Vizio di motivazione manifestamente illogica

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|17 maggio 2021| n. 19318.

Ricorre il vizio di motivazione manifestamente illogica nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o più premesse, nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono, e, invece, di motivazione contraddittoria quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o vi sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero nella stessa si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o più ipotesi formulate dal giudice – conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento.

Sentenza|17 maggio 2021| n. 19318. Vizio di motivazione manifestamente illogica

Data udienza 20 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Reati fallimentari – Bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione – Amministratore apparente – Regole sulla responsabilità valide per l’amministratore di fatto – Automatica applicazione – Esclusione – Vizio di motivazione manifestamente illogica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/04/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GUARDIANO ALFREDO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. SENATORE VINCENZO che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Vizio di motivazione manifestamente illogica

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte d’appello di Ancona confermava la sentenza con cui il Tribunale di Macerata, in data 12.4.2016, aveva condannato (OMISSIS) alle pene, principale (anni tre mesi sei di reclusione) ed accessorie (interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e pene accessorie “fallimentari” per la durata di anni dieci), ritenute di giustizia, in relazione ai reati fallimentari a lei ascritti nei capi A); B) e C) dell’imputazione.
2. Avverso la sentenza della Corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), lamentando: 1) vizio di motivazione, con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in quanto non e’ stata raggiunta la prova dell’ingresso dei beni oggetto della presunta condotta distrattiva nel patrimonio della societa’ fallita, non essendo sufficiente, al riguardo, il riferimento operato dalla Corte territoriale al contenuto delle note di credito, documenti inidonei a dimostrare l’avvenuto ingresso dei beni in questione nel patrimonio della fallita, in mancanza del Documento di Trasporto, che ha sostituito la bolla di accompagnamento; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A), in relazione al quale la responsabilita’ dell’imputata e’ stata desunta sulla base del semplice ruolo di amministratrice di fatto ad essa attribuito, non avendo proceduto la Corte territoriale ad una soddisfacente indagine sull’elemento soggettivo del reato, senza nemmeno chiarire se l’imputata sia stata ritenuta responsabile di omessa tenuta delle scritture contabili ovvero di irregolare tenuta delle medesime, fattispecie alternative, in relazione alle quali si atteggia diversamente l’elemento soggettivo del reato; 3) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento al disposto della L. Fall., articolo 87, comma 3 e articolo 192 c.p.p., in quanto l’imputata non e’ mai stata oggetto di interpello da parte del curatore fallimentare, che non ha mai convocato la (OMISSIS), ma solo il fratello, (OMISSIS), e (OMISSIS), con la conseguenza che quest’ultima non e’ stata in condizione di violare l’obbligo di dire la verita’ previsto dalla menzionata disposizione normativa.
Pertanto, e’ venuta meno la condizione alla quale e’ subordinato l’apparente inversione dell’onere della prova ascritta al fallito nel caso di mancato rinvenimento dei cespiti da parte degli organi del fallimento.

 

Vizio di motivazione manifestamente illogica

La ricorrente, infine, deduce il compiuto decorso del termine di prescrizione, con riferimento ai reati di cui ai capi A, B, comma 3, e C) dell’imputazione, alla data del 2.6.2018, prima della scadenza del termine per proporre il ricorso per cassazione.
3 Con requisitoria scritta del 17.12.2020, depositata sulla base della previsione del Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, comma 8, che consente la trattazione orale in Udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalita’ di celebrazione e’ stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione chiede che il ricorso venga parzialmente accolto.
4. Il ricorso e’ parzialmente fondato e va accolto limitatamente alla intervenuta estinzione per prescrizione del delitto di bancarotta preferenziale, dovendosi, inoltre, annullare la sentenza impugnata anche con riferimento alla determinazione della durata delle cd. pene accessorie fallimentari, mentre, nel resto, il ricorso va dichiarato inammissibile, per le seguenti ragioni.
5. Diversi, in particolare, sono i profili di inammissibilita’ che inficiano i motivi di ricorso in tema di affermazione di responsabilita’ della (OMISSIS) per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, contestato nel capo B) e di bancarotta semplice documentale, contestato nel capo A), la cui formulazione riproduce parte di quella di cui al capo C), delitti che le sono stati addebitati nella qualita’ di amministratrice di fatto della societa’ ” (OMISSIS) S.r.l. in liquidazione”, esercente attivita’ di produzione e commercio di capi di abbigliamento, dichiarata fallita con sentenza pronunciata dal Tribunale di Macerata in data 12.1.2010.

 

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Al riguardo, premesso che non risulta contestato in questa sede dalla ricorrente il ruolo di amministratore di fatto della societa’ fallita da lei rivestito, va osservato che, secondo l’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimita’, il soggetto che assume, in base alla disciplina dettata dall’articolo 2639 c.c., la qualifica di amministratore “di fatto” di una societa’ e’ da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui e’ soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, e’ penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola dettata dall’articolo 40 c.p., comma 2, (cfr. Cass., Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Rv. 250094; Cass., Sez. 5, del 20/05/2011, Rv. 250844; Sez. 3, n. 33385 del 05/07/2012, Rv. 253269).
Cio’ posto, va ribadito un costante orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, condiviso dal Collegio, alla luce del quale, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della societa’ dichiarata fallita puo’ essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti.
Nell’affermare tale principio, la Corte ha osservato che la responsabilita’ dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verita’, penalmente sanzionato, gravante ex L. Fall., articolo 87 sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della societa’ fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, Rv. 267710, nonche’, nello stesso senso, Cass., Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008 Rv. 243295).

 

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Orbene, sul punto, la decisione della Corte territoriale e’ sorretta da una specifica motivazione, affatto contraddittoria o manifestamente illogica, che appare assolutamente conforme agli indicati principi giurisprudenziali, in quanto il giudice di appello ha evidenziato come “durante il periodo di liquidazione risultavano entrati (a seguito di note di credito per resi emesse) beni per Euro 78.330,00 e usciti regolarmente (a seguito di fatture emesse) beni per Euro 9.554,00, risultando mancanti n. 323 capi di abbigliamento per un valore di Euro 68.776,00”, nonche’ “uscite per spese non conferenti all’attivita’ della societa’ per Euro 4472,00”.
Beni e spese, rilevava la Corte territoriale, rispetto alla cui destinazione in senso conforme agli scopi sociali nessuna giustificazione era stata fornita dalla (OMISSIS) (cfr. p.14)
Il rilievo della ricorrente, che mette in dubbio l’ingresso nel patrimonio della fallita dei beni in questione, sul presupposto che le note di credito e le fatture sono documenti che non forniscono alcuna prova certa al riguardo (a differenza del Documento di Trasporto, che ha ormai sostituito nelle operazioni commerciali la precedente bolla di accompagnamento), ma solo una probabilita’ o una presumibilita’ dell’esistenza di tali beni prima della ipotizzata distrazione, si presenta come un rilievo meramente assertivo e fattuale, che non consente di ravvisare nel ragionamento svolto dalla Corte territoriale vizi tali da renderlo manifestamente illogico o contraddittorio, come denunciato dall’imputata.
Cio’ appare evidente ove si rammenti che siffatti vizi ricorrono, da un iato, nel caso in cui vi sia una frattura logica evidente tra una premessa, o piu’ premesse nel caso di sillogismo, e le conseguenze che se ne traggono (cfr. Cass., Sez. 1, n. 9539 del 12/05/1999, Rv. 215132), dall’altro, quando non siano conciliabili tra loro le considerazioni logico-giuridiche in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti o ci sia disarmonia tra la parte motiva e la parte dispositiva della sentenza, ovvero allorche’ in sentenza si manifestino dubbi che non consentano di determinare quale delle due o piu’ ipotesi formulate dal giudice conducenti ad esiti diversi – siano state poste a base del suo convincimento (cfr. Cass., Sez. 2, n. 12329 del 04/03/2010, Rv. 247229), evenienze tutte non riscontrabili nel caso in esame.

 

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Nessun rilievo specifico, infine, viene svolto dalla ricorrente in ordine alla ulteriore attivita’ distrattiva, avente ad oggetto, come si e’ detto, la somma di Euro 4472,00.
5.1. Quanto al terzo motivo di ricorso, strettamente connesso al primo, esso appare inammissibile, ai sensi del disposto dell’articolo 606 c.p.p., comma 3, in quanto trattasi di motivo nuovo, riguardante una violazione di legge, dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione (cfr. atto di appello del 24.6.2016), risultando fondato, peraltro, su allegazioni documentali alla relazione del curatore fallimentare, che, al pari della relazione stessa, non risultano prodotte con il ricorso o trascritte integralmente nel corpo dell’atto di impugnazione, in violazione del principio della “autosufficienza”, per cui e’ inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga, come nel caso in esame, la loro integrale trascrizione o allegazione, cosi’ da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071).
Principio che va mantenuto fermo, come chiarito da alcuni recenti arresti, anche dopo l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 luglio 1989, n. 271, articolo 165 bis, comma 2, inserito dal Decreto Legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, articolo 7, dovendosi ribadire l’onere di puntuale indicazione ed allegazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
Appare, tuttavia, utile evidenziare che ha ben vedere, si tratta di un motivo anche manifestamente infondato, in quanto proprio la piena equiparazione dell’amministratore “di fatto” all’amministratore di diritto comporta che anche a carico dell’amministratore “di fatto” sia configurabile un obbligo di verita’ sulla destinazione dei beni della societa’ fallita, indipendentemente da una sua formale convocazione da parte del curatore stesso, proprio in considerazione del suo ruolo di effettivo dominus della societa’ fallita.
Tale interpretazione trova conferma a contrario in un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione non puo’, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilita’ dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Rv. 247251), nei confronti del quale, invece, in caso di mancato reperimento dei beni, il suddetto principio non puo’ non applicarsi.
5.2 Del tutto generico e manifestamente fallace appare il secondo motivo di ricorso, articolato dall’imputata facendo riferimento alla fattispecie di reato prevista dall’articolo 216, comma 1, n. 2), L. Fall., che, tuttavia, non risulta avere formato oggetto di contestazione, laddove la (OMISSIS) risulta, invece, tratta a giudizio e condannata per il meno grave delitto di bancarotta semplice documentale, di cui all’articolo 217, comma 2, L. Fall..

 

Vizio di motivazione manifestamente illogica

Orbene non vi sono dubbi, proprio per le ragioni gia’ esposte, che l’amministratore di fatto risponde a pieno titolo del delitto di bancarotta semplice documentale.
La Corte territoriale, al riguardo, con motivazione immune da vizi ha chiarito come le scritture contabili della societa’ non fossero tenute in maniera completa e irregolare, condotta pacificamente integrante l’ipotesi di bancarotta semplice documentale, che, come e’ noto, e’ punibile anche a titolo di colpa (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, Rv. 275133).
6. Con riferimento alle pene accessorie “fallimentari”, la cui durata e’ stata fissata in dieci anni, ai sensi dell’articolo 216, u.c., L. Fall., va osservato che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 222 del 2018 ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale di tale previsione normativa, nella parte in cui dispone: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”, anziche’: “la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacita’ ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni”.
In conseguenza dell’intervento del Giudice delle leggi, come e’ ormai noto, le Sezioni Unite Penali di questa Corte, hanno affermato che la durata delle pene accessorie per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo, ovvero uno soltanto di essi, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p., e non rapportata, invece, alla durata della pena principale inflitta ex articolo 37 c.p. (cfr. Cass., Sez. U., n. 28910, del 28.2.2019, rv. 276286).
Sul punto, pertanto, non potendo essere conservata una pena determinata in relazione ad una cornice edittale prevista da una norma dichiarata incostituzionale e, quindi, inesistente sin dalla sua origine, in quanto non conforme al principio costituzionale di proporzione tra offesa e pena (cfr. Cass., Sez. U. n. 33040 del 26.2.2015, rv. 264207), la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia, esclusivamente per la rideterminazione della durata delle pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, dalla disposizione di cui all’articolo 216, u.c., L. Fall..
7. Va, infine, affrontato il tema della prescrizione, in relazione al quale va tenuto conto che la (OMISSIS) risulta essere stata condannata non solo per i delitti di bancarotta documentale semplice (capo A) e di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione (capo B), ma anche per i concorrenti delitti di bancarotta preferenziale ex articolo 216, comma 3, L.F. (capo B) e di bancarotta semplice da aggravamento del dissesto, di cui all’articolo 217, comma 1, n. 4), L.F. (capo C), reati, questi ultimi due, rispetto ai quali la ricorrente non ha formulato alcun rilievo.
Orbene, l’annullamento con rinvio alla Corte di appello di Perugia della sentenza impugnata in relazione alla rideterminazione della durata delle pene accessorie “fallimentari”, previste dall’ultimo comma dell’articolo 216, L. Fall., con riferimento ai delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta preferenziale, assume una duplice valenza ai fini della prescrizione dei suddetti reati.
Da un lato, infatti, in ordine al reato di bancarotta preferenziale, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, l’annullamento del “punto” della decisione di merito concernente la pena accessoria irrogata per un determinato reato (nel caso di specie, quella prevista dal Regio Decreto 18 marzo 1942, n. 267, articolo 216, u.c., divenuta illegale a seguito della sentenza Corte Cost., n. 222 del 2018) comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al pertinente “capo” di imputazione, consentendo l’utile decorso del termine di prescrizione del reato fino alla sentenza di legittimita’ (cfr. Cass., Sez. 5 n. 26409 del 07/05/2019, Rv. 276995; Cass., Sez. 6, n. 58095 del 30/11/2017, Rv. 271965).
Ne consegue che, ai sensi di quanto previsto dagli articoli 157, 158, 159, 160 e 161, c.p., il termine di prescrizione del reato per cui si procede, che decorre dal 12.1.2010, data della dichiarazione di fallimento, pari, nella sua massima estensione, tenuto conto, cioe’, degli atti interruttivi intervenuti, a sette anni e sei mesi, considerati, inoltre, i disposti periodi di sospensione del relativo decorso, risulta sicuramente perento prima della odierna decisione.
Si e’ pertanto verificata, dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado, una causa di estinzione del reato, che compete al Collegio rilevare, non potendosi considerare inammissibile il ricorso presentato dall’imputato, proprio in ragione del formarsi del rapporto processuale con riferimento al capo di imputazione per il quale e’ intervenuto l’annullamento con rinvio concernente le pene accessorie “fallimentari” irrogate.
Come e’ noto, infatti, il principio della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilita’, sancito dall’articolo 129 c.p.p., comma 2, opera anche con riferimento alle cause estintive del reato, quale e’ la prescrizione, rilevabili nel giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 3, 01/12/2010, n. 1550, Rv. 249428; Cass., sez. un., 27/02/2002, n. 17179, Rv. 221403; Cass., Sez. 2, n. 6338 del 18/12/2014, Rv. 262761).
Logico corollario di tale affermazione sulla piena operativita’ dell’articolo 129, c.p.p., e’ che anche nel giudizio di legittimita’ sussiste l’obbligo di dichiarare una piu’ favorevole causa di proscioglimento ex articolo 129 c.p.p., comma 2, pur ove risulti l’esistenza della causa estintiva della prescrizione, obbligo che, tuttavia, in considerazione dei caratteri tipici del giudizio innanzi la Corte di Cassazione, sussiste nei limiti del controllo del provvedimento impugnato, in relazione alla natura dei vizi denunciati (cfr. Cass., sez. 1, 18/04/2012, n. 35627, Rv. 253458).

 

Vizio di motivazione manifestamente illogica

Il sindacato di legittimita’ che, pertanto, si richiede alla arte in questo caso deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire a una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte dall’articolo 129 c.p.p., comma 2: la conclusione puo’ essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneita’ a esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilita’ di nuove indagini e ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operativita’ della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui e’ intervenuta, non puo’ essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’articolo 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilita’ piu’ favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo (cfr. Cass., sez. 4, 05/11/2009, n. 43958, F.).
In presenza di una causa di estinzione del reato, infatti, la formula di proscioglimento nel merito (articolo 129 c.p.p., comma 2) puo’ essere adottata solo quando dagli atti risulti “evidente” la prova dell’innocenza dell’imputato, sicche’ la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene piu’ al concetto di “constatazione” che di “apprezzamento” (cfr. Cass., sez. 2, 11/03/2009, n. 24495, G.), circostanza che non puo’ ritenersi sussistente nel caso in esame, alla luce della puntuale motivazione della Corte territoriale al riguardo (cfr. p. 14). La sentenza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio, con riferimento al delitto di bancarotta preferenziale di cui al capo B), per essere il reato indicato in premessa estinto per prescrizione, con conseguente eliminazione dalla complessiva entita’ del trattamento sanzionatorio della relativa pena, pari a tre mesi di reclusione.
D’altro lato, avuto riguardo al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, il relativo termine massimo di prescrizione, pari a dodici anni e sei mesi, tenuto conto anche delle disposte sospensioni del relativo decorso, non risulta a tutt’oggi perento, con la conseguenza che l’inammissibilita’ originaria dei motivi di ricorso sul punto determina il passaggio in giudicato della sentenza di appello, cristallizzando la decisione assunta al momento della sua adozione in ordine all’accertamento del reato e della responsabilita’, che impedisce una futura declaratoria di estinzione del reato in sede di rinvio, per prescrizione sopravvenuta alla pronuncia d’annullamento (cfr. Cass., Sez. 4, n. 114 del 28/11/2018, Rv. 274828).
Con riferimento, infine, alle residue ipotesi di bancarotta semplice documentale e di bancarotta semplice da aggravamento del dissesto, non essendo state esse investite dall’annullamento delle pene accessorie fallimentari, puo’ ben dirsi che l’inammissibilita’ originaria dei motivi di ricorso relativi alla bancarotta documentale e l’assenza di doglianze sull’altra fattispecie di bancarotta semplice, hanno determinato il formarsi del giudicato all’atto della pronuncia della sentenza di secondo grado, che rende del tutto irrilevante la successiva consumazione del relativo termine di prescrizione del reato.
Resta ferma, in considerazione della entita’ della pena inflitta, comunque non inferiore a tre anni, la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
6. Non essendo la ricorrente del tutto soccombente, la stessa non va condannata al pagamento delle spese processuali e nemmeno di una sanzione in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta preferenziale di cui all’articolo 216, comma 3, L.F. ed elimina la relativa pena di mesi tre di reclusione.
Annulla la medesima sentenza limitatamente alla determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari di cui all’articolo 216, u.c., L. Fall., con rinvio per nuovo esame sul punto alla corte di appello di Perugia.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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