Quando un atto deve essere considerato meramente confermativo

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 24 giugno 2020, n. 4054.

La massima estrapolata:

Un atto deve essere considerato meramente confermativo se si limita semplicemente a dichiarare l’esistenza di un precedente provvedimento senza alcuna nuova istruttoria, né rivalutazione degli interessi, né tanto meno una nuova motivazione. Al contrario, non ricorre un atto di sola conferma quando si procede a riesame della precedente decisione, valutando nuovamente gli elementi di fatto acquisiti, ovvero addirittura acquisendone di nuovi, nonché ponderando una seconda volta gli interessi coinvolti.

Sentenza 24 giugno 2020, n. 4054

Data udienza 16 giugno 2020

Tag – parola chiave: Insegna pubblicitaria – Installazione – Autorizzazione – Atto meramente confermativo e di conferma – Differenze – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3998 del 2011, proposto dalla
società Al. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cl. Ch., Ca. Bo., con domicilio eletto presso l’avv. Claudio Chiola in Roma, via (…);
contro
Comune di Padova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Mi., Ma. Lo., Pa. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Li. Lo. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza n. 5487/2010, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento del Comune di Padova del 28 ottobre 1999 di diniego della autorizzazione per l’installazione di una insegna pubblicitaria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Padova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza telematica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il Cons. Cecilia Altavista;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società Alì S.p.a. presentava il 14 maggio 1998 una istanza per la installazione di un insegna pubblicitaria (cd. totem) della propria azienda. Il Comune di Padova, con provvedimento del 4 agosto 1998, negava l’autorizzazione per la violazione degli artt. 4 e 13 del Regolamento comunale, trattandosi di un’insegna di dimensioni superiori a 2 metri quadri e posta distanza inferiore a 25 metri dalla intersezione stradale. Tale provvedimento non veniva impugnato.
Successivamente nel sopralluogo del 29 marzo 1999 la Polizia municipale rilevava l’avvenuta installazione della insegna.
Il 4 agosto 1999 la società presentava una nuova istanza respinta con provvedimento del 28 ottobre 1999 sulla base del parere negativo della Polizia municipale per il contrasto con l’art. 23 del codice della strada.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Veneto formulando motivi di difetto di motivazione e difetto di istruttoria, in quanto il provvedimento conteneva solo il richiamo al parere negativo della Polizia municipale e alle previsioni dell’art. 23 del codice della strada, senza esplicitare le ragioni di contrasto con tale disposizione; è stata poi contestata la sussistenza del contrasto con la norma del codice della strada, trattandosi di un “totem” e non di un cartello pubblicitario, privo quindi di qualsiasi possibilità di confusione con i cartelli stradali.
La sentenza di primo grado ha ritenuto il provvedimento del 28 ottobre 1999 non meramente confermativo del precedente e ha respinto il ricorso, ritenendo sussistente la violazione dell’art. 23 del codice della strada, richiamando, peraltro, anche la motivazione posta a base del provvedimento del 4 agosto 1998 inoppugnato ovvero le violazioni del Regolamento comunale.
Con i motivi di appello si è dedotta in primo luogo l’erroneità della sentenza appellata, in quanto avrebbe richiamato anche la motivazione del primo provvedimento di diniego, non oggetto del giudizio di primo grado, mentre tale provvedimento era stato del tutto superato dalla motivazione del secondo diniego a seguito di una nuova istruttoria comunale; sono state, poi, riproposte le censure del ricorso di primo grado di difetto di istruttoria e di motivazione, in relazione alla specificità dell’impianto (totem), differente dagli altri cartelli stradali e non fonte di possibile confusione per i conducenti.
La parte appellante ha depositato in giudizio una perizia tecnica di parte relativa alla collocazione dell’impianto per cui è causa, con un giudizio conclusivo nel senso di non confusione con altri cartelli stradali.
Il Comune di Padova si è costituito in giudizio con atto di stile il 10 giugno 2011; con la memoria depositata per l’udienza pubblica, ha riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, già proposta in prime cure, in relazione alla mancata impugnazione del provvedimento di diniego del 4 agosto 1998; ha, poi, contestato la fondatezza dell’appello e eccepito l’inammissibilità del deposito nel presente giudizio di appello di una perizia tecnica di parte.
Nella memoria la difesa appellante ha dedotto che il Comune avrebbe dovuto proporre appello incidentale per riproporre l’eccezione relativa alla inammissibilità del ricorso di primo grado per la natura confermativa del secondo diniego, trattandosi di questione espressamente respinta dal giudice di primo grado; nel merito che il “totem” costituisce una insegna di esercizio dell’azienda, collocata, inoltre, all’interno del perimetro della stessa, e non un impianto pubblicitario posto sulla strada con esclusione quindi di ogni possibilità di confusione per i conducenti.
Entrambe le parti hanno presentato memorie di replica insistendo nelle proprie argomentazioni difensive. La difesa appellante ha, altresì, depositato note difensive per l’udienza pubblica ribadendo le precedenti argomentazioni.
All’udienza telematica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il giudizio è stato trattenuto in decisione

DIRITTO

In via preliminare si deve rilevare che la sentenza di primo grado ha espressamente escluso la natura di atto confermativo del primo provvedimento di diniego “in ragione della nuova motivazione adottata”; ne deriva che, come affermato dalla difesa appellante, il Comune avrebbe dovuto sul punto proporre appello incidentale.
Ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a., infatti, solo le eccezioni assorbite e non esaminate possono essere riproposte con memoria nel termine per la costituzione in giudizio.
In ogni caso, la eccezione di inammissibilità proposta in primo grado, era anche infondata.
E’, infatti, evidente sia dalla presentazione di una nuova istanza il 4 marzo 1999 che dalla motivazione del provvedimento impugnato – differente da quella del provvedimento del 4 agosto 1998 – che il diniego del 28 ottobre 1999 non possa essere considerato atto meramente confermativo del precedente. Anche il richiamo al parere negativo della Polizia municipale, posto a base della motivazione del provvedimento, comporta, infatti, che tale provvedimento sia stato preceduto da una nuova istruttoria con la conseguente autonoma impugnabilità .
Per giurisprudenza costante un atto deve essere considerato meramente confermativo se si limita semplicemente a dichiarare l’esistenza di un precedente provvedimento senza alcuna nuova istruttoria, né rivalutazione degli interessi, né tanto meno una nuova motivazione. Al contrario, non ricorre un atto di sola conferma quando si procede a riesame della precedente decisione, valutando nuovamente gli elementi di fatto acquisiti, ovvero addirittura acquisendone di nuovi, nonché ponderando una seconda volta gli interessi coinvolti (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 9 giugno 2020, n. 3673; Sez. III, 8 giugno 2018, n. 3493; Sez. IV, 9 febbraio 2018, n. 839; Sez. V, 15 giugno 2018, n. 2712; Sez. IV, 21 febbraio 2019, n. 1201; id., 12 settembre 2018, n. 5341).
L’appello è comunque infondato.
Con il primo motivo si è sostenuta l’erroneità della sentenza di primo grado, in quanto avrebbe fatto riferimento anche alla motivazione del provvedimento del 4 agosto 1998 ormai superato dal successivo provvedimento adottato sulla base di una differente motivazione.
Tale motivo è infondato.
Infatti, il giudice di primo grado, pur avendo fatto riferimento nella prima parte della motivazione della sentenza alla posizione complessivamente esposta dalla Amministrazione comunale anche nel primo diniego ovvero alla violazione del regolamento comunale, ha comunque poi esaminato autonomamente la motivazione del secondo diniego, ritenendola idonea e sufficiente a sorreggere il provvedimento di diniego.
Ad avviso del Collegio la prima parte della motivazione della sentenza, che ha richiamato anche i presupposti motivazionali del primo provvedimento, non influisce sulla correttezza della seconda parte, che ha comunque autonomamente esaminato il secondo diniego ritenendolo legittimo, in relazione alla violazione dell’art. 23 del codice della strada, escludendo quindi i vizi di difetto di istruttoria e di motivazione lamentati dalla parte ricorrente.
Ne deriva che la sentenza deve essere sotto tale profilo confermata con l’infondatezza altresì del secondo motivo d’appello con il quale sono stati riproposti i motivi di difetto di istruttoria e di motivazione del ricorso di primo grado.
Il diniego del 28 ottobre 1999 impugnato in primo grado è basato sul richiamo al parere della Polizia municipale che si è espresso in senso negativo all’autorizzazione, in quanto l’impianto era in contrasto con l’art. 23 del codice della strada.
Tale motivazione si deve ritenere sufficiente in relazione all’evidente contrasto della installazione pubblicitaria con le disposizioni dell’art. 23 del codice della strada.
Ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, nel testo vigente al momento di adozione dell’atto impugnato, “lungo le strade o in vista di esse è vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero possono renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilità o l’efficacia, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione”.
Tale disposizione del codice della strada viene ricondotta dalla giurisprudenza alla volontà del legislatore “di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell’attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall’unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo” (Cons. Stato Sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6044).
Infatti, la disciplina relativa alla collocazione della segnaletica stradale è diretta a tutelare un valore di primaria importanza quale l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione veicolare anche per la tutela della pubblica incolumità e comporta scelte di merito riservate all’amministrazione competente in funzione della tutela di tale interesse generale (cfr. Cass. civ. Sez. II, 26 luglio 2017, n. 18565), con la conseguenza che l’impatto visivo e le potenzialità di disturbo delle insegne, in considerazione delle loro caratteristiche (dimensioni, luminosità, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e della correlazione con il luogo e le eventuali installazioni contigue (centro abitato, periferia dello stesso, suburbio, insegne viciniori od assenza di esse, ecc.) devono essere previamente valutate dall’ente proprietario della strada o dal Comune, onde adempiere alla funzione loro demandata della tutela della sicurezza della circolazione (Cass. civ. Sez. II, 7 novembre 2017, n. 26346); inoltre la valutazione in ordine alla pericolosità per la circolazione stradale è basato su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione (Cons. Stato Sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6044).
Ciò comporta anche l’infungibilità del giudizio tecnico- discrezionale espresso dall’Amministrazione preposta alle valutazioni sulla sicurezza stradale con altre valutazioni tecniche, quale quella proposta con la perizia di parte, anche a prescindere dalla tardività del suo deposito nel presente giudizio di appello. Infatti, in caso di discrezionalità tecnica si può ricorrere ad un giudizio di un tecnico nella forma della consulenza tecnica o della verificazione ma solo al fine di sindacare il corretto esercizio di tale discrezionalità – che, peraltro, nel caso di specie non presenta profili di manifesta illogicità – ma non sostituire integralmente il giudizio espresso dall’Amministrazione con altro giudizio (cfr. Consiglio di Stato Sez. VI, 30 maggio 2018, n. 3245; Sez. VI, 4 settembre 2014 n. 4505).
Risulta dalla stessa perizia di parte depositata nel presente giudizio e dalle foto a questa allegate, che l’impianto (totem) per le sue dimensioni e per la sua collocazione a ridosso della strada e della intersezione stradale, in prossimità di una attraversamento ferroviario e della relativa segnaletica, costituisce una fonte di distrazione e disturbo per gli utenti della strada con pericolo della circolazione, rientrando esattamente nelle indicazioni dell’art. 23 del codice della strada.
In relazioni alle specifiche circostanze di fatto, accertate nel corso dei sopralluoghi della Polizia municipale, essendo stata già installata l’insegna, pur in assenza della prescritta autorizzazione, è evidente che, nel caso di specie, anche il solo richiamo alle previsioni ostative di tale disposizione era idoneo ad esplicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del provvedimento, richiesti dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241, per la idoneità della motivazione a sostenere l’atto amministrativo.
Quanto al difetto di istruttoria, si deve, altresì, rilevare che il provvedimento di diniego era stato preceduto da vari sopralluoghi della Polizia municipale, che avevano verificato le dimensioni e la collocazione della insegna, tra cui anche quello del 29 marzo 1999, in cui era stata anche rilevata l’avvenuta installazione della stessa in difetto della autorizzazione, circostanza provata del resto anche dalle foto allegate alla perizia depositata in giudizio dalla parte appellante.
Rispetto alle caratteristiche dimensionali e di impatto visivo, anche luminoso, della insegna in concreto collocata neppure può rilevare la circostanza, dedotta dalla difesa appellante nella memoria, che si tratti di insegna di esercizio dell’azienda, essendo anche tali insegne comunque soggette alle prescrizioni generali dell’art. 23 comma 1 del codice della strada – nonché alla disciplina specifica dell’art. 51 del regolamento di esecuzione, D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 – e al conseguente regime autorizzatorio (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 29 novembre 2012, n. 6044 sopra citata, per cui anche l’installazione delle insegne di esercizio è soggetta ad autorizzazione, che può essere negata quando “a giudizio dell’ente gestore della strada l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente pericolo per la circolazione).
In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto con reiezione del ricorso di primo grado.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 2000,00 oltre accessori di legge, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto respinge il ricorso di primo grado.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Padova, liquidate in euro 2000,00 (duemila,00) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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