La sussistenza dell’invalidità permanente

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 18 aprile 2019, n. 10816.

La massima estrapolata:

Ferma restando la necessità di un rigoroso accertamento medico-legale da compiersi in base a criteri oggettivi, la sussistenza dell’invalidità permanente non possa essere esclusa per il solo fatto che non sia documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell’invalidità permanente ad una verifica di natura strumentale.

Sentenza 18 aprile 2019, n. 10816

Data udienza 18 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 21510-2016 proposto da:
(OMISSIS) SPA in persona del Procuratore pro tempore (OMISSIS), (OMISSIS) in persona del procuratore pro tempore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 257/2016 del TRIBUNALE di RIMINI, depositata il 19/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento integrale del ricorso e cassazione con rinvio;
udito l’Avvocato (OMISSIS);

FATTI DI CAUSA

1. Le (OMISSIS) S.p.a. e (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, rispettivamente, ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)”) ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Rimini n. 257/16, del 19 febbraio 2016, che – accogliendo solo parzialmente il gravame esperito dalle odierne ricorrenti – ha condannato, in solido, la (OMISSIS) ed (OMISSIS) a pagare a (OMISSIS) l’importo di Euro 2.969,59 a titolo di risarcimento del danno alla persona dallo stesso subito in occasione del sinistro stradale occorsogli, in (OMISSIS).
2. Riferiscono, in punto di fatto, le ricorrenti che il predetto (OMISSIS) – con citazione notificata il 21 dicembre 2012 – conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di pace riminese, il (OMISSIS) e la (OMISSIS). In particolare, l’attore chiedeva di essere risarcito – dal (OMISSIS), in qualita’ di proprietario e conducente del veicolo che aveva tamponato il suo nelle circostanze di tempo e luogo sopra meglio descritte, dalla (OMISSIS), invece, quale assicuratrice “RCA” del veicolo tamponante – del danno patrimoniale da fermo tecnico cagionato alla sua vettura e (cio’ che qui interessa) del danno non patrimoniale da lesioni personali micropermanenti, riportate all’esito del sinistro.
Nella contumacia del (OMISSIS), si costituiva in giudizio la (OMISSIS), in persona del rappresentante volontario societa’ (OMISSIS) (peraltro, assicuratrice “RCA” del veicolo del (OMISSIS)), contestando, non la dinamica del sinistro, ma la sussistenza della lesione al rachide cervicale lamentata dall’attore, deducendo la mancanza di un accertamento “clinico strumentale obiettivo” della stessa, come richiesto dall’articolo 139, comma 2, cod. assicurazioni.
Disposta CTU medico-legale, la stessa attestava la sussistenza quale conseguenza del sinistro – di una lesione permanente, i cui postumi invalidanti venivano stimati nel 2 %, consistente nella “succussione rachide cervicale e lombare esitata in algodisfunzionalita’ dei suddetti distretti”, condannando solidalmente il (OMISSIS) e la (OMISSIS) a risarcire, oltre al danno da fermo tecnico del veicolo incidentato, il danno biologico subito dal (OMISSIS) per invalidita’ temporanea e per invalidita’ permanente (stimati, rispettivamente, in Euro 752,75 e in Euro 1.419,40), oltre al danno morale, calcolato nella misura del 30% del danno biologico.
Esperito gravame da (OMISSIS) e da (OMISSIS), lo stesso veniva accolto solo in relazione alla disposta condanna dei convenuti al risarcimento del danno patrimoniale da “fermo tecnico” del veicolo, essendo, per la restante parte, confermata la sentenza del primo giudice, con condanna, dunque, della (OMISSIS) e del (OMISSIS) a corrispondere al (OMISSIS) l’importo di Euro 2.969,59, oltre interessi e rivalutazione.
3. Avverso la sentenza del Tribunale di Rimini hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), svolgendo tre motivi, il terzo, peraltro, subordinatamente al rigetto dei primi due.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si ipotizza falsa applicazione dell’articolo 139, comma 2, cod. assicurazioni, come modificato dal Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 32, commi 3-ter e 3-quater, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 2012, n. 27.
Si censura la sentenza impugnata laddove essa – disattendendo uno specifico motivo di appello, proposto dalle odierne ricorrenti – ha ritenuto risarcibile il danno biologico da invalidita’ permanente anche quando i “postumi non siano “visibili” ovvero non siano suscettibili di accertamenti “strumentali” a condizione che l’esistenza di essi possa affermarsi sulla base di un’ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico-legale”.
Ritengono i ricorrenti che la sentenza impugnata sia incorsa in un errore di sussunzione, avendo individuato correttamente le disposizioni destinate a regolare la fattispecie sostanziale (Decreto Legge n. 1 del 2012, articolo 32, commi 1ter e 3-quater), ricostruendo, pero’, il loro portato precettivo “in modo del tutto erroneo, in contrasto con il loro dato testuale”, nonche’ con “la ratio a queste sottesa”.
Si assume come il predetto comma 3-quater abbia introdotto “una vera e propria condizione di risarcibilita’ del danno biologico lieve, condizione integrata dal riscontro medico legale dell’accertamento della lesione”, esigendo, in particolare, che questa “risulti visibilmente o strumentalmente accertata”; si tratterebbe, dunque, di una “regola generale in materia di lesioni di lieve entita’”, applicabile a prescindere dal fatto che esse siano “temporanee ovvero permanenti”. Per contro, il precedente comma 3-ter avrebbe dettato una regola speciale per i soli danni permanenti, consentendone il risarcimento solo quando le lesioni di lieve entita’ siano “suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo”.
Raccordando le due disposizioni si dovrebbe concludere che “in nessun caso” un danno lieve alla persona “potra’ dar luogo al risarcimento per postumi permanenti in mancanza di reperti documentali strumentali in grado di obiettivare la lesione al momento del sinistro”.
Questa interpretazione risulterebbe, peraltro, avallata dalla giurisprudenza costituzionale (sono citate Corte Cost. sent. n. 235 del 2014 e ord. n. 242 del 2015), secondo cui le disposizioni in esame comportano per le lesioni personali di lieve entita’, rispettivamente, “la necessita’ di un “accertamento clinico strumentale” (di un referto diagnostico, cioe’ per immagini) per la risarcibilita’ del danno biologico permanente”, ovvero la semplice “possibilita’ anche di un mero riscontro visivo da parte del medico le legale, per la risarcibilita’ del danno da invalidita’ temporanea”.
Siffatta opzione ermeneutica troverebbe conforto, oltre che nella lettera della legge, nella sua “ratio”, visto che lo scopo del Decreto Legge n. 1 del 2012 – nell’operare un intervento di liberalizzazione nel settore di mercato dell’assicurazione “RCA” – sarebbe stato quello “di garantire un accesso alle coperture obbligatorie a condizioni di premio sostenibili”. Obiettivo perseguito, infatti, attraverso interventi diretti “non solo a stimolare una piu’ libera concorrenza tra le imprese ma anche ad abbattere direttamente taluni fattori impropri di costo che da tempo impattano negativamente sulla (dis)economia del sistema assicurativo”, quali, in particolare, le frodi assicurative.
Ne’, d’altra parte, la messa al bando di “una certa “industria” del sinistro” – scopo che il legislatore avrebbe perseguito ancorando la valutazione medico-legale delle lesioni micro-permanenti a “rigidissimi criteri selettivi”, i quali “nulla abbiano a che vedere con quanto provenga in via esclusiva dalla sfera del paziente” costituirebbe “un’inaccettabile compromissione del diritto inviolabile alla salute di cui all’articolo 32 Cost.”. Per un verso, infatti, come chiarito dalla Corte costituzionale (attraverso il primo dei due gia’ citati arresti), nella materia dell’infortunistica stradale “l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi”; per altro verso, poi, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (e’ citata Cass. Sez. Un., sent. 11 novembre 2008, n. 26792), il pregiudizio non patrimoniale risarcibile e’ sottoposto al “filtro della “serieta’” del danno”, la cui determinazione, oltre che da parte del giudice, puo’ essere rimessa allo stesso legislatore.
3.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – deduce “nullita’ della sentenza per violazione del disposto dell’articolo 115 c.p.c., comma 1, ultima parte”, e, comunque, “falsa applicazione” della medesima disposizione.
Si censura quel passaggio della sentenza impugnata – ritenuta una “ratio decidendi” idonea a reggere in via alternativa il dispositivo di condanna a carico delle odierne ricorrenti – secondo cui l’allora parte appellante “non contesta affatto la sussistenza del trauma al rachide cervicale, ma ne contesta la risarcibilita’ sulla base di considerazioni giuridiche”.
Assumono le ricorrenti che, sin dal primo atto difensivo, la loro posizione “e’ stata nettissima nel negare in radice la sussistenza di una qualche lesione al rachide cervicale”, risultando, pertanto, falsa la circostanza (che, in quanto “fatto processuale”, risulterebbe direttamente accertabile anche da questa Corte) della mancata contestazione della lesione, facendosi da cio’ erroneamente discendere l’effetto giuridico di ritenere la stessa provata. Il tutto, poi, non senza tacere che l’onere di contestazione vigente nel nostro ordinamento non si riferisce a qualsiasi fatto allegato, bensi’ solo a quelli comuni alle parti o, comunque, a quelli conoscibili dalla controparte.
3.3. Il terzo motivo – proposto a norma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), peraltro subordinatamente ai primi due motivi deduce falsa applicazione dell’articolo 139, comma 3, cod. assicurazioni.
Si censura la sentenza impugnata laddove ha riconosciuto il risarcimento anche del danno “morale”, quale sofferenza patita dalla vittima dell’illecito in conseguenza delle menomazioni riportate, dando rilievo, in particolare, al “sentimento normalmente percepito da un soggetto che subisce lesioni personali”. Siffatta forma di “personalizzazione” del pregiudizio patito dalla vittima del sinistro avrebbe, pero’, disatteso il disposto dell’articolo 139, comma 3, cod. assicurazioni. Esso, nel consentire l’aumento – in misura non superiore ad un quinto – di quanto liquidato a titolo di danno biologico, impone, pero’, un “equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”, operazione che, secondo i ricorrenti, presuppone la verifica della sussistenza della “straordinarieta’ delle condizioni soggettive in cui si e’ trovata la vittima nel caso di specie”.
4. Ha proposto controricorso il (OMISSIS), per chiedere il rigetto dell’avversaria impugnazione.
Preliminarmente viene eccepita l’inammissibilita’ del ricorso ai sensi degli articoli 360-bis e 366-bis c.p.c., per essersi la sentenza impugnata uniformata ai principi enunciati, in materia, da questa Corte (e’ citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2016, n. 18773), ovvero perche’ ogni singolo motivo non si conclude con la formulazione di uno specifico quesito di diritto.
Viene, inoltre, eccepita l’inammissibilita’ del ricorso per carenza di interesse ad agire in capo alla societa’ (OMISSIS), atteso che eventuali accordi interassicurativi di ripartizione degli oneri risarcitori non sarebbero opponibili ai terzi danneggiati, avendo valore unicamente per le parti che li hanno sottoscritti e limitatamente ai loro rapporti interni.
Sempre in via preliminare – sul rilievo che (OMISSIS) e (OMISSIS) sono, rispettivamente, gli assicuratori l’una del responsabile civile e l’altra del danneggiato – viene eccepita la nullita’ dei mandati (e l’inammissibilita’ dei relativi ricorsi) in ragione del conflitto di interessi, essendo le due societa’ assistite dal medesimo difensore.
Per un verso, infatti, si rileva che, ai sensi dell’articolo 183 cod. assicurazioni, nell’esecuzione dei contratti assicurativi le imprese debbono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, evitando conflitti di interesse, mentre il Decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2006, n. 254, articolo 9 prevede che l’impresa assicurativa, nell’adempimento di tali obblighi, fornisca al danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile, tra l’altro, a consentire “la piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno”. Orbene, il contegno della societa’ (OMISSIS) (assicuratrice del soggetto danneggiato) non sarebbe stato in linea con tali obblighi di evitare conflitti di interesse, o almeno di gestirli in modo da escludere pregiudizi per il proprio assicurato, e, ancor piu’, di consentire al medesimo la piena realizzazione del suo diritto.
Per altro verso, richiamato il principio secondo cui, in caso di difesa di due parti anche solo potenzialmente in conflitto di interessi, quella che abbia conferito il mandato per seconda deve ritenersi non costituita, si nota come – essendo stato, nella specie, il mandato rilasciato alla stessa data – nessuna delle due assicurazioni possa ritenersi validamente costituita.
Infine, si assume l’infondatezza di ciascun motivo di ricorso.
Quanto, in particolare, al primo – non senza qualificare come semplici “obiter dicta” le affermazioni compiute nei due citati provvedimenti della Corte costituzionale, come tali non vincolanti per il giudice della nomofilachia – si assume che il citato comma 3-quater del Decreto Legge n. 1 del 2012, articolo 32 si riferirebbe, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, a tutti i danni alla persona e non ai soli danni da invalidita’ temporanea.
Si assume, invero, che la diversa interpretazione propugnata dalle ricorrenti porrebbe problemi di costituzionalita’, in relazione, innanzitutto, alla violazione del diritto alla difesa, gravando la vittima di lesioni micropermanenti di una prova impossibile in tutti i casi in cui manchi in medicina un accertamento strumentale per un determinato traumatismo. Inoltre, introducendo – per le sole lesioni micropermanenti – un elemento “eccentrico” nel sistema della responsabilita’ civile, siffatta ermeneusi comporterebbe la trasformazione del risarcimento in un indennizzo. Il tutto, poi, senza tacere della dubbia compatibilita’ con l’articolo 77 Cost. giacche’, interpretando le norme suddette, inserite solo in sede di conversione del Decreto Legge n. 1 del 2012, nel senso indicato dalle ricorrenti, ben difficilmente il loro scopo – che risulterebbe quello di limitare i risarcimenti – potrebbe ritenersi compatibile con la “ratio” sottesa alle norme originarie del decreto-legge, ovvero quella di contrastare e reprimere le frodi assicurative.
D’altra parte, dubbia risulterebbe la compatibilita’
dell’interpretazione proposta dai ricorrenti con il diritto comunitario che, in materia di danni da sinistri stradali, vieta l’apposizione di franchigie ai risarcimenti per i danni fisici (e’ citata CGUE del 23 gennaio 2014, in C-371/12).
Non a caso, dunque, la migliore dottrina – e con essa anche la giurisprudenza, ivi compresa quella di legittimita’ (e’ citata, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2016, n. 18773) sarebbe pervenuta alla conclusione che gli “accertamenti clinico strumentali” di cui al comma 3-ter coinciderebbero con il “riscontro visivo o strumentale” di cui al successivo comma 3-quater, sicche’ la legge non avrebbe posto alcun limite ai mezzi di diagnosi, con la conseguenza che qualunque strumento, mezzo o tecnica di accertamento del danno sarebbe consentito, a condizione che soddisfi il requisito della scientificita’.
In relazione al secondo motivo di impugnazione, si sottolinea come le contestazioni svolte nei precedenti gradi di giudizio dalle odierne ricorrenti abbiano sempre e solo investito il “quantum debeatur”, ossia l’entita’ della lesione che sarebbe potuta conseguire dal trauma e come le stesse siano state rigettate dal giudice di appello sulla base delle risultanze della disposta CTU, sicche’ la valutazione compiuta dalla sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 115 c.p.c. (e contestata con il presente motivo di ricorso) si porrebbe come mero “elemento accessorio”.
Infondato, infine, sarebbe anche il terzo motivo di ricorso, atteso che nella liquidazione del “danno morale” il Tribunale di Rimini (come gia’ il locale Giudice di pace) si sarebbe attenuto al principio giurisprudenziale – enunciato da questa Corte – che ne ha riconosciuto l’ontologica autonomia rispetto al danno biologico, ammettendone il risarcimento alla sola condizione che esso sia ritualmente allegato e provato, prova da fornirsi con ogni mezzo, comprese le presunzioni, quali sarebbero quelle utilizzate, nel caso di specie, dalla sentenza impugnata.
5. Le ricorrenti hanno presentato memoria, ex articolo 378 c.p.c., insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie, nonche’ alle eccezioni di inammissibilita’ del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. In via preliminare, vanno disattese le eccezioni preliminari sollevate dal controricorrente.
6.1. In relazione, in particolare, a quelle di inammissibilita’ del ricorso, formulate ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., comma 1, n. 1), e articolo 366-bis c.p.c., e’ sufficiente rilevare che la sentenza qui impugnata risulta pubblicata il 19 febbraio 2016, mentre il ricorso proposto contro di essa risale al successivo 10 settembre.
Ne consegue che, non essendo all’epoca intervenuto il primo arresto di questa Corte (Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2016, n. 18773) in ordine all’interpretazione dei commi 3-ter e 3-quater del Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, articolo 32, convertito, con modificazioni, in L. 24 marzo 2012, n. 27, non puo’, per definizione, porsi un problema di inammissibilita’ del ricorso, per avere il provvedimento impugnato “deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte”.
Analogamente, quanto all’eccepita mancata formulazione del “quesito di diritto”, e’ sufficiente osservare che l’articolo 366-bis c.p.c. si applica(va), “ratione temporis”, alle sole sentenze pubblicate tra il 2 marzo 2006 ed il 4 luglio 2009 (Cass. Sez. 5, sent. 19 novembre 2014, n. 24597, Rv. 633409 -01), mentre, come detto, la sentenza qui impugnata risulta pubblicata oltre tale arco di tempo.
6.2. Del pari, non fondate sono le eccezioni di carenza di interesse di (OMISSIS) e quella di nullita’ dei mandati conferiti da essa e da (OMISSIS) al medesimo difensore.
Sul punto, va osservato, da un lato, come questa Corte abbia gia’ ritenuto ammissibile, nell’ambito di un giudizio risarcitorio per danni da sinistro stradale, la costituzione in giudizio della compagnia di assicurazione del danneggiato, in posizione antagonista con il medesimo (Cass. Sez. 6-3, ord. 1 agosto 2018, n. 20383, Rv. 650295-01), affermando, piu’ in generale, l’ammissibilita’ del cd. “mandato card” o “di rappresentanza” (cfr. Cass. sez. 3, sent. 11 ottobre 2016, n. 20408, non massimata), in forza del quale l’assicuratore del danneggiato puo’ operare come mandatario di quello del responsabile del sinistro. Peraltro, su un piano preliminare rispetto a tali osservazioni (comunque rilevanti, come si dira’ appena di seguito, in relazione al dedotto “conflitto di interessi” che inficerebbe il mandato conferito dalla due societa’ assicuratrici al medesimo difensore), si pone la constatazione che – come anche osservato dalle ricorrenti nella memoria ex articolo 378 c.p.c. – sul punto deve ritenersi intervenuto un giudicato implicito. La questione concernente l’intervento in causa di (OMISSIS) non venne censurata innanzi al giudice di appello, cio’ che ne preclude la disamina in questa sede; difatti, se e’ vero che l’assenza dell’interesse ad agire e’ rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, in quanto tale interesse costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda, il rilievo officioso incontra un limite proprio nella circostanza che “sul punto non si sia formato un giudicato esplicito o implicito” (Cass. Sez. 2, sent. 30 giugno 2006, n. 15084, Rv. 59086401; in senso conforme anche Cass. Sez. 2, sent. 5 febbraio 2002, n. 2721, Rv. 552501-01; Cass. Sez. Lav., sent. 7 giugno 1999, n. 5593, Rv. 527157-01).
Quanto, invece, al supposto conflitto di interessi, deve muoversi dal rilievo che, qualora “le parti abbiano conferito il mandato difensivo al medesimo professionista, la situazione di conflitto d’interessi idonea a provocare l’invalidita’ del mandato puo’ essere non solo attuale, ma anche potenziale”, fermo restando che “tale potenzialita’, tuttavia, va intesa non come astratta eventualita’, bensi’ in stretta correlazione con il concreto rapporto esistente tra le parti i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione” (Cass. Sez. 2, sent. 8 settembre 2017, n. 20950, Rv. 645243-01). Orbene, nel caso di specie, e’ proprio il “concreto rapporto esistente tra le parti”, ovvero tra (OMISSIS) e (OMISSIS), ad escludere l’esistenza di tale potenziale conflittualita’, visto che la convenuta (OMISSIS) ebbe a costituirsi in giudizio in persona del rappresentante volontario societa’ (OMISSIS), e, dunque, in forza di taluno dei quei mandati “card” (o “di rappresentanza”, appunto), che questa Corte come rilevato – ha ritenuto del tutto ammissibili.
7. Cio’ premesso, il ricorso e’ fondato, sebbene solo in relazione al suo terzo motivo (peraltro, proposto subordinatamente ai primi due).
7.1. Il primo motivo, infatti, non e’ fondato.
7.1.1. Questa Corte ha gia’ avuto modo di osservare che il Decreto Legge n. 1 del 2012, articolo 32, comma 3-quater, cosi’ come il precedente comma 3-ter, “sono da leggere in correlazione alla necessita’ (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli articoli 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto gia’ presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, ne’ unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettivita’” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 26 settembre 2016, n. 18773, Rv. 642106-01).
Si aggiunga, poi, che questa Corte – di recente – ha chiarito che “la normativa introdotta nel 2012 ha come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) ad un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entita’, cioe’ quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento”, precisando, pero’, che il “rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non puo’ essere inteso, pero’, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale”. Infatti, “l’accertamento medico non puo’ essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimita’ costituzionale, posto che il diritto alla salute e’ un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 19 gennaio 2018, n. 1272, Rv. 647581-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 6-3, ord. 4 luglio 2018, n. 17444, non massimata).
Occorre, pertanto, qui nuovamente ribadire che “ferma restando la necessita’ di un rigoroso accertamento medico-legale da compiersi in base a criteri oggettivi, la sussistenza dell’invalidita’ permanente non possa essere esclusa per il solo fatto che non sia documentata da un referto strumentale per immagini, sulla base di un automatismo che vincoli, sempre e comunque, il riconoscimento dell’invalidita’ permanente ad una verifica di natura strumentale” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 6-3., ord. 11 settembre 2018, n. 22066, Rv. 650616-01).
7.1.2. Orbene, siffatti principi sono stati rispettati dalla sentenza impugnata.
Essa, per vero, non ha solo affermato la possibilita’ di risarcire postumi di invalidita’ che, pur non suscettibili di accertamenti strumentali, risultino, tuttavia, riscontrabili “sulla base di una ineccepibile e scientificamente inappuntabile criteriologia medico-legale”, ma ha pure evidenziato come, nel caso di specie, all’esito dell’espletata CTU, si fosse giunti “all’affermazione dell’esistenza del danno” e a una “sua valutazione” sulla “base di una verifica obiettiva svoltasi nel contraddittorio di tutte le parti e i consulenti, senza lasciare spazio a facili narrazioni e/o simulazioni da parte della vittima”. Cio’ che dimostra come, anche nella presente fattispecie, sia stato osservato il “modus operandi” richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte e che implica l’esistenza di un “rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entita’”, senza esigere, pero’, che “la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale”.
7.2. Il secondo motivo e’ inammissibile.
7.2.1. Proprio i rilievi da ultimo svolti, tesi ad evidenziare come il Tribunale di Rimini, sulla scorta dell’espletata CTU, sia pervenuto “all’affermazione dell’esistenza del danno” e a una “sua valutazione” sulla “base di una verifica obiettiva svoltasi nel contraddittorio di tutte le parti e i consulenti”, rendono superfluo interrogarsi sulla denunciata violazione del principio di non contestazione.
L’esistenza di una lesione al rachide cervicale, a prescindere dalla “non contestazione” operata dalle odierne ricorrenti, risulta essere stata accertata – secondo la sentenza impugnata – all’esito dell’espletata CTU, tanto bastando, dunque, per ritenerla provata.
Si consideri, infatti, che quando il danno lamentato dall’attore consista in un pregiudizio arrecato alla sua integrita’ psicofisica, la consulenza tecnica, come di regola (ma non esclusivamente) avviene nella cause di responsabilita’ sanitaria, “e’ di norma “consulenza percipiente” a causa delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilita’ stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 20 ottobre 2014, n. 22225), sicche’ la consulenza “puo’ costituire essa stessa fonte oggettiva di prova”, sebbene resti pur sempre “necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti” (Cass. Sez. 3, sent. 26 novembre 2007, n. 24620, Rv. 600467-01), come, peraltro, avvenuto nella fattispecie in esame.
In presenza, dunque, di un (autonomo) accertamento dell’esistenza della lesione al rachide cervicale del (OMISSIS) diventa superflua, e dunque inammissibile, la censura, qui in esame, di violazione dell’articolo 115 c.p.c., comma 1, giacche’ insuscettibile di scalfire tale accertamento.
7.2.2. L’esito dell’inammissibilita’ del motivo, peraltro, si corrobora anche in ragione del rilievo che le odierne ricorrenti non risultano aver soddisfatto in modo adeguato, nel formulare il presente motivo, le condizioni richieste dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Difatti, secondo questa Corte, il “ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non puo’ prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova” (Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2016, n. 20637, Rv. 642919-01).
Si richiede, in altri, termini che la parte ricorrente non solo riproduca, nel proprio atto di impugnazione, stralci dei suoi scritti defensionali idonei a far emergere l’esistenza di una specifica contestazione in merito ai fatti – o a taluni di essi – allegati da controparte (onere, nella specie, sicuramente soddisfatto da (OMISSIS) e (OMISSIS)), ma pure che si effettui una “preliminare trascrizione dei passaggi degli atti introduttivi a mezzo dei quali l’attrice ha compiuto le proprie allegazioni e il convenuto ha resistito alla domanda, ossia delle deduzioni e delle contestazioni che hanno concorso alla delimitazione del “thema decidendum” e del “thema probandum”” (cosi’, nuovamente, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 20637 del 2016, cit.); siffatto onere, tuttavia, non risulta soddisfatto nel caso che occupa.
7.3. Il terzo motivo e’, invece, fondato.
7.3.1. Sul punto, occorre muovere dalla premessa che pure “all’interno del micro-sistema delle micro-permanenti, resta ferma (…) la distinzione concettuale tra sofferenza interiore e incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 9 giugno 2015, n. 11851, Rv. 635701-01), essendosi ulteriormente precisato, da parte di questa Corte (quantunque con riferimento a lesioni che superano la soglia della micro-permanenza), che “in presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perche’ non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidita’ permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di se’, la paura, la disperazione)”, di talche’, ove “sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv. 648303-01).
Orbene, siffatta “separata valutazione e liquidazione”, nel caso del (sottosistema) delineato dall’articolo 139, comma 3, cod. assicurazioni e’ affidato ad un aumento fino al 20% – disposto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato – di quanto liquidato a titolo di danno biologico.
7.3.2. Cio’ premesso, la sentenza impugnata, confermando (pure) sul punto quella del giudice di prime cure, ha ritenuto di dover risarcire – in applicazione del meccanismo “incrementativo” previsto dalla norma suddetta – “anche la sofferenza morale conseguita alle menomazioni patite”, ritenendola “provata in base a semplice inferenza presuntiva, tenuto conto del sentimento normalmente percepito da un soggetto che subisce lesioni personali”, giustificando, cosi’, su tali basi l’incremento fino alla misura massima del 20 %.
Nondimeno, essa non ha chiarito quali siano le ragioni idonee a giustificare, per l’appunto, l’applicazione dell’incremento nella misura massima, finendo con lo stabilire, al riguardo, quasi una sorta di “automatismo”, facendo esclusivo riferimento al “sentimento normalmente percepito da un soggetto che subisce lesioni personali”. Essa, piuttosto, avrebbe dovuto valorizzare la peculiarita’ della singola fattispecie, ovvero la sola circostanze idonea ad orientare una scelta che il legislatore ha concepito, evidentemente, senza alcun automatismo, ma come “graduabile” tra un minimo ed un massimo.
Si tratta, oltretutto, di un “modus operandi” conforme a quello indicato da questa Corte per le lesioni i cui postumi invalidanti superino la soglia del 9%, giacche’ essa ha individuato “il perimetro” delle sofferenze morali risarcibili nelle conseguenze dannose diverse da quelle “da ritenersi normali e indefettibili secondo l'”id quod plerumque accidit””, ovvero da “quelle che qualunque persona con la medesima invalidita’ non potrebbe non subire” (cosi’, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. 7513 del 2018, cit.).
7.3.3. Il motivo, dunque, va accolto, dovendosi cassare “in parte qua” la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Rimini in diversa composizione, affinche’ decida in merito alla domanda di risarcimento del danno morale, alla stregua dei principi teste’ illustrati.

P.Q.M.

La Corte accogli il terzo motivo di ricorso, rigettando il primo e il secondo, e, per l’effetto, cassa parzialmente la sentenza impugnata, rinviando al Tribunale di Rimini, in diversa composizione, perche’ decida nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese processuale anche del presente giudizio.

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