La verifica del comune in ordine al rispetto della disciplina privatistica

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 3 dicembre 2018, n. 6860.

La massima estrapolata:

Ai sensi dell’art. 11, d.P.R. n. 380/2001, la verifica del comune in ordine al rispetto della disciplina privatistica deve essere circoscritta a quei limiti “agevolmente conoscibili ovvero effettivamente conosciuti e non contestati”. Infatti, non è concretamente esigibile un approfondimento da parte del comune di ogni singolo aspetto privatistico relativo ai rapporti tra condomini e di vicinato astrattamente idoneo a riflettersi sulla legittimazione del richiedente il titolo edilizio 

Sentenza 3 dicembre 2018, n. 6860

Data udienza 22 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2610 del 2017, proposto da
El. Ca. e No. Pi., rappresentate e difese dall’avvocato An. Co., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Pa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio, Sede di Roma, n. 9879/2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 novembre 2018 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati An. Co. e Gi. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – Le appellanti sono comproprietarie di una palazzina sita in Roma, via (omissis), composta da sette appartamenti, di cui, tre di proprietà Sa. e quattro Ca. e Pi..
2 – Sulla porzione di immobile di loro proprietà, le appellanti hanno presentato denuncia d’inizio attività al Comune di Roma in data 6 aprile 2006, corredata dai relativi elaborati progettuali, relativa a lavori all’interno dell’appartamento abitato (interno 2), a lavori di realizzazione di un locale tecnico, di costruzione di una piscina da situare nell’area di pertinenza del fabbricato e all’ampliamento di un balcone di pertinenza dell’appartamento abitato.
3 – Con comunicazione del 14 novembre 2006 n. 70797, il Comune notiziava le appellanti che, da sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale, si era constatato che: 1) lo stato dei luoghi non corrispondeva ai grafici presentati; 2) occorreva l’autorizzazione dei proprietari dell’altra metà del medesimo fabbricato.
4 – Con la determinazione dirigenziale n. 1914 del 21 ottobre 2008, è stata fatta ingiunzione di demolire, entro 30 giorni, gli interventi di ristrutturazione edilizia abusivamente realizzati in via (omissis), consistenti nell’ampliamento di un balcone esistente con scala metallica di accesso dal piano sottostante, realizzato senza il consenso del confinante.
5 – Avverso tale provvedimento le appellanti hanno proposto ricorso, notificato il 19 gennaio 2009, avanti il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio che, con la sentenza n. 9879 del 2016, lo ha rigettato.
6 – Con il primo motivo di appello si deduce il difetto di motivazione, il travisamento dei fatti e la falsa applicazione di norme di legge.
A tal fine, parte appellante ricorda che: a) il provvedimento impugnato è fondato sull’accertamento della mancata presentazione da parte delle ricorrenti del nulla osta del confinante; infatti, il ricorso originario era volto a contestare che il comune potesse svolgere indagini su aspetti che coinvolgevano i soli privati; b) la sentenza, invece, avrebbe respinto il ricorso non già argomentando sulla necessità o meno del consenso del confinante, ma perché vi sarebbe stato un mancato rispetto delle distanze legali.
Per tali ragioni, secondo le appellanti, la motivazione della sentenza avrebbe leso il diritto alla difesa tutelato dall’art. 24 della Costituzione, il principio del contraddittorio ex art. 101 c.p.c.ed il principio della corrispondenza del chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c..
In altri termini, il T.A.R. avrebbe travisato la causa petendi del giudizio, avendo posto a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere.
7 – La censura è infondata
Deve infatti osservarsi che l’appellante concentra l’appello su uno specifico passaggio della sentenza impugnata, inducendo a supporre che il T.A.R. avrebbe rigettato il ricorso non perché le ricorrenti non avevano ottenuto il consenso del terzo confinante – su cui si basava il provvedimento sanzionatorio – ma perché “all’esito di apposito sopralluogo” era emerso che “le opere assoggettate a demolizione sono state eseguite a distanza inferiore a quella minima di metri cinque dalla proprietà della sig.ra Salvatori, ossia di un limite legale destinato ad investire anche il rapporto pubblicistico immediatamente conoscibile e sanzionabile da parte dell’ente locale”.
Tale prospettazione non è per nulla condivisibile, trascurando di considerare il significato complessivo della sentenza impugnata, la quale ha correttamente risposto al motivo di ricorso originariamente proposto dalle appellanti, senza alcuna violazione del principio tra il chiesto ed il pronunciato.
7.1 – Al riguardo, giova ricordare, come dedotto anche da parte appellante, che il provvedimento impugnato in prime cure è fondato sull’accertamento della mancata presentazione da parte delle ricorrenti del nulla osta del confinante.
In assoluta coerenza con la motivazione che giustifica il provvedimento impugnato, e con i motivi del ricorso, il T.A.R. ha statuito che (testualmente): la legittimità del provvedimento adottato dall’Amministrazione trae fondamento normativo direttamente dalla “previsione di cui all’art. 11 del d.p.r. n. 380/2001.
La sentenza prosegue precisando che: “ai fini del rilascio di un titolo abitativo edilizio, il Comune è dunque obbligato a verificare il rispetto dei limiti privatistici solo a condizione che essi siano agevolmente conoscibili ovvero effettivamente conosciuti e non contestati”.
In altre parole, il T.A.R., in conformità all’interpretazione maggioritaria dell’art. 11 cit., ha precisato che la verifica del comune in ordine al rispetto della disciplina privatistica deve essere circoscritta a quei limiti “agevolmente conoscibili ovvero effettivamente conosciuti e non contestati”. Infatti, non è concretamente esigibile un approfondimento da parte del comune di ogni singolo aspetto privatistico relativo ai rapporti tra condomini e di vicinato astrattamente idoneo a riflettersi sulla legittimazione del richiedente il titolo edilizio (Cfr. Cons. St., Sez IV, 30 dicembre 2006 n. 8262; Cons. St. Sez VI, 20 dicembre 2011 n. 6731; Cons. St. 26 gennaio 2015 n. 316).
E’ in conseguenza di tale affermazione che il T.A.R. ha poi rilevato che il mancato rispetto della distanza dalla proprietà confinante ledeva anche un limite legale, da ritenersi, pertanto, un limite “agevolemente conoscibile”, e dunque verificabile anche in sede amministrativa, da cui la legittimità del rilievo concernente il mancato assenso della proprietà confinante.
Il tenore della sentenza conferma appieno l’assunto che precede: “l’omessa acquisizione (del consenso) risulta essere stata accertata dall’Amministrazione comunale all’esito di sopralluogo da cui è emerso che le opere assoggettate a demolizione sono state eseguite a distanza inferiore a quella minima di metri cinque dalla proprietà della sig.ra Salvatori, ossia di un limite legale destinato ad investire anche il rapporto pubblicistico immediatamente conoscibile e sanzionabile da parte dell’ente locale”.
In definitiva, l’evidenziata circostanza che il mancato rispetto del limite legale potesse di per sé giustificare l’intervento comunale, non introduce affatto una considerazione ultronea rispetto all’oggetto della causa, così come delimitato dai motivi di ricorso; bensì, come detto, vale unicamente a sottolineare come, nel caso di specie, fosse necessario il consenso del proprietario confinante e che, tale limite di natura privatistica doveva essere indagato anche dal comune, in quanto “agevolmente conoscibile”, trattandosi per l’appunto di limiti derivanti direttamente da fonti pubblicistiche e non da accordi privatistici intercorsi tra le parti.
8 – Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello non deve trovare accoglimento; ne consegue la condanna di parte appellante alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore di controparte che si liquidano in Euro3.000, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino – Presidente FF
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
Italo Volpe – Consigliere

Avv. Renato D’Isa

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