Una volta che il manufatto originario sia stato demolito

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 25 febbraio 2020, n. 1407.

La massima estrapolata:

Una volta che il manufatto originario sia stato demolito, può dirsi, ormai, venuta meno l’opera a cui si riferiva la richiesta di sanatoria da cui il principio per il quale l’istanza di condono deve essere esaminata solo qualora alla data di emanazione del provvedimento esista ancora l’immobile che ne è l’oggetto.

Sentenza 25 febbraio 2020, n. 1407

Data udienza 6 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9283 del 2019, proposto da
Sa. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Va. Ca., Al. Pa. e Fr. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Pa. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Da. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
SC. Gr. s.r.l., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, 5 luglio 2019 n. 481, redatta in forma semplificata;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Va. Ca., Al. Pa., Fr. Va. e Da. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 9283 del 2019, Sa. s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, 5 luglio 2019 n. 481, redatta in forma semplificata, con la quale è stato dichiarato inammissibili il ricorso proposto contro il Comune di (omissis) e SC. Gr. s.r.l. per
1) l’accertamento dell’illegittimo silenzio inadempimento serbato dal Comune di (omissis) sulla richiesta, fatta da parte ricorrente il 15 aprile 2018, di concludere il procedimento di sanatoria edilizia, avviato ai sensi della l. 28 febbraio 1985 n. 47, con istanza assunta dall’ente locale al prot. n. 94440/636S del 26 marzo 1986;
2) la nomina di un commissario ad acta sostitutivo ex art. 117, comma 3 cod. proc. amm.
Dinanzi al giudice di prime cure, l’originaria ricorrente aveva impugnato il silenzio-inadempimento serbato dal Comune di (omissis) sull’istanza sopra ricordata.
Il T.A.R. prendeva preliminarmente atto della situazione di fatto, come evidenziata dal Comune resistente, che aveva eccepito:
a) di avere già rigettato l’istanza di sanatoria de qua con l’ordinanza n. 313, prot. n. 31229, del 20 novembre 1990 e con la nota prot. n. 32689 del 22 novembre 1999;
b) di avere ordinato la demolizione delle opere abusive (i.e. quattro villette con struttura in cemento armato) con ordinanza n. 198, prot. n. 19062, del 28 giugno 2000;
c) di avere accertato l’inottemperanza al predetto ordine di demolizione con verbale prot. n. 30848 del 5 ottobre 2000 e di avere acquisito al patrimonio dell’ente locale l’area con atto notificato il 20 febbraio 2001;
d) che le opere de quibus sono state totalmente demolite, previa notifica dell’ordinanza sindacale n. 70, prot. n. 14400, del 20 marzo 2001;
e) che con l’istanza di cui è causa parte ricorrente ha reiterato argomentazioni, già esaminate e definite, che erano state sollevate con le istanze acquisite dall’Amministrazione al prot. n. 2704 del 21 gennaio 2009 e n. 29426 del 17 giugno 2010, entrambe già successive alla demolizione delle opere di cui si chiede la sanatoria;
Sulla scorta di tale situazione, il primo giudice dichiarava l’inammissibilità del ricorso proposto, stante la “inconfigurabilità di un silenzio inadempimento a fronte di una situazione amministrativa irreversibilmente definita dal punto di vista giuridico e materiale”.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte motiva.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di (omissis), chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza in camera di consiglio del 6 febbraio 2020, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.
2. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “Erroneità della motivazione in rapporto alla violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990. Violazione dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990. Violazione dei principi di buona andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 cost.)”, viene censurata la sentenza per aver erroneamente individuato il thema decidendum del ricorso e, conseguentemente, ritenuto insussistente l’interesse alla decisione.
2.1. – La censura non ha fondamento.
Occorre evidenziare come la ricostruzione in fatto, operata dal primo giudice e sopra sinteticamente riferita, appare del tutto conforme alla vicenda realizzatasi.
In sintesi, il Comune, in maniera condivisa dal primo giudice e da questa Sezione, ha osservato:
a) di avere già rigettato l’istanza di sanatoria de qua con l’ordinanza n. 313, prot. n. 31229, del 20 novembre 1990 e con la nota prot. n. 32689 del 22 novembre 1999;
b) di avere ordinato la demolizione delle opere abusive (i.e. quattro villette con struttura in cemento armato) con ordinanza n. 198, prot. n. 19062, del 28 giugno 2000;
c) di avere accertato l’inottemperanza al predetto ordine di demolizione con verbale prot. n. 30848 del 5 ottobre 2000 e di avere acquisito al patrimonio dell’ente locale l’area con atto notificato il 20 febbraio 2001;
d) che le opere de quibus sono state totalmente demolite, previa notifica dell’ordinanza sindacale n. 70, prot. n. 14400, del 20 marzo 2001;
e) che con l’istanza di cui è causa parte ricorrente ha reiterato argomentazioni, già esaminate e definite, che erano state sollevate con le istanze acquisite dall’Amministrazione al prot. n. 2704 del 21 gennaio 2009 e n. 29426 del 17 giugno 2010, entrambe già successive alla demolizione delle opere di cui si chiede la sanatoria.
Pertanto, la domanda proposta, ossia la “richiesta di accertamento del silenzio inadempimento serbato dal Comune di (omissis) sulla richiesta di conclusione del procedimento di sanatoria edilizia ex lege 28 febbraio 1985 n. 47, effettuata con istanza inviata al Comune di (omissis) e al responsabile del Dipartimento di Riqualificazione Urbana in data 15 aprile 2018, relativa alla richiesta di sanatoria edilizia avviata con istanze prot. n. 9440/636S del 26 marzo 1986, e per la contestuale nomina di un Commissario ad acta che vi provveda in sostituzione del Comune”, veniva ad incidere su una situazione di fatto già consolidatasi.
Ed è salda nella giurisprudenza di questo Consiglio l’osservazione che “una volta che il manufatto originario sia stato demolito, può dirsi, ormai, venuta meno l’opera a cui si riferiva la richiesta di sanatoria (C.d.S., sez. IV, 24 dicembre 2008 n. 6550), da cui il principio per il quale l’istanza di condono deve essere esaminata solo qualora alla data di emanazione del provvedimento esista ancora l’immobile che ne è l’oggetto (C.d.S., sez. V, 27 agosto 2014, n. 4386); in altri termini, come correttamente osservato anche nella giurisprudenza di primo grado, l’immobile da condonare deve essere esistente nel momento in cui viene decisa l’istanza di condono e solo successivamente può essere demolito per essere recuperata, in diverso sedime, la volumetria condonata (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 2 novembre 2015, n. 949; cfr. anche T.A.R. Toscana, Firenze, sez. III, 14 maggio 2014, n. 799; T.A.R. Lazio, Latina, 13 dicembre 2001, n. 1168). Quanto detto è, per ovvie ragioni, valido anche con riferimento al caso in cui la sanatoria dovrebbe conseguire non per provvedimento espresso, ma per silenzio assenso” (così da ultimo, Cons. Stato, II, 30 luglio 2019, n. 5367).
Anche il fatto nuovo evidenziato, ossia il rinvenimento di “alcuni documenti datati 1993 il cui contenuto rilevava, inequivocabilmente, che a quella data il Comune di (omissis) stava ancora istruendo la pratica di condono ex art. 47/1985 protocollata nel 1986”, appare del tutto irrilevante, attesi i successivi sviluppi della questione e, soprattutto, con l’acquisizione al patrimonio dell’ente locale dell’area con atto notificato il 20 febbraio 2001.
Pertanto, correttamente il primo giudice ha ritenuto inammissibile la pretesa portata in giudizio, venendo ad incidere su una situazione consolidatasi successivamente alla pratica di condono del 1986 e comprendente anche quelle ragioni ivi proposte.
3. – Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Erroneità della motivazione in relazione alla carenza di interesse al ricorso. Violazione dell’art. 100 c.p.c. (in relazione all’art. 39 c.p.a.). Violazione dell’art. 43 della legge n. 47/1985”, viene lamentata l’erroneità della sentenza in relazione alla mancata considerazione dell’interesse al mero recupero della proprietà dell’area di sedime.
3.1. – La censura non ha pregio.
Occorre ricordare come il meccanismo acquisitivo dell’area di sedime occupata da un immobile abusivo opera ope legis, configurando un vero e proprio automatismo, legato alla natura sanzionatoria per la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione (ex multis, Cons. Stato, VI, 4 marzo 2015, n. 1064).
La stretta correlazione esistente tra i vari momenti del procedimento demolitorio rende quindi ragione dell’inesistenza di un autonomo spazio per l’impugnazione della sola acquisizione dell’area di sedime. Infatti, “il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e quello successivo di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive e dell’area di sedime sono connessi e conseguenziali all’ordine di demolizione delle opere e di ripristino dello stato primitivo dei luoghi, con la conseguenza che non sono autonomamente impugnabili e sono soggetti a caducazione automatica nel caso di annullamento della presupposta ordinanza di demolizione” (Cons. Stato, IV, 23 ottobre 2017, n. 4862; id., 7 luglio 2014 n. 3415; id., V, 10 gennaio 2007, n. 40).
Anche la seconda censura appare quindi infondata.
4. – L’appello va quindi respinto. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

1. Respinge l’appello n. 9283 del 2019;
2. Condanna Sa. s.r.l. a rifondere al Comune di (omissis) le spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro. 5.000,00 (euro cinquemila) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *