Il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1100.

La massima estrapolata:

Il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi – art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto dall’art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del 1961 – e dai relativi regolamenti di attuazione – D.M. 1 aprile 1968.

Sentenza 12 febbraio 2020, n. 1100

Data udienza 10 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6622 del 2009, proposto dalla società Vi. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Ri., con domicilio eletto presso l’avv. Fr. Pa. in Roma, viale (…),
contro
il Comune di (omissis), non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda n. 1610/2008, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione edilizia in sanatoria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellante l’avvocato Fr. Pa. su delega dell’avv. Ro. Ri.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Comune di (omissis) con provvedimento del 13 marzo 1993 ordinava la demolizione delle opere eseguite in assenza di concessione edilizia sul terreno di proprietà della Vi. S.a.s, adibito ad attività di manutenzione e rimessaggio di roulottes e caravans, sito via (omissis); in particolare dal sopralluogo effettuato il 23 gennaio 1993 era stata rilevata la realizzazione una casa prefabbricata poggiante su blocchi di cemento e laterizio delle dimensioni di m. 8.50 x 2.50 x 2.34; box metallico, tettoie per l’alloggiamento dei veicoli, baracca in legno, recinzione.
Avverso il provvedimento di demolizione è stato proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale della Toscana il ricorso R.G. n. 2036 del 1993, notificato il 14 maggio 1993 e depositato l’11 giugno 1993, per vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere.
Il 9 luglio 1993 la società presentava al Comune di (omissis) per le medesime opere domanda di concessione in sanatoria, ai sensi dell’art. 13, legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Con provvedimento del Sindaco del 24 agosto 1993 la domanda di sanatoria è stata respinta, sulla base della destinazione agricola dell’area.
Tale provvedimento è stato impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale della Toscana per vari profili di violazione di legge ed eccesso di potere con il ricorso R.G. n. 3828/1993, notificato il 15 novembre 1993 e depositato il 24 novembre 1993.
A seguito dell’entrata in vigore della legge 23 dicembre 1994, n. 724, il 25 marzo 1995 la società Vi. ha presentato domanda di condono con riferimento a una casa prefabbricata poggiante su blocchi di cemento e laterizio delle dimensioni di m. 8.50 x 2.50 x 2.34; box metallico; opere per la sistemazione dell’intera area; ha dichiarato la data di realizzazione dell’abuso nel 1985.
La domanda è stata respinta con provvedimento n. 428 del 9 dicembre 1999, ai sensi dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per la collocazione delle opere nella fascia di rispetto stradale di 60 metri dal limite di proprietà dell’autostrada e quindi sottoposta a vincolo di inedificabilità ai sensi al decreto ministeriale 1 aprile 1968, n. 1404.
Con il medesimo provvedimento è anche stata anche ordinata la demolizione delle opere.
Tale provvedimento è stato impugnato con il ricorso R.G. n. 434/2000, notificato il 21 febbraio 2000 e depositato il 26 febbraio 2000, per i seguenti motivi:
– violazione dell’art. 1 della legge n, 241 del 1990; violazione e falsa applicazione degli art. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985; violazione dell’art. 9 della legge 24 luglio 1961 n. 729, con cui si deduceva che il vincolo della fascia di rispetto stradale sarebbe un vincolo relativo e quindi sarebbe stato necessario il parere dell’ANAS;
– violazione e falsa applicazione degli art. 32, 33 e 35 della legge n. 47 del 1985, sostenendo l’intervenuta formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono;
– violazione e falsa applicazione degli art. 7 e 10 della legge n. 47 del 1985, in quanto le opere realizzate non sarebbero soggette a concessione edilizia.
La sentenza di primo grado ha dichiarato improcedibili i ricorsi n. 2036 e n. 3828 del 1993 e ha respinto il ricorso n. 434 del 2000 sulla base del vincolo derivante dalla fascia di rispetto autostradale.
Con l’atto di appello è stato impugnato solo il capo di sentenza relativo alla reiezione del ricorso n. 434/2000 riproponendo i motivi del ricorso di primo grado, in particolare sostenendo la violazione del procedimento previsto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985, per cui sarebbe stato necessario il parere dell’ANAS, a cui il giudice di primo grado si sarebbe sostituito valutando la pericolosità delle opere per la sede autostradale; con riguardo al secondo motivo che erroneamente il giudice di primo grado avrebbe ritenuto non formato il silenzio assenso in presenza del vincolo di inedificabilità ; infine che non tutte le opere abusivamente realizzate avrebbero richiesto un titolo concessorio, essendo alcune di natura pertinenziale come il box e le altre opere relative alla sistemazione dell’area.
Nessuno si è costituito in giudizio per il Comune, pur regolarmente intimato.
In vista dell’udienza pubblica la parte appellante ha depositato memoria insistendo nelle proprie argomentazioni.
All’udienza pubblica del 10 dicembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.
L’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, applicabile anche alle domande di condono presentate ai sensi della legge n. 724 del 1994, in forza del richiamo operato dall’art. 39 di detta legge, subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, “salve le fattispecie previste dall’articolo 33”.
In base al comma 2 del medesimo art. 32 “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino:
a) in difformità dalla legge 2 febbraio 1974, n. 64, e successive modificazioni, e dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell’articolo 35;
b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III;
c) in contrasto con le norme del decreto ministeriale 1° aprile 1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13 aprile 1968, e con agli articoli 16, 17 e 18 della legge 13 giugno 1991, n. 190, e successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
3. Qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma 2, si applicano le disposizioni dell’art. 33”.
Ai sensi dell’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non sono suscettibili di sanatoria le opere in contrasto con i seguenti vincoli “qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse:
a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;
b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali;
c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna;
d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.
Nel caso di specie, l’area in cui sono poste le opere è soggetta a vincolo di inedificabilità per la fascia di rispetto autostradale, ai sensi del D.M. 1 aprile 1968, n. 1404.
L’art. 4 di tale decreto ministeriale indica le distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, tra cui per la strade di tipo A la distanza di metri 60,00.
In base all’art. 3 sono strade di tipo A: le autostrade di qualunque tipo; i raccordi autostradali riconosciuti quali autostrade ed aste di accesso fra le autostrade e la rete viaria della zona.
Tale vincolo della fascia di rispetto stradale è stato quindi posto dal detto decreto ministeriale anche prima della realizzazione dell’opera, che nella domanda di condono e anche negli scritti difensivi è indicata nell’anno 1985.
Ne deriva che il vincolo in questione, in quanto posto prima della realizzazione delle opere, è un vincolo di inedificabilità assoluta, disciplinato dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, che impedisce il rilascio del condono, indipendentemente dalla richiesta di parere all’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Per la consolidata giurisprudenza, infatti, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi – art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto dall’art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del 1961 – e dai relativi regolamenti di attuazione – D.M. 1 aprile 1968 (Cons. Stato, Sez. IV, 13 giugno 2017, n. 2878).
Il divieto di edificazione sancito dall’art. 4, D.M. 1 aprile 1968 non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, e, cioè, per esempio, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2076; id., 27 gennaio 2015, n. 347).
Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l’imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n. 1404 del 1968 si ricade nell’ipotesi di cui all’art. 33, comma 1, della L. n. 47 del 1985, con la conseguenza della non sanabilità dell’opera abusiva, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo quindi, in caso di opere abusive realizzate prima dell’imposizione del vincolo, si può applicare l’ipotesi dell’art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere previsto dall’art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento alla sicurezza del traffico (Cons. Stato, Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6035).
Da tale quadro normativo e giurisprudenziale deriva la infondatezza del primo motivo di appello con cui si deduce che sarebbe dovuto intervenire il parere dell’ANAS, quale autorità preposta alla tutela del vincolo, non essendo stato invece dedotto alcun elemento in fatto relativo alla preesistenza dell’opera al vincolo della fascia di rispetto stradale, risultando anzi l’opera realizzata nel 1985 in base a quanto dichiarato nella domanda di condono e negli scritti difensivi.
Con l’ulteriore motivo di appello, si ripropone la censura del ricorso di primo grado relativa all’avvenuta formazione del silenzio assenso, lamentando l’erroneità della sentenza di primo grado che non avrebbe ritenuto formato il silenzio assenso.
Anche tale motivo di appello è infondato, essendo la formazione del titolo tacito espressamente esclusa dalla disciplina dell’art. 35 della legge n. 47 del 1985, nei “casi di cui all’art. 33”.
In presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta non trova applicazione l’istituto del silenzio assenso per il disposto dell’articolo 35, comma 12, della L. n. 47 del 1985, il quale, nel disciplinarne i presupposti di operatività, espressamente lo esclude nei “casi di cui all’articolo 33” (Cons. di Stato, sez. VI, 9 marzo 2016, n. 949; cfr. altresì Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2009, n. 1646).
Con ulteriore motivo di appello si deduce poi che non tutte le opere realizzate sarebbero soggette a concessione edilizia e quindi il Comune avrebbe dovuto distinguerle ai fini del rigetto della istanza di sanatoria.
Tale motivo è infondato, in primo luogo, in quanto è la stessa parte appellante ad avere presentato la domanda di sanatoria indicando le opere realizzate come tipologia 1 (ovvero opere realizzate in assenza o in difformità dalla concessione edilizia).
Ne deriva che è stata la stessa parte appellante ad avere escluso nella domanda di condono la natura pertinenziale o precaria di tali opere.
In ogni caso, per la costante giurisprudenza, la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile, soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1995; Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1155; id, 16 febbraio 2017, n. 694; id, 17 maggio 2017; id., 4 gennaio 2016, n. 19; id., 24 luglio 2014, n. 3952).
Nel caso di specie il complesso delle opere realizzate, compreso il box in lamiera a cui fa riferimento la parte nel motivo di appello, nonché le opere indicate nella domanda di condono di “sistemazione dell’intera area”, hanno comportato una stabile trasformazione dell’area, adibita all’attività imprenditoriale di deposito caravans e roulottes.
L’appello dunque è infondato e deve essere respinto.
In considerazione della mancata costituzione del Comune non deve procedersi alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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