Ammissione al gratuito patrocinio revocata a fronte di lite temeraria

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 15 novembre 2018, n. 29462.

La massima estrapolata:

L’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio resta revocata a fronte di lite temeraria, basata su motivi meramente ripetuti, infondati ed assolutamente generici, ed il relativo provvedimento può sopraggiungere in maniera indipendente dalla statuizione di cosa giudicata relativamente alla condotta processuale ritenuta abusiva.

Ordinanza 15 novembre 2018, n. 29462

Data udienza 4 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere

Dott. CAIAZZO Luigi – rel. Consigliere

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 28852/2012 proposto da:
(OMISSIS) O.n.l.u.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2282/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/08/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/07/2018 dal cons. CAIAZZO ROSARIO;
letta la relazione del Sostituto Procuratore Generale, dott. Alberto Cardino, il quale ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RILEVATO

CHE:
Con citazione notificata il 12.1.07 la (OMISSIS) intimo’ lo sfratto per morosita’ nei confronti di (OMISSIS) per il rilascio di un immobile sito in (OMISSIS); l’intimato s’oppose eccependo l’insussistenza della morosita’ e la falsita’ ideologica o materiale della situazione contabile dell’ente intimante al 30.6.07 e di una dichiarazione dell’ufficiale rogante circa la morosita’ del conduttore, proponendo altresi’ domanda riconvenzionale avente ad oggetto l’accertamento del canone e delle spese e la condanna della controparte al risarcimento dei danni.
Disposto il rilascio dell’immobile locato con ordinanza, con riserva delle eccezioni del convenuto, con sentenza del 21.5.09 il Tribunale dichiaro’ risolto il contratto di locazione ad uso abitativo per inadempimento della parte intimata, rigettando le domande riconvenzionali proposte dal (OMISSIS) e dalla parte interventrice Onlus ” (OMISSIS)”.
L’intimato e il terzo interventore proposero appello che la Corte d’appello di Milano ha rigettato argomentando che: la querela di falso proposta in via incidentale, riguardante la situazione contabile della parte locatrice, era stata dichiarata correttamente inammissibile perche’ non rilevante, essendo incontestata la morosita’, peraltro emergente da plurimi elementi di prova; era applicabile la normativa sopravvenuta in ordine alla determinazione del canone di locazione ex Legge Regionale n. 91 del 1983 (articolo 28) di cui l’intimato non aveva dimostrato l’errata applicazione; il (OMISSIS) non aveva diritto al riscatto dell’immobile locato, come dimostravano i documenti prodotti; l’appello incidentale era infondato non essendo stato provato il danno da responsabilita’ aggravata dell’appellante; era da revocare, Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 136, l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato a favore del (OMISSIS) per aver quest’ultimo proposto l’impugnazione con colpa grave, non avendo ponderato con una maggiore consapevolezza l’infondatezza delle sue argomentazioni, alla luce delle ragioni poste a sostegno della sentenza di primo grado.
Il ” (OMISSIS)” e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione affidato a – due motivi. Si e’ costituita l’ (OMISSIS) con controricorso. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO

CHE:
Con il primo motivo e’ stata denunziata violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articoli 112 e 136, articolo 11 disp. prel. c.c., articoli 948, 1337, 2043, 2697 e 2932 c.c., articoli 112, 15, 132, 184 e 221 c.p.c., nonche’ delle L. n. 60 del 1963, e L. n. 457 del 1978, e del Legge Regionale n. 91 del 1983, articolo 28. Al riguardo, i ricorrenti hanno lamentato la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio, contestando la motivazione della sentenza impugnata in ordine all’erronea negata ammissione dei mezzi istruttori e della querela di falso.
Con il secondo motivo e’ stata dedotta la nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 50 bis e quater, 70, 158, 161, 210, 213, 221 ss., 355, 658 e 666 c.p.c., nonche’ della L. n. 392 del 1978, articoli 5, 55 e 79, avendo la Corte d’appello esaminato documenti prodotti dalla controparte e disconosciuti, violando le norme sull’intervento del Pubblico Ministero cui non era stato comunicato l’avviso della pendenza della querela di falso (che avrebbe imposto anche la riunione del giudizio in questione con quello incidentale introdotto dalla stessa querela e la devoluzione della competenza al collegio).
Inoltre, e’ stata dedotta l’omessa motivazione in ordine alla domanda nuova dell’intimante volta a richiedere lo sfratto per morosita’ anche in ordine alle spese e agli oneri accessori.
Il primo motivo e’ inammissibile. Occorre premettete che la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio e’ stata disposta da una sentenza non passata in giudicato.
Ora, al riguardo, va rilevato che in tema di gratuito patrocinio a spese dello Stato, la revoca dell’ammissione al beneficio per la temerarieta’ della lite puo’ essere disposta indipendentemente dal passaggio in giudicato della decisione di merito che abbia accertato la condotta processuale abusiva, atteso che l’autorita’ della sentenza di primo grado, qual e’ desumibile dall’articolo 337 c.p.c., giustifica;:adozione di un provvedimento che si fondi sull’accertamento dei fatti come operato nella stessa, e considerato che, ove si negasse la possibilita’ di adottare immediatamente un provvedimento di revoca a fronte di domande avanzate con mala fede o colpa grave conclamate, sarebbe consentito alla parte di reiterare la condotta abusiva in sede di impugnazione, continuando a beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, con possibilita’ pressoche’ nulle di recupero delle spese anticipate a tale titolo (Cass., ord. n. 29144/17).
Premesso cio’, come rilevato dal Pubblico Ministero, l’impugnazione della pronuncia sulla revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio va proposta in conformita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 170, in conformita’ dell’orientamento di questa Corte a tenore del quale la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio di appello, anziche’ con separato decreto, come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex articolo 170 della stesso D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con sentenza, sia per cio’ solo impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’articolo 113 del d.P.R. (Cass., n. 29228/17; n. 3028/18).
Pertanto, nel caso concreto, l’impugnazione proposta dal ricorrente, senza l’osservanza del citato articolo 170, e’ inammissibile.
Il secondo motivo e’ parimenti inammissibile in quanto formulato attraverso una serie di censure, processuali e sostanziali, esposte confusamente e in maniera tale da non cogliere la ratio decidendi. Al riguardo, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, “il giudizio di cassazione e’ un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo di ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassativita’ e della specificita’ ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’articolo 360 c.p.c., sicche’ e’ inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicita’ di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito” (Cass., n. 19959/14; ord. n. 11603/18).
Nella fattispecie, come detto, parte ricorrente ha invocato una serie di violazioni di norme, sostanziali e processuali, esprimendo in maniera non chiara varie doglianze inestricabilmente tra loro connesse; peraltro, il riferimento alla novita’ della domanda dell’intimante afferente alla morosita’ per spese, e non solo per canoni, come si sarebbe desunto dall’atto introduttivo del giudizio, e’ del tutto irrilevante atteso che la Corte territoriale ha comunque scrutinato la morosita’ del conduttore per mancato pagamento dei canoni.
Infine, il collegio ritiene che sussistano i presupposti della responsabilita’ aggravata in capo ai ricorrenti, a norma dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, per aver agito con colpa grave, proponendo un ricorso fondato su argomentazioni palesemente inammissibili, avendo gia’ la Corte d’appello evidenziato che l’appello era stato proposto con colpa grave per non aver gli appellanti ponderato, con maggiore consapevolezza, l’infondatezza delle argomentazioni dedotte a sostegno delle proprie ragioni, come affermata in primo grado.
Invero, il ricorso e’ stato fondato su due motivi ritenuti inammissibili, relativi a censure in parte gia’ formulate nell’atto d’appello, che il giudice di secondo grado aveva considerato frutto di una certa superficialita’. In proposito, secondo un orientamento di questa Corte, la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave e puo’ essere pronunciata d’ufficio (Cass., n. 19285/16; ord. n. 21570/12; n. 4925/13).
In base ad altro orientamento, invece, la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta – con finalita’ deflattive del contenzioso – alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensi’ di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (Cass., n. 27623/17).
Nel caso concreto, emerge con chiarezza una condotta di abuso del diritto d’impugnazione, caratterizzata da colpa grave dei ricorrenti, consistita nel mancato impiego della doverosa diligenza e accuratezza nel reiterare il gravame, pur in ordine a ragioni gia’ formulate nell’atto d’appello, peraltro espressa attraverso motivi inammissibili.
Invero, ai fini della condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, e’ stato affermato che costituisce abuso del diritto all’impugnazione, integrante colpa grave, la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente infondati, giacche’ ripetitivi di quanto gia’ confutato dal giudice d’appello, ovvero perche’ assolutamente irrilevanti o generici, o, comunque, non rapportati all’effettivo contenuto della sentenza impugnata (Cass., n. 19286/16).
E’ evidente, dunque, che pur tenendo conto dell’orientamento piu’ estensivo, che non ritiene la colpa grave elemento costitutivo della responsabilita’ aggravata in questione, sarebbe comunque da applicare la sanzione pecuniaria contemplata dall’articolo 96 c.p.c., comma 3, sussistendo una palese pretestuosita’ dell’impugnazione.
Per quanto esposto, i ricorrenti vanno condannati al pagamento della somma di Euro 2000,00 determinata equitativamente come per legge, a favore della controparte.
Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controcorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, la maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Condanna altresi’ i ricorrenti, in solido, al pagamento della somma di Euro 2000,00 a favore della parte controricorrente, a norma dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.

Avv. Renato D’Isa

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