Tentativo di frode in commercio

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 20 marzo 2020, n. 10375

Massima estrapolata:

La disponibilità di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menù o negli espositori nei quali gli stessi siano esposti a disposizione della clientela, integra il reato di tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore, in quanto tale comportamento è univocamente rivelatore della volontà dell’esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella pattuita. Fattispecie: titolare di un bar condannato, in primo grado e in appello, per tentata frode nel commercio per aver esposto nel bancone cornetti, strudel e fagottini senza indicare che i prodotti erano congelati all’origine.

Sentenza 20 marzo 2020, n. 10375

Data udienza 11 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Diritto degli alimenti – Reati in materia alimentare – Pericolo la salute pubblica – Tentativo di frode in commercio – Alimenti surgelati non indicati come tali nel menù o negli espositori – Concessione delle attenuanti a causa – Non punibilità per tenuità del fatto – Esclusione – Fattispecie

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 1/6/2018 della Corte d’appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 1 giugno 2018 la Corte d’appello di Roma, provvedendo sulla impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 22 febbraio 2013 del Tribunale di Tivoli, con cui lo stesso era stato dichiarato responsabile del reato di cui agli articoli 56 e 515 c.p. e condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di 2.065,00 Euro di multa (per avere, quale amministratore della S.r.l. (OMISSIS), titolare della attivita’ di ristorante e pizzeria denominata (OMISSIS), detenendo nel magazzino del bar e ponendo in vendita nel bancone esposto al pubblico cornetti, strudel e fagottini congelati all’origine, nonche’ detenendo nella cucina del ristorante ravioli, pasta fresca artigianale e funghi porcini congelati, omettendo in entrambi i casi di indicarne ai clienti l’originario stato di conservazione), ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena riconosciuto all’imputato dal Tribunale, come da questi richiesto con l’atto di impugnazione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e e), la violazione degli articoli 56 e 515 c.p. e l’illogicita’ della motivazione, con riferimento alla affermazione della propria responsabilita’ in ordine al reato di tentata frode in commercio, ritenuto configurabile nonostante l’esistenza di un orientamento interpretativo contrario alla anticipazione della soglia di punibilita’ per tale delitto alla mera detenzione di alimenti con caratteristiche differenti rispetto a quelle indicate, essendo necessaria per il suo perfezionamento la consegna del bene all’acquirente, preceduta da una fase di contrattazione tra venditore e acquirente, la cui esistenza sarebbe imprescindibile anche per poter ritenere configurabile il tentativo.
Ha richiamato in proposito quanto esposto nella motivazione della sentenza Morici delle Sezioni Unite di questa Corte, circa l’idoneita’ e l’univocita’ degli atti necessarie per poter ritenere configurabile il tentativo di frode in commercio, secondo cui la mera detenzione di merce alterata, ovvero contraffatta o scaduta, non puo’, di per se’, in mancanza di un inizio di negoziazione e di altri elementi, configurare il tentativo di frode in commercio, stante la equivocita’ di tale sola condotta di detenzione, non accompagnata da altri elementi, tenuto conto della esistenza della possibilita’ per il commerciante di non alienare o utilizzare tale merce.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera b) e e), la violazione e l’errata applicazione dell’articolo 131 bis c.p. e l’insufficienza della motivazione, nella parte relativa alla esclusione della configurabilita’ della causa di esclusione della punibilita’, fondata solo sulla gravita’ del fatto, omettendo di considerare la applicazione della sola pena pecuniaria e l’incensuratezza dell’imputato.
2.3. Infine, con un terzo motivo, ha lamentato, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera b) e e), il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e l’eccessivita’ della pena, confermate dal giudice dell’impugnazione omettendo, anche a questo proposito, di considerare lo stato di incensuratezza dell’imputato e la reale portata della condotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, peraltro riproduttivo dei primi tre motivi d’appello, adeguatamente considerati e disattesi con motivazione idonea dalla Corte d’appello, e’, nel suo complesso, infondato.
2. Il primo motivo, relativo alla configurabilita’ del tentativo, censurata dal ricorrente sulla base della equivocita’ della condotta, che dovrebbe ricondurla agli atti preparatori non punibili, non e’ fondato.
Va ricordato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, che il Collegio condivide e ribadisce, la disponibilita’ di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menu’ o negli espositori nei quali gli stessi siano esposti a disposizione della clientela, integra il reato di tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore, in quanto tale comportamento e’ univocamente rivelatore della volonta’ dell’esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella pattuita (Sez. 3, n. 39082 del 17/05/2017, Acampora, Rv. 270836; Sez. 3, n. 30173 del 17/01/2017, Zhu, Rv. 270146; Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, Prete, Rv. 259149; Sez. 3, Sentenza n. 6885 del 18/11/2008, dep. 18/02/2009, Chen, Rv. 242736; Sez. 3, n. 23099 del 13/04/2007, Cambria, Rv. 237067).
Benche’ l’inizio della contrattazione possa, di regola, rendere inequivoca la condotta, e, quindi, determinarne la punibilita’ a titolo di tentativo di frode in commercio, cio’, tuttavia, non e’ sempre necessario per poter ritenere configurabile il tentativo quando, come nel caso in esame, gli atti siano univoci anche in assenza di un inizio di contrattazione, che, quindi, non e’, come affermato nel ricorso, presupposto ineludibile della configurabilita’ del tentativo.
Nel caso, quale quello in esame, in cui gli alimenti surgelati siano conservati nelle cucine, in modo tale da renderne evidente la loro destinazione alla preparazione delle pietanze da somministrare ai clienti dell’esercizio commerciale, non occorre alcun inizio della contrattazione per ritenere che la condotta sia diretta in modo idoneo e non equivoco a realizzare il reato di frode in commercio, essendo chiara la destinazione di detti alimenti surgelati alla preparazione di cibi, cosicche’ l’eventuale mancata offerta di tali pietanze potra’, semmai, essere qualificata come desistenza, essendo stata superata la fase degli atti preparatori. Cio’, a maggior ragione, vale per gli alimenti (cornetti, strudel, fagottini) esposti nella parte dell’esercizio commerciale destinata a bar, a disposizione dei clienti, stante l’assoluta inequivocita’ di tale condotta, proseguita fino alla offerta al pubblico, che consiste in un inizio di contrattazione, sia pure non individualizzata (cfr. articolo 1336 c.c.).
Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza della censura, stante il corretto rilievo della configurabilita’ del reato di tentata frode in commercio nella condotta contestata.
3. Il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento della causa di esclusione della punibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto, e’ inammissibile, sia a causa della sua genericita’, non essendo state illustrate le ragioni, al di la’ della incensuratezza dell’imputato, sulla base delle quali dovrebbe essere riconosciuta tale particolare tenuita’ del fatto; sia perche’ e’ volto a sindacare sul piano del merito la valutazione di non lieve offensivita’ della condotta, giustificata in modo adeguato dalla Corte d’appello, attraverso la sottolineatura del quantitativo di alimenti surgelati non indicati come tali e presenti all’interno della attivita’ commerciale svolta dalla societa’ amministrata dall’imputato, cui puo’ aggiungersi il dato, desumibile dalla contestazione, della realizzazione della condotta nello svolgimento di una attivita’ imprenditoriale di somministrazione al pubblico di cibi e bevande, strumentalmente alla stessa, dunque non in modo occasionale.
4. La doglianza in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla misura della pena, oltre che anch’essa generica, e’ manifestamente infondata, avendo la Corte territoriale disatteso le richieste di riconoscimento di tali attenuanti e di riduzione della pena, peraltro solo pecuniaria, sottolineando l’assenza di elementi di positiva considerazione e la gravita’ della condotta, desunta dal quantitativo di alimenti sequestrati: si tratta di motivazione idonea, essendo stato indicato l’elemento, tra quelli di cui all’articolo 133 c.p., giudicato prevalente nella valutazione di gravita’ del fatto (per la potenziale compromissione della salute pubblica conseguente alla messa in commercio di alimenti celandone la provenienza dalla surgelazione), con la conseguente manifesta infondatezza delle censure sollevate sul punto dal ricorrente.
5. Il ricorso deve, dunque, essere respinto, stante l’infondatezza del primo motivo e l’inammissibilita’ del secondo e del terzo motivo.
Al rigetto del ricorso consegue l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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