Vendita sottoscosto o comunque a prezzi non remunerativi

Corte di Cassazione, sezione prima civile,
Ordinanza 7 febbraio 2020, n. 2980.

La massima estrapolata:

La vendita sottoscosto o comunque a prezzi non immediatamente remunerativi, è contraria ai doveri di correttezza ex art. 2598, comma 1, n. 3), c.c. solo se si connota come “illecito antitrust”, in quanto posta in essere da un’impresa in posizione dominante e praticata con finalità predatorie di soppressione della concorrenza, traducendosi così in un danno per i consumatori ed il mercato, realizzandosi in tale ipotesi l’illecito concorrenziale da “dumping” interno.

Ordinanza 7 febbraio 2020, n. 2980

Data udienza 25 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 18421/2016 proposto da:
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l. – Soc. Unipersonale, (gia’ (OMISSIS) S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2068/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 26/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2019 dal cons. dott. NAZZICONE LOREDANA.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 26 maggio 2016, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale della stessa citta’, la quale, disattendendo le altre domande proposte, aveva accertato la commissione di atti di concorrenza sleale nei confronti di (OMISSIS) s.r.l., in forza della pubblicita’ ingannevole diffusa da (OMISSIS) s.r.l. (poi (OMISSIS) s.r.l.), ed inibito l’ulteriore diffusione dei cataloghi cartacei informativi, destinati al mercato italiano, con indicazione di dati ad esso non riferibili.
Adita dalla medesima (OMISSIS) s.r.l., la corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha escluso che nella condotta della controparte fosse ravvisabile una concorrenza sleale c.d. parassitaria, posta in essere secondo il triplice comportamento stigmatizzato dall’appellante, consistente nell’imitazione servile del prodotto, nella pratica di prezzi non remunerativi e nell’offerta di comunicazioni pubblicitarie ingannevoli.
Sebbene, infatti, il tribunale abbia accertato quest’ultimo elemento, tuttavia, sotto il primo profilo, la corte del merito ha escluso che il format elaborato da (OMISSIS) s.r.l. costituisse un’usurpazione del progetto, attese le differenze di funzione e di contenuti, e comunque per non riguardare profili possibili oggetto di privativa, nonche’ per l’assenza del necessario elemento temporale dell’imitazione “a rincorsa” ed a breve distanza di tempo; sotto il secondo profilo, ha escluso la pratica di una vendita sottocosto illecita, non sussistendo la posizione dominante della controparte sul mercato ed, anzi, data la preminenza della stessa (OMISSIS) s.r.l. nel settore in esame, mentre le prove in atti dimostrano che (OMISSIS) s.r.l. sostenne costi ben inferiori all’assunto di controparte, e solo nel periodo iniziale (essendo ben presto passata all’attivita’ sul web, notoriamente meno costosa), laddove le perdite in bilancio riguardano gli esercizi precedenti all’anno 2006, in cui la condotta illecita sarebbe stata realizzata.
Ha respinto, infine, il motivo concernente le spese processuali liquidate in primo grado.
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dalla soccombente, sulla base di due motivi.
Resiste l’intimata con controricorso.
Le parti hanno depositando, altresi’, le memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’articolo 2598 c.c., comma 1, n. 3, in quanto la sentenza impugnata non ha operato una valutazione complessiva dei comportamenti di controparte, fondandosi sull’assunto erroneo che l’accertamento della illiceita’ non richieda la considerazione del complesso delle altrui iniziative, e limitandosi alla loro considerazione parcellizzata, mentre la vendita sottocosto si inseriva in una piu’ ampia strategia di concorrenza parassitaria.
Con il secondo motivo, deduce la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. oltre all’omesso esame di fatto decisivo, con riguardo al motivo di appello concernente le spese processuali del primo grado, liquidate dal tribunale a carico della (OMISSIS) s.r.l. per i due terzi, con compensazione di un terzo, pur avendone parzialmente accolto le pretese.
2. – Il primo motivo e’ in parte inammissibile ed in parte infondato.
2.1. – Laddove esso lamenta che la corte del merito non abbia considerato la condotta complessiva di controparte, consistente nell’allegata concorrenza parassitaria, esso non coglie nel segno.
La corte del merito, infatti, ha tenuto conto di cio’, ma ha escluso proprio l’integrazione della c.d. concorrenza parassitaria, provvedendo poi a motivare in ordine ai singoli elementi dall’istante addotti.
Con riguardo alla concorrenza parassitaria, la corte d’appello ha correttamente applicato il principio espresso da questa Corte (Cass. 20 luglio 2004, n. 13423), che ne ha definiti i caratteri, ed anche di recente confermato (cfr. Cass. 12 ottobre 2018, n. 25607; Cass. 29 ottobre 2015, n. 22118), secondo cui la concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’articolo 2598 c.c., n. 3, consiste in un continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente, attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, quanto piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, in quanto effettuata a breve distanza di tempo da ogni singola iniziativa del concorrente (nella concorrenza parassitaria diacronica) o dall’ultima e piu’ significativa di esse (in quella sincronica), vale a dire prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore.
Con riferimento alla vendita sottocosto, la corte del merito ha esposto una duplice motivazione, da un lato escludendo il presupposto della posizione dominante rivestita dalla pretesa concorrente sleale, dall’altro individuando, in concreto, costi sostenuti comunque inferiori all’assunto avverso.
In tal modo, la stessa ha correttamente seguito i principi in materia enunciati in sede di legittimita’.
Invero, la vendita “sottocosto” – definita dal Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114, articolo 15, comma 7, in tema di “vendite straordinarie”, secondo i parametri convenzionali di calcolo ivi indicati – e’ stata descritta da questa Corte, in modo piu’ discorsivo, come la vendita di “prodotti sul mercato ad un prezzo particolarmente basso, tale da non apparire (almeno nell’immediato) remunerativo per l’offerente, ma, per cio’ stesso, idoneo a porre in difficolta’ i concorrenti che praticano un prezzo piu’ elevato” (cosi’ Cass. 26 gennaio 2006, n. 1636) o come artificioso abbattimento sottocosto dei prezzi non giustificato dalle obiettive condizioni di acquisto dei beni (cosi’ Cass. 20 marzo 2009, n. 6865, non massimata).
Si parla anche di vendita c.d. a prezzi predatori, perche’ inferiori in sostanza ai costi di produzione, o dumping interno (voce derivata dall’inglese medievale dumpen o dompen, a sua volta mutuata dallo scandinavo e traducibile in italiano con “lasciar cadere”).
Si tratta di condotta che ha richiamato l’attenzione degli operatori e del legislatore, presentando in se’ un’ambivalenza: atteso come, nell’economia di mercato, la riduzione dei prezzi e’ una finalita’ della concorrenza, e, purtuttavia, puo’ diventare uno strumento per eliminarla.
La sua disciplina regolamentare e’ tuttora contenuta nel Decreto del Presidente della Repubblica 6 aprile 2001, n. 218, regolamento recante disciplina delle vendite sottocosto, a norma del predetto Decreto Legislativo n. 114 del 1998, articolo 15 della cui applicazione non e’ ora questione.
In ordine alla liceita’ di tali condotte, le disposizioni emanate nel 1998 e nel 2001 limitano, da un lato, il ricorso alla vendita sottocosto, mediante una specifica disciplina, e, dall’altro lato, ne rimettono espressamente, secondo il sistema, la concreta valutazione di liceita’ all’A.G.C.M. ed al giudice ordinario, sia con riguardo al divieto di abuso di posizione dominante (L. 10 ottobre 1990, n. 287, articolo 3), sia in ordine all’eventuale violazione del divieto di concorrenza sleale per contrarieta’ ai principi della correttezza professionale (articolo 2598 c.c., comma 1, n. 3) (cfr. Decreto del Presidente della Repubblica n. 218 del 2001, articolo 6, comma 2).
In verita’, il legislatore dell’epoca aveva piuttosto accolto l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale, espresso in quel momento storico, contrario alle vendite sottocosto (cfr. Cass. 21 aprile 1983, n. 2743, confermata da Cass., sez. un., 22.5.1991, n. 5787), il quale ne affermava l’illiceita’, in quanto, in tal modo, da un lato, verrebbe “ad essere subdolamente ed illusoriamente fuorviato il giudizio del consumatore”, e dall’altro lato, sarebbero “infrante le regole su cui gli operatori economici confidano, affrontando il mercato nella misura consentita dalla produttivita’ del sistema e dalle generali condizioni obiettive della produzione”.
Il pensiero sotteso era che, a differenza della competizione industriale fra imprese (basata sul miglioramento della qualita’ del prodotto e sulla riduzione dei costi di produzione), la competizione extraindustriale (attuata, cioe’, mediante strumenti strategici di comunicazione e di distribuzione) non fosse consentita.
Tuttavia, e’ noto che tale orientamento e’ stato del tutto superato dalla giurisprudenza successiva (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1636), da cui non vi e’ ragione di discostarsi, la quale – premesso che la clausola indeterminata dell’articolo 2598 c.c., comma 1, n. 3, va concretizzata “sulla base di parametri desunti da altre norme, o da ulteriori principi generali, rinvenibili nell’ordinamento” e che l’articolo 41 Cost. sulla liberta’ d’iniziativa economica costituisce il principio generale in materia – ha, anzitutto, chiarito come la scelta di un imprenditore in ordine alla politica dei prezzi sia in via di principio lecita, trattandosi di un comportamento strettamente legato alle valutazioni di rischio, che solo a lui competono, nel rispetto, naturalmente, delle regole sulla disciplina del commercio. Mentre l'”utilita’ sociale”, dalla medesima disposizione costituzionale prevista a limite della liberta’ d’impresa, va intesa pur sempre con riguardo al c.d. interesse del mercato, ossia a quello che nuoce o giova al buon funzionamento del medesimo, e, quindi alla generalita’ dei consumatori: e non al mero interesse di un altro concorrente a non essere messo in difficolta’.
L’esclusione degli imprenditori rivali dal mercato da parte di un’impresa concorrente integra gli estremi della norma invocata soltanto quanto attuata con tecniche illecite. Come si e’ osservato, altre tecniche di competizione cosiddetta extraindustriale sono spesso anche piu’ aggressive della vendita sottocosto, e certamente meno trasparenti: dato che, almeno in un primo momento, quest’ultima avvantaggia indiscutibilmente l’acquirente.
Donde la conclusione secondo cui la vendita sottocosto (o comunque a prezzi non immediatamente remunerativi) e’ contraria ai doveri di correttezza ex articolo 2598 c.c., comma 1, n. 3, solo se si connota come illecito antitrust, in quanto posto in essere da una impresa in posizione dominante e praticata con finalita’ predatorie. La vendita sottocosto e’ favorevole ai consumatori ed al mercato, sino a quando non giunga alla soppressione della concorrenza, e, percio’, si traduca in un danno per gli stessi consumatori ed il mercato, onde solo in tale ultima situazione si realizza l’illecito concorrenziale da dumping interno.
Recenti pronunce della Corte di giustizia confortano tale orientamento, laddove si censura, a norma della direttiva 2005/29/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali, il divieto generale di vendita sottocosto (Corte giustizia Unione Europea 19 ottobre 2017, n. 295/16).
Alla stregua di tale principio, pertanto, il motivo di ricorso in esame risulta infondato, non avendo neppure dedotto la ricorrente, in sede di giudizio di merito, la circostanza di avere allegato e provato che la controparte ricopriva una posizione dominante sul mercato di interesse o che la politica di prezzi da essa praticata abbia avuto, anche solo potenzialmente, l’effetto di rinforzare tale posizione in direzione monopolistica e, quindi, di aprire la prospettiva di una successiva libera manipolazione dei prezzi al rialzo. Al contrario, la Corte d’appello ha rilevato che la posizione dominante sul mercato di riferimento e’ ricoperta dalla stessa (OMISSIS) s.r.l. e che, viceversa, la (OMISSIS) s.r.l. non vantava nessuna posizione di dominio.
2.2. – Per il resto, nell’escludere sia l’entita’ dei costi sopportati dalla odierna intimata, sia nel negare che questa riveste una posizione dominante sul mercato, che anzi appartiene alla stessa ricorrente, la Corte d’appello ha compiuto valutazioni tipicamente di merito, in ordine alle quali non v’e’ spazio in Cassazione piel per le censure formulate dalla ricorrente, che, pur quando formalmente rivolte a dedurre una violazione di legge, in realta’ investono profili di merito e finiscono per sconfinare in un’inammissibile richiesta di rivalutazione di tali profili ad opera del giudice di legittimita’.
Si e’ dunque in presenza di una decisione di merito fondata su valutazioni dalle quale la ricorrente puo’ soggettivamente dissentire, ma il cui iter argomentativo e’ perfettamente delineato ed e’ conforme alla legge, come interpretata dal diritto vivente, onde la decisione non appare meritevole delle censure formulate.
3. – Il secondo motivo e’ fondato.
Erra la sentenza impugnata nel ritenere corretto il criterio di liquidazione delle spese di lite in primo grado, laddove il tribunale ha condannato la parte vittoriosa alla loro corresponsione.
Invero, accolte solo parzialmente le domande attoree, il criterio della soccombenza – pur temperato da quello discrezionale della compensazione parziale – non avrebbe potuto condurre a condannare la parte vittoriosa.
In tal senso e’ la costante giurisprudenza di questa Corte (fra le altre, Cass. 24 ottobre 2018, n. 26918; Cass. 23 gennaio 2018, n. 1572).
Ne deriva la cassazione sul punto della sentenza impugnata, onde, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito al riguardo, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., con il porre il medesimo importo liquidato in primo grado a carico della parte ivi soccombente (sia pur parziale) (OMISSIS) s.r.l.
4. – Le spese di legittimita’ seguono la soccombenza, ma con compensazione nella misura di due terzi, liquidato il restante terzo a carico della controricorrente; del pari, si dispone come in dispositivo per la nuova liquidazione delle spese del grado di appello, tenuto conto del parziale accoglimento ivi delle pretese di (OMISSIS) s.r.l. e, quindi, compensandole per quattro quinti, con il residuo quinto a carico di (OMISSIS) s.r.l.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata e, provvedendo nel merito, condanna la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in Euro 13.000,00, oltre ad Euro 500,00 per esborsi ed alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
Condanna la (OMISSIS) s.r.l. al pagamento delle spese del grado di appello, compensate per quattro quinti e liquidate, nel restante quinto, in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge; e di un terzo delle spese del giudizio di legittimita’, compensate per il resto e liquidate, gia’ nella predetta misura, in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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