La ratio della regola del rimborso delle spese

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 28 novembre 2019, n. 8144.

La massima estrapolata:

La ratio della regola del rimborso delle spese, per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al servizio, è quella di evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio dovere: occorre uno specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio e il rimborso non spetta per il solo fatto che in sede penale vi sia il proscioglimento per un reato proprio.

Sentenza 28 novembre 2019, n. 8144

Data udienza 21 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 10652 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Ca., Ol. Du. e Ma. Ca. In., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, alla via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sede di Catanzaro Sezione Seconda, n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti l’avvocato An. Se., su delega dichiarata dell’avvocato Ol. Du., e l’avvocato dello Stato Gi. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’appellante, dipendente dell’Arma dei Carabinieri, è stato sottoposto ad un processo penale, nel quale è stato imputato per il reato di insubordinazione con ingiuria, aggravata dalla presenza di più militari, per aver rivolto ad un superiore una frase, durante lo svolgimento dei preparativi per una festa dell’Arma.
Con la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli n. 11 del 1° aprile 2008, egli è stato assolto ‘perché il fatto non sussistè .
Tale sentenza ha rilevato che:
– la contestazione ha riguardato l’aver rivolto al superiore, alla presenza di più persone, una frase di natura ingiuriosa e irrispettosa, dopo essere stato da lui verbalmente rimproverato per aver dato in escandescenze;
– è risultata una discordanza sulla effettiva pronuncia di tale frase, poiché due testimoni hanno dichiarato di averla sentita (il maresciallo Sa. Ca. e il brigadiere Ga. Cl.), mentre altri tre testimoni hanno escluso che sia stata pronunciata (il mar. Al. Ri. e i carabinieri Gi. Sa.. e Mi. Ni.);
– ‘la discordanza tra le diverse testimonianze sul punto, tutte parimenti valutabili, lascia sorgere il legittimo dubbio sulla effettiva pronunzia da parte del maresciallo delle parole in contestazionè ;
– ‘tuttavia, qualora si volesse ritenere che l’espressione sia stata effettivamente pronunziata, è necessario valutare se la stessa costituisca o meno reatò, ciò che la stessa sentenza ha escluso, essendo stato espresso ‘unicamente l’atteggiamento infastidito di un militare che si è sentito maltrattato dal suo comandantè …, ‘invero, l’espressione potrà anche essere scurrile e, perciò, da disapprovare, ma non contiene alcuna potenzialità offensiva degli attributi morali della personalità umana nei comuni rapporti socialà, considerato che ‘la frase è priva di rilievo nell’ambito del codice penale comunè .
Dopo la conclusione del giudizio penale, l’interessato ha chiesto alla Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997, convertito nella legge n. 135 del 1997.
Con l’atto di data 4 maggio 2010, il Ministero della difesa ha respinto l’istanza, rilevando che i fatti valutati in sede penale non erano connessi all’espletamento del servizio o con l’assolvimento di compiti istituzionali.
2. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-(proposto al TAR per la Calabria, Sede di Catanzaro), l’interessato ha impugnato il diniego e ne ha chiesto l’annullamento.
3. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese del giudizio, rilevando che l’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997 si applica quando sia ravvisabile ‘un rapporto di connessione tra la condotta tenuta e l’attività di servizio tale da comportare l’imputazione degli effetti dell’agire del soggetto dipendente direttamente all’Amministrazionè –
4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto.
L’appellante – dopo aver richiamato i precedenti giurisprudenziali in materia – ha dedotto che i fatti contestati sarebbero ‘connessi al servizio svoltò, perché :
– la contestazione in sede penale ha riguardato fatti connessi alle funzioni di militare in attività di servizio, svolte nella sede di lavoro e durante l’orario di lavoro, con un superiore anch’egli in servizio, e si è conclusa con l’esclusione di ogni responsabilità ;
– sarebbe stato violato il giudicato penale, che – all’esito di un’ingiusto processo penalè – ha escluso che il fatto si sia verificato ed ha comunque escluso che, se anche si fosse verificato, sarebbe stata integrata la fattispecie contestata.
5. In data 19 febbraio 2019, il Ministero appellato si è costituito in giudizio ed ha chiesto che il gravame sia respinto.
In data 22 ottobre 2019, l’Amministrazione ha depositato una memoria difensiva, con cui ha ribadito la domanda di reiezione dell’appello.
L’appellante in data 31 ottobre 2019 ha depositato una memoria di replica, con cui ha insistito nelle già formulate conclusioni.
6. Ritiene la Sezione che l’appello vada respinto, perché infondato.
7. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997.
“Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità “.
Per i casi in cui sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo (pur se è stata talvolta definita come di ‘diritto condizionatò all’accertamento dei relativi presupposti: Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6194; Sez. VI, 21 gennaio 2011, n. 1713).
L’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti – se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).
Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736; Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).
Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.
8. Per quanto riguarda i presupposti indefettibili per l’applicazione dell’art. 18, si è formata una univoca e convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato.
Tali presupposti sono due:
a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente;
b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
9. Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 – sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Ad. Gen., 29 novembre 2012, n. 20/13; Sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713, cit.).
L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. VI, 2005, n. 2041).
10. Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il’nesso di immedesimazione organicà ).
10.1. Tale connessione sussiste – sia pure in modo peculiare – qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).
Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro – col rimborso delle spese sostenute – il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti – sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato.
Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui.
10.2. A parte l’ipotesi del coinvolgimento del dipendente estraneo ai fatti, ma vittima di una illecita condotta altrui, quanto alla ‘connessionè tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all’Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l’imputazione dei relativi effetti (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427; Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190): la condotta oggetto della contestazione deve essere espressione della volontà della Amministrazione di appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali.
L’art. 18 è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasionè dell’attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2; Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154; Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190; Sez. IV, 14 aprile 2000, n. 2242) o quando sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).
Invece, esso non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che:
a) di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427);
b) sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e ‘in occasionè dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026; Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874; Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297; Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379; Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718; Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1816; Sez. III, 2013, n. 4849; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190), ad esempio, quando la contestazione si sia riferita a una condotta che riguardi la propria vita di relazione, ancorché nell’ambiente di lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 2014, n. 6389; Sez. II, 15 maggio 2013, n. 3938/13), o che non sia riconducibile strettamente alla attività istituzionale, quale l’accettazione di un regalo o il coinvolgimento in un alterco con colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato.
c) sia potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione (ad esempio quando, malgrado l’assenza di una responsabilità penale, sussistano i presupposti per ravvisare un illecito disciplinare e per attivare il relativo procedimento: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055; Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. IV, 2013, n. 1190; Sez. IV, 2012, n. 423).
Infatti, la ratio della regola del rimborso delle spese – per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al servizio – è quella di ‘evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio doverè : occorre uno specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 21 novembre 2018, n. 2735; Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681) e il rimborso non spetta per il solo fatto che in sede penale vi sia il proscioglimento per un reato proprio (commesso per la qualità di dipendente dello Stato).
10.3. In materia non rilevano di per sé le disposizioni del codice civile sul contratto di mandato, proprio perché l’art. 18 sopra riportato ha indicato i presupposti – sostanziali e procedimentali – indefettibili per la spettanza del rimborso.
11. Tenuto conto dei principi sopra evidenziati, vanno integralmente confermate le statuizioni della sentenza appellata.
La condotta contestata in sede penale non ha riguardato un atto o un comportamento posto in essere nel corso dello svolgimento del servizio e imputabile alla Amministrazione di appartenenza, bensì un comportamento del dipendente, per una espressione formulata nei confronti di un proprio superiore.
Nella specie, i fatti accaduti hanno riguardato un alterco – effettivamente verificatosi – nel quale è stato coinvolto l’appellante.
Pur se la sentenza penale ha prosciolto l’interessato (per aver rilevato al riguardo una ‘discordanza tra le diverse testimonianze sul punto, tutte parimenti valutabilà, e che ‘parole in contestazionè, sia pure ‘da disapprovarè, di per sé non costituiscono reato), tenuto conto dei principi sopra affermati nel punto 11.2. va condivisa la valutazione dell’Amministrazione, che ha rilevato come il comportamento oggetto della contestazione – conseguente alla animata discussione con il superiore – non può essere considerato connesso ‘con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionalà, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997.
12. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta respinge l’appello n. 10652 del 2018.
Condanna l’appellante al pagamento di euro duemila a favore del Ministero appellato, per spese del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellante nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificarlo.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo (omissis), nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Oberdan Forlenza – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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