Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 novembre 2024| n. 28210.
Vendita “aliud pro alio”: identità bene compromessa
Massima: La vendita di “aliud pro alio”, la quale dà luogo ad un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale, svincolata dai termini e dalle condizioni di cui all’art. 1495 , presuppone che la causa concreta che aveva giustificato l’atto traslativo non sia realizzabile in modo irrimediabile, tanto da pregiudicare la stessa identità della cosa acquistata (ed i connessi interessi sottesi al programma negoziale), e non già che vi sia la mera carenza di requisiti sanabili, non costituenti un elemento di identificazione del bene e senza un definitivo pregiudizio della idoneità cui il compratore intendeva destinare la cosa (Nel caso di specie, la Suprema Corte, confermando la decisione gravata, ha ritenuto che la carenza edificatoria riscontrata nel fondo oggetto di permuta, pregiudicando la stessa identità ed i connessi interessi sottesi al programma negoziale orientato ad una successiva e rilevante edificazione immobiliare, fosse tale da integrare la fattispecie dell’”aliud pro alio”).
Ordinanza|4 novembre 2024| n. 28210. Vendita “aliud pro alio”: identità bene compromessa
Data udienza 12 luglio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti – Compravendita – Obbligazioni del venditore – Consegna della cosa – Cosa diversa dalla pattuita (“Aliud pro alio”) – Configurabilità – Presupposti – Fattispecie in tema permuta immobiliare
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Relatore
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
Dott. AMATO Cristina – Consigliere
Dott. GRAZIANO Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23672/2019 R.G. proposto da
Co.Gi., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI.TO., presso lo studio dell’avvocato SE.FA. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato PA.AL. (OMISSIS);
-ricorrente-
Contro
Le.Gi., rappresentato e difeso dall’avvocato FE.EL. (OMISSIS);
-controricorrente-
nonché contro
COMUNE di MISILMERI, rappresentato e difeso dall’avvocato CH.DO. (OMISSIS);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 744/2019, depositata il 3/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/07/2024 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS.
Vendita “aliud pro alio”: identità bene compromessa
PREMESSO CHE
1. Co.Gi., in base a un contratto di permuta, cedeva a Le.Gi., imprenditore edile, un fondo in cambio di due appartamenti e di un magazzino facenti parte di un fabbricato, da erigersi in esecuzione di una concessione edilizia già rilasciata dal Comune di Misilmeri a cura e spese di Le.Gi.; dopo l’inizio dei lavori il Comune annullava la concessione edilizia in quanto la realizzanda strada di accesso al fabbricato “non può essere ritenuta idonea a soddisfare le esigenze dell’insediamento edilizio”.
2. Le.Gi. interrompeva quindi i lavori e conveniva in giudizio Co.Gi., chiedendo la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno. La convenuta, costituendosi, chiamava in giudizio il Comune per essere garantita di fronte alle pretese di controparte. Il Comune si costituiva ed escludeva la propria responsabilità, deducendo che il provvedimento annullato in autotutela era stato inizialmente rilasciato sulla base di documentazione presentata dalla convenuta non corrispondente allo stato di fatto e di diritto dei luoghi.
La causa veniva decisa con la sentenza del 14 dicembre 2015, n. 1175, del Tribunale di Termini Imerese, che dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta, causato dal trasferimento di aliud pro alio, e condannava la medesima al risarcimento del danno con il concorso di colpa del danneggiato nella misura del 50%, pari a Euro 330.134,88; rigettava le domande proposte nei confronti del Comune e condannava l’attore alla restituzione del fondo.
2. La sentenza è stata impugnata da Co.Gi. Con la sentenza 3 aprile 2019, n. 744, la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato il gravame.
3. Avverso la sentenza Co.Gi. ricorre per cassazione.
Resistono con separati atti di controricorso Le.Gi. e il Comune di Misilmeri.
Memoria è stata depositata dalla ricorrente e dal Comune.
Vendita “aliud pro alio”: identità bene compromessa
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in cinque motivi.
1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 2909 c.c., 112 e 132, n. 4 c.p.c. la Corte d’Appello, laddove ha escluso la responsabilità del Comune per il pregiudizio scaturente dalla revoca della concessione, ha violato le chiare statuizioni contenute nella sentenza del TAR Sicilia n. 170 del 2007 avente autorità di cosa giudicata; la Corte d’Appello, nell’affermare che il titolo abilitativo edilizio successivamente annullato era stato adottato dall’amministrazione sulla base di un errore indotto proprio dalla documentazione prodotta dalla ricorrente a corredo dell’istanza diretta a ottenere il rilascio della concessione, si è posta in contrasto con tutti gli atti di causa e in particolare con la sentenza del TAR Sicilia, di cui ha travisato il contenuto, giungendo a una conclusione con essa palesemente in contrasto; l’annullamento della concessione edilizia integra un evento imputabile solo ed esclusivamente al Comune, così che il medesimo è responsabile per la lesione delle aspettative di Le.Gi.
Il motivo non può essere accolto. La ricorrente ha impugnato davanti al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia il provvedimento con il quale il Comune di Misilmeri ha revocato la concessione edilizia. Il TAR, rigettando il ricorso con la sentenza n. 170/2007, ha escluso il legittimo affidamento della ricorrente, sottolineando che “nonostante l’erronea valutazione dell’idoneità dell’accesso in cui è incorso il Comune, frutto di una iniziale carenza dell’istruttoria preordinata al rilascio del titolo abilitativo, non può essere trascurata la corresponsabilità della richiedente, a causa sia della non perfetta aderenza della relazione tecnica alla realtà, che dell’esistenza in capo alla stessa dell’onere di conoscere l’esatta situazione proprietaria dei luoghi”.
La Corte d’Appello, nell’evidenziare che il titolo abilitativo edilizio poi annullato era stato adottato dall’amministrazione sulla base di un errore indotto dalla documentazione prodotta dalla ricorrente e che ciò “risulta incontrovertibilmente” dalla sentenza del TAR Sicilia, non si è pertanto posta in contrasto con la suddetta sentenza e non ne ha travisato il contenuto.
2. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1362 e 1472 c.c. si censura la sentenza della Corte d’Appello laddove ha ritenuto non applicabile l’art. 1472, in quanto lo stesso contratto di permuta avrebbe dovuto indurre la Corte a ritenere applicabile l’articolo; la clausola 4 del contratto dispone che “ai sensi dell’art. 1472, primo comma, l’acquisto della proprietà delle unità immobiliari sopra descritte si verificherà in capo alla Co.Gi. non appena i descritti beni attribuiti in permuta alla medesima verranno ad esistenza” e che “la presente permuta dovrà ritenersi sciolta di diritto nel caso in cui i descritti beni futuri non dovessero venire ad esistenza, per come sopra precisato, entro il termine essenziale del 31 dicembre 2006, con le conseguenze di legge”; il dettato dell’articolo è chiarissimo nel prevedere come unica conseguenza della mancata esistenza della cosa futura la nullità del contratto, così che il contratto di permuta avrebbe dovuto essere dichiarato nullo.
Vendita “aliud pro alio”: identità bene compromessa
Il motivo non può essere accolto. L’art. 1472 c.c., richiamato dalla clausola del contratto di permuta, disciplina una fattispecie diversa da quella in esame non ci troviamo infatti di fronte alla impossibilità di costruire gli immobili oggetto del contratto di permuta (la cosa futura), ma di fronte a un terreno (la cosa presente) che non ha le caratteristiche edificatorie promesse dalla ricorrente (cfr. Cass. n. 14461/2011, secondo cui “integra gli estremi della permuta di cosa presente con cosa futura il contratto avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di un’area fabbricabile in cambio di parti dell’edificio da costruire, in tutto o in parte” e “l’effetto traslativo si verifica ex art. 1472 c.c. non appena la cosa viene ad esistenza, momento che si identifica, quando la cosa futura consista in una porzione dell’edificio che il permutante costruttore si è impegnato a realizzare, nella conclusione del processo edificatorio nelle sue componenti essenziali, ossia nella realizzazione delle strutture fondamentali”; sull’applicazione dell’art. 1472, comma 2, v. Cass. n. 14461/2011).
3. Il terzo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1453, 1490, 1493, 1495, 1497, 1362 e ss., 2697 c.c. la sentenza della Corte d’Appello è errata nella parte in cui ha assimilato la fattispecie di cui è causa all’ipotesi di aliud pro alio, così violando le regole che presiedono l’interpretazione dell’accordo, attribuendo alla prestazione della Co.Gi. caratteristiche non pattuite o comunque specificate nel contratto; la questione dell’intervenuta revoca della concessione edilizia non incide sulla natura e sulla materialità del bene, tale da integrare una ipotesi di aliud pro alio; si tratta piuttosto di un accadimento esterno imputabile alla carente istruttoria presupposta alla concessione, che impedisce alla cosa futura di venire ad esistenza con conseguente nullità del contratto; al più la concessione edificatoria venuta meno poteva essere qualificata come una qualità essenziale del terreno oggetto di permuta, cosicché la sua mancanza avrebbe potuto integrare esclusivamente un’ipotesi di vizio dell’immobile.
Il motivo non può essere accolto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la vendita di aliud pro alio, la quale dà luogo a un’ordinaria azione di risoluzione contrattuale, svincolata dai
termini e dalle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., presuppone che la causa concreta che aveva giustificato l’atto traslativo non sia realizzabile in modo irrimediabile, tanto da pregiudicare la stessa identità della cosa acquistata (e i connessi interessi sottesi al programma negoziale), e non già che vi sia la mera carenza di requisiti sanabili, non costituenti un elemento di identificazione del bene e senza un definitivo pregiudizio” della idoneità cui il compratore intendeva destinare la cosa (così, da ultimo, Cass. n. 13214/2024; si veda pure Cass. n. 23604/2023, che ha precisato come la mancanza del certificato di abitabilità configuri, “alternativamente, l’ipotesi di vendita di aliud pro alio qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l’ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l’ipotesi dell’inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore, ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa”).
Vendita “aliud pro alio”: identità bene compromessa
Nel caso in esame non ci troviamo di fronte a una mera carenza di requisiti sanabili, ma a una carenza edificatoria del terreno oggetto di permuta che pregiudica la sua stessa identità e i connessi interessi sottesi al programma negoziale, che prevedeva la costruzione di un edificio di dodici appartamenti, rispetto al quale non assume rilievo che il terreno non sia del tutto inedificabile (la ricorrente evidenzia che il preesistente fabbricato, costituito da due magazzini e un appartamento, è stato oggetto di sanatoria durante il giudizio di primo grado, ma non considera che l’interesse sotteso al programma negoziale era costituito dalla nuova costruzione di dodici appartamenti e non certo nel mantenimento della costruzione preesistente).
4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1126 e 2697 c.c., 115 e 132, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per carenza di motivazione nel corso del primo grado di giudizio l’attore non aveva allegato alcun atto o documento dal quale risultasse il danno economico subito, né a titolo di danno emergente, né tantomeno a titolo di lucro cessante; il giudice di primo grado nel disporre la consulenza tecnica d’ufficio ha dunque violato il principio dell’onere della prova, consentendo l’ingresso nel giudizio di una valutazione peritale di carattere meramente esplorativo; la sentenza di primo grado e quella di appello che l’ha confermata sono quindi state emesse in manifesta violazione delle disposizioni in tema di onere della prova e del fatto che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti.
Il motivo non può essere accolto. Nel rispondere all’analoga censura mossa dalla ricorrente con l’atto di gravame, la Corte d’Appello ha ritenuto l’infondatezza della medesima, dato che i fatti costitutivi della domanda risarcitoria erano stati provati e che la consulenza tecnica d’ufficio era stata svolta in modo rigoroso. Si tratta di un accertamento in fatto non censurabile di fronte a questa Corte di legittimità. Quanto alla consulenza tecnica d’ufficio, va ricordato che, secondo le sezioni unite di questa Corte, “il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite, il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio” (Cass., sez. un., n. 3086/2022).
5. Il quinto motivo infine contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 112, violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1126
e 2697 c.c. la Corte d’Appello ha infine errato nel respingere la statuizione sulla liquidazione del danno in relazione agli interessi, non pronunciandosi sul motivo di gravame, essendosi limitata a fare riferimento alla diversa data di decorrenza degli interessi; il motivo di gravame mirava a censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva liquidato interessi compensativi e non meramente la data di decorrenza dei medesimi.
Vendita “aliud pro alio”: identità bene compromessa
Il motivo non può essere accolto. A prescindere dalla interpretazione data dalla Corte d’Appello alla censura fatta valere dalla ricorrente, gli interessi compensativi sono stati correttamente riconosciuti. Si veda al riguardo Cass. n. 37798/2022, che sottolinea come in tema di inadempimento di obbligazioni contrattuali diverse da quelle pecuniarie, al danneggiato spettano gli interessi compensativi del lucro cessante, poiché l’obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale costituisce, al pari della obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito non di valuta, ma di valore, che tiene conto della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida per Le.Gi. in Euro 6.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge, e per il Comune di Misilmeri in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 12 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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