La valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 22 luglio 2019, n. 5144.

La massima estrapolata:

La valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento, né il giudice amministrativo può sostituirsi agli organi dell’Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati o nel convincimento cui essi sono pervenuti.

Sentenza 22 luglio 2019, n. 5144

Data udienza 11 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8535 del 2010, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Fi. Ta., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
il Ministero dell’Economia e delle Finanze in persona del Ministro pro tempore e il Comando Generale della Guardia di Finanza, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sez. III, n. 3247/2010, resa tra le parti, concernente la cessazione dal servizio per rimozione dal grado
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze -Comando Generale e Comando Interregionale dell’Italia Nord Occidentale della Guardia di Finanza;
Vista l’ordinanza della Sez. IV di questo Consiglio di Stato del 20 gennaio 2010, n. 297;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Consigliere Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato Ga. Pa., per delega dell’avvocato An. Fi. Ta. e l’avvocato dello Stato An. Gr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia il Sig. -OMISSIS-, maresciallo capo in s.p.e. della Guardia di finanza all’epoca dei fatti di cui all’odierna controversia, ha chiesto l’annullamento del provvedimento in data 16 gennaio 2009 a firma del Comandante interregionale dell’Italia Nord-Occidentale con il quale gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, ponendolo a disposizione del Centro documentale (già Distretto Militare) competente come semplice soldato, a decorrere dalla suddetta data, cui hanno fatto seguito atti dispositivi, egualmente impugnati, di cessazione dal servizio. Il provvedimento risulta motivato sulla base di accadimenti accertati nella loro materialità con sentenza di condanna, passata in giudicato, per il reato di cui all’art. 322 c.p.perpetrato nei confronti del gestore di un centro estetico oggetto di controlli d’istituto.
2. Il Tribunale ha respinto il ricorso ritenendo infondati tutti i motivi di doglianza addotti.
3. Con l’odierno atto d’appello l’interessato ha chiesto la riforma della sentenza di prime cure, riproponendo due degli originari motivi di ricorso, in quanto asseritamente oggetto di valutazione erronea da parte del Tribunale: non sarebbe stata scrutinata correttamente l’eccepita incompetenza ad adottare l’atto, di spettanza del Ministro e non del Comandante interregionale, ai sensi della l. 31 luglio 1954, n. 599, non modificata sul punto; sarebbero state violate le garanzie procedurali di cui alla l. n. 241 del 1990 e sussisterebbe difetto di istruttoria e di motivazione, non essendo stato effettuato alcun accertamento aggiuntivo rispetto al procedimento penale, né valutati, per attenuare la responsabilità, gli elementi di fatto dedotti dall’interessato ovvero, più in generale, l’eccellente curriculum pregresso.
4. Con l’ordinanza n. 297/2010, citata in epigrafe, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello avverso la reiezione della richiesta sospensione cautelare del provvedimento impugnato (ordinanza del T.A.R. per la Lombardia n. 743/2009) “apparendo la sanzione irrogata congrua e proporzionata rispetto alla gravità dei fatti accertati, e non sussistendo, anche alla luce dei chiarimenti resi dall’Amministrazione, i vizi procedimentali ipotizzati nel ricorso introduttivo”.
5. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rilevando in particolare come il previgente art. 60 della richiamata l. 31 luglio 1954, n. 599, ora abrogato dal novello Codice dell’ordinamento militare, d.lgs. n. 66/2010, vada coordinato con quanto disposto dall’art. 16, primo comma, lett. h), del d.lgs. n. 165 del 2001, laddove affida ai dirigenti di uffici dirigenziali generali, fra gli altri poteri e compiti, “le attività di organizzazione e gestione del personale e di gestione dei rapporti sindacali e di lavoro”.
6. All’udienza dell’11 giugno 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.
8. Privo di pregio è il motivo di ricorso con il quale l’appellante ha nuovamente dedotto la violazione e falsa applicazione della l. n. 599/1954 in quanto non valutata compiutamente dal giudice di prime cure, che ne ha stigmatizzato la inammissibilità per essere lo stesso stato introdotto soltanto in sede di discussione orale. L’infondatezza del rilievo consente di prescindere da un maggiore scrutinio della diversa prospettazione della censura da parte dell’appellante allo scopo di superare il ridetto profilo di inammissibilità : nel sindacare la mancanza di delega al Comandante interregionale – smentita per tabulas dalla produzione della stessa datata 26 marzo 2008- si sarebbe inteso, cioè, mettere in discussione l’an del relativo potere, non soltanto il quomodo, essendone implicita la contestazione funditus alla luce del chiaro disposto normativo sull’attribuzione delle competenze.
8.1. Il tenore letterale dell’invocata disposizione, infatti, risulta superato dalla necessità di coordinarne i contenuti con l’art. 16 del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato col d.lgs. n. 80 del 1998 e trasfuso nel d.lgs. n. 165 del 2001 (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2007, n. 2844). Con determinazione n. 98635 del 26 marzo 2008, il Comandante generale ha delegato ai Comandanti interregionali l’adozione dei provvedimenti disciplinari di stato, in ragione del rapporto intercorrente con gli stessi, assimilabile a quello tra dirigenti generali e dirigenti declinato dagli artt. 16 e 17 del richiamato T.U. del pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001). Ciò trova conferma nella descrizione della struttura ordinativa del Corpo della Guardia di finanza contenuta nel d. P.R. 29 gennaio 1999, n. 34, che all’art. 2 individua nei comandi territoriali con competenza interregionale l’articolazione territoriale più ampia nella quale è ordinato il comando generale (sul punto cfr. T.A.R. Campania, Sez. VI, 20 maggio 2015, n. 2825). Per espressa precisazione operata dall’art. 16, comma 1, infatti, la relativa disciplina si applica a tutti gli uffici dirigenziali generali “comunque denominati” e demanda ai dirigenti generali l’adozione di tutti “gli atti e i provvedimenti amministrativi (…) rientranti nella competenza dei propri uffici, salvo quelli delegati ai dirigenti ” (art. 16, comma 1, lett. d) e, in maniera corrispondente, che i dirigenti “svolgono tutti gli altri compiti ad essi delegati dai dirigenti degli uffici dirigenziali generali” (art. 17, comma 1, lett. c).
8.2. Le disposizioni in questione, rileva ancora la Sezione, non attingono alla specialità della disciplina degli appartenenti ad un ordinamento militare, fatta salva dall’art. 3 del medesimo T.U. del 2001, ma ne individua principi generali comuni utili a comprenderne in via ermeneutica i relativi contenuti, senza inferirne un’applicazione diretta di norme, per contro esclusa dallo stesso legislatore in ragione della mantenuta peculiarità del rapporto di pubblico impiego cosiddetto “non contrattualizzato”.
9. Resta ora da scrutinare il secondo profilo di doglianza, con il quale l’appellante lamenta la carenza di istruttoria e di motivazione, anche in relazione agli asseriti elementi a discolpa introdotti dallo stesso e non compiutamente valutati nel corso del procedimento.
9.1. Giova preliminarmente ricordare in punto di diritto che secondo la giurisprudenza del tutto consolidata, la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento, né il giudice amministrativo può sostituirsi agli organi dell’Amministrazione nella valutazione dei fatti contestati o nel convincimento cui essi sono pervenuti (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 gennaio 2006, n. 339).
9.2 Per quanto concerne in particolare la perdita del grado, il Collegio condivide la giurisprudenza amministrativa che ritiene che la relativa sanzione sia unica ed indivisibile, in quanto ontologicamente incompatibile con la caratteristica di regolarne un minimo ed un massimo, entro i quali l’Amministrazione deve esercitare il potere punitivo (v. Cons. Stato, Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4381; id., 26 luglio 2012, n. 4257).
10. Passando ad analizzare la fattispecie concreta oggetto di gravame, alla luce della sopra richiamata condivisa giurisprudenza, il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato indichi in modo chiaro i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, come prescrive l’art. 3 della legge n. 241 del 1990, del quale il ricorrente sostiene la relativa violazione. Nessuna illegittimità può peraltro ravvisarsi nel comportamento dell’Amministrazione procedente che, con autonoma valutazione di quanto emerso in sede penale (dove si dispone di strumenti d’indagine ben più pregnanti di quelli altrove riscontrabili), ha ritenuto di aderire alle relative risultanze così come ivi ricostruite.
10.1. La condotta rimproverata al sig. -OMISSIS- (cristallizzata nella grave fattispecie di cui all’art. 322 c.p., reato contro la pubblica amministrazione, la stessa cui l’appellante apparteneva, quando lo commise) è da considerarsi, alfine, del tutto inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione degli obblighi assunti con il giuramento di fedeltà allo Stato; il che rende irrilevante qualunque considerazione degli asseriti precedenti positivi di carriera dell’incolpato e giustifica la sanzione espulsiva adottata ai sensi dell’art. 60, comma 1, punto 6, della legge n. 599 del 31 luglio 1954, in base a cui il militare incorre nella perdita del grado quando è stato rimosso per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina.
10.2. Di nessun rilievo, peraltro, appaiono le circostanze di fatto delle quali non si sarebbe tenuto conto in sede di istruttoria (v. pag. 8 del ricorso, ove si nega di aver fornito il proprio numero di cellulare al commerciante che espose i fatti all’autorità giudiziaria) in quanto inconferenti ai fini dell’accertata sussistenza del reato di cui all’art. 322 c.p. e ancor prima al fine di dequotare la complessiva condotta tenuta nei confronti di un imprenditore privato soggetto a controlli di istituto i cui esiti, quali che fossero le modalità di intimidazione psicologica, venivano condizionati o comunque correlati, seppur in via ipotetica e dubitativa, alla percezione di danaro. Tale approccio operativo ex se e a prescindere dai dettagli relazionali, ben giustifica il ritenuto venir meno “ai superiori doveri di onestà, fedeltà e rettitudine assunti con il giuramento prestato” posti a base del provvedimento impugnato.
11. Conclusivamente, pertanto, l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, confermata la sentenza del T.A.R. per la Lombardia n. 3247/2010.
11.1 Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico della parte ricorrente, nell’importo liquidato nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza n. 3247/2010 del T.A.R. per la Lombardia, con le integrazioni di cui in motivazione.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado di giudizio, che liquida in Euro duemila (Euro 2.000,00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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