La titolarità di un ufficio pubblico

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 29 novembre 2019, n. 8166.

La massima estrapolata:

La titolarità di un ufficio pubblico, se è idonea ad abilitare il titolare a impugnare gli atti di organizzazione che incidono negativamente sull’assetto e sulle funzioni dell’ufficio rivestito, non implica per ciò solo anche il suo diritto di partecipare, ai sensi della generale previsione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, al procedimento volto all’adozione degli atti organizzatori stessi.

Sentenza 29 novembre 2019, n. 8166

Data udienza 18 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9536 del 2018, proposto da
Wi. Ma. Be., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Mo., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Comune di Rimini, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Bi. Be. e Pi. Co., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
nei confronti
Ca. Ca., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione prima, n. 00691/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rimini;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 18 luglio 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Ma. Mo., Bi. Be. e Pi. Co.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

I. Le signore Ma. Be. e Ma. As. Fo., dirigenti avvocati dell’Avvocatura civica del Comune di Rimini hanno impugnato innanzi al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna una serie di atti (deliberazioni giuntali nn. 113 e 149 del 2018; determinazione dirigenziale n. 1368/2018; nota del Segretario generale 13 giugno 2018; regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi; deliberazione giuntali n. 346/2001 e n. 306/2014) con cui l’ente ha provveduto alla riorganizzazione della macrostruttura dell’Ente e all’adeguamento del regolamento comunale degli uffici e dei servizi.
In estrema sintesi, le ricorrenti hanno lamentato che gli impugnati provvedimenti, nel disporre l’articolazione del Comune in quattro dipartimenti, al cui interno sono state collocate le strutture di rango dirigenziale sottordinate denominate settori, in luogo delle precedenti otto direzioni, si sono limitati a confermare la presenza dell’Unità organizzativa autonoma avvocatura civica, istituita come struttura di rango dirigenziale con due posizioni dirigenziali aventi natura di “incarico di alta professionalità “, al pari delle nuove posizioni dirigenziali istituite con compiti di studio, senza inserire l’Avvocatura nell’ambito di un dipartimento e senza “pesare” e graduare nuovamente le relative posizioni dirigenziali a fini giuridici ed economici, con particolare riferimento alla c.d. “retribuzione di posizione”, e prevedendo altresì la possibilità di attribuire al Segretario comunale la responsabilità di tutte le strutture organizzative di cui all’art. 4 del regolamento interno, in cui rientra l’Avvocatura, con conseguente svilimento complessivo della funzione professionale dei dirigenti avvocati.
L’adito Tribunale, sezione prima, nella resistenza del Comune di Rimini, con la sentenza breve n. 691/2018, respinta l’eccezione preliminare di carenza di giurisdizione spiegata dal Comune, ha respinto il ricorso nel merito, con assorbimento dell’ulteriore eccezione di tardività pure sollevata dall’Amministrazione. Ha compensato tra le parti le spese di giudizio.
II. La sola signora avvocato Wi. Ma. Be. ha gravato la predetta sentenza, chiedendone l’annullamento e a tal fine deducendo: 1) Sul primo motivo di censura con il quale è stata eccepita la violazione degli artt. 3, 7 e ss della l. 7 agosto 1990, n. 241, violazione dell’art. 23 della l. 31 dicembre 2012, n. 247, eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione del giusto procedimento, errore in iudicando per motivazione illogica, violazione art. 112 Cod. proc. civ.; 2) Sul secondo motivo di censura con il quale è stata eccepita la violazione degli artt. 2,4, 16,18, 19, 24, 45 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, violazione degli artt. 107 e 111 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, violazione dell’art. 23 della l. n. 247/2012, violazione dell’art. 27 del CCNL 23 dicembre 1999, eccesso di potere per difetto di istruttoria, motivazione, violazione del giusto procedimento, travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta, travisamento dei fatti, violazione dell’art 112 Cod. proc. civ., errore in giudicando e motivazione illogica e contraddittoria; 3) Sul terzo motivo di censura con il quale è stata eccepita la violazione degli artt. 2,4, 16,17, 19, 24 e 45 del d.lgs. n. 165/2001, violazione degli artt. 107 e 111 del d.lgs. n. 267/2000, violazione dell’art. 23 della l. n. 247/2012, violazione dell’art. art. 27 del CCNL 23 dicembre 1999, violazione degli artt. 39, 40 e 41 del CCNL 10 aprile 1996, eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione, violazione del giusto procedimento, travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta, violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ.; 4) Sul quarto motivo di ricorso con il quale è stata eccepita la violazione dell’art. 23 della l. n. 247/2012, illegittimità derivata, eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione, violazione del giusto procedimento, travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta, violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ., error in procedendo.
Il Comune di Rimini si è costituito in resistenza, riproponendo ex art. 101, comma 2 Cod. proc. amm. l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado e concludendo per la reiezione dell’appello.
Alla camera di consiglio fissata per la decisione della domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, sull’accordo delle parti, la causa è stata rinviata all’udienza pubblica del 18 luglio 2019, all’esito della quale, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di gravame non è fondato.
1.1. L’appellante aveva lamentato in primo grado la violazione delle regole partecipative procedimentali.
Il primo giudice ha respinto la censura, rilevando che gli atti impugnati, quali provvedimenti di macro-organizzazione, sono esclusi dall’applicazione delle norme sulla partecipazione procedimentale ai sensi dell’art. 13 della l. n. 241 del 1990.
L’appellante evidenzia al riguardo che l’appartenenza degli atti al novero dei provvedimenti di macro-organizzazione non elide il carattere “particolare” della decisione di lasciare invariata la metodologia degli incarichi di alta professionalità in passato conferita alle posizioni dirigenziali dell’Avvocatura civica, comportante effetti limitativi ad personam che avrebbero richiesto la comunicazione di avvio del procedimento e il necessario coinvolgimento partecipativo dei soggetti interessati, che avrebbero potuto fornire un significativo contributo per giungere a determinazioni opposte a quelle gravate.
La tesi non può essere seguita.
Deve infatti trovare applicazione la regola generale secondo cui la titolarità di un ufficio pubblico, se è idonea ad abilitare il titolare a impugnare gli atti di organizzazione che incidono negativamente sull’assetto e sulle funzioni dell’ufficio rivestito, non implica per ciò solo anche il suo diritto di partecipare, ai sensi della generale previsione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, al procedimento volto all’adozione degli atti organizzatori stessi, dovendo l’eventuale apporto collaborativo anche del titolare dell’ufficio interessato dalle modifiche organizzative essere strutturato all’interno della disciplina posta dall’ordinamento generale o da fonti interne all’ente, che prevede e regola il procedimento stesso (in termini, Cons. Stato, V, 27 giugno 2019, n. 4440; 30 aprile 2014, n. 2280).
Tenuto poi conto dei destinatari e del contenuto degli atti gravati, della natura degli organi che li hanno adottati e della relativa tempistica, nonché delle dimensioni dell’Amministrazione comunale di cui trattasi, non persuade l’osservazione dell’appellante – comunque insuscettibile di condurre a conclusioni diverse da quelle dianzi raggiunte – circa l’apoditticità della considerazione del primo giudice in ordine al fatto che gli atti gravati hanno costituito il frutto di una lunga elaborazione “non certo sconosciuta alle ricorrenti con ampia facoltà di addurre argomenti a tutela dei propri interessi”, mentre la circostanza, genericamente evocata, che in passato l’appellante sia stata posta in condizioni di manifestare le proprie osservazioni in relazione ad atti organizzativi precedenti non refluisce, quale elemento di mero fatto, nel diritto di partecipazione qui rivendicato.
1.2. Con altra censura del motivo in esame l’appellante deduce la violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ., avendo la sentenza appellata omesso di pronunziarsi sulla carenza di motivazione dedotta in primo grado e qui appellata.
Al riguardo, va in primo luogo rammentato che la censura di difetto di motivazione della sentenza appellata è vizio assorbito dall’effetto devolutivo dell’appello: il che comporta l’integrale rivalutazione delle questioni controverse, che vengano in tale sede riproposte, come nel caso di specie, con modifica o integrazione della motivazione ove necessario (tra tante, Cons. Stato, VI, 21 marzo 2016, n. 1158).
Ciò posto, la doglianza va respinta.
E’ la stessa appellante a rilevare che l’omessa “pesatura” dell’Avvocatura interna è stata espressamente correlata al fatto che la gravata modifica organizzativa non ha riguardato tale struttura, confermata nella collocazione, nei compiti e nelle funzioni nonché nella metodologia di valutazione dei risultati.
Sicchè, in sostanza, nel contestare le predette ragioni con la veste censoria del difetto di motivazione, l’appellante non intende avanzare la pretesa alla comprensione dei presupposti di fatto e di diritto della determinazione amministrativa, che sono adeguatamente racchiusi nelle considerazioni che la stessa appellante ha richiamato, e che non richiedono, nella loro linearità e in disparte ogni questione in ordine alla loro correttezza, un maggior sforzo espositivo, ma piuttosto, contrastarne il merito.
Tant’è che l’appellante afferma che, diversamente da quanto emerge dalle predette motivazioni, la struttura per cui è causa è stata soppressa e poi nuovamente istituita, che l’omessa nuova “pesatura” dei relativi incarichi dirigenziali non è giustificata dal mantenimento in capo alla struttura stessa della pregressa collocazione e delle pregresse funzioni, che la conferma per la struttura della precedente metodologia relativa agli incarichi di alta professionalità, oltre a essere illegittima in radice, non giustifica la mancata nuova “pesatura” dell’incarico dirigenziale, e perviene alla conclusione che l’Avvocatura civica è stata trattata dall’Amministrazione alla stregua di un “corpo estraneo”.
La censura di carenza di motivazione in trattazione si rivela in definitiva strumentale a compulsare, per il tramite del giudizio amministrativo, una rivalutazione del contenuto delle contestate determinazioni, in carenza del necessario presupposto dell’accertamento che le valutazioni stesse siano affette da quelle lacune argomentative che giustificherebbero l’accoglimento della doglianza.
2. Anche il secondo motivo di gravame non è fondato.
2.1. L’appellante contesta l’omessa pronuncia in cui sarebbe incorso il primo giudice rilevando che il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio “esprime una censura di merito circa la scelta di non modificare la pesatura delle posizioni dirigenziali rispetto a precedenti deliberazioni”.
Tale conclusione deve però essere confermata, atteso che le stesse doglianze dell’appellante ne confermano la correttezza.
L’appellante compendia le censure a suo tempo svolte osservando che oggetto di doglianza era la circostanza che alle posizioni dirigenziali dell’Avvocatura civica fosse stato attribuito un punteggio che non costituisce espressione di alcun serio e congruo confronto comparativo, neppure con i nuovi incarichi dirigenziali di studio previsti dalla riorganizzazione, seppur ricondotti alla medesima metodologia.
Si tratta di una critica che, sia per contenuto, sia per le modalità di esposizione, investe il merito delle determinazioni assunte dall’Amministrazione e che non può essere ricondotta all’alveo delle censure di illegittimità, nemmeno considerando l’asserita violazione dell’art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art 27 del CCNL 23 dicembre 1999, area dirigenza enti locali.
Infatti l’interessata non ha alcun modo evidenziato in qual modo tali norme sarebbero state violate, limitandosi ad affermare l’illegittimità nell’ambito della riorganizzazione dell’Ente comunale dell’omessa nuova pesatura/graduazione dell’Avvocatura, la quale, di per sé, non si rivela affetta dalla contrarietà al principale criterio ricavabile dalle predette norme, secondo cui il trattamento economico accessorio dei dirigenti deve essere correlato alle funzioni attribuite, alle connesse responsabilità e ai risultati conseguiti, mentre, per quanto attiene alla ulteriore censura secondo cui sarebbe viziata, a monte, la riconduzione delle posizioni dirigenziali dell’Avvocatura alla fascia degli incarichi di alta professionalità “nei quali il raggiungimento degli obiettivi si realizza prevalentemente attraverso un’attività di consulenza interna”, è la stessa appellante a riferire che la questione è trattata più specificamente nel terzo motivo di appello.
La sentenza appellata va pertanto confermata anche dove, chiarita la riconducibilità all’alveo del merito amministrativo della scelta di non modificare la pesatura delle posizioni dirigenziali rispetto a precedenti deliberazioni, ha rilevato che “L’avvocatura civica, così come la polizia municipale, è stata tenuta fuori dalla complessa riorganizzazione proprio perché le sue attribuzioni non erano modificate dalle nuove scelte organizzative per cui la pesatura della complessità della funzione direttiva e l’entità dei compiti svolti non mutavano rispetto al passato”.
3. La sentenza appellata ha rilevato, in relazione al terzo motivo dell’atto introduttivo del giudizio, che la denunziata “violazione della parità di trattamento sarebbe materia per un intervento del giudice del lavoro, previa eventuale disapplicazione di direttive illegittime, ma in ogni caso non viene indicato, al di là di affermazioni generiche, in che cosa consisterebbe la sottovalutazione delle competenze e dell’aumentato carico di lavoro dell’avvocatura civica rispetto al nuovo assetto derivante dalla mutata organizzazione”.
L’appellante afferma che tale motivazione non considera che la censura in tal modo definita aveva anche lamentato che, nel confermare per l’Avvocatura civica i contenuti della precedente delibera n. 306/2014, ove gli incarichi di alta professionalità vengono definiti come quelli “nei quali il raggiungimento degli obiettivi si realizza prevalentemente attraverso un’attività di consulenza professionale interna”, è stata attribuita all’Avvocatura la stessa definizione prevista per i nuovi incarichi dirigenziali di studio, che svolgono una attività perfettamente rientrante in tale definizione, laddove invece l’Avvocatura si caratterizza per svolgere, in termini prevalenti, funzioni di rappresentanza, patrocinio e assistenza in giudizio dell’amministrazione, ciò che farebbe escludere ex se la legittima applicazione della contestata metodologia.
La censura non è meritevole di favorevole considerazione.
Deve premettersi che la sentenza appellata ha rilevato in un capo precedente che “non vi è stata alcuna equiparazione con i nuovi incarichi di alta professionalità che sono stati inseriti nell’organigramma della macchina comunale in attuazione delle previsioni del CCNL in materia di fondo per la contrattazione integrativa dei dirigenti, senza peraltro coprire i posti”.
Tale affermazione non è stata contestata dall’appellante.
Anche le difese svolte dall’Amministrazione, nel rappresentare che non risponde al vero che l’Amministrazione non abbia preso in considerazione le posizioni dirigenziali dell’Avvocatura civica e che invece ha confermato in ordine alla metodologia delle posizioni dirigenziali quelle adottate con le precedenti deliberazioni giuntali n. 346/2001 e n. 306/2014, ritenendo che i fattori di valutazione e di attribuzione del punteggio degli incarichi di Unità organizzativa autonoma (di alta professionalità ) sono “adeguati e coerenti con l’attuale organizzazione interna”, evidenziano che sia con le precedenti deliberazioni che con quelle oggetto di impugnazione gli incarichi dirigenziali di c.d. “alta professionalità interna” rispetto agli incarichi dei dirigenti dell’Avvocatura civica sono sempre stati graduati in modo differente, con un diverso valore di posizione di ciascuna funzione dirigenziale, fissato entro i limiti minimo e massimo previsti dalla contrattazione collettiva, valutando i contenuti di ogni specifica funzione dirigenziale.
Sicchè, in difetto di una puntuale contestazione dell’affermazione del primo giudice circa la non avvenuta equiparazione tra i dirigenti dell’Avvocatura e i dirigenti da preporre ai nuovi incarichi di studio, la contestazione in esame e le censure con essa svolte si rivelano generiche, e pertanto insuscettibili di essere esaminate nel merito.
Per escludere, poi, la valenza ai perseguiti fini demolitori della pure qui illustrate complessità organizzativa dell’Avvocatura civica e delle relative responsabilità dirigenziali, basti richiamare il passaggio argomentativo con cui il primo giudice ha rilevato che “la complessità organizzativa interna dell’unità operativa ove operano le ricorrenti non è stata ampliata e non viene esplicitato perché la riorganizzazione in dipartimenti dovrebbe rendere più complesso il lavoro dell’avvocatura civica”.
Il terzo motivo di gravame deve essere pertanto respinto.
4. Con il quarto motivo l’appellante, premesso che il primo giudice ha omesso di pronunziarsi sul quarto motivo del suo ricorso originario, sul presupposto che tale motivo concerneva “aspetti già trattati in precedenza e su cui non è necessario nuovamente soffermarsi”, afferma l’erroneità di tale conclusione, riproducendo integralmente le censure originarie.
Anche tale censura non merita favorevole considerazione.
4.1. L’appellante propone nei confronti del regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e servizi le censure di difetto di istruttoria e di ingiustizia manifesta, in via derivata rispetto ai presupposti provvedimenti di macro-organizzazione.
Poiché tali ultimi provvedimenti, alla luce delle conclusioni sin qui rassegnate, devono ritenersi indenni da tali censure, la stessa conclusione non può che valere anche per il regolamento in esame, che ne costituisce una mera attuazione.
4.2. In ordine alla censura di violazione dell’art. 23, comma 2 della l. 247/2012 da cui sarebbe affetto il regolamento, laddove prevede, all’art. 9, comma 1, la possibilità di attribuire al Segretario comunale la responsabilità di tutte le strutture organizzative di cui al precedente art. 4, in cui rientra anche l’Avvocatura (art. 4, comma 5-quater), non vi è alcun interesse concreto ed attuale al suo esame perché tale previsione non risulta, allo stato, attuata.
4.3. La censura è comunque anche infondata
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha più volte osservato che i professionisti iscritti nell’albo speciale sopportano specifiche limitazioni delle facoltà proprie del libero professionista, per la sussistenza, rispetto a quest’ultimo, degli obblighi giuridici che scaturiscono dal rapporto di lavoro, “con la conseguente compatibilità della professione così esercitata con la qualifica di impiegato rivestita dall’avvocato, nonché con l’osservanza dell’orario di lavoro e con l’inserimento in un rapporto strutturato gerarchicamente (cfr. Sez. IV, 30 aprile 1998, n. 703; cfr. anche SS.UU., 24 aprile 1990, n. 3455)” (di recente, V, 3 aprile 2019, n. 2196; precedentemente, V, 15 ottobre 2009, n. 6336; nello stesso senso, V, 16 settembre 2004, n. 6023).
Tali arresti sono stati richiamati anche nella sentenza della Sezione 27 agosto 2014, n. 4366, che, definendo una controversia promossa da alcuni avvocati di un ente pubblico, ha rammentato come anche la sentenza 29 marzo 2007, n. 7731 della Cassazione civile, Sezione lavoro, abbia riconosciuto la legittimità dell’inserimento dell’avvocato in una struttura con caratteristiche proprie della subordinazione.
Sotto altro profilo, si è osservato, con riguardo alla posizione dei c.d. avvocati pubblici (ovvero quelli che sono incardinati organizzativamente presso un determinato ente pubblico e ai quali è affidato lo ius postulandi nell’interesse dell’ente di appartenenza), che le loro prerogative di indipendenza e autonomia, proprio perché affidatari dell’interesse di una parte, attengono essenzialmente al “modo” in cui perseguire quell’interesse, ovvero alle scelte difensive da mettere in pratica per la sua migliore tutela, con la conseguenza che esse non rischiano di essere pregiudicate, anche nella percezione ab externo, da forme di controllo, circa le modalità anche temporali di svolgimento della loro prestazione, che con quelle scelte non siano, direttamente o indirettamente, interferenti, e che, tuttavia, non può escludersi aprioristicamente che determinate forme di controllo, pur rivolte in via diretta a verificare le modalità temporali di assolvimento della prestazione professionale dell’avvocato pubblico, quindi attinenti agli aspetti “estrinseci” della stessa, si rivelino oggettivamente idonee a intaccare il “nucleo essenziale” dei requisiti di indipendenza e autonomia della sua attività lavorativa (Cons. Stato, III, 26 settembre 2018, n. 5538).
La norma oggetto di controversia, oltre che risultare, allo stato inattuata, non fa tuttavia ex se presagire la venuta a esistenza di una siffatta ipotesi di vulnus.
5. Per tutto quanto precede, assorbita l’eccezione preliminare di tardività spiegata dal Comune di Rimini, l’appello deve essere respinto.
La natura dell’interesse azionato in giudizio giustifica la compensazione delle spese di giudizio del grado tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *