Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 settembre 2016, n. 18315
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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 settembre 2016, n. 18315

Legittimo il licenziamento del dipendente dell’Agenzia delle entrate che gestiva di fatto due studi di consulenza e aveva partecipato alla redazione di processi verbali di accesso e contestazioni nei confronti di soggetti che risultavano nell’elenco clienti dello studio Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 19 settembre 2016, n. 18315 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL...

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 agosto 2016, n. 17108
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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 agosto 2016, n. 17108

La L. n. 604 del 1966, articolo 5, attribuisce inderogabilmente al datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, sicche’ il giudice non puo’ avvalersi del criterio empirico della vicinanza alla fonte di prova per derogare alla norma citata, criterio il cui uso e’ consentito solo...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 7 giugno 2016, n. 11630

In tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione...

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Il giudizio sull'esistenza o meno della giusta causa di recesso costituiva giudizio di fatto, denunciabile per cassazione solo se affetto da vizi di motivazione, ed essendosi invece consolidato il principio di diritto secondo cui la giusta causa di licenziamento, quale fatto "che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, dei rapporto", è una nozione che la legge configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali e come tale delinea un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama, la disapplicazione dei quali, trattandosi di specificazioni dei parametro normativo aventi natura giuridica, è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, rimanendo invece nell'ambito del giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non nei limiti dell'art. 360 n. 5 c.p.c., l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, nonché della loro concreta attitudine, sotto il profilo della proporzionalità, a costituire giusta causa di licenziamento. Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 11 maggio 2016, n. 9635.

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 11 maggio 2016, n. 9635 Fatto Con sentenza depositata il 12.3.2013, la Corte d’appello di Potenza rigettava il gravame proposto dall’Istituto Provinciale di Vigilanza “La Ronda” di P.P.G. e confermava la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato l’illegittimità dei licenziamento intimato dall’azienda a C.C., condannandola a reintegrarlo...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 29 marzo 2016, n. 6054. E’ legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro allorché risultino violati i generali doveri di correttezza e buona fede per aver il lavoratore, durante un periodo di assenza per malattia, svolto attività extra-lavorative (nella specie viaggi e attività venatorie) gravemente stressanti per il fisico, e in grado di pregiudicare o ritardare la sua guarigione e il rientro in servizio

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 29 marzo 2016, n. 6054 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VENUTI Pietro – Presidente Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere Dott. TRIA Lucia – Consigliere Dott. BERRINO Umberto – Consigliere Dott. CAVALLARO Luigi –...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 marzo 2016, n. 5777. In tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità. II relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, ed il giudice può escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (nella specie è stato riyenuto legittimo il licenziamento del dipendente che timbra il cartellino per il collega assente: il comportamento, infatti, rompendo il vincolo di fiducia che lega il lavoratore alla società è idoneo a configurare la giusta causa di recesso)

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 23 marzo 2016, n. 5777 Svolgimento del processo Con sentenza pubblicata il 28.1.2013 la Corte d’appello di Ancona, pronunziando sull’impugnazione proposta da C.L., ha riformato la sentenza del giudice dei lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato inammissibile la domanda di quest’ultimo volta all’annullamento del licenziamento...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 marzo 2016, n. 5230. Nell’ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento dei danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi della configurabilità di una condotta di mobbing, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati, pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità dei datore di lavoro – presuppone ovviamente che la questione sia stata validamente introdotta nel giudizio di cassazione, il che a sua volta postula che il ricorrente indichi in quale momento dei giudizio di merito la relativa prospettazione sia stata avanzata, solo così assumendo rilievo l’omessa pronuncia

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 16 marzo 2016, n. 5230 Fatto Con sentenza depositata il 1°.10.2012, la Corte d’appello di Milano confermava la statuizione di primo grado che aveva rigettato l`impugnativa proposta da R.P. contro il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla s.r.l. S.S.C. nonché la sua domanda risarcitoria per asserita condotta vessatoria...