Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 30 ottobre 2018, n. 49694.
La massima estrapolata:
In tema di tutela paesaggistica, integrano i reati di cui agli articoli 181, comma 1-bis, d.lgs. n. 42/2004, 349, c.1 e 2, cod. pen. e 44, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 380/2001, la continuazione, esecuzione e completamento, in difetto del permesso di costruire ed in zona a vincolo paesaggistico ed ambientale, di un precedente abuso edilizio su manufatto già sottoposto a sequestro preventivo. (Nella specie, tra l’altro, la ricorrente era stata nominata custode dei beni già sottoposti a sequestro).
Sentenza 30 ottobre 2018, n. 49694
Data udienza 5 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVANI Piero – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25/10/2016 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Claudio Cerroni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Molino Pietro, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio del reato sub c), rideterminazione del trattamento sanzionatorio e inammissibilita’ nel resto;
udito per la ricorrente l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 25 ottobre 2016 la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza del 18 novembre 2014 del Tribunale di Nola, ha rideterminato, altresi’ revocando il disposto ordine di demolizione ma confermando la rimessione in pristino, in mesi sette di reclusione ed Euro 200 di multa la pena inflitta a (OMISSIS) per i reati di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-bis, e articolo 349 c.p., commi 1 e 2, unitamente a mesi sei di reclusione ed Euro 450 di multa in continuazione con precedente giudicato.
2. Avverso la predetta decisione e’ stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di impugnazione.
2.1. In particolare, col primo motivo la ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale in relazione all’eccepita nullita’ del decreto di citazione, assumendo che violava il diritto di difesa il riferimento ad una contestata “azione di rifinitura”.
Ne’ rilevava l’avvenuta ampia contestazione dell’accusa nel merito, dal momento che non poteva escludersi che, con una diversa e piu’ chiara contestazione, sarebbe stata adottata una diversa e piu’ proficua difesa, mentre in ogni caso l’invocata continuazione col precedente giudicato era stata richiesta dopo la domanda di assoluzione, e in via subordinata in caso di condanna.
2.2. Col secondo motivo di censura la ricorrente ha dedotto la prescrizione del reato, a seguito della declaratoria di parziale incostituzionalita’ del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1-bis, intervenuta con la sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2016.
2.3. Col terzo motivo, in ordine alla pretesa violazione di cui all’articolo 349 c.p., la ricorrente ha osservato che all’atto dell’apposizione dei sigilli di cui al verbale del 25 agosto 2009 il manufatto abusivo era gia’ rifinito, e fino a tale data la ricorrente era stata gia’ giudicata, mentre al sopralluogo dell’8 novembre 2010 era stato ritenuto di non dovere procedere all’apposizione dei sigilli, stante l’avvenuto uso dell’immobile.
2.4. Col quarto motivo e’ stata infine lamentata la non corretta valutazione delle prove, che aveva condotto ad utilizzo arbitrario delle risultanze testimoniali.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento senza rinvio del reato sub c), rideterminazione del trattamento sanzionatorio e inammissibilita’ nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ inammissibile.
4.1. In via del tutto preliminare, peraltro, osserva la Corte che i motivi di ricorso possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e cio’ in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni (fatta eccezione per le conseguenze, in tema di prescrizione, degli effetti dell’inevitabile decorso del tempo), che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
Allorche’ infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303).
4.2. In particolare, quanto al primo motivo di ricorso, la stessa ricorrente non e’ stata in grado di precisare in concreto quale lesione abbia subito il proprio diritto di difesa, laddove la contestazione giudiziale aveva ad oggetto in genere continuazione, esecuzione e completamento, in difetto del permesso di costruire ed in zona a vincolo paesaggistico ed ambientale, di un precedente abuso edilizio su manufatto gia’ sottoposto a sequestro preventivo, merce’ la rifinitura di porzione del manufatto. Altrimenti detto, come e’ stato correttamente trattato dai Giudici del merito, lo stato dei luoghi era mutato nonostante l’apposizione dei sigilli, e siffatta questione era posta come thema decidendum, ben presente nella linea difensiva dell’odierno ricorrente. Il quale invero si e’ limitato ad affermare che, con una migliore contestazione, non era escluso che “sicuramente” sarebbe stata adottata una “diversa e piu’ proficua” difesa.
Va da se’ che le deduzioni non riescono a raggiungere la soglia della specificita’ e quindi dell’ammissibilita’ (in genere, quanto alla necessita’ di una concreta lesione dei diritti di difesa, cfr. ex plurimis Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264438).
4.3. Per cio’ che riguarda il secondo motivo di impugnazione, e’ noto che, dopo l’intervento della Corte costituzionale n. 56 del 2016, l’attuale formulazione del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, commi 1 e 1-bis (espunta la parte compresa tra le parentesi quadre, invero dichiarata costituzionalmente illegittima), stabilisce che “1. Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformita’ di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici e’ punito con le pene previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c). 1-bis. La pena e’ della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1: (a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed) abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi”.
4.3.1. Al riguardo, e tenuto conto della ribadita condanna per la fattispecie delittuosa (la stessa ricorrente ha ricordato che gli abusi paesaggistici ricadono nella previsione contravvenzionale, purche’ non di notevole impatto ambientale), la ricorrente ha invocato la prescrizione – gia’ dichiarata dalla Corte territoriale per i residui abusi edilizi – senza peraltro contestare in alcun modo, e comunque non specificamente, la confermata ipotesi di reato.
4.4. Per quanto poi riguarda il terzo motivo di ricorso, la ricorrente si pone meramente in inammissibile contrasto con gli accertamenti in fatto gia’ compiuti e sui quali si sono soffermati i Giudici del merito, che avevano dato conto che in data 25 agosto 2009 era stato disposto il sequestro delle opere realizzate in prosecuzione di opere abusive gia’ in sequestro. I nuovi lavori erano stati posti in essere in assenza di concessione edilizia in zona ricadente nella perimetrazione definitiva del Parco nazionale del Vesuvio e sottoposta a vincolo paesaggistico. Mentre in data 8 novembre 2010, in cui in effetti alcunche’ fu sequestrato in quanto ormai l’opera era stata ultimata (ma nessuno ha elevato contestazione penale per un’inesistente violazione di vincolo), venne accertata invero l’ulteriore prosecuzione dei lavori edili in difetto di titolo autorizzativo, col completamento dell’unita’ abitativa al piano terra posto a destra del fabbricato oggetto di pregressa contestazione. Tra l’altro l’odierna ricorrente era stata nominata custode, per cui non vi e’ neppure questione circa il fatto che il soggetto fosse edotto del vincolo posto sul bene (cfr. Sez. 3, n. 37570 del 25/09/2002, Di Monte, Rv. 222557).
4.5. In relazione infine all’ultimo motivo di impugnazione, e’ inammissibile il motivo in cui si deduca la violazione dell’articolo 192 c.p.p., anche se in relazione all’articolo 125 c.p.p. e articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilita’ delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’ (Sez. 6, n. 45249 del 08/11/2012, Cimini e altri, Rv. 254274).
In particolare, e’ stato ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che censura l’erronea applicazione dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, se e’ fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, De Angelis e altro, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Basile e altri, Rv. 258153).
4.5.1. In specie, la ricorrente – dopo avere precisato che era stato violato il disposto di cui all’articolo 192 c.p.p., e che la prova deve essere valutata in senso unitario rispetto a tutti gli elementi emersi in giudizio – si e’ in realta’ limitata a contestare del tutto genericamente l’utilizzazione “arbitraria” degli esami testimoniali in quanto non sarebbero state considerate le incongruenze tra le dichiarazioni in udienza e cio’ che risultava dai sopralluoghi, nulla dicendo sulle dichiarazioni di un teste e non valutando le altrui contraddizioni, in tal modo giungendo a ritenere l’ultimazione di un immobile abusivo in data posteriore a quanto gia’ sarebbe risultato.
In definitiva, quindi, vi e’ pura e semplice contestazione (senza alcuno specifico riferimento, tra l’altro, idoneo a salvaguardare il principio di autosufficienza del ricorso, in sostanza invero invitando la Corte a rileggersi gli atti per dare conto dell’asserita cattiva opera ermeneutica del Giudice del merito) dell’apprezzamento compiuto in ordine al materiale istruttorio raccolto.
Non puo’ esservi dubbio in ordine all’inammissibilita’ di una censura siffatta.
5. La manifesta infondatezza dell’impugnazione non puo’ che condurre quindi all’inammissibilita’ del ricorso.
Tenuto altresi’ conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p. ed a carico della ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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