Uno strumento urbanistico di dettaglio

Consiglio di Stato, Sentenza|17 maggio 2021| n. 3834.

Uno strumento urbanistico di dettaglio è difatti sottoposto all’obbligo notificatorio soltanto quando introduce un vincolo d’inedificabilità nei riguardi del proprietario inciso e non di chi ha la titolarità di un’area diversa sebbene posta nelle vicinanze. Non si può quindi condividere quanto osservato da parte appellante, nel senso che il dies a quo per l’impugnativa di tale strumento urbanistico decorre soltanto dal conseguito accesso documentale dell’agosto 2011, valendo il principio generale secondo cui la presunzione di conoscenza dello strumento urbanistico consegue alla mera pubblicazione dell’atto di approvazione.

Sentenza|17 maggio 2021| n. 3834

Data udienza 30 marzo 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Uno strumento urbanistico di dettaglio – Energia rinnovabile – Impianto fotovoltaico – Autorizzazione – Pianificazione urbanistica – Strumento urbanistico di dettaglio – Obbligo notificatorio – Presupposti – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5944 del 2013, proposto dalla signora Te. Se., rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Gr. e Le. Gu., elettivamente domiciliata presso lo studio Da. Gr. in Roma, corso (…),
contro
– la Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Al. Va., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato Gi. Bo. in Roma, via (…);
– la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Co. e Pa. De Be., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato An. De. Ve. in Roma, viale (…);
– il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Mi. Ub., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Ni. Ma. in Roma, piazza (…);
nei confronti
– della società Bi. Fa. S.r.l. (succeduta alla società Fe. En. S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ga., elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via (…),
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
i signori Gi. Ia. ed altri, non costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per le Marche, n. 14 del 9 gennaio 2013, resa inter partes, concernente la costruzione e esercizio di un impianto fotovoltaico ed il risarcimento dei danni consequenziali.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pesaro e Urbino, della Regione Marche, del Comune di (omissis) e della società Bi. Fa. S.r.l. (succeduta alla società Fe. En. S.r.l.);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70) il consigliere Giovanni Sabbato e uditi in collegamento da remoto, per le parti, gli avvocati Le. Gu., Pa. De Be., Mi. Ub., Gi. Sa. su delega dell’avvocato Al. Va., e An. Ga.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per le Marche, la signora Te. Se. nonché l’Associazione Ve. Am. e Società – V.A. Onlus avevano chiesto l’annullamento degli atti coi quali era stata autorizzata la realizzazione di un impianto fotovoltaico, ed in particolare:
a) della determinazione del Dirigente del Servizio Ambiente, Agricoltura, Fonti Rinnovabili e Pianificazione Ambientale della Provincia di Pesaro e Urbino n. 1031 dell’8 aprile 2011 recante autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 per la costruzione e l’esercizio di un impianto fotovoltaico;
b) della deliberazione del Consiglio Regionale Marche n. 13 del 30 settembre 2010, avente ad oggetto: “individuazione delle aree non idonee di cui alle linee guida previste dall’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 per l’installazione di impianti fotovoltaici a terra (..)”, nella parte in cui disciplinava il relativo regime transitorio;
c) degli artt.60 (oggi art. 75) e 95 (oggi art. 78) delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di (omissis), nella parte in cui non hanno espressamente vietato, nelle aree in oggetto, la realizzazione di impianti fotovoltaici;
d) degli atti connessi del procedimento amministrativo, tra cui i pareri espressi dal Comune di (omissis) in data 17 febbraio 2011 e 4 aprile 2011.
1.1 Entrambe le ricorrenti chiedevano anche il risarcimento dei danni conseguenti all’adozione dei provvedimenti impugnati.

 

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2. A sostegno dell’impugnativa avevano dedotto: – la violazione delle esigenze di tutela storico-ambientale, così come tutelate dal locale piano paesistico; – la violazione degli artt. 1 e 3 della l.r. n. 13/90, non potendosi applicare la fattispecie derogatoria ivi contemplata per la realizzazione di un impianto così dimensionato in zona agricola; – l’illegittimità della disciplina di P.R.G. laddove ha introdotto la destinazione a zona artigianale in area a rilevanza paesaggistica; – l’illegittimità costituzionale della normativa regionale; – la mancanza di ogni valutazione in ordine alla compatibilità dell’intervento con “il mantenimento della struttura del paesaggio agrario di pianura” (art. 75, comma 3, del PRG); – la mancanza del parere vincolante della Soprintendenza.
3. Costituitisi in giudizio la Provincia di Pesaro e Urbino, la Regione Marche, il Comune di (omissis), la società Fe. En. S.r.l. nella veste di controinteressata, nonché i signori Gi. Ia. ed altri quali intervenienti ad adiuvandum, il Tribunale amministrativo ha così deciso il gravame al suo esame:
– avendo premesso che la particella interessata dall’intervento (n. 98) è parzialmente collocata in zona artigianale, ha accolto le eccezioni di irricevibilità del ricorso per mancata tempestiva impugnativa della relativa disciplina urbanistica;
– ha respinto il motivo col quale si lamentava la mancata acquisizione del parere della Soprintendenza in relazione al vincolo di cui all’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004, in quanto “l’impianto ricade all’esterno al vincolo in questione”;
– ha dichiarato tardive le deduzioni sollevate in relazione alla parte dell’impianto insistente sull’area “a destinazione agricola”, tenendo conto del tenore delle censure sollevate che escludono in radice l’edificabilità in quella zona e che pertanto andavano sollevate nel termine decadenziale decorrente dall’inizio dei lavori;
– “Per quanto potrebbero residuare profili risarcitori, in applicazione del termine decadenziale lungo di cui all’art. 30 comma 3 del D.Lgs. n. 104/2010, va osservato che la porzione di impianto ricadente in zona agricola è stata medio tempore oggetto di rinuncia come da variante in data 3.11.2011”;
– in conclusione, ha dichiarato il ricorso in parte irricevibile, mentre lo ha respinto per la restante parte, con assorbimento di tutte le ulteriori eccezioni e deduzioni;
– ha dichiarato irricevibile, e comunque infondata nel merito, l’istanza risarcitoria avanzata autonomamente dagli intervenienti in giudizio (questo capo della sentenza non è stato impugnato ed è pertanto passato in giudicato);
– ha compensato le spese di lite.

 

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4. Avverso tale pronuncia la signora Se. ha interposto appello, notificato il 9 luglio 2013 e depositato il 31 luglio 2013, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 6-22) ai quali ha fatto seguito la reiterazione dei motivi di primo grado non esaminati dal T.a.r. (pagine 22-38), quanto di seguito sintetizzato:
I) il T.a.r. avrebbe errato nell’accogliere le eccezioni in rito sia quanto alla tardività della impugnazione della disciplina urbanistica, non essendole stata la variante, sebbene specifica e di dettaglio, mai notificata nonostante la sua posizione di confinante, sia quanto alla tardività dell’impugnazione della autorizzazione unica, potendosi la società avvedere dell’illegittimità dell’intervento soltanto quando (nell’agosto 2011) si è cominciata a delineare la struttura costituita da ben 20.000 mq di superficie coperta da pannelli fotovoltaici;
II) il T.a.r. avrebbe erroneamente respinto la domanda risarcitoria non avendo considerato la prova del danno rinvenibile negli atti di causa, derivante dalla realizzazione dell’impianto in questione, e ciò con riferimento sia alla parte insistente in zona agricola che a quella in zona artigianale; seppure il danno fosse stato correlato solo alla porzione in zona agricola la domanda risarcitoria andava accolta in proporzione invece che respinta in toto; il T.a.r. non si sarebbe, quindi, avveduto di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, ivi compreso il nesso causale adeguatamente dimostrato dalla perizia di parte non inficiata dalla considerazione unitaria dell’impianto;
III) nell’auspicata rimozione delle impugnate statuizioni in rito, così neutralizzandosi la loro portata ostativa del merito, si ripropongono le censure di primo grado non esaminate dal T.a.r. come sopra riportate in termini sintetici (§ 2).

 

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6. La parte appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento degli atti con lo stesso impugnati nonché la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
7. In data 8 ottobre 2013, la Provincia di Pesaro ed Urbino si è costituita con memoria di controdeduzioni eccependo l’inammissibilità del ricorso di primo grado, per violazione delle disposizioni in materia di ricorsi collettivi e cumulativi, e comunque chiedendone il rigetto per infondatezza di tutti i motivi articolati.
8. In 10 ottobre 2013 si è costituita la società Bi. Fa. S.r.l. (succeduta alla società Fe. En. S.r.l.) con memoria di controdeduzioni e concludendo per il rigetto dell’appello.
9. In data 22 ottobre 2013 si è costituito il Comune di (omissis) con memoria di controdeduzioni e concludendo per il rigetto dell’appello.
10. In data 25 marzo 2014 si è costituita la Regione Marche chiedendo, a sua volta, il rigetto dell’appello.
11. In prossimità della trattazione di merito del gravame, le parti hanno depositato memoria (l’appellante anche in replica) insistendo per le rispettive conclusioni. In particolare, parte appellante ha evidenziato che l’impianto insiste parzialmente in area a destinazione agricola e che non poteva avvedersi dell’illegittimità delle opere attraverso la semplice visione del cartello di cantiere, non avendo peraltro mai dedotto la presenza di un vincolo d’inedificabilità assoluta; ha insistito per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno ritenendo questo adeguatamente comprovato dalla produzione della relazione tecnica e dei relativi allegati nell’ancorare il deprezzamento subito dall’immobile dell’appellante ad elementi oggettivi.

 

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12. In data 9 marzo 2021, parte appellante ha depositato istanza di discussione orale del ricorso ai sensi del d.l. n. 28/2020 e del d.l. n. 137/2020.
13. La causa, chiamata per la discussione all’udienza pubblica, svoltasi con modalità telematica del 30 marzo 2021, è stata ivi trattenuta in decisione.
14. L’appello è infondato.
14.1 L’infondatezza dell’appello consente di prescindere dalle ulteriori questioni di inammissibilità sollevate dalle parti appellate (in particolare, dalla Provincia) per la natura collettiva e cumulativa del ricorso di primo grado.
14.2 Le questioni prospettate dall’appellante vanno collocate su due piani diversi, uno afferente alla domanda impugnatoria l’altro a quella risarcitoria.
14.2.1 Per quanto riguarda la prima, vengono in considerazione le due censure sollevate dall’appellante al fine di avversare le statuizioni in rito che precluderebbero, ove confermate in questa sede, l’esame del merito del ricorso di primo grado.
14.2.2 Tali rilievi devono essere esaminati partitamente.
14.2.3 In ordine all’impugnativa della pianificazione urbanistica, essa è stata proposta, col ricorso di primo grado, in via subordinata e tuzioristica ipotizzandosi che il Comune, nell’approvare la variante al P.R.G., avrebbe malamente recepito il Piano paesistico regionale (P.P.A.R.) per non avere interdetto la realizzazione degli impianti fotovoltaici nelle aree di interesse storico-ambientale (che è individuata, a pagina 8 del ricorso di prime cure, “nel tratto da S. Silvestro al centro abitato di (omissis)”). Premesso che le parti appellate contestano che l’area di sedime sia realmente interessata dai vincoli di piano (riportati nella tavola 8) e che si tratti di variante speciale (essendo da qualificare generale perché interessa ampie zone e comparti territoriali ed una molteplicità di soggetti) ciò che emerge è l’infondatezza del motivo con cui l’appellante assume che lo strumento urbanistico era soggetto ad onere notificatorio in quanto avente natura speciale, dacché tale adempimento non ricorre nei riguardi di chi, come l’appellante, ha la proprietà di un’area soltanto confinante con quella interessata dalla variante e quindi esterna a questa. Uno strumento urbanistico di dettaglio è difatti sottoposto all’obbligo notificatorio (in tema, questa Sezione, sentenza 30 ottobre 2020, n. 6648) soltanto quando introduce un vincolo d’inedificabilità nei riguardi del proprietario inciso e non di chi ha la titolarità di un’area diversa sebbene posta nelle vicinanze. Non si può quindi condividere quanto osservato da parte appellante, nel senso che il dies a quo per l’impugnativa di tale strumento urbanistico decorre soltanto dal conseguito accesso documentale dell’agosto 2011, valendo il principio generale secondo cui la presunzione di conoscenza dello strumento urbanistico consegue alla mera pubblicazione dell’atto di approvazione (Cons. Stato, sez. II, 25 agosto 2020, n. 5194). Deve essere, quindi, confermata la statuizione di irricevibilità recata dalla sentenza impugnata ed avversata con il motivo in esame.

 

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14.2.4 Per quanto riguarda l’impugnativa della autorizzazione unica, reputata anch’essa tardiva dal T.a.r. con statuizione parimenti contestata in questa sede, segnatamente con il secondo motivo di gravame, viene in considerazione il fatto che il ricorso è stato notificato il 16 novembre 2011 mentre il provvedimento impugnato è datato 8 aprile 2011 cosicché, al momento della notificazione del ricorso, il termine decadenziale di “sessanta giorni” di cui all’art. 20 c.p.a. era abbondantemente decorso.
Parte appellata osserva che, come dichiarato dalla stessa ricorrente nel ricorso di primo grado (pagina 4), quest’ultima era perfettamente a conoscenza della realizzazione dell’impianto fotovoltaico sull’area in questione al momento dell’inizio dei lavori del 30 giugno 2011, avendone avuta percezione già con l’esame del cartello di cantiere. A quella data sarebbe così venuta a conoscenza anche del tipo di intervento che si andava a realizzare (impianto fotovoltaico della potenza di 999 Kwp), oltre che del provvedimento autorizzativo e dei relativi estremi. Soggiunge che l’impianto non rientra nella tavola n. 8 del P.P.A.R. e pertanto non è vincolata e che, all’esito della variante in corso d’opera (vedi documento n. 19), l’impianto si è posizionato interamente nell’ambito della zona artigianale, senza più interessare la zona con destinazione agricola (art. 75 NTA).
14.2.5 Ebbene, ciò che rileva in maniera dirimente è che con il ricorso di primo grado più volte parte ricorrente deduce che la disciplina paesistica impediva – in radice – la realizzazione di qualsiasi impianto fotovoltaico, quindi a prescindere dalle relative dimensioni, cosicché è dato ritenere che già con l’inizio dei lavori, e segnatamente con l’esposizione del cartello di cantiere (Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2018, n. 4274), ove veniva precisata la potenza dell’impianto fotovoltaico di quasi 1 MW, la ricorrente era nelle condizioni di percepire non solo l’illegittimità dell’intervento, per il divisato contrasto con la disciplina paesaggistica e con quella agricola, ma anche le dimensioni che l’impianto avrebbe avuto in considerazione della sua elevata potenza. Afferma invero parte appellante che “con
riferimento al cartello di cantiere, non risulta che questo sia stato affisso già dal mese di luglio”, ma tale asserzione contrasta con quanto è riportato nel ricorso di prime cure (pag. 4, punto 4) e cioè che “nei mesi di giugno-luglio 2011, le odierne ricorrenti hanno riscontrato l’avvio e la rapida esecuzione di opere su alcuni fondi latistanti la Strada Provinciale (omissis) che, come riportato nel cartello di cantiere ivi collocato, riguardano la realizzazione di un impianto fotovoltaico”. Nel ricorso originaria si dava atto, quindi, dell’affissione del cartello di cantiere già in quel periodo (giugno-luglio) e della portata ostensiva dello stesso. Nemmeno va trascurata la circostanza, non precisamente contestata da parte appellante, della sua partecipazione alla Conferenza dei servizi già nel febbraio 2011, nel corso della quale formulava proprie osservazioni poi respinte.

 

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Anche la statuizione di tardività avversata con le deduzioni in esame è quindi meritevole di essere confermata in questa sede.
14.2.6 La circostanza poi della estraneità dell’area di sedime alla zona a destinazione agricola, rimarcata dal T.a.r. (§ 2.3.2) è adeguatamente comprovata negli atti di causa (§ 14.2.4), in quanto da questi risulta che il progetto iniziale è stato ridimensionato in maniera da essere ricondotto nell’ambito dei confini della zona a destinazione artigianale. Del resto non si registrano precise contestazioni di parte appellante sul punto.
15. Non resta che esaminare i motivi d’appello afferenti alla domanda risarcitoria che è stata disattesa dal T.a.r., una volta rilevata la sua tempestività secondo il più ampio termine previsto dall’art. 30 del c.p.a., per il fatto che il danno non sarebbe stato adeguatamente comprovato, evidenziandosi che parte ricorrente presentava una perizia di parte “gemella” rispetto a quella prodotta in altro ricorso relativo a una domanda risarcitoria analoga ma per i danni derivanti da altro impianto fotovoltaico, limitrofo a quello per cui è causa. Si osserva, altresì, che effettivamente il danno non sarebbe stato adeguatamente comprovato e comunque non sarebbe possibile al giudice disporre una consulenza tecnica per compensare le deficienze probatorie della parte ricorrente.
15.1 Ordunque, la soluzione della controversia secondo le contrapposte difese non può prescindere dalla previsione di cui all’art. 30, comma 3, del c.p.a., che, nel disciplinare la domanda di risarcimento proposta in via autonoma, non esclude la necessità che il danno prospettato da provvedimento illegittimo richieda se non l’annullamento di questo quantomeno che il giudice ne possa verificare la illegittimità ; ne consegue che se non può configurarsi – in apicibus – il diritto al risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo ove il provvedimento amministrativo risulti legittimo, lo stesso vale per il caso in cui la verifica sia interdetta sul piano impugnatorio per ragioni di rito, in quanto, ad opinare diversamente, la relativa declaratoria del giudice avrebbe una ricaduta favorevole per la parte attorea prescindendosi dall’illegittimità dell’atto lesivo altrimenti necessaria. In altre parole, l’effetto preclusivo prodotto dalla statuizione in rito vale solo per la domanda impugnatoria, siccome soggetta ad un più breve termine decadenziale, ove quella risarcitoria sia, come nel caso di specie, tempestiva, per cui rimane la necessità di effettuare l’invocato scrutinio di legittimità nella intangibilità degli atti impugnati.
Per vero dalla disamina del ricorso di primo grado è dato evincere che la domanda impugnatoria era stata proposta da entrambi i ricorrenti di primo grado, ovverosia la signora Se. e l’associazione ambientalista, espressamente riconducendola non al comma 3 bensì al comma 2 dell’art. 30 citato (pagina 23 del ricorso di prime cure) e pertanto implicitamente affermando in entrambi i casi l’illegittimità degli atti impugnati. Ne consegue che non può essere accolto quanto dedotto dall’appellante in questa sede nel riconfigurare la domanda risarcitoria proposta dalla signora Se. quale domanda autonoma, quindi proposta ai sensi del terzo comma dell’art. 30 c.p.a., domanda in realtà che non trova riscontro negli atti di prime cure. La domanda risarcitoria è stata cioè esercitata associandola ad un’azione impugnatoria che è risultata però, per le ragioni anzidette, irricevibile. La classificazione della domanda nell’ambito della complessa formulazione dell’art. 30 c.p.a. non assume alcun rilievo, rimanendo ferma la necessità di verificare la legittimità degli atti impugnati secondo le censure articolate, in quanto la decorrenza del termine impugnatorio non deve refluire sulla domanda risarcitoria comunque tempestiva secondo il più ampio termine decadenziale previsto dall’art. 30, comma 3. In altre parole l’illegittimità degli atti si pone non solo quale presupposto della domanda impugnatoria ma anche quale elemento costitutivo della domanda risarcitoria con la conseguenza che occorre provvedere al sindacato delle relative censure.

 

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16. Entrando, quindi, nel merito delle censure di legittimità sollevate non emerge la dedotta illegittimità in grado di inficiare gli atti impugnati.
16.1. Per quanto riguarda, infatti, la deduzione relativa al contrasto dell’intervento con la destinazione agricola, va ribadito quanto sopra osservato a proposito del fatto che, a seguito della variante riduttiva, l’impianto risulta integralmente rientrante nella zona a destinazione artigianale; ne consegue che le relative censure sono da considerare improcedibili per sopravvenuta carenza d’interesse.
16.2 Infondato è anche quanto ulteriormente dedotto in ordine al preteso contrasto dell’intervento con la rilevanza paesaggistica dei luoghi, in quanto:
– l’area non risulta interessata da vincoli d’inedificabilità assoluta, che peraltro l’appellante afferma di non avere giammai denunciato;
– il progetto è stato approvato con la Determinazione del Servizio Urbanistica Pianificazione Territoriale – VIA – VAS – della Provincia di Pesaro Urbino n. 183 del 1° febbraio 2011 rimasta inoppugnata;
– la collocazione dell’impianto è a distanza dall’area d’interesse paesaggistico ai sensi del d.lgs. n. 42/04, art. 142, comma 1 (in quanto, secondo i dati forniti dall’Amministrazione provinciale non contraddetti dall’appellante, esso “dista circa 170 m in direzione sud-est dal Fiume Metauro e circa 570 m in direzione ovest dal nucleo residenziale di San Silvestro”);
– l’art. 60 3c) del P.P.A.R. prevede l’esenzione dal rispetto dello stesso in caso di “opere pubbliche, i metanodotti e le opere connesse, nonché quelle di interesse pubblico realizzate dalla SIP e dall’E.”, disposizione che, concordando con quanto sul punto osservato dal Comune appellato, può estendersi, per effetto della liberalizzazione in materia di produzione e distribuzione di energia, a tutti gli impianti di produzione di energia elettrica, ivi compresi quelli da fonte rinnovabile;
– le aree oggetto d’intervento non sono soggette a tutela integrale rientrando nella classificazione Sottosistemi territoriali (a graduazione d’intensità discendente) del PPAR in aree (omissis) (cfr. art. 21 che così statuisce: “Le prescrizioni del Piano variano in rapporto ai diversi gradi di rilevanza dei valori paesistico-ambientali, e quindi anche in rapporto all’appartenenza dei territori interessati alle unità di paesaggio A, B, C, D e V”);
– la questione di costituzionalità dell’art. 36, comma 4, della l.r. Marche n. 16/2010 per avere tale norma alterato il regime transitorio stabilito dalla normativa statale con la previsione secondo cui “i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente atto sono conclusi ai sensi della previgente normativa” è da reputare manifestamente infondata;
– occorre dare atto che le “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, siccome approvate con D.M. 10 settembre 2010 ed entrate in vigore il 3 ottobre 2010, quindi successivamente all’avvio del procedimento in oggetto avvenuto in data 11 maggio 2010, non sono applicabili al procedimento in oggetto;
– nemmeno può valere in senso contrario la previsione di cui al paragrafo 18 del citato D.M. laddove è statuito che “decorso inutilmente il predetto termine di novanta giorni, le linee guida si applicano ai procedimenti in corso”, in quanto la Regione Marche, come evidenziato dalla Provincia appellata, è intervenuta sulla materia già con la delibera del Consiglio regionale n. 13 del 30 settembre 2010 e quindi ben prima della scadenza dei novanta giorni;
– va per giunta rilevato che lo stesso paragrafo 18 prevede che “Le Regioni, qualora necessario, adeguano le rispettive discipline entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle presenti linee guida, anche con l’eventuale previsione di una diversa tempistica di presentazione della documentazione di cui al paragrafo 13”;
– dal tenore di tale disciplina è dato inferire, quindi, che la disciplina statale non presenta quel carattere cogente che consente di configurare, come deduce l’appellante, un vero e proprio principio fondamentale destinato ad imporsi alle Regioni in sede di legislazione concorrente.

 

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16.3 Giunti a questo punto dell’esame della controversia, risulta assorbita ogni considerazione che afferisce non solo alla effettiva dimostrazione del danno, sebbene su tale questione il T.a.r. si sia diffusamente soffermato, ma anche alla possibile duplicazione della domanda risarcitoria rispetto a quella proposta in relazione all’ana impianto, realizzato dalla società “La Co.” e che è stata decisa con sentenza del T.a.r. n. 15/13, appellata con il ricorso n. 5945/13 dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, con sentenza di questo Consiglio n. 636/20. Non vi è la necessità, infatti, di verificare il quantum risarcibile una volta escluso, per insussistenza della lamentata illegittimità degli atti impugnati, tale presupposto costitutivo dell’illecito afferente all’antecedente logico dell’an della risarcibilità .
17. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata con parziale diversa motivazione.
18. Le spese del presente grado di giudizio, per il principio di soccombenza, sono a carico della parte appellante e sono liquidate come in dispositivo, in base ai criteri stabiliti dal regolamento n. 55 del 2014 e dall’art. 26, comma 1, c.p.a.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 5944/2013), lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata con parziale diversa motivazione.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore delle parti appellate (Regione Marche, Provincia di Pesaro e Urbino, Comune di (omissis) e società Bi. Fa. S.r.l.), delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00) di cui Euro 1.000,00 per ciascun appellato, oltre s.g. e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 30 marzo 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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