Utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 9 luglio 2019, n. 29977.

La massima estrapolata:

In tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l’Iva al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia.

Sentenza 9 luglio 2019, n. 29977

Data udienza 12 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere

Dott. ANDRONIO A. Mar – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Tribunale dell’Aquila del 17 settembre 2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Di Nardo Marilia, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. – Con ordinanza del 17 settembre 2018, il Tribunale dell’Aquila ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Avezzano il 12 luglio 2018, in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. n 74 del 2000, articolo 2, contestato a (OMISSIS) in quanto legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., per avere utilizzato fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti al fine di indicare elementi passivi fittizi nella dichiarazione fiscale relativa all’anno 2014, con un’evasione dell’Iva per un ammontare di Euro 262.389,31. Secondo l’incolpazione provvisoria, la societa’ aveva acquistato carta dal Consorzio Cartiere in Tivoli, ma nell’operazione era stata interposta fittiziamente, quale venditore emittente la fattura, la (OMISSIS) s.r.l., della quale amministratore unico e’ lo stesso (OMISSIS). Il sequestro e’ stato seguito in via diretta sul conto corrente della societa’.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, sia in proprio, sia quale legale rappresentante della societa’, ricorso per cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 2 e 12-bis, sotto il profilo della mancanza dell’elemento soggettivo del reato. La finalita’ di evadere le imposte sui redditi sarebbe contraddetta dal fatto che l’ufficio requirente attribuisce la natura fraudolenta della dichiarazione fiscale ad operazioni soggettivamente inesistenti, mentre la finalita’ dell’evasione Iva sarebbe contraddetta dalla prova del fatto che la (OMISSIS) ha pagato effettivamente alla (OMISSIS) l’intero importo delle fatture, Iva inclusa, per un ammontare corrispondente a quello oggetto dell’imputazione, come emergerebbe dalla documentazione in atti.
In secondo luogo, si deduce l’insussistenza di un profitto, sul rilievo che, anche qualora si riconoscesse la soggettiva inesistenza delle fatture di vendita emesse dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), per essere stato il Consorzio delle Cartiere in Tivoli il vero fornitore di quest’ultima, la societa’ (OMISSIS), oltre a non poter dedurre, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7, l’Iva versata alla (OMISSIS), sarebbe tenuta a pagare nuovamente l’ammontare dell’imposta.
Tali considerazioni sono sostanzialmente ribadite con la memoria depositata dalla difesa in prossimita’ dell’udienza camerale davanti a questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso – i cui motivi possono essere trattati congiuntamente – e’ infondato.
Esso si basa, infatti, sull’erroneo presupposto che, avendo la societa’ (OMISSIS) sostenuto i costi per l’Iva, regolarmente corrisposta alla societa’ fittiziamente interposta, la stessa non avrebbe svolto tali operazioni a fini di evasione, ne’ si sarebbe arricchita di alcunche’.
In realta’, secondo quanto gia’ affermato dalla giurisprudenza di questo Corte (Sez. 3, n. 19012, del 11/02/2015) i costi per operazioni che siano inesistenti, anche solo sul piano soggettivo, non sono mai deducibili; con la conseguenza che la loro indicazione quali costi in dichiarazione configura una finalita’ di evasione e realizza un corrispondente profitto. Ed e’ del tutto irrilevante, in questi casi, la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, la societa’ sia tenuta a corrispondere nuovamente l’Iva al soggetto che realmente ha fornito la prestazione, perche’ tale inconveniente e’ la normale conseguenza di ogni interposizione fittizia.
Si giunge a tali conclusioni sulla base della considerazione che la detrazione Iva e’ ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione. Non entrano, cioe’, nel conteggio del dare ed avere ai fini Iva le fatture emesse da chi non e’ stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate. Ed a nulla rileva che le medesime fatture costituiscano la “copertura” di prestazioni acquisite da altri soggetti. In proposito, la Sezione tributaria civile di questa Corte, con orientamento ormai consolidato (Sez. 5, n. 15374 del 04/11/2002, Rv. 558186; Sez. 5, n. 5719 del 12/03/2007, Rv. 596605; Sez. 5, ord. n. 23987 del 13/11/2009, Rv. 610032; Sez. 5, n. 735 del 19/01/2010, Rv. 611260), ha statuito che in tema d’imposta sul valore aggiunto, la fatturazione effettuata in favore di soggetto diverso da quello effettivo non e’ riconducibile ad una ipotesi di fatturazione con “indicazioni incomplete o inesatte” di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 41, comma 3, ne’ a quella di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui la operazione e’ effettuata, di cui all’articolo 21, comma 2, n. 1). E cio’ perche’, l’intero meccanismo dell’Iva poggia sul presupposto che il tributo sia versato a chi ha eseguito prestazioni imponibili (che a sua volta potra’ compensarla con l’Iva corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi) mentre il versamento dell’Iva a un soggetto non operativo o, comunque, fittiziamente interposto apre la strada al recupero indebito dell’imposta stessa. Sul punto, la Corte di Giustizia UE (sentenze n. 78/2003, cause C78/02 e C-79/02, e n. 566/2009, causa C-566/07) ha sottolineato che l’avvenuta fatturazione di un’operazione con applicazione dell’Iva mediante addebito alla controparte non e’ elemento assorbente per stabilire che il tributo resti definitivamente dovuto, in quanto tale effetto discende dalla ricorrenza delle condizioni oggettive e soggettive per l’applicazione dell’imposta medesima, rispetto alle quali l’addebito, isolatamente considerato, non ha che una valenza indicativa del comportamento tenuto dal soggetto passivo. In altri termini, l’imposta si applica sulle operazioni che oggettivamente e soggettivamente sono comprese nella sfera di applicazione del tributo; di qui nasce l’obbligo della rivalsa (cioe’ dell’addebito), in mancanza del quale non puo’ sorgere nella controparte il potere di esercitare la detrazione. Pertanto, non e’ possibile assegnare all’avvenuto addebito dell’imposta un’efficacia sostitutiva della ricorrenza delle condizioni normative; ne’ l’esercizio della rivalsa costituisce prova certa dell’appartenenza dell’operazione al campo di applicazione dell’Iva, ma, al piu’, semplicemente un elemento indiziario che denota la convinzione delle parti in buona fede di dover ricondurre lo schema contrattuale della cessione o della prestazione all’interno di quel campo. In conclusione, poiche’ non vi e’ simmetria tra pagamento dell’Iva e diritto al rimborso, l’esposizione di dati fittizi anche solo soggettivamente implica la creazione delle premesse per un rimborso al quale non si ha diritto. E l’indicazione di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura non e’ circostanza indifferente ai fini dell’Iva, dal momento che la qualita’ del venditore puo’ incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entita’ dell’imposta che l’acquirente puo’ legittimamente detrarre.
Come anticipato, tali principi trovano applicazione anche nel presente giudizio, in cui l’indagato (OMISSIS) era contemporaneamente legale rappresentante della (OMISSIS) e della (OMISSIS), soggetto fittiziamente interposto. Ne’ possono essere prese in considerazione in questa sede le affermazioni della difesa circa l’irrilevanza dell’inesistenza soggettiva delle fatture ai fini dell’imposta sui redditi, perche’ oggetto dell’imputazione provvisoria e’ l’evasione dell’Iva.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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