Un provvedimento abnorme del Gip

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 22 novembre 2019, n. 47572

Massima estrapolata:

È abnorme il provvedimento con cui il Gip rigetti la richiesta di incidente probatorio presentata dal pubblico ministero ex articolo 392, comma 1-bis, del codice di procedura penale, adducendo la necessità della previa escussione della persona offesa in sede di indagini.

Sentenza 22 novembre 2019, n. 47572

Data udienza 10 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA presso il Tribunale di Tivoli;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 05.07.2019 del Tribunale di Tivoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Picardi Antonietta, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato con trasmissione degli atti al Tribunale di Tivoli.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5 luglio 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli ha rigettato la richiesta di incidente probatorio avanzata dal pubblico ministero per assumere la testimonianza di (OMISSIS) (n. il (OMISSIS)), persona offesa minorenne descritta come affetta da “disturbo delle emozioni e del comportamento”, in procedimento per il reato continuato di cui all’articolo 609 quater c.p., comma 2, ipotizzato, per abuso dei poteri connessi alla qualita’, nei confronti della sua insegnante di sostegno.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica, deducendo, in via principale, l’abnormita’ del provvedimento e, in via subordinata, la sua illegittimita’, con richiesta di sollevare questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis e articolo 398 c.p.p. nella parte in cui non prevedono la ricorribilita’ per cassazione – quantomeno per violazione di legge – nel caso in cui il giudice rigetti la richiesta di incidente probatorio avanzata ai sensi dell’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, per contrasto con l’articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’obbligo internazionale assunto dall’Italia di evitare la vittimizzazione secondaria della persona offesa minorenne (ovvero maggiorenne) dei reati in essa richiamati.
Detto obbligo – rileva il ricorrente – sarebbe desumibile dagli articoli 3 e 4 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176), dagli articoli 13, 14 e 31 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007 (ratificata con L. n. 172 del 2012); dagli articoli 12, 18, 20 e 22 della Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012.
Proprio in forza dei menzionati obblighi assunti dall’Italia – osserva il ricorrente – l’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, prevede, per quanto qui interessa, che nei procedimenti per il reato di cui all’articolo 609 quater c.p. si proceda con incidente probatorio, anche al di fuori delle ipotesi di cui al comma 1 di tale disposizione, all’assunzione della testimonianza della persona offesa minorenne, essendone presunta la vulnerabilita’. In tal caso, a fronte della richiesta ritualmente avanzata dal pubblico ministero, sarebbe obbligatorio per il g.i.p. disporre l’incidente probatorio.
Nella vicenda di specie – rileva il ricorrente – a fronte di un’istanza con cui, tra l’altro, si richiedeva che l’assunzione della testimonianza avvenisse con le modalita’ protette, trattandosi di minore affetto da deficit psicologico, l’ordinanza di rigetto, da un lato, esclude il fumus del reato ipotizzato omettendo di valutare con completezza gli atti di indagine (e, in particolare, il riscontro oggettivo esterno alle dichiarazioni de relato della madre e di alcune compagne di scuola, rappresentato da una chat intercorsa tra il minore e l’indagata) e, d’altro lato, erroneamente reputa pregiudiziale all’espletamento dell’incidente probatorio l’assunzione a s.i.t. del minore.
Secondo il ricorrente, che cita un recente precedente reso da questa Corte con riguardo ad un analogo caso trattato dallo stesso ufficio g.i.p., il provvedimento impugnato – confermato senza ulteriore motivazione nonostante la successiva argomentata richiesta di revoca avanzata dal pubblico ministero in data 8 luglio 2019 – si pone al di fuori degli ordinari schemi processuali, e’ illegittimo per violazione dell’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, e comporta una sostanziale stasi del procedimento, atteso che la sua prosecuzione in assenza di incidente probatorio farebbe sorgere la responsabilita’ del pubblico ministero (e dello Stato) nel verificarsi della vittimizzazione secondaria, in violazione degli obblighi internazionali piu’ sopra richiamati. Di qui la sua abnormita’, da considerarsi anche alla luce di un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente orientata o, in via subordinata, la sua illegittimita’, da dichiararsi previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita’ costituzionale di cui sopra.
3. Con requisitoria scritta del 26 agosto 2019, il procuratore generale ha richiesto l’accoglimento del ricorso con riferimento alla principale doglianza circa l’abnormita’ del provvedimento impugnato.
4. Con memoria contenente motivi aggiunti depositata il 24 settembre 2019, il pubblico ministero ricorrente segnala che con istanza avanzata il 29 luglio 2019 si era rinnovata la richiesta di procedere ad incidente probatorio all’audizione del minore (OMISSIS), richiamandosi le argomentazioni svolte da questa Corte nella sentenza Sez. 3, n. 34091 del 16/05/2019, che aveva annullato senza rinvio, per abnormita’, il provvedimento con cui il g.i.p. del Tribunale di Tivoli, in caso analogo, aveva rigettato la richiesta di incidente probatorio avanzata per assumere la testimonianza della persona offesa, minorenne all’epoca dei fatti, del reato di violenza sessuale. Con successiva ordinanza del 5 settembre 2019, il g.i.p. aveva tuttavia nuovamente rigettato la richiesta. Il ricorrente – allegando la propria intenzione di proporre ricorso per cassazione anche avverso tale ultimo provvedimento – svolge nella memoria motivi aggiunti richiamando le argomentazioni spese nella citata sentenza di questa Corte e segnalando come le stesse si attaglino anche a sostegno della dedotta abnormita’ del provvedimento qui impugnato, essendo illegittima l’interpretazione addotta dal giudice circa la pretesa necessita’ della previa audizione a s.i.t. della persona offesa, quale presupposto dell’incidente probatorio volto all’assunzione della relativa prova testimoniale.
5. Con successiva memoria del 1 ottobre 2019, il procuratore generale ha richiamato le proprie precedenti conclusioni, ritenendo dirimenti le considerazioni svolte nella recente sentenza citata dal ricorrente nei motivi aggiunti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato, condividendo il Collegio le argomentazioni svolte nella recente decisione assunta da questa sezione con sent. n. 34091 del 16/05/2019, richiamata dal ricorrente e dal Procuratore generale, quali di seguito riprodotte con ulteriori precisazioni necessarie alla luce delle specificita’ del caso oggi sub iudice.
L’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, – disposizione introdotta nel codice di rito dalla L. 15 febbraio 1996, n. 66 (recante Norme contro la violenza sessuale), da ultimo sostituito dalla L. 1 ottobre 2012, n. 172 (rubricata Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonche’ norme di adeguamento dell’ordinamento interno) – prevede che nei procedimenti relativi a taluni gravi reati, tra cui il delitto di atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609 quater c.p., “il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi del comma 1”. La disposizione – in questa parte integrata dal Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212 (recante Attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI) – aggiunge che si procede allo stesso modo, “in ogni caso”, vale a dire, indipendentemente dal reato oggetto di indagine, all’assunzione della testimonianza della persona offesa che “versa in condizione di particolare vulnerabilita’”.
1.1. La genesi della disposizione ed il progressivo ampliamento del suo campo di applicazione in ottemperanza ad obblighi pattizi assunti dallo Stato in convenzioni internazionali, ovvero discendenti dalla necessita’ di conformarsi all’ordinamento Eurounitario, mostrano con evidenza come la ratio della previsione – che resta comunque ancorata anche ad esigenze investigative ed all’opportunita’, in reati in cui la prova a carico e’ spesso principalmente fondata sulle dichiarazioni della persona offesa, di assumerne quanto prima la testimonianza nel contraddittorio delle parti, al fine di garantirne la genuinita’ rispetto a possibili fattori di condizionamento esterni, oltre che al semplice passare del tempo – abbia indubbiamente assunto una marcata impronta di protezione della vittima di reati di violenza domestica, di condotte persecutorie, di gravi forme di aggressione della personalita’ e liberta’ che coinvolgono la sfera sessuale. La vulnerabilita’ che di regola connota la persona offesa di tali reati spesso, ma non sempre, minorenni – e, in ogni caso, la consapevolezza della sofferenza psicologica connessa alla reiterazione delle audizioni volte alla ricostruzione di fatti gravi subiti (anche da altri, nel caso di testimoni minorenni che non siano persone offese), propria di un sistema processuale fondato sulla rigida distinzione tra la fase delle indagini e quella del giudizio, hanno indotto il legislatore, nelle situazioni descritte dall’articolo 392 c.p., comma 1-bis, a derogare al principio secondo cui la prova si forma in dibattimento, nel contraddittorio delle parti ed avanti al giudice chiamato ad assumere la decisione. Nella versione vigente, cioe’, la disposizione, da leggersi in combinato disposto con l’articolo 190-bis c.p.p., comma 1-bis, mira soprattutto ad evitare il c.d. fenomeno della “vittimizzazione secondaria”, vale a dire – per usare le parole che si leggono in una recente sentenza della Corte costituzionale – quel processo che porta il testimone persona offesa “a rivivere i sentimenti di paura, di ansia e di dolore provati al momento della commissione del fatto” (Corte Cost., sent. 21/02-27/04/2018, n. 92).
1.2. L’importanza della tutela delle persone offese, in particolare dei reati suscettibili di arrecare conseguenze gravissime sul piano psicologico come la violenza sessuale ed il delitto di atti sessuali con minorenne, e’ da tempo avvertita e le riflessioni condotte in base ad un attento esame della realta’ e con il supporto delle acquisizioni scientifiche hanno indotto le organizzazioni internazionali e gli Stati a promuoverne ed implementarne i livelli di generale protezione anche all’interno del processo penale con l’adozione di atti normativi vincolanti per i paesi membri e con la stipula di apposite convenzioni internazionali.
Come si legge in una recente decisione della Sezioni unite di questa Corte, “l’interesse per la tutela della vittima costituisce da epoca risalente tratto caratteristico dell’attivita’ delle organizzazioni sovranazionali sia a carattere universale, come l’ONU, sia a carattere regionale, come il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea, e gli strumenti in tali sedi elaborati svolgono un importante ruolo di sollecitazione e cogenza nei confronti dei legislatori nazionali tenuti a darvi attuazione. I testi normativi prodotti dall’Unione Europea in materia di tutela della vittima possono essere suddivisi in due categorie: da un lato quelli che si occupano della protezione della vittima in via generale e dall’altro lato quelli che riguardano la tutela delle vittime di specifici reati particolarmente lesivi dell’integrita’ fisica e morale delle persone e che colpiscono di frequente vittime vulnerabili. Tra i primi assume un posto di assoluta rilevanza la Direttiva 2012/29 UE in materia di diritti, assistenza e protezione della vittima di reato, che ha sostituito la decisione-quadro 2001/220 GAI, costituente uno strumento di unificazione legislativa valido per tutte le vittime di reato, dotato dell’efficacia vincolante tipica di questo strumento normativo.
Ad essa e’ stata data recente attuazione nell’ordinamento interno con il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212. Tra i testi incentrati su specifiche forme di criminalita’ e correlativamente su particolari tipologie di vittime, assumono particolare rilievo la Convenzione di Lanzarote del Consiglio d’Europa del 25 ottobre 2007, sulla protezione dei minori dallo sfruttamento e dagli abusi sessuali, e la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, entrambe incentrate sulla esigenza di garantire partecipazione, assistenza, informazione e protezione a particolari categorie di vittime. Come e’ stato osservato, la Direttiva 2012/29/UE, con il suo pendant di provvedimenti-satellite (le Direttive sulla tratta di esseri umani, sulla violenza sessuale, sull’ordine di protezione penale, tra le altre) e di accordi internazionali (le Convenzioni di Lanzarote e Istanbul, in particolare), rappresenta un vero e proprio snodo per le politiche criminali, di matrice sostanziale e processuale, dei legislatori Europei” (Cass., Sez U, n. 10959 del 29/01/2016, C., Rv. 265893, in motivazione).
1.3. In tutti gli atti normativi internazionali evocati dalla decisione appena citata si afferma la necessita’ della tutela della persona offesa di reati di aggressione sessuale dalla vittimizzazione secondaria.
Solo per citare le piu’ rilevanti disposizioni in materia, con particolare riguardo a quelle attuate con il disposto di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, si consideri:
l’articolo 18 Direttiva 2012/29/UE: “fatti salvi i diritti della difesa, gli Stati membri assicurano che sussistano misure per proteggere la vittima e i suoi familiari da vittimizzazione secondaria e ripetuta”; l’articolo 20 della stessa Direttiva prevede che: “fatti salvi i diritti della difesa e nel rispetto della discrezionalita’ giudiziale, gli Stati membri provvedono a che durante le indagini penali: a) l’audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l’autorita’ competente; b) il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale”;
sempre al fine di evitare la reiterazione delle audizioni, l’articolo 24 della Direttiva aggiunge che se la vittima e’ un minore, gli Stati membri provvedono affinche’ “nell’ambito delle indagini penali tutte le audizioni del minore vittima di reato possano essere oggetto di registrazione audiovisiva e tali registrazioni possano essere utilizzate come prova nei procedimenti penali”;
sulla stessa linea, l’articolo 35 della Convenzione di Lanzarote stabilisce, con riguardo alle audizioni processuali del minore vittima di sfruttamento o abusi sessuali, che ciascuna delle Parti adotta le misure legislative o di altra natura necessarie affinche’ “il numero di audizioni sia limitato al minimo e allo stretto necessario per lo svolgimento del procedimento penale” (comma 1, lettera e) e “le audizioni della vittima o, ove necessario, di un minore testimone dei fatti, possano essere oggetto di una registrazione audiovisiva, e che tale registrazione possa essere ammessa quale mezzo di prova nel procedimento penale, conformemente alle norme previste dal proprio diritto interno” (comma 2);
– l’articolo 18 della Convenzione di Istanbul, tra gli obblighi generali a carico degli Stati pone quello di adottare “le necessarie misure legislative o di altro tipo per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza” (comma 1), “al fine di proteggere e sostenere le vittime e i testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione” (comma 2), accertandosi che le misure adottate “mirino ad evitare la vittimizzazione secondaria” (comma 3; v. anche articolo 56, comma 1, lettera a).
2. Cio’ premesso, reputa il Collegio che l’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, nel prevedere – per quanto qui interessa – che le parti possano chiedere al g.i.p. di procedere con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza della persona offesa, minorenne o maggiorenne, del reato di cui all’articolo 609 quater c.p. “anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma 1” (vale a dire quelle in cui l’immediata assunzione della prova tradizionalmente si giustifica, salvi gli ampliamenti dovuti a successive integrazioni della norma sorrette da altre ragioni, per mere ragioni di urgenza modellate sul paradigma della “testimonianza a futura memoria”), escluda qualsiasi potere discrezionale da parte del giudice circa l’opportunita’ di accogliere la richiesta. Le uniche valutazioni consentite (oltre a quella di cui piu’ oltre si dira’ e che discende dai principi generali in tema di ammissione della prova) attengono alla sussistenza dei requisiti indicati dalla disposizione, vale a dire che: l’istanza provenga da soggetto processuale legittimato (il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, ovvero la persona sottoposta alle indagini); il procedimento penda nella fase delle indagini preliminari ovvero in udienza preliminare (cfr. Corte Cost., sent. 10 marzo 1994, n. 77); si stia procedendo per il reato di cui all’articolo 609 quater c.p. (o per altro dei reati indicati dalla norma, ovvero quando la persona offesa di altro reato versi in condizioni di particolare vulnerabilita’); la testimonianza di cui si richiede l’assunzione riguardi un minore di eta’ (anche se non trattisi di persona offesa) ovvero la persona offesa maggiorenne.
La conclusione si trae, innanzitutto, dal fatto che la disposizione non prevede alcun ulteriore – differente – criterio di valutazione da parte del giudice, non potendosi giungere ad altra interpretazione sulla base dei principi generali. In particolare, una volta che, nei casi considerati, il legislatore ha inteso evitare i fenomeni di vittimizzazione secondaria ritenendo detto interesse prevalente sul principio generale secondo cui la prova si forma in dibattimento, non sarebbe ragionevole invocare quest’ultimo valore, di carattere squisitamente processuale, per sacrificare il primo, di carattere sostanziale e giudicato ex lege preminente.
In secondo luogo, la necessita’ di non conculcare la tutela dei diritti delle vittime che la disposizione all’evidenza fonda trova conforto proprio nel fatto che essa attua vincoli che lo Stato italiano e’ tenuto ad adempiere per la sua appartenenza all’Unione Europea o per aver altrimenti stipulato convenzioni internazionali e la cui mancata osservanza puo’ in quelle sedi originare responsabilita’. L’evidente rilevanza degli interessi in gioco, peraltro, non depone – in assenza di diversi indicatori normativi – per una lettura restrittiva della disposizione, poiche’, nei casi delineati, il legislatore ha modificato lo statuto della prova dichiarativa prevedendo quale ipotesi ordinaria la raccolta anticipata della testimonianza attraverso lo strumento dell’incidente probatorio. Piuttosto, residuali – e marginali – ambiti di discrezionalita’ valutativa potrebbero configurarsi, in quest’ottica, laddove l’immediata assunzione della prova contrasti con altri interessi ritenuti meritevoli di protezione dalle stesse fonti internazionali e a cui, in concreto, sia da assicurarsi la preminenza, ovvero con la stessa esigenza di ridurre al minimo il rischio di vittimizzazione secondaria. In quest’ultima prospettiva, potrebbe ad es. pensarsi alla richiesta di assunzione della prova del minore vittima di violenza sessuale che provenga dalla difesa dell’indagato ed a cui il pubblico ministero opponga un’eccezione d’irrilevanza per essere il fatto graniticamente provato sulla base di altre fonti di prova.
Le considerazioni che precedono non possono essere inficiate dalla formalistica interpretazione letterale che dell’articolo 392 c.p.p. potrebbe farsi sul rilievo per cui la disposizione non prevede espressamente un obbligo del giudice di “disporre” l’incidente probatorio nei casi ivi disciplinati, ma una semplice facolta’ di “richiesta” da parte dei soggetti processuali indicati, laddove l’articolo 398 c.p.p., comma 1, si limita a stabilire che “il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di incidente probatorio”. La formulazione letterale della prima norma, di fatti, si spiega perche’ essa disciplina una particolare ipotesi di richiesta di ammissione di prove e, dunque, si conforma al lessico di regola seguito da consimili disposizioni, le quali evidenziano il diritto potestativo delle parti processuali (cfr. articoli 190 e 190 bis c.p.p., articolo 438 c.p.p., comma 5 e articoli 493 e 603 c.p.p.) e, se del caso, delineano espressamente i poteri di valutazione attribuiti al giudice. Ove nulla sia specificamente previsto – come accade nel caso dell’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis e dell’articolo 398 c.p.p., comma 1, – vale il principio generale, sul quale e’ fondato l’ordinamento processuale, giusta il quale, a fronte del diritto alla prova a richiesta di parte, fatta salva l’assenza delle condizioni previste dalla disciplina che consente il ricorso allo strumento anticipato di assunzione, si prevede l’obbligo di ammissione da parte del giudice, cui compete soltanto la possibilita’ di escludere “le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti” (articolo 190 c.p.p., comma 1). Questa valutazione e’ certamente consentita anche nei casi previsti dall’articolo 392 c.p.p., ma e’ d’immediata evidenza che essa, in concreto, ha un pressoche’ nullo campo di applicazione laddove sia richiesta l’assunzione della testimonianza di chi sia stato vittima di reati sessuali, soprattutto se l’istanza provenga dalla parte che ha interesse all’assunzione della prova a carico (si e’ detto supra di un ipotetico caso d’irrilevanza che, per la natura del reato e le condizioni in cui lo stesso di regola si verifica, certo non appare di agevole verificazione).
3. Analizzando, sulla base degli esposti principi, le doglianze avanzate in ricorso le stesse si prospettano decisamente fondate, sia quanto all’illegittimita’ del diniego opposto dal g.i.p. alla richiesta di assunzione della prova, sia quanto alla natura abnorme di tale decisione, che la rende pertanto ricorribile per cassazione e suscettibile di declaratoria d’annullamento.
Quanto al primo profilo, la richiesta d’incidente probatorio avanzata dal pubblico ministero ai sensi dell’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, riguardava l’assunzione della testimonianza di un minore diciassetterine affetto da deficit psicologico descritto come “disturbo delle emozioni e del comportamento” – da effettuarsi con le modalita’ protette di cui all’articolo 398 c.p.p., comma 5 bis – in relazione alla descritta ipotesi di indagine per la reiterata commissione in suo danno del delitto di cui all’articolo 609 quater c.p., comma 2, da parte della sua insegnante di sostegno, atti commessi con abuso di tale qualita’ e consistiti – precisa la provvisoria imputazione – in rapporti orali ed in un rapporto completo consumato presso l’abitazione dell’insegnante. Il g.i.p. ha respinto l’istanza ritenendo, da un lato, “insussistenti elementi di indagini atti a fondare la fattispecie di reato ipotizzata a carico dell’indagata, ne’ tanto meno le condotte di abuso dei poteri connessi alla posizione di insegnante di sostegno del minore/persona offesa…tenendo conto che (OMISSIS), diciassettenne affetto da mero disturbo dell’apprendimento (DSA), non e’ mai stato sentito in merito ai fatti sui quali vi sono solo dichiarazioni de relato della madre e delle compagne di scuola”; d’altro lato, conseguentemente, che, non essendo il medesimo mai stato escusso a s.i.t., fosse pregiudiziale l’assunzione di informazioni da parte della persona offesa “per consentire alle parti, durante l’audizione protetta, di procedere alle contestazioni, meccanismo…necessario al fine di fornire al Giudice elementi di attendibilita’ della persona esaminata”. In mancanza di tale previo atto di indagine – prosegue l’ordinanza – “l’incidente probatorio, da mezzo di acquisizione anticipata di una prova nel contraddittorio fra le parti ai fini della conferma degli elementi di prova gia’ in qualche modo raccolti, diventerebbe atto di indagine estremamente penalizzante per l’indagato che, all’esordio delle indagini, e senza che sia stato effettuato dal PM un esame della p.o., puo’ vedere acquisite delle dichiarazioni con valenza probatoria, senza possibilita’ di poter effettuare contestazioni con dichiarazioni precedenti”.
4. Cio’ precisato, reputa il Collegio che il giudice abbia esercitato un potere astrattamente previsto dalla disciplina processuale – posto che, come gia’ si e’ ricordato, l’articolo 398 c.p.p., comma 1, prevede che sulla richiesta di incidente probatorio “il giudice pronuncia ordinanza con la quale accoglie, dichiara inammissibile o rigetta” l’istanza – ma lo abbia fatto al di la’ di qualsiasi ragionevole limite. Ed invero – in disparte il rilievo, in alcun modo chiarito, circa la rilevanza ai fini della decisione dell’assenza di un quadro investigativo atto “a fondare la fattispecie di reato” – si e’ trattato di un rigetto arbitrario perche’ sostanzialmente fondato su un presupposto giuridico, la previa audizione a s.i.t. del dichiarante, insussistente ed apoditticamente affermato senza peraltro indicare la fonte normativa del supposto obbligo. Questo presupposto – che non risulta essere mai stato affermato dalla giurisprudenza – non e’ rinvenibile ne’ nella disciplina dell’incidente probatorio, ne’ in quella dell’assunzione della prova nella sede dibattimentale, e non puo’ in alcun modo ricavarsi dall’interpretazione sistematica, conducendo questa, semmai, proprio alla contraria conclusione..
4.1. In via generale, le attivita’ di acquisizione degli elementi di prova finalizzate all’esercizio dell’azione penale rientrano nella discrezionale sfera di valutazione del pubblico ministero (cfr. articoli 326 e 327 c.p.p.), che e’ l’unico dominus del procedimento nella fase delle indagini preliminari (Sez. 2, n. 3513 del 22/05/1997, Acampora, Rv. 208070), mentre il difensore ha facolta’ di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito nelle forme e per le finalita’ previste dalla legge (articolo 327 bis c.p.p.). Proprio l’articolo 391 bis c.p.p., comma 11, nel prevedere che il difensore, in alternativa all’audizione nelle forme previste dal precedente comma, puo’ richiedere l’incidente probatorio, anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 392, comma 1, per assumere la testimonianza della persona che ha rifiutato di rendere a lui informazioni avvalendosi della facolta’ di cui all’articolo 391 bis, comma 3, lettera d), conferma (se mai ve ne fosse bisogno) che la previa audizione a s.i.t. non e’ presupposto dell’assunzione della prova testimoniale con incidente probatorio ma, semmai, e’ modalita’ di acquisizione delle dichiarazioni ad essa alternativa quando ricorrano le condizioni per poter procedere nella forma che maggiormente garantisce la tutela del contraddittorio.
Analoghe conclusioni valgono dunque anche per il pubblico ministero.
Del resto, nella discrezionalita’ riservatagli dalla legge in ordine alla conduzione delle indagini, detto organo ben puo’ scegliere, in via generale, se – e da chi assumere sommarie informazioni testimoniali, cosi’ come il difensore e’ libero di ricevere dichiarazioni o assumere informazioni a norma dell’articolo 391 bis c.p.p., senza che cio’ ovviamente pregiudichi il loro diritto all’assunzione della prova testimoniale in sede di giudizio, ovvero, laddove ne ricorrano le condizioni, di promuoverne l’acquisizione con l’incidente probatorio.
4.2. Contrariamente a quanto sembra evocare l’ordinanza impugnata, sul punto si registra un’assoluta parita’ delle armi ed e’ all’evidenza errato affermare che l’assunzione delle dichiarazioni con lo strumento che maggiormente assicura il rispetto del contraddittorio e, dunque, la genuinita’ dell’acquisizione della prova, possa pregiudicare i diritti dell’indagato, essendo semmai vero il contrario. Sulla scorta delle indicazioni ricavabili da alcuni dei testi normativi sovranazionali gia’ ricordati – ed in accordo, peraltro, con l’unanime letteratura scientifica – in tema di assunzione della testimonianza del minore vittima di reati sessuali, questa Corte ha infatti ripetutamente avvertito circa l’opportunita’ di evitare che, nel lasso temporale che precede la “cristallizzazione” del ricordo coincidente con l’esame, si inseriscano fattori esterni idonei a creare suggestioni e a condurre ad un’alterazione delle corrette percezioni mnemoniche (cfr. Sez. 3, n. 30865 del 14/05/2015, M.), tanto che la valutazione sull’attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalla vittima deve tenere conto di tutte le circostanze concretamene idonee ad influire su tale giudizio, ivi inclusa la verifica sull’incidenza di plurime audizioni della persona offesa in punto di usura della fonte dichiarativa (Sez. 3, n. 46592 del 02/03/2017, G., Rv. 271064).
4.3. Quanto al rilievo, contenuto nell’ordinanza impugnata, circa il fatto che “la mancata audizione del minore appare, altresi’, pregiudiziale alla eventuale celebrazione dell’incidente probatorio cui, non a caso, segue la discovery delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dalla persona da esaminare”, la previsione implicitamente evocata – da individuarsi nell’articolo 398 c.p.p., comma 3, – non postula la necessita’ di una previa acquisizione di dichiarazioni, ma e’ da intendersi finalizzata alla tutela del diritto di difesa finalizzata al controesame allorquando il dichiarante sia stato eventualmente in precedenza escusso.
La stessa facolta’ di muovere contestazioni al testimone sulla base delle dichiarazioni precedentemente rese, quale disciplinata dall’articolo 500 c.p.p., si ricollega alla mera eventualita’ che tali dichiarazioni esistano e non fonda invece un diritto assoluto a disporre delle stesse in capo a chi proceda al controesame, come sembra invece ritenere l’ordinanza impugnata. In quest’ottica, del resto, si e’ sempre mossa la giurisprudenza di questa Corte allorquando ha avuto occasione di affrontare il tema, ad es. precisando che e’ illegittima, perche’ impedisce alla difesa dell’imputato la possibilita’ di condurre a pieno il controesame, la mancata inclusione nel fascicolo del pubblico ministero delle sommarie informazioni testimoniali rese dall’unico teste d’accusa (Sez. 3, n. 16850 del 24/02/2010, Grassigli, Rv. 246979, relativa a fattispecie in cui le s.i.t. erano state acquisite, senza che il relativo verbale fosse stato reso noto alla difesa dell’imputato mediante l’inserimento nel fascicolo del pubblico ministero).
4.4. Con particolare riguardo alla prova testimoniale oggetto di disciplina nell’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, va inoltre osservato che esigere la previa acquisizione di sommarie informazioni testimoniali dalle persone ivi indicate equivarrebbe a frustrare la chiara ratio di impedimento della “vittimizzazione secondaria” piu’ sopra delineata. La necessita’ di evitare tale conseguenza – si ripete, richiesta dalle disposizioni sovranazionali gia’ richiamate – e’ stata peraltro tenuta in considerazione anche dalla norma, recentemente introdotta nel codice di rito dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 (c.d. “codice rosso”, recante misure di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), che, con riguardo ai reati di aggressione sessuale e ad altre ipotesi delittuose per lo piu’ legate a degenerazioni delle relazioni familiari o di convivenza, ha introdotto nel corpo dell’articolo 362 c.p.p., nuovo comma 1-ter, prevedendo che in tali casi “il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela, istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”.
Trattandosi di disposizione acceleratoria dettata – essa pure – all’esclusivo scopo di apprestare un’accentuata tutela della vittima dei reati richiamati, al precipuo scopo di evitare stasi procedimentali e consentire l’immediata adozione delle cautele eventualmente necessarie ad evitare la protrazione della situazione illecita in atto, la reiterazione del reato o la commissione di illeciti piu’ gravi nel quadro quell’escalation che spesso caratterizza queste forme di devianza, laddove l’obiettivo possa essere altrimenti soddisfatto senza necessita’ di sottoporre la vittima a plurime audizioni, la disposizione, prendendo in particolare in esame la situazione di soggetti minorenni, consente al pubblico ministero di non procedere immediatamente all’assunzione delle informazioni da parte della persona offesa. Trattandosi, peraltro, di norma anch’essa riconducibile agli atti normativi sovranazionali piu’ sopra citati, l’applicazione dell’articolo 362 c.p.p., comma 1-ter, andra’ dunque contemperata con la previsione contenuta nell’articolo 392, comma 1-bis, del codice, essendosi gia’ ricordato come l’articolo 20 della Direttiva 2012/29/UE preveda, da un lato, che l’audizione della vittima si svolga senza indebito ritardo dopo la presentazione della denuncia relativa a un reato presso l’autorita’ competente; d’altro lato, che il numero delle audizioni della vittima sia limitato al minimo e le audizioni abbiano luogo solo se strettamente necessarie ai fini dell’indagine penale.
4.5. Cosi’ delineati i presupposti di applicazione dell’incidente probatorio nei casi in esame e la responsabilita’ affidata al magistrato del pubblico ministero nell’individuazione delle opzioni investigative che, a seconda della peculiarita’ della vicenda, meglio rispondono alla finalita’ di tutela delle persone offese secondo le chiare linee-guida ricavabili dalle fonte sovranazionali, deve dunque escludersi, al proposito, la sussistenza di un potere valutativo del g.i.p. che, apertamente violando i limiti segnati dalla disciplina processuale, ne impedisca l’attuazione.
5. Cio’ premesso, reputa il Collegio di non poter seguire nella vicenda de qua il risalente orientamento – fondato sul principio di tassativita’ delle impugnazioni (articolo 568 c.p.p., comma 1) – secondo cui e’ inammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari accoglie, rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di incidente probatorio (da ultimo, v. Sez. 5, n. 49030 del 17/07/2017, Palmeri e aa., Rv. 271776; Sez. 1, n. 37212 del 28/04/2014, Liuzzi e aa., Rv. 260590; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama e aa., Rv. 256573; Sez. 4, Sentenza n. 42520, Antonelli e aa., del 07/10/2009, Rv. 245780).
Questo principio – che il Collegio condivide, laddove il giudice si limiti ad esercitare il potere attribuitogli dalla legge, magari anche in modo non corretto, ma senza esorbitare dagli astratti limiti previsti e che e’ stato di regola affermato a fronte delle valutazioni di ipotesi riconducibili alla richiesta di incidente probatorio avanzata ai sensi dell’articolo 392 c.p.p., comma 1, spesso, peraltro, in casi in cui la stessa era stata accolta – non si attaglia al caso di specie.
Il Collegio non ignora che tale orientamento e’ stato in passato richiamato in relazione ad una vicenda analoga a quella qui in esame, essendosi affermato che l’ordinanza di rigetto della richiesta di incidente probatorio e’ inoppugnabile anche ne(caso in cui abbia riguardo alle ipotesi di cui all’articolo 392 c.p.p., comma 1 bis, (Sez. 3, ord. n. 21930 del 13/03/2013, Bertolini, Rv. 255483), ma reputa di non dover dare continuita’, nella sua assolutezza, a questo piu’ risalente indirizzo, dovendosi invece seguire il piu’ recente orientamento espresso nella sent. 34091/2019, richiamata dal ricorrente nei motivi aggiunti e dal Procuratore generale nella sua seconda memoria.
La conclusione poggia innanzitutto sulla considerazione del sempre maggior rilievo che negli ultimi anni – si consideri, di recente, proprio la gia’ citata L. n. 69 del 2019 – ha assunto la necessita’ di tutelare le vittime di reati sessuali (tanto piu’ se minorenni all’epoca del fatto), degli altri reati indicati dall’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, e, comunque, delle vittime vulnerabili, anche alla luce degli obblighi internazionali che gravano sullo Stato quali piu’ sopra richiamati.
In secondo luogo – e soprattutto – la ricorribilita’ per cassazione va affermata con riguardo alla singolarita’ del provvedimento nella specie adottato, che, come accennato, si configura come strutturalmente abnorme per il suo contenuto proprio perche’ fondato su un presupposto arbitrario affermato in insanabile contrasto con la ratio della previsione contenuta nell’articolo 392 c.p.p., comma 1-bis, quale piu’ sopra ricostruita alla luce delle disposizioni sovranazionali che hanno imposto l’adozione, le quali, come si e’ posto in luce, intendono espressamente evitare proprio cio’ che, secondo il provvedimento impugnato, si dovrebbe invece fare, vale a dire una plurima audizione delle vittime vulnerabili, neppure richiesta dalla nuova previsione di cui all’articolo 362 c.p.p., comma 1-ter, – peraltro non applicabile ratione temporis per non essere ancora vigente al momento dell’adozione del provvedimento – stante la contraria esigenza di tutela di persona minore degli anni diciotto.
5.1. Il provvedimento impugnato e’ dunque da ritenersi reso al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la’ di ogni ragionevole limite, e quindi affetto da c.d. abnormita’ strutturale, secondo il consolidato orientamento (cfr. Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella).
Richiamando la motivazione di una (di poco) successiva sentenza delle Sezioni unite, va rilevato che “provvedimento abnorme e’ quello che presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo processuale. La categoria dell’abnormita’ e’ stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in stretto collegamento con il tema della tassativita’, che, come e’ noto, pervade il regime delle impugnazioni, in genere, e del ricorso per cassazione in specie. Rimedio, quest’ultimo, che, significativamente, racchiude in se’ l’esigenza di approntare uno strumento eventualmente alternativo e residuale rispetto a tutti gli altri rimedi – che assicuri il controllo sulla legalita’ del procedere della giurisdizione.
L’abnormita’, quindi, piu’ che rappresentare un vizio dell’atto in se’, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra – sempre e comunque – uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde piu’ al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di la’ del perimetro entro il quale e’ riconosciuta dall’ordinamento. Tanto che si tratti di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli positivamente disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, cio’ che segnala la relativa abnormita’ e’ proprio l’esistenza o meno del “potere” di adottarlo. In questa prospettiva, dunque, abnormita’ strutturale e funzionale si saldano all’interno di un “fenomeno” unitario. Se all’autorita’ giudiziaria puo’ riconoscersi l'”attribuzione” circa l’adottabilita’ di un determinato provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatto che da essi derivino effetti regressivi del processo. Ove, invece, sia proprio l'”attribuzione” a far difetto – e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale – la conseguenza non potra’ essere altra che quella dell’abnormita’, cui consegue l’esigenza di rimozione” (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., in motivazione).
La decisione prosegue osservando che “le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in particolare, hanno tracciato le caratteristiche della categoria dell’abnormita’ (S.U. 18-6-1993, P.M. in proc. Garonzi; S.0 24-3-1995, P.M. in proc. Cirulli; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Balzan; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Quarantelli; S.U. 10-12-1997, Di Battista; S.U. 24-11-1999, Magnani; S.U. 2411-1999 confl. giur. in proc. Di Dona; S.U. 22- 11- 2.000, P.M. in proc. Boniotti; S.U. 31-1-2001, P.M. in proc. Romano; S.U. 11-7-2001, P.G. in proc. Chirico; S.U. 29-5-2002, Manca; S. U. 25-2-2004, P.M. in proc. Lustri). Al riguardo, si e’ affermato che e’ affetto da vizio di abnormita’, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarita’ e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la’ di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si e’ detto che l’abnormita’ puo’ discendere da ragioni di struttura allorche’ l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, ovvero puo’ riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilita’ di proseguirlo” (Sez. U, n. 25957 del 26/03/2009, Toni e a., in motivazione).
Quest’orientamento – anche di recente ribadito dalle Sezioni unite – ha portato all’ulteriore affermazione secondo cui la categoria dell’abnormita’ cosi’ elaborata e’ “riferibile alle sole situazioni in cui l’ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti” (Sez. U, n. 20569 del 18/01/2018, Ksouri).
5.2. Proprio quest’ultimo aspetto viene nella specie in considerazione.
Ed invero, laddove, come nella specie, non si rimuovesse l’ordinanza con cui il g.i.p. ha arbitrariamente negato l’incidente probatorio dal pubblico ministero richiesto in un caso disciplinato dalla legge, pur non essendo ovviamente precluso il prosieguo del procedimento – ne’ conculcati il dovere di svolgere le indagini (essendo possibile l’acquisizione di s.i.t. dalla persona offesa) ed il diritto all’assunzione della prova testimoniale nel corso del giudizio – l’alternativa procedimentale determinerebbe quella vittimizzazione secondaria della persona offesa che lo Stato si e’ impegnato ad evitare, cosi’, da un lato, recando pregiudizio insanabile alla vittima vulnerabile, e, d’altro lato, esponendo lo Stato a possibile responsabilita’ per la violazione di norme internazionali pattizie e dell’Unione Europea.
In conformita’ alle richieste avanzate dal procuratore generale, l’ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al g.i.p. del Tribunale di Tivoli per l’ulteriore corso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli per l’ulteriore corso.
Dispone, a norma dell’articolo 52 del Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003 n. 196, che – a tutela dei diritti o della dignita’ degli interessati – sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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