L’uccisione e la presunzione della sofferenza morale dei congiunti

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|25 maggio 2021| n. 14422.

L’uccisione e la presunzione della sofferenza morale dei congiunti

L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima; è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo.

Ordinanza|25 maggio 2021| n. 14422. L’uccisione e la presunzione della sofferenza morale dei congiunti

Data udienza 12 gennaio 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilità cose in custodia – Danno non patrimoniale – Danno da morte del congiunto – Sofferenza morale – Onere della prova – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 10211-2019 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);
– controricor renti –
avverso la sentenza n. 2610/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 31/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio non partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO GABRIELE.

L’uccisione e la presunzione della sofferenza morale dei congiunti

RILEVATO

che:
con atto di citazione del 13 marzo 2011, (OMISSIS) e (OMISSIS) evocavano in giudizio (OMISSIS), davanti al Tribunale di Marsala, al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita del figlio. Deducevano che, il giorno 31 luglio 2005, alle 22:40, mentre si trovavano con il figlio minore (OMISSIS) all’interno del locale ” (OMISSIS)”, di proprieta’ della convenuta, una statua di legno alta circa 1,7 mt e pesante 60 kg, era rovinata contro il piccolo (OMISSIS) il quale, a seguito di cio’, aveva perso la vita. In conseguenza dell’evento si era instaurato un procedimento penale a carico della (OMISSIS), conclusosi con sentenza di patteggiamento del 31 maggio 2006;
si costituiva (OMISSIS) nel giudizio civile di danni contestando la dinamica e il Tribunale di Marsala, con sentenza del 14 marzo 2014, accoglieva la domanda, con condanna della convenuta al risarcimento dei danni e delle spese di lite;
avverso tale decisione (OMISSIS) proponeva appello con atto di citazione notificato il 23 maggio 2014 e si costituivano (OMISSIS) e (OMISSIS) chiedendo il rigetto del gravame;
la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 31 dicembre 2018, rigettava l’impugnazione, provvedendo sulle spese processuali;
avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidandosi a due motivi. Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).

CONSIDERATO

che:
con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 4 e 5, la violazione dell’articolo 2051 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la statua avrebbe avuto piena efficienza causale nella determinazione dell’evento delittuoso, oltre che contraddittorieta’ della motivazione, violazione dell’articolo 2697 c.c.; erronea interpretazione dei mezzi di prova ed erronea graduazione della responsabilita’ nel verificarsi dell’evento in violazione degli articoli 2048 e 1226 c.c. Secondo la ricorrente non ricorrerebbe alcun collegamento eziologico tra l’evento mortale e il bene in custodia. Incombeva sul danneggiato la prova del rapporto eziologico con il manufatto e le risultanze processuali avrebbero dimostrato che il piccolo (OMISSIS) aveva posto in essere una condotta imprevedibile, arrampicandosi o, comunque, sollecitando la statua in legno e facendola cadere;
con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, dell’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 1226 c.c., l’erroneita’ della decisione nella parte in cui ha ricompreso, nella voce del danno non patrimoniale, anche una serie di pregiudizi non richiesti con l’originario atto di citazione. Gravava sul danneggiato l’onere di dimostrare gli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entita’ del pregiudizio. Nel caso di specie, agli attori sarebbe stato riconosciuto un consistente risarcimento nonostante la mancata allegazione di elementi di prova tesi a dimostrare la effettivita’ della lesione riportata nella sua consistenza;
il ricorso e’ destituito di fondamento. Il primo motivo non si confronta con la decisione impugnata, perche’ pur prendendo le mosse dal principio secondo cui incombe sul danneggiato la prova del rapporto di causalita’ tra il bene in custodia e l’evento dannoso, non considera che la Corte ha evidenziato che la statua presentava una “propensione in avanti” e una precaria collocazione, confermata dall’esistenza di piccoli vassoi in polistirolo “per assestarne l’equilibrio”, evidentemente del tutto inadeguati per consistenza e dimensioni, in confronto alla significativa altezza e al rilevante peso del manufatto. Tali elementi dimostrano implicitamente, secondo il giudice di appello, l’efficienza causale della res;
al contrario, gli ulteriori elementi fattuali ribaditi dalla ricorrente (condotta imprevedibile del minore che avrebbe sollecitato la statua, arrampicandosi sulla stessa), sono stati espressamente presi in esame ed esclusi dal giudice di merito, con valutazione non sindacabile in questa sede (e neppure specificamente contestata);
il secondo motivo e’ infondato. A prescindere dall’assoluta genericita’ della censura, non ricorre l’ipotesi di omessa pronunzia, adombrata con tale motivo, poiche’, sulla base della giurisprudenza richiamata dalla ricorrente (Cass. Sezioni Unite n. 26972 del 2008) la prova del danno puo’ essere fornita anche con presunzioni semplici, riferita agli elementi fattuali dai quali desumere l’esistenza e l’entita’ del pregiudizio. E tale profilo e’ stato espressamente evidenziato dalla Corte, con riferimento alla’/ notorio stravolgimento della vita familiare causato dalla perdita improvvisa di un figlio di meno di quattro anni e cio’ sulla base dello stretto vincolo di parentela, dell’intangibilita’ della sfera degli affetti, dell’eta’ della vittima e dei verosimili radicali cambiamenti dello stile di vita, conseguenti alla sofferenza interiore determinata dalla consapevolezza della perdita del rapporto parentale;
la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui “l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex articolo 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima … e’ pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo” (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3767 del 15/02/2018 e da ultimo, Cass. Sez. 3, n. 25843 del 13/11/2020);
ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 7800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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