L’ordinamento rivendica, in tale caso, il diritto d’imporre al soggetto che goda della sospensione condizionale l’obbligo di incidere, secondo modalità definite dal giudice, sui contenuti lesivi del reato commesso”. Negli stessi termini, ha deciso Cass. 18450/2006 riv 236416.
Pertanto, alla stregua della suddetta giurisprudenza, sicuramente errata è la conclusione alla quale sono pervenuti entrambi i giudici di merito in ordine alla sospensione condizionale subordinata, pur in assenza della costituzione di parte civile, al risarcimento del danno.
6. Entrambi i giudici di merito, però, hanno subordinato la sospensione condizionale della pena anche alla restituzione della documentazione amministrativa e contabile che l’imputato aveva trattenuto ritenendo, in pratica, che il suddetto obbligo – finalizzato all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato – fosse consentito dalla stessa norma prevista nell’art. 165/1 seconda parte cod. pen.
La decisione alla quale sono pervenuti entrambi i giudici di merito, pone, quindi, il problema di verificare quale siano i rapporti che intercorrono fra l’obbligo restitutorio di cui all’art. 165/1 prima parte cod. pen. (che può essere imposto sono se vi si sia costituzione di parte civile che chieda la condanna dell’imputato al risarcimento o alle restituzioni) e l’obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose di cui all’art. 165/1 seconda parte cod. pen. che, invece, può essere imposto d’ufficio dal giudice anche in assenza di costituzione di parte civile.
7. La possibilità per il giudice di imporre d’ufficio, anche in assenza di costituzione di parte civile, le restituzioni, trova un riscontro in alcune sentenze di questa stessa Corte di legittimità che, riconducendo la restituzione nell’ambito della locuzione “eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato” (art. 165/1 seconda parte cod. pen.), ha statuito che “rientra nella nozione di condotte di eliminazione delle conseguenze dannose del reato di circonvenzione di persona incapace, a cui può essere subordinata la sospensione condizionale della pena irrogata anche in assenza di una richiesta in tal senso conseguente alla mancata costituzione di parte civile, la restituzione delle somme di denaro illegittimamente percepite in relazione al fatto criminoso”: Cass. 41376/2010 riv 248924 la quale, in motivazione, ha precisato che: “[…] l’applicabilità dell’ari. 165 c.p. presuppone la costituzione di parte civile nel solo caso in cui il giudice intenda subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e non, invece, nei caso in cui tale subordinazione inerisca all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni o alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, in quanto le restituzioni non sono più finalizzate alla tutela degli interessi civili del danneggiato, bensì al reinserimento sociale del reo, motivandolo a comportamenti sintomatici di una maggiore socialità. Infatti la sospensione condizionale della pena subordinata ad obblighi del condannato si ispira ai principi di legalità e tassatività e per questo la subordinazione può essere disposta,come è avvenuto nel caso di specie, solo con riferimento a prestazioni certe e determinate in modo da assicurare l’esatta corrispondenza tra obbligo imposto e suo corretto adempimento […] Esattamente dunque, nel caso di specie, la Corte di merito ha ritenuto che fosse possibile disporre la eliminazione delle conseguenze dannose del reato, anche in assenza di una richiesta in tal senso conseguente alla mancata costituzione di parte civile, disponendo fa restituzione delle somme come quantificate, in quanto deve ritenersi rientrare tra le disposizioni atte ad eliminare le conseguenze dannose del reato di circonvenzione di incapace la restituzione delle somme di denaro connesse all’azione delittuosa dell’imputato che illegittimamente ha ricevuto tali somme, a nulla rilevando, evidentemente, la diversità materiale del denaro consegnato, essendo lo stesso bene fungibile per definizione”. Negli stessi termini Cass. 16629/2007 riv 236655; Cass. 2684/1999 riv 215713 secondo la quale “agli effetti di quanto previsto dall’art.165 cod. pen., in tema di sospensione condizionale della pena subordinata alla eliminazione delle conseguenze del reato, rientra tra le disposizioni atte ad eliminare le conseguenze dannose del reato di truffa avente ad oggetto titoli di credito, quella di ordinare all’imputato di sollevare la parte offesa dall’obbligo cartolare. Tale disposizione può essere impartita dal giudice anche in mancanza di una richiesta in tal senso della parte civile”.
8. Questa Corte ritiene di non condividere il suddetto principio per le ragioni di seguito indicate.
Innanzitutto, sotto un profilo strettamente formale, deve rilevarsi che la locuzione “risarcimento danni e obbligo di restituzioni” si trova invariabilmente abbinata alle pretese della parte civile (artt. 74 – 538 – 578 eoa. proc. pen.): non vi è motivo, quindi, per ritenere che la frase “adempimento dell’obbligo delle restituzioni, pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno” di cui all’art. 165/1 prima parte cod. pen. non si riferisca alle restituzioni a favore della costituita parte civile.
D’altra parte, se la suddetta locuzione venisse fatta coincidere con quella di cui all’art. 165/1 seconda parte (“eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato”) ci si troverebbe di fronte ad una inutile duplicazione della norma: il che si porrebbe in contrasto con il canone interpretativo del c.d. “principio economico” o regola della non ridondanza che inibisce all’interprete di attribuire a due disposizioni appartenenti al medesimo ambito normativo significati identici. La suddetta regola, infatti, stabilisce che al testo deve attribuirsi un significato tale che non risulti superfluo.
Non resta, quindi, che dare alla locuzione in esame un significato diverso da quello dell’obbligo di restituzione a favore della parte civile.
Sul punto, innanzitutto, si deve rammentare quanto già osservato da questa Corte e cioè che l’espressione “eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato” costituisce una novità introdotta dalla modifica introdotta con la L. 689/1981 con la quale il legislatore ha inteso tutelare il bene giuridico protetto dalla norma penale violata mediante la riparazione del “danno criminale”: Cass. 22342/2013 cit.
Resta, quindi, confermato che, una cosa è l’obbligo di restituzione a favore della parte civile (che rientra nel danno civilistico), altra e diversa cosa è l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (ed danno criminale): il che comporta che anche la condanna alla restituzione così come quella al risarcimento del danno, in tanto può essere pronunciata in quanto vi sia una parte civile che, costituitasi in giudizio, abbia chiesto espressamente la condanna dell’imputato alla restituzione.
9. La questione, però, merita di essere ulteriormente approfondita, al fine di verificare quali siano gli indici giuridici e fattuali che consentano di differenziare le due ipotesi.
La differenza fra danno criminale e danno civilistico, per alcune tipologie di reati è immediata e non si presta ad alcun equivoco: ad es., nell’omicidio il danno criminale è costituito dalla distruzione del bene vita che non costituisce di certo oggetto del danno civilistico che viene risarcito agli eredi ove si costituiscano parti civili.
Al contrario, per i reati contro il patrimonio (come quello per cui è processo), il contenuto delle due nozioni può coincidere in quanto, normalmente, il bene giuridico violato consiste nel diritto di proprietà ossia nel danno che l’agente, con il commettere il reato, ha arrecato alla persona offesa privandolo del bene di sua proprietà: da qui il rischio di una confusione fra i due concetti nel senso che la restituzione del bene potrebbe essere fatta coincidere con l’eliminazione delle conseguenze dannose del reato e, quindi, indurre il giudice (come nel caso di specie) ad ordinare la restituzione del bene pur in assenza della costituzione della parte civile.
Al fine di evitare la suddetta confusione, occorre, innanzitutto, porre mente al testo della norma che, facendo riferimento “all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato” e, quindi, al danno criminale, ha, evidentemente riguardo agli effetti del reato ancora in essere e che il reo ha la possibilità di far cessare perché, altrimenti, la norma non avrebbe ragion d’essere ove interpretata nel senso che stabilisce l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose degli effetti di un reato già consumato i cui effetti sono ormai impossibili da eliminare.
La suddetta considerazione porta alle conclusioni di seguito illustrate.
L’obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato non si applica né ai reati istantanei (in quanto il danno criminale si esaurisce contemporaneamente alla consumazione istantanea del reato, sicché quod factum est infectum fieri nequit) né ai reati permanenti i cui effetti siano cessati al momento del giudizio (ad es. un’invasione di terreno).
Un esempio chiarirà quanto si appena detto.
Si ipotizzi un reato di furto: si tratta di un reato pacificamente istantaneo, a seguito del quale l’agente s’impossessa della cosa mobile altrui.
Perpetrando il suddetto reato, e, quindi, violando il bene protetto dalla norma e cioè il diritto di proprietà, l’agente, da una parte, provoca un danno criminale e, dall’altra, un danno civilistico (sottrazione della cosa mobile ad un terzo).
Ora, è chiaro che, nel furto, il danno criminale (violazione del diritto di proprietà), verificandosi ed esaurendosi nel momento in cui l’agente ha violato il diritto di proprietà con l’impossessamento della cosa mobile altrui, non può essere più riparato.
Al contrario, il danno civilistico (e cioè la sottrazione del bene oggetto del furto) permane fino a che l’agente non risarcisca il danno o non restituisca il bene rubato.
Ma, la restituzione del bene rubato – ossia la riparazione del danno civilistico – in tanto può essere ordinata dal giudice in quanto vi sia costituzione della parte civile che chieda la condanna dell’imputato alla restituzione del bene: se non vi è costituzione di parte civile, il giudice non può d’ufficio, concedere la sospensione subordinandola “all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato” e, quindi, alla restituzione del bene, sia perché il bene giuridico è stato definitivamente violato e non è più riparabile, sia perché entrerebbe in una controversia di natura strettamente privatistica che non gli compete: ed infatti, la restituzione del bene è soltanto un post factum che può incidere sul trattamento sanzionatorio (art. 62 n. 6 cod. pen.) ma che, di certo, non è idonea ad eliminare il danno criminale che l’agente ha provocato con la violazione del diritto di proprietà.
L’obbligo di eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato, per converso, si applica ai reati permanenti ancora in fieri al momento della decisione o a quei reati che, benché cessati, abbiano provocato un danno criminale che continua a perpetuarsi anche dopo la consumazione e che l’imputato ha la possibilità di eliminare. A tal ultimo proposito si possono rammentare le ipotesi dei reati edilizi e di inquinamento.
Quanto ai reati edilizi, si è ritenuto legittimo subordinare la sospensione condizionale della pena all’obbligo di demolizione della costruzione abusiva in quanto idoneo ad eliminare le conseguenze del danno criminale, individuabile non soltanto nella realizzazione della costruzione nel rispetto della concessione, ma anche quello della tutela sostanziale del territorio, il cui sviluppo deve avvenire in conformità alle previsioni urbanistiche (Cass. 6671/1998 riv 210977): ex plurimis Cass. 28356/2013 Rv. 255466; Cass. 32834/2013 Rv. 255874.
Quanto ai reati ambientali, si è ritenuto legittimo subordinare la sospensione condizionale della pena all’obbligo della messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dell’area inquinata, in quanto idoneo ad eliminare le conseguenze del danno criminale rappresentato dall’interesse pubblico alla salubrità dell’ambiente (Cass. 769/2010 riv 249167): Cass. 13456/2006 riv 236328; Cass. 20681/2007 riv 236776.
Ovviamente, quanto si è appena detto in ordine alla natura dei reati è del tutto irrilevante ai fini dell’adempimento del diverso obbligo delle restituzioni (o del pagamento del risarcimento del danno) di cui all’art. 165/1 prima parte cod. pen., in quanto se un reato (qualsiasi natura giuridica essa abbia) ha provocato un danno civilistico, la persona offesa, ove si costituisca parte civile, ha diritto a chiederne la riparazione: questa è un’ulteriore differenza fra le due tipologie di obblighi previste nell’art. 165/1 cod. pen. rispettivamente nella prima e seconda parte.
10. Tutto quanto si è appena illustrato, può trovare applicazione, mutatis mutandis, al caso di specie che riguarda un’appropriazione indebita di libri contabili ed amministrativi e che costituisce un esempio paradigmatico di quanto si è detto.
Ed infatti, ove si consideri che il reato di appropriazione indebita è un reato istantaneo e che il bene giuridico protetto dalla norma è rinvenuto dalla dottrina maggioritaria nella tutela del diritto di proprietà o, comunque, nel rispetto del vincolo di disposizione sulla cosa, allora ne consegue che il danno criminale fu realizzato e si esaurì nel momento in cui l’imputato effettuò l’interversione del possesso della res di proprietà del condominio che egli deteneva per ragioni del suo ufficio, sicché alla suddetta violazione non può più essere posto rimedio.
La restituzione della res riguarda invece il danno civilistico sicché solo ove fosse stata chiesta dalla parte interessata (condominio) il giudice avrebbe potuto ordinarne la restituzione – se ancora possibile – e ad essa subordinare la sospensione condizionale della pena: siccome il condominio si è completamente disinteressato del processo, non poteva il giudice provvedere d’ufficio.
11. In conclusione, il ricorso dev’essere accolto e la sentenza impugnata annullata senza rinvio alla stregua del seguente principio di diritto: “le locuzioni obbligo di restituzioni e risarcimento del danno di cui all’art. 165/1 prima parte cod. pen., si riferiscono al solo danno civilistico, sicché, indipendentemente dalla natura giuridica del reato commesso, la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dei suddetti obblighi, solo ed esclusivamente nelle ipotesi in cui vi sia stata costituzione di parte civile e questa abbia espressamente richiesto la condanna dell’imputato al risarcimento del danno o alle restituzioni.
Al contrario, la locuzione eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato di cui all’art. 165/1 seconda parte cod. pen., si riferisce al danno criminale sicché, la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento del suddetto obbligo anche ove non vi si costituzione di parte civile, e sempre che si tratti di reati permanenti ancora in fieri al momento della decisione o di reati che, benché cessati, abbiano provocato un danno criminale che continua a perpetuarsi anche dopo la consumazione e che l’imputato ha la possibilità di eliminare”.
P.Q.M.
ANNULLA senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla parte in cui ha subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena all’obbligo del risarcimento dei danni e alle restituzioni, obbligo che elimina.
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