Tardiva assunzione con retrodatazione giuridica

Consiglio di Stato, Sentenza|22 febbraio 2022| n. 1277.

In caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego, né, a tal fine, assume rilevanza l’eventuale messa in mora volta ad ottenere la costituzione del rapporto, in quanto tali voci presuppongono l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e la relativa azione ha natura contrattuale; il lavoratore può, invece, agire o a titolo di responsabilità extracontrattuale, allegando quale danno ingiusto tutti i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all’assunzione tempestiva (quali le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall’ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative), oppure ex art. 2126 c.c., in presenza delle relative condizioni.

Sentenza|22 febbraio 2022| n. 1277. Tardiva assunzione con retrodatazione giuridica

Data udienza 16 dicembre 2021

Integrale
Tag- parola chiave: Pubblico impiego contrattualizzato – Tardiva assunzione con retrodatazione giuridica – Provvedimento illegittimo della PA – Risvolti economici

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6849 del 2020, proposto da
Ma. Fi., rappresentata e difesa dall’avvocato Or. Nu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cosenza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato La. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ni. Pa. in Roma, via (…);
per la condanna al risarcimento del danno ingiusto, derivante dalla mancata esecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato – Sezione V n. 3387/2018 e Sezione V n. 3941/2019, rese tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Cosenza;
Visto l’art. 112, comma 3, cod.proc.amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2021 il Cons. Annamaria Fasano e sulla base delle conclusioni delle parti come da atti, atteso che i difensori hanno depositato richieste di passaggio in decisione, senza preventiva discussione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Tardiva assunzione con retrodatazione giuridica

FATTO

1. Ma. Fi. partecipava al bando per il concorso pubblico a n. 4 posti di dirigente amministrativo, indetto dal Comune di Cosenza con delibera di Giunta Municipale n. 124 del 29 aprile 2009, collocandosi in posizione utile. Il Comune non provvedeva ad approvare la graduatoria e, con determinazione dirigenziale n. 1276 del 27 luglio 2011, procedeva alla revoca dell’intera procedura concorsuale. Avverso tale provvedimento, Ma. Fi. proponeva ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria che, con sentenza n. 750 del 2012, respingeva l’impugnazione.
1.1. La ricorrente appellava la pronuncia dinanzi al Consiglio di Stato che, con sentenza n. 3387 del 2018, ritenendo l’insussistenza delle ragioni alla base della revoca della procedura concorsuale, stabiliva: “il Comune di Cosenza dovrà approvare al graduatoria dei concorsi illegittimamente revocati e procedere all’immissione in ruolo dei vincitori, sulla base dei posti dirigenziali in organico disponibili”.
L’amministrazione comunale non dava seguito alla predetta statuizione ed adottava una serie di provvedimenti elusivi. Nonostante l’approvazione della graduatoria disposta con il provvedimento n. 120/2018 e la nomina della ricorrente a vincitrice del concorso, la pubblica amministrazione poneva in essere un contegno elusivo del dictum giurisdizionale, non immettendo nel ruolo dirigenziale Ma. Fi. che, pertanto, il 2 agosto 2018 era costretta ad esperire giudizio di ottemperanza. Nelle more di tale giudizio, il Comune di Cosenza, con determinazione n. 3271 del 27 dicembre 2018, disponeva l’assunzione in servizio della ricorrente con contratto sottoscritto in data 31 dicembre 2018, e, pertanto, l’actio iudicati nel frattempo proposta era definita da questa Sezione del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 3941 del 12 giugno 2019 di cessazione della materia del contendere.
2. Con ricorso ex art. 30 c.p.a., proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Ma. Fi. agiva per il risarcimento dei danni sofferti a causa dell’illegittimità amministrativa, accertata dalla decisione del Consiglio di Stato n. 3387/2018 ed inveratisi dall’adozione del provvedimento di revoca n. 1276/2011, fin dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di accoglimento del giudice di appello, avvenuto il 24 ottobre 2018, stante la descritta necessità di esperire l’ulteriore azione di ottemperanza.
I pregiudizi venivano quantificati nella misura complessiva di euro 355.891,71, come da allegata C.T.P., cifra corrispondente ai mancati emolumenti della posizione retributiva di dirigente, all’inquadramento giuridico sin dall’intervenuta illegittima revoca, al TFR ed al danno previdenziale, anche da liquidarsi in via equitativa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
2.1. L’adito Tribunale, con sentenza n. 2122 del 19 dicembre 2019, ritenuto che la domanda riguardasse, da una parte, il danno da illegittima attività amministrativa maturato fino all’annullamento definitivo del provvedimento di revoca, e dall’altra, il danno da mancata ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato, maturato fino all’effettiva immissione in ruolo, dichiarava la propria incompetenza funzionale sulla domanda di risarcimento ai sensi dell’art. 112, comma 3, c.p.a. a favore del Consiglio di Stato in qualità di giudice dell’ottemperanza, e inammissibile la domanda risarcitoria ex art. 30 c.p.a., statuendo che su tale domanda si fosse già formato il giudicato di rigetto, a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato n. 3387 del 2018 non impugnata.
3. Ma. Fi. ha proposto ricorso a questo Consiglio di Stato, formulando domanda risarcitoria per il periodo successivo al deposito della sentenza n. 3387 del 2018, e chiedendo la condanna del Comune di Cosenza al risarcimento del danno patrimoniale, da quantificarsi in euro 23.317,01, oltre interessi fino al soddisfo, ovvero nella misura ritenuta di giustizia, da liquidarsi anche in via equitativa.

 

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A sostegno della richiesta ha allegato al ricorso una relazione di consulenza tecnica di parte redatta dal dott. Giovan Battista Franchino, relativa alla determinazione delle differenze retributive.
3.1. Si è costituito in resistenza il Comune di Cosenza, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso, in quanto il danno da mancata ottemperanza alla sentenza n. 3387 del 2018 di questo Consiglio non risulterebbe invocabile a norma dell’art. 30 c.p.a., bensì ai sensi dell’art. 112, comma 3, c.p.a..
Secondo l’amministrazione resistente la ricorrente non avrebbe diritto ad alcun risarcimento, in quanto non provato, atteso che le risultanze della perizia prodotta per il periodo precedente alla emissione della sentenza non consentirebbero di comprendere il criterio di quantificazione dell’importo preteso, oltre al fatto che il danno non potrebbe essere parificato al trattamento economico del dirigente, atteso che non è stata espletata per il Comune di Cosenza alcuna attività lavorativa, sicchè non sussisterebbe alcun diritto della ricorrente alla relativa retribuzione.
Con successive memorie, anche di replica, entrambe le parti hanno meglio illustrato le rispettive tesi difensive.
3.2. Con ordinanza collegiale n. 707 del 25.1.2021, questa Sezione, ritenuto necessario ai fini della decisione, acquisire informazioni e documenti ai sensi dell’art. 64, comma 3, c.p.a., sulla correttezza della liquidazione delle somme eventualmente dovute dall’amministrazione resistente a titolo risarcitorio, ha disposto che il Comune di Cosenza depositasse una relazione contenente il prospetto, articolato su base mensile, delle somme percepite dalla ricorrente e quello che la stessa avrebbe avuto diritto di percepire nel periodo in contestazione decorrente dalla pubblicazione della sentenza n. 3387 del 2018 (5 giugno 2018), sino all’assunzione alle dipendenze del Comune di Cosenza (31 dicembre 2018).
3.3. Il Comune di Cosenza, con nota del 22 luglio 2021, ha depositato il prospetto dell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro delle retribuzioni corrisposte alla ricorrente per il periodo 5 giugno 2018/31 dicembre 2018 ed il prospetto delle differenze retributive tra il trattamento di dirigente e le retribuzioni corrisposte dall’Università con le due opzioni della prima e seconda fascia.
4. Alla camera di consiglio del 16 dicembre 2021, la causa è passata in decisione.

 

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DIRITTO

5. Va, preliminarmente, esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal Comune di Cosenza, in ragione dell’errata qualificazione della richiesta di risarcimento del danno indicata nell’intestazione dell’atto di introduzione della lite.
L’ente comunale eccepisce che il danno per mancata ottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 3387 del 2018 non risulterebbe invocabile a norma dell’art. 30 c.p.a. (illegittimo esercizio dell’attività amministrativa), ma a norma dell’art. 112, comma 3, c.p.a., perché il comma 4 dell’art. 112 cit., che ciò contemplava, è stato abrogato dal d.lgs. n. 195 del 2011.
5.1. L’eccezione non merita accoglimento.
Il Collegio rileva che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso ex art. 112, comma 3, c.p.a., non costituisce condizione necessaria la corretta menzione della norma appropriata tra quelle in cui è consentito adire al Consiglio di Stato, purchè si faccia valere nello sviluppo illustrativo dell’atto di impugnazione la ragione astrattamente idonea a sostenere le richieste del ricorrente.
Invero, dalla piana lettura del ricorso emerge all’evidenza che si è inteso adire al giudice dell’ottemperanza per ottenere tutela risarcitoria ai sensi dell’art. 112, comma 3, c.p.a..
L’irregolarità dell’atto viene sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., per il principio del raggiungimento dello scopo, regola processuale generale applicabile anche al giudizio amministrativo.
Ai sensi dell’art. 156 c.p.c. “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quanto l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato”.

 

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Il raggiungimento dello scopo, quale condizione della sanatoria, si verifica quando si avvera l’evento successivo cui l’atto è preordinato.
Nella specie, l’atto medesimo ha raggiunto lo scopo cui era destinato, tenuto conto che non sussiste alcuna incertezza sulle richieste formulate da parte ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, tanto che l’ente comunale è stato in grado di illustrare adeguatamente e in maniera articolata le proprie difese (art. 24 Cost.).
6. Nel merito, il ricorso è fondato nei limiti di cui in motivazione.
6.1. Secondo il comma 3 dell’art. 112 c.p.a. (nel testo introdotto dal d.lgs. n. 195 del 2011) può essere proposta in unico grado dinanzi al giudice dell’ottemperanza azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni connessi all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione.
Risulta, pertanto, l’esperibilità di una residuale tutela risarcitoria, anche in unico grado, per i danni connessi a ciò che è avvenuto successivamente all’intervento del giudicato.
La disposizione ricomprende i danni derivanti da violazione o elusione del giudicato, che rinvengono il loro presupposto in un comportamento imputabile all’amministrazione inadempiente.
A seguito della novella di cui al d.lgs. n. 195/2011, infatti, l’eccezione al principio del doppio grado di giurisdizione per il petitum risarcitorio proponibile direttamente in ottemperanza è limitata esclusivamente alla domanda prospettata quale conseguenza diretta della supposta elusione, violazione, o mancata esecuzione del giudicato, pertanto la sede dell’ottemperanza non può essere considerata alla stregua di uno strumento ove fare affluire le istanze risarcitorie relative alla fase precedente il formarsi del giudicato medesimo.
6.2. Ciò premesso, il Collegio ricorda che il danno per omessa o ritardata assunzione non può essere sic et simpliciter identificato nella mancata erogazione della retribuzione o della contribuzione, elementi che comporterebbero una vera e propria restitutio in integrum e che possono rilevare soltanto sotto il profilo della responsabilità contrattuale, occorrendo, invece, caso per caso, individuare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta del datore di lavoro (Cons. Stato, 30 gennaio 2017, n. 370; Cons. Stato, 28 dicembre 2016, n. 5514).

 

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L’enunciato principio è condiviso anche dalla giurisprudenza di legittimità in materia di pubblico impiego contrattualizzato, secondo cui: “in caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego, né, a tal fine, assume rilevanza l’eventuale messa in mora volta ad ottenere la costituzione del rapporto, in quanto tali voci presuppongono l’avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e la relativa azione ha natura contrattuale; il lavoratore può, invece, agire o a titolo di responsabilità extracontrattuale, allegando quale danno ingiusto tutti i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all’assunzione tempestiva (quali le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall’ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative), oppure ex art. 2126 c.c., in presenza delle relative condizioni”(Cass. sez. L. n. 13940 del 2017; Cass. sez. L. n. 6046 del 2018; Cass. n. 16665 del 2020).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in caso di tardivo adempimento da parte della pubblica amministrazione dell’obbligo di assunzione del candidato vincitore di un concorso, è dovuto a quest’ultimo il risarcimento del danno patrimoniale da ritardata assunzione, da liquidarsi in misura corrispondente alle retribuzioni spettanti per il periodo di mancato svolgimento dell’attività lavorativa, detratto l’aliunde receptum (Cass. n. 31175 del 2017).
Il Collegio condivide detto approdo ermeneutico, dal quale non intende discostarsi, e ritiene che nella fattispecie in esame devono ritenersi sussistenti tutti gli elementi costitutivi dell’illecito oggetto del petitum, ossia il danno da ritardata assunzione.
Occorre precisare, con riferimento alle deduzioni difensive prospettate dalle parti, come la verifica in merito alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito deve essere compiuta con riguardo alla fase successiva alla sentenza n. 3887 del 2018, con cui questa Sezione del Consiglio di Stato ha disposto che il Comune di Cosenza avrebbe dovuto approvare le graduatorie dei concorsi illegittimamente revocate e procedere all’immissione in ruolo dei vincitori sulla base dei posti dirigenziali in organico disponibili.
Risulta dagli atti e documenti del giudizio che il Comune di Cosenza abbia eluso il suddetto giudicato, tanto che la ricorrente è stata costretta a proporre un successivo giudizio, definito dal giudice dell’ottemperanza con sentenza n. 3941 del 2019.
Ritiene il Collegio che tale ampio periodo temporale risulti ingiustificato e soggettivamente imputabile all’amministrazione, che avrebbe dovuto dare seguito alle statuizioni contenute nella sentenza di questo Consiglio n. 3387 del 2018 e completare la procedura concorsuale con una diversa e più rapida scansione temporale, senza costringere Ma. Fi. a ricorrere al giudice dell’ottemperanza.

 

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Per quanto attiene all’elemento soggettivo, infatti, può prescindersi da una specifica indagine al riguardo in quanto, nella specie, il danno ingiusto è derivato dalla mancata esecuzione della sentenza del giudice amministrativo da parte dell’ente comunale.
Né emergono esimenti, ossia legittime cause di ritardo che possano escludere l’antigiuridicità della condotta; tale circostanza non è stata neppure allegata nelle memorie difensive dell’ente comunale, il quale ha articolato in giudizio le proprie difese assumendo che solo dal passaggio in giudicato dalla sentenza n. 3387 cit. potrebbe configurarsi un danno risarcibile per mancata esecuzione della stessa e che, comunque, in ogni caso, il danno non sarebbe parificato al trattamento economico di un dirigente, non essendo stata espletata per il Comune di Cosenza alcuna attività lavorativa.
6.3. Ai fini dell’esame della responsabilità dell’amministrazione nella causazione dell’evento, va rilevato che, nella specie, non si è trattato di un adempimento che il Comune ha eseguito motu proprio, tenuto conto del giudizio di ottemperanza proposto dalla ricorrente.
Appare, pertanto, evidente la responsabilità del Comune di Cosenza per l’omessa esecuzione del giudicato.
Sussiste, del resto, anche il necessario presupposto della lesione di un interesse tutelato dall’ordinamento e, in particolare, della lesione economica derivante dalla mancata corresponsione alla dipendente, vincitrice di concorso, delle retribuzioni relative al periodo di ritardo nell’immissione in ruolo.
Con specifico riferimento alla natura dell’interesse leso, va precisato che, nel caso di nomina tardiva per effetto di una sentenza che abbia inciso sulla graduatoria concorsuale, non viene leso il diritto soggettivo all’inquadramento con la stessa decorrenza degli altri vincitori di concorso, quanto piuttosto l’interesse legittimo al corretto svolgimento della procedura concorsuale che, qualora avesse avuto un andamento regolare, non avrebbe comportato il ritardo o l’omissione nell’assunzione della suddetta qualifica (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. V, n. 5174 del 2.10.2002).
Quanto, poi, al nesso causale tra la condotta posta in essere dall’amministrazione ed il lamentato pregiudizio, appare evidente che il colpevole ritardo dell’amministrazione abbiano comportato le rilevate conseguenze pregiudizievoli denunciate dal ricorrente.
6.4. Passando alla quantificazione del danno, il Collegio rileva come la giurisprudenza amministrativa abbia costantemente affermato che, nel caso di ritardata costituzione di un rapporto di impiego conseguente all’illegittima esclusione dalla procedura di assunzione, ma il principio è applicabile anche in fattispecie di elusione del giudicato che abbia statuito l’immissione in ruolo della vincitrice ricorrente, non possa riconoscersi all’interessato il diritto alla corresponsione della piena retribuzione relativa al periodo di ritardo nell’assunzione; ciò in quanto detto diritto, in ragione della sua natura sinallagmatica, presuppone necessariamente l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio, che nella specie non ricorre.
Ne consegue che tale danno non può corrispondere all’intero ammontare delle retribuzioni non devolute (se pure dopo la pubblicazione della sentenza n. 3387 del 2018), ma va determinato in ragione delle differenze retributive tra quanto già percepito dall’interessata svolgendo servizio presso altra amministrazione e quanto la stessa avrebbe percepito in ipotesi di regolare immissione in ruolo.
In altri termini, il danno non può identificarsi direttamente nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione alla dipendente, poiché tali voci di natura economica presuppongono, in ogni caso, che la ricorrente abbia effettivamente espletato la prestazione lavorativa, trattandosi di emolumenti che, sinallagmaticamente, prevedono l’avvenuto svolgimento dell’attività di servizio (Cons. Stato, 12 settembre 2018, n. 5350; Cons. Stato, 30 gennaio 2017, n. 370; Cons. Stato, 28 dicembre 2016, n. 5514).
Ai fini della quantificazione del danno risarcibile, quindi, l’entità della mancata percezione della retribuzione in capo alla ricorrente costituirà solo uno, per quanto il principale, dei criteri di determinazione.

 

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Sotto tale aspetto, il Collegio ritiene di aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di ritardata costituzione del rapporto di impiego, il danno deve essere liquidato in via equitativa e tenendo, altresì, conto del fatto che l’interessata, nel periodo in questione, non ha comunque svolto attività lavorativa in favore dell’amministrazione che avrebbe dovuto assumerla (cfr. Cons. Stato, 8 ottobre 2018, n. 5762; Cons. Stato, 12 settembre 2018, n. 5350; Cons. Stato, 17 febbraio 2017, n. 739; Cons. Stato, 27 marzo 2013, n. 1773; Cons. Stato, 4 giugno 2013, n. 3049; Cons. Stato, 11 novembre 2010, n. 8020).
Il criterio equitativo va applicato decurtando il corrispondente importo di una percentuale che sappia cogliere la gravità della condotta della pubblica amministrazione e, al contempo, valutare la circostanza per cui la parte ricorrente, nell’arco di tempo in cui non ha prestato servizio, è stata impegnata in altra attività regolarmente retribuita.
Ma. Fi. è stata dipendente dell’Università Magna Graecia fino alla data di immissione in ruolo presso il Comune di Cosenza, nella qualità di dirigente amministrativo.
Nella fattispecie, tenuto conto della documentazione in atti, che attesta lo svolgimento da parte della ricorrente di altre attività di lavoro subordinato, il danno va determinato in misura percentuale che tenga conto delle suddette circostanze.
La base di calcolo di detta quantificazione è rappresentata dall’ammontare del trattamento economico netto non goduto con esclusione della parte variabile della retribuzione relativa alle funzioni.
Pertanto, non possono trovare accoglimento le istanze proposte dalla ricorrente con memoria depositata in data 13 dicembre 2021, la quale lamenta che il Comune di Cosenza, nel prospetto relativo alle differenze retributive depositato in atti, non ha adeguatamente calcolato le differenze stipendiali non tenendo conto delle indennità variabili, con la conseguenza che il dato contabile che si ottiene risulterebbe penalizzante.
Il Collegio rileva che dalla base di calcolo vanno escluse tutte le voci retributive diverse e ulteriori allo stipendio tabellare, in quanto tali voci sono comunque correlate, direttamente o indirettamente, allo svolgimento di quella attività lavorativa, che in effetti non c’è stata.
Tale importo, come si è detto, deve essere sottoposto ad una percentuale di abbattimento, la quale, anch’essa, non può che essere quantificata equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c. (Cons. Stato, 22 febbraio 2019, n. 1230).
6.5. Tanto premesso, nel caso di specie, è certamente percepibile l’esistenza di un grave pregiudizio subito dalla ricorrente per effetto della mancata assunzione, e non può, altresì, non assumere rilievo la gravità della colpa riferibile all’amministrazione comunale la quale si è volutamente sottratta all’obbligo di dare puntuale esecuzione al giudicato amministrativo, ponendo in essere comportamenti elusivi e solo dopo che è stato azionato il giudizio di ottemperanza si è determinata a provvedere all’immissione in ruolo della vincitore.

 

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A parere del Collegio, nella fattispecie concreta, tenuto conto del grado di colpa dell’Amministrazione, il danno può essere quantificato, in via equitativa nella misura del 80% della retribuzione (al netto di oneri fiscali e previdenziali e con esclusione della parte variabile della retribuzione relativa alle funzioni), che la parte avrebbe potuto percepire ove fosse stata tempestivamente assunta ed immessa in servizio dopo la pubblicazione della sentenza n. 3387 del 2018.
Il periodo di riferimento, come precisato, va correlato all’inerzia colposa dell’amministrazione che, nel caso in esame, deve ricollegarsi al periodo temporale che va dalla pubblicazione della sentenza divenuta poi cosa giudicata tra le parti (5 giugno 2018) sino all’assunzione alle dipendenze del Comune di Cosenza (31 dicembre 2018).
Sulle somme così quantificate dovranno essere computati sia la rivalutazione che gli interessi legali, da calcolarsi a partire dalla data di pubblicazione della sentenza n. 3387 del 2018.
L’obbligazione di risarcimento ha natura di debito di valore, sicchè la somma a tali fini liquidata non può che essere ragguagliata, secondo gli indici Istat, ai valori monetari correnti alla data in cui è compiuta la liquidazione giudiziale.
Gli interessi legali vanno computati non già sulla complessiva somma rivalutata bensì su quella originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria (cfr. ex multis, TAR Lazio, 6 giugno 2016, n. 6489, Cass. civ. n. 3894 del 2016).
All’importo risarcitorio va comunque sottratto l’aliunde receptum derivante da altra attività lavorativa svolta dalla ricorrente nel periodo in esame e, a tal fine, va tenuto conto dell’esito dei conteggi demandati al Comune di Cosenza che, ottemperando alla richiesta di informazioni, formulata con ordinanza n. 707 del 25.1.2021, ha allegato il prospetto articolato su base mensile delle retribuzioni effettivamente corrisposte a Ma. Fi. dal precedente datore di lavoro (Università Magna Graecia), nel medesimo periodo ivi indicato, ed il prospetto delle somme a cui la stessa avrebbe avuto diritto nel periodo in contestazione.
Per quello che riguarda le modalità di liquidazione dell’obbligazione risarcitoria, la Sezione ritiene di poter far ricorso, in mancanza di opposizione delle parti, al meccanismo previsto dall’art. 34, comma 4, c.p.a.: il Comune di Cosenza dovrà pertanto proporre alla ricorrente, a titolo di risarcimento del danno ed entro 30 giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, il pagamento di una somma quantificata secondo i criteri indicati in sentenza.
7. Quanto al danno non patrimoniale, parte ricorrente ha allegato che l’illegittimo comportamento dell’amministrazione sarebbe stato causa di ulteriori pregiudizi integranti perdita di chance nell’ambito della carriera professionale, atteso che avrebbe potuto spendere la qualifica di dirigente per accedere ad ulteriori avanzamenti di carriera.
7.1. La domanda non può trovare accoglimento.
Il danno da ‘perdita di chance’ è da intendersi, in linea di principio, quale lesione della concreta occasione favorevole di conseguire un determinato bene, occasione che non è mera aspettativa di fatto, ma entità patrimoniale a sé state, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione. In ordine alla prova del grado di concreta ed effettiva possibilità di conseguire il’bene della vità, va precisato come, superata la teoria ‘ontologicà secondo cui la risarcibilità sarebbe svincolata dalla idoneità presuntiva della chance ad ottenere il risultato finale, si sia affermato il diverso indirizzo c.d. ‘eziologicò legato al criterio della c.d. causalità adeguata o ‘regolarità causalè o ‘probabilità prevalentè .
Ne consegue che il danno da perdita di chance può essere in concreto ravvisato e risarcito (ove ne ricorrano i presupposti anche in via equitativa) solo con specifico riguardo al grado di probabilità che in concreto il richiedente avrebbe avuto di conseguire il bene della vita e, cioè, in ragione della maggiore o minore probabilità dell’occasione perduta.
In questo senso si è più volte precisato, con argomentazioni estensibili al caso in esame, che il ricorrente ha l’onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pure se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità concreta che egli avrebbe avuto di conseguire il risultato sperato.
Osserva il Collegio che, nella specie, il danno relativo alle aspettative di carriera (perdita di chanche), in relazione al quale manca comunque una prova certa, non possa rientrare neppure a livello equitativo nella posta risarcitoria in considerazione del fatto che tale voce di danno non viene riconosciuto neppure in sede di ricostruzione della carriera, presupponendo la concreta prestazione del servizio (Cons. Stato, 9 luglio 2020, n. 4404, Cons. Stato, 21 febbraio 2018, n. 1095) che, come si è detto, non c’è stato.
8. In definitiva, il ricorso proposto da Ma. Fi. ex art. 112, comma 3, c.p.a. merita accoglimento nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, il Comune di Cosenza è tenuto a proporre alla ricorrente, ex art. 34, comma 4, c.p.a. a titolo di risarcimento del danno, il pagamento di una somma quantificata secondo i criteri indicati in sentenza, entro 30 (trenta) giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, ordina ex art. 34, comma 4, c.p.a. al Comune di Cosenza di proporre alla ricorrente, a titolo di risarcimento del danno ed entro 30 (trenta) giorni dalla notificazione o comunicazione della presente sentenza, il pagamento di una somma quantificata secondo i criteri indicati in motivazione.
Condanna il Comune di Cosenza alla corresponsione a favore della ricorrente delle spese di giudizio quantificate nella misura di euro 2000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Valerio Perotti – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere
Annamaria Fasano – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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