Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 19 dicembre 2018, n. 57517.

La massima estrapolata:

L’uso dell’auto di servizio a fini privati è in via generale vietato presumendo la sua esclusiva destinazione a uso pubblico, a meno che non ci siano provvedimenti che consentano deroghe “puntuali e documentate”. Provvedimenti la cui esistenza e i cui contenuti devono essere oggetto di specifica prova se non si vuole incappare nel reato di peculato.

Sentenza 19 dicembre 2018, n. 57517

Data udienza 27 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli del 4 ottobre 2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal presidente Vito Di Nicola;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. FILIPPI Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza del 4 ottobre 2017, la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Nola del 22 ottobre 2015, con la quale – per quanto qui rileva l’imputato era stato condannato, riconosciuta la continuazione, per i reati di cui: a) all’articolo 314 c.p., comma 2, per avere, nella sua qualita’ di sindaco di un Comune, utilizzato l’autovettura di rappresentanza con relativo autista per farsi accompagnare e riprendere presto il posto di lavoro (ASL (OMISSIS), ufficio di medicina legale in (OMISSIS)) ovvero per trasmettere, attraverso l’autista, documenti al medesimo ufficio; b) Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 55 quinquies, per avere, nella qualita’ di dipendente della ASL (OMISSIS), attestato falsamente la propria presenza in servizio nei giorni di giovedi’ fino alle ore 14.00 e spesso a ore successive, mentre ne usciva non oltre le 13 e spesso molto prima, ottenendo che terzi non identificati sottoponessero il suo badge all’orologio marcatempo al suo posto.
2. – Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si lamentano l’inammissibilita’ e l’erronea valutazione della testimonianza di (OMISSIS), aAutista del Comune. Secondo la prospettazione difensiva la responsabilita’ penale dell’imputato per il peculato d’uso deriverebbe da tale testimonianza, perche’ l’autista avrebbe escluso che rientrasse nella tipologia di utilizzazione consentita dell’auto comunale quella di accompagnare il sindaco alla ASL. Si sostiene che il limite e le modalita’ consentite per l’uso dell’auto pubblica non potrebbero avere ingresso nel dibattimento attraverso la prova dichiarativa, Ma dovrebbero essere provati con l’atto amministrativo attraverso cui l’ente ha regolamentato l’uso della vettura. La testimonianza non avrebbe riportato semplicemente il contenuto del documento amministrativo in questione, ma lo avrebbe interpretato e valutato. Si tratterebbe, comunque, di un soggetto che, pur nella consapevolezza dell’illegittimita’ dell’uso dell’auto, aveva lo stesso accompagnato il sindaco presso il suo posto di lavoro, coscche’ egli avrebbe dovuto essere considerato imputato in procedimento connesso o collegato, con applicazione dell’articolo 210 c.p.p..
2.2. – Si contesta, in secondo luogo, l’erronea applicazione dell’articolo 314 c.p., per la mancanza di un danno patrimoniale apprezzabile, non essendo provata la sottrazione dell’autista alla possibilita’ di eseguire altri lavori nell’interesse dell’ente territoriale di cui era dipendente. Si sostiene, sul punto, che il peculato d’uso non sarebbe ipotizzabile per l’appropriazione di energia umana, non potendo l’uomo “essere considerato come cosa mobile”. Non si sarebbe comunque considerato che i tragitti erano stati di breve durata e in parte coincidenti con quelli consentiti.
2.3. – In terzo luogo, si deducono vizi della motivazione in relazione al reato del Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 55 quinquies, sul rilievo che la prova dello stesso sarebbe stata raggiunta con i dati informatici relativi alle celle agganciate dal telefono cellulare dell’imputato, senza considerare che, per la vicinanza dei luoghi, tali celle avrebbero potuto coincidere almeno qualora ve ne fossero state altre non disponibile. La decisione si baserebbe su una indimostrata inverosimiglianza della prospettazione difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso e’ inammissibile.
3.1. – Il primo motivo di doglianza e’ formulato in modo non specifico. La difesa non contesta che i tragitti oggetto dell’imputazione di peculato d’uso siano stati effettuati, ma si limita a criticare l’impianto probatorio della sentenza, senza formulare alcun rilievo critico alla motivazione della stessa; ed afferma che la prova dell’inutilizzabilita’ della macchina di servizio per i tragitti effettuati dall’imputato sarebbe stata ricavata dalla testimonianza dell’autista circa il contenuto di atti amministrativi comunali di regolamentazione dell’uso dell’auto. Si tratta di un’affermazione palesemente erronea, a fronte dell’oggettiva mancanza, negli atti di causa, di provvedimenti amministrativi comunali che autorizzassero l’uso dell’auto anche per ragioni private, la cui esistenza non e’ stata prospettata neanche con il ricorso per cassazione. Del tutto correttamente, dunque, i giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, hanno ritenuto che l’auto, i cui costi e le cui spese erano interamente a carico della pubblica amministrazione, potesse essere utilizzata solo per fini pubblici e non anche per fini privati. La testimonianza dell’autista sul punto e’, dunque, irrilevante nell’economia motivazionale del provvedimento impugnato, perche’ la non utilizzabilita’ dell’auto a fini privati e’ logica conseguenza della sua destinazione a fini pubblici, che deve ritenersi esclusiva in mancanza di atti amministrativi – per loro natura sottratti all’applicazione del principio iura novit curia – che ne autorizzassero l’uso privato. Deve dunque affermarsi che, ai fini della configurabilita’ del reato di peculato, l’uso dell’auto di servizio a fini privati e’ in via generale vietato, dovendosi presumere la sua esclusiva destinazione ad uso pubblico, a meno che non vi siano provvedimenti che consentano puntuali e documentate deroghe a tale uso pubblico; provvedimenti la cui esistenza e il cui contenuto devono essere oggetto di specifica prova.
3.2. – Analoghe considerazioni valgono quanto alla apprezzabilita’ del danno, oggetto del secondo motivo di doglianza. Il ricorrente si limita e reiterare, sul punto, rilievi parziali, gia’ esaminati e motivatamente disattesi dei giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione. Questi hanno correttamente evidenziato che le condotte, anche se aventi ad oggetto tragitti di pochi kilometri, hanno avuto una rilevantissima reiterazione, avendo cagionato al Comune un apprezzabile danno, non solo in conseguenza del fatto che l’attivita’ dell’autista era distolta dai fini istituzionali, ma anche e soprattutto per l’usura dell’auto e la spesa per il carburante. Ne deriva l’inammissibilita’ anche di tale motivo di doglianza.
3.3. – Inammissibile e’ anche il terzo motivo, relativo alla prova del reato di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2009, articolo 5 quinquies. La difesa trascura del tutto l’articolata motivazione della sentenza impugnata, per concentrarsi sul solo dato delle risultanze dell’esame dei tabulati delle celle agganciate dall’utenza cellulare dell’imputato, senza sostanzialmente nulla eccepire circa il complesso del quadro probatorio, rappresentato dagli esiti dei servizi di osservazione, da cui era emersa la reiterata e sistematica assenza dal posto di lavoro. Peraltro, anche quanto al profilo relativo alle celle agganciate dal telefono cellulare, la prospettazione difensiva risulta del tutto generica, a fronte delle argomentazioni spese dalla Corte d’appello (pagg. 13-14 della sentenza impugnata), che smentiscono puntualmente l’ipotesi difensiva circa le celle che il telefono avrebbe potuto effettivamente agganciare.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Avv. Renato D’Isa

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