Striscia di terreno in comproprietà lungo il confine e la c.d. Strada interpoderale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1710.

Striscia di terreno in comproprietà lungo il confine e la c.d. Strada interpoderale

Il partecipante alla comunione su una striscia di terreno lungo il confine non possono servirsi della strada interpoderale costruita su di essa per accedere ad un immobile di sua esclusiva proprietà, del tutto separato e distinto dai fondi a servizio dei quali la strada comune è destinata, perché l’uso a favore di tale immobile si risolverebbe necessariamente nell’imposizione di fatto di una vera e propria servitù di passaggio, con evidente pregiudizio degli altri partecipanti alla comunione.

Ordinanza|16 gennaio 2024| n. 1710. Striscia di terreno in comproprietà lungo il confine e la c.d. Strada interpoderale

Data udienza 11 gennaio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Comunione dei diritti reali – Comproprieta’ indivisa (nozione, caratteri, distinzioni) – In genere striscia di terreno in comproprietà lungo il confine – Strada interpoderale – Imposizione di fatto di una servitù di passaggio a favore di un fondo diverso da quelli confinanti – Ammissibilità – Esclusione.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta da:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere-Rel.

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere

Dott. AMATO Cristina – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26852/2019 R.G. proposto da:

Ma.Em., D’.An., rappresentati e difesi dall’avvocato ME. GI.

-ricorrenti-

Contro

D’.Fi., rappresentata e difesa dagli avvocati D’ON. AN., SO. VI.

– controricorrente –

Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 2788/2019 depositata il 22/05/2019.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/01/2024 dal Consigliere Antonio Scarpa.

Striscia di terreno in comproprietà lungo il confine e la c.d. Strada interpoderale

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Ma.Em. e D’.An. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 2788/2019 della Corte d’appello di Napoli depositata il 22 maggio 2019.

Resiste con controricorso D’.Fi.

2. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1 c.p.c.

Le parti hanno depositato memorie.

3. Il giudizio ha avuto inizio con citazione del (Omissis), allorché D’.Fi. convenne dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Gragnano, premettendo di essere proprietaria del fondo identificato in catasto al foglio 7, p.lla (Omissis) (poi 1390 in virtù di successivo frazionamento), ubicato alla Via (Omissis), in S L’immobile era compreso tra quelli oggetto di donazione e contestuale divisione con atto del 27 luglio 1976 tra la donante An.ca. ed i figli (Omissis). Nell’ambito dei vari accordi raggiunti in sede di divisione, nello stesso atto D’.Fi. e Ro.D’. avevano convenuto di creare lungo tutto il confine fra le particelle (Omissis) e (Omissis) un viottolo di accesso ai rispettivi fondi della larghezza di m. 3,40. Con atto del 30 settembre 1977 D’.An. e il marito Ma.Em. acquistarono il fondo che era stato attribuito a Ro.D’. (particella (Omissis), ivi compreso il viottolo comune al confine con la particella (Omissis). A far tempo dal (Omissis), sulla particella (Omissis) era stata costituita da Ma.Em. una impresa individuale per la lavorazione e la conservazione di frutta e verdura. Con atto del 13 maggio 1980 D’.Fi. aveva infine venduto ad D’.An. e a Ma.Em. la particella (Omissis), già (Omissis), distaccata dalla originaria (Omissis). Nella citazione del 24 novembre 2003 D’.Fi. aveva così dedotto che man mano che l’azienda conserviera si era espansa, il Ma.Em. aveva usato illegittimamente, quale via d’accesso all’opificio, il viottolo comune creato con l’atto di donazione/divisione del 27 luglio 1976, adoperando autosnodati, TIR, autotreni, autocarri con rimorchio, con conseguente difficoltà di accesso e svolta e con occupazione, per tali manovre, di un’area di circa mq. 20 di proprietà dell’attrice, provocando altresì danneggiamenti al balcone e alla struttura del fabbricato della stessa D’.Fi.

Il Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Gragnano, con sentenza del 7 maggio 2012, respinse sia le domande di D’.Fi., sia le domande riconvenzionali di D’.An. e a Ma.Em. Accogliendo il gravame spiegato da D’.Fi., la Corte d’appello di Napoli ha: a) dichiarato “illegittimo il passaggio sul viale oggetto del giudizio di automezzi diretti all’opificio del convenuto, ubicato sulla part. (Omissis), costituendo tale pratica un’illegittima imposizione di una servitù di passaggio in favore di tale ultimo fondo”; b) ordinato “ai convenuti di astenersi dall’utilizzare il viale oggetto del giudizio per raggiungere il loro fondo, ubicato al termine del viale stesso, identificato con la part. (Omissis), risultando il viale in comune posto al servizio, limitatamente alle loro originarie estensioni, esclusivamente delle part.lle (Omissis)”; c) ordinato “ai convenuti di non transitare sul viale suddetto con automezzi diretti all’opificio di cui sono titolari o di far transitare sullo stesso viale automezzi di terzi in rapporti commerciali con essi”; d) dichiarato che “l’area di mq. 17,95, non recintata, adiacente al fabbricato di D’.Fi., posta sulla destra del viale oggetto di causa entrando da via (Omissis), è di proprietà esclusiva di D’.Fi. e non ricompresa nella consistenza del viale comune”; e) ordinato “ai convenuti di astenersi dall’impegnare l’area indicata al precedente punto d) per le manovre di ingresso nel viale di automezzi diretti al loro opificio conserviero”.

La Corte di Napoli ha sostenuto che la comunione del viale in contesa traeva origine nell’atto 27 luglio 1976, e dunque in un preciso titolo contrattuale, e “trova in esso i suoi limiti dimensionali e di funzione e non, invece, ad una comunione incidentale, formatasi sul piano fattuale attraverso una collatio agrorum privato rum”. Ed ancora, aggiunge la sentenza impugnata: “la circostanza che successivamente al su richiamato atto di divisione i convenuti … abbiano prima acquistato il fondo di Ro.D’. inerente la part.lla (Omissis) (con atto per notar To.Ol. del 30.09.1977) e successivamente una porzione del fondo dell’appellante D’.Fi. (con atto per notar To.Ol. del 30.09.1977 avente ad oggetto la part.lla (Omissis)), per aggregarla alla loro diversa proprietà (foglio 7 p.lle (Omissis e Omissis), non determina l’estensione della comunione del viale anche alla part.lla (Omissis), sulla quale è stato edificato l’opificio per l’attività conserviera del Ma.Em. In sostanza la comunione ed il diritto di passaggio sul viale oggetto del giudizio rimane limitato, anche relativamente alla sua destinazione, essenzialmente caratterizzata dall’utilità per i fabbricati residenziali, all’estensione delle particelle (Omissis). La pratica del passaggio, sul viale in oggetto, di mezzi pesanti diretti all’opificio del Ma.Em., ubicato su una diversa particella (Omissis), si configura, pertanto, come un’illegittima imposizione di una servitù di passaggio”.

4. Il primo motivo del ricorso di Ma.Em. e D’.An., che si sviluppa da pagina 20 a pagina 37, denuncia: la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di trasferimento dei, successione nei e costituzione dei diritti nella specie, diritti reali) anche in relazione al contenuto dell’art. 1321 c.c., degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

La censura premette che “l’oggetto principale della materia del contendere è costituito dalla sussistenza o meno del diritto in capo al sig. Ma.Em. (anche quale titolare della impresa industriale citata) e del coniuge sig.ra D’.An. al transito sul viottolo privato che, dipartendosi dalla Via (Omissis), trova alla sua destra la particella (Omissis) di proprietà della resistente sig.ra D’.Fi. ed alla sua sinistra la particella (Omissis) di proprietà dei ricorrenti, per terminare, fronteggiandolo, là dove è ubicato l’ingresso all’opificio industriale del predetto Ma.Em. adibito essenzialmente alla lavorazione e trasformazione dei pomodori ed al suo successivo inscatolamento per la vendita sul mercato”.

I ricorrenti espongono che la Corte d’appello ha correttamente individuato nel contratto del 27 luglio 1976 la fonte contrattuale della comunione del viottolo sul confine tra le particelle (Omissis), ma ha poi erroneamente non tenuto in considerazione i successivi trasferimenti di tale diritto di comunione. In particolare, con l’atto del 30 settembre 1977 Ro.D’. aveva venduto ad D’.An. (ed al coniuge di questa, Ma.Em.) l’intera particella (Omissis) (poi annessa alla particella (Omissis)), ivi compresa la comunione del viottolo. I giudici di appello avrebbero invece ignorato gli effetti dell’atto 13 maggio 1980, con cui D’.Fi. aveva venduto ad D’.An. (ed al coniuge Ma.Em.) la particella (Omissis), distaccata dalla (Omissis), e così “aggregata” alla preesistente proprietà di D’.An. Nello stesso atto del 13 maggio 1980, si aggiungeva: “il cespite viene venduto a corpo con tutti i relativi diritti, accessioni, pertinenze e con la servitù appresso indicata. La parte venditrice costituisce a favore del terreno trasferito col presente atto, nonché a favore della limitrofa proprietà dell’acquirente, (p.lle (Omissis) folio 7) servitù per lo scarico, carico e pesa di prodotti della terra, sulla piccola zonetta di terreno di forma rettangolare di circa mq. 6 (diconsi metri quadrati sei), ubicata nell’angolo nord ovest del limitrofo fondo di sua proprietà (p.lla (Omissis) folio 7), avente i lati di metri 2,90 x metri 2,10”.

Il primo motivo di ricorso sostiene, così, che con l’atto 13 maggio 1980 D’.An. e Ma.Em. avevano “ampliato (perché già ne erano titolari in virtù della proprietà della particella (Omissis)) la comunione sul viottolo de quo, per effetto della loro successione nei diritti, accessioni, pertinenze già costituiti sulla porzione vendutagli; avevano conseguito il diritto di accesso alla porzione acquistata per il tramite sempre del predetto viottolo; ed avevano acquisito una espressa servitù in loro favore non solo per la zonetta acquistata, ma addirittura estesa a tutta la loro proprietà limitrofa, per l’attività svolta nell’opificio industriale. La censura conclude, pertanto, che l’accesso alle proprietà D’.An./Ma.Em., nonché all’opificio industriale di quest’ultimo in esse ubicato, spetti ad essi sia in virtù della comunione a suo tempo costituita sul viottolo che si diparte da Via (Omissis) (nella cui titolarità essi sono subentrati con l’acquisto del 30/09/1977, di poi ampliando la loro partecipazione al diritto con l’acquisto del 13/05/1980), sia in virtù della servitù appositamente costituita fin dal 13/05/1980.

Il secondo motivo del ricorso di Ma.Em. e D’.An., che si sviluppa da pagina 37 a pagina 41, censura, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. e degli artt.115 e 116 c.p.c., nonché dei principi in materia di costituzione di comunione di diritti, anche per collatio agrorum privatorum, di trasferimento dei, successione nei e costituzione dei diritti (nella specie, diritti reali) anche in relazione all’art. 1321 c.c.

5. I primi due motivi di ricorso possono esaminarsi congiuntamente, seppur secondo l’ordine di subordinazione posto, e sono infondati.

Nell’atto di divisione del 27 luglio 1976, D’.Fi. e Ro.D’. avevano convenuto di creare lungo tutto il confine fra le particelle (Omissis) un viottolo di accesso ai rispettivi fondi di loro proprietà. Con atto del 30 settembre 1977 D’.An. e il marito Ma.Em. acquistarono il fondo che era stato attribuito in sede di divisione a Ro.D’. (particella (Omissis)), ivi compreso il viottolo comune al confine con la particella (Omissis). Con atto del 13 maggio 1980 D’.Fi. aveva infine venduto ad D’.An. e a Ma.Em. la particella (Omissis), distaccata dalla originaria (Omissis); nello stesso atto le parti avevano poi costituito in favore delle particelle di proprietà di D’.An. e di Ma.Em. una servitù per lo scarico, il carico e la pesa di prodotti agricoli su una piccola zonetta di terreno di circa mq. 6 di proprietà di D’.Fi.

5.1. Tali vicende negoziali successive al contratto costitutivo della comunione del viottolo del 27 luglio 1976 non modificano l’asserto secondo cui la strada comune doveva restare destinata unicamente a servizio dei due fondi individuati come particelle (Omissis).

5.2. Va invero ribadito il principio, correttamente applicato dalla Corte d’appello di Napoli, secondo il quale, nel caso in cui le parti di un contratto volto alla divisione di terreni confinanti si siano reciprocamente obbligate a costruire una strada interpoderale su una striscia di terreno di proprietà comune lungo il confine, non è poi lecito ad alcuno dei partecipanti alla comunione di servirsi della strada per accedere ad un immobile di sua esclusiva proprietà, del tutto separato e distinto dai fondi a servizio dei quali era destinata le predetta strada comune, perché l’uso a favore del detto immobile si risolve necessariamente nella costituzione di una vera e propria servitù, con evidente pregiudizio degli altri partecipanti alla comunione (Cass. n. 1091 del 1975; n. 1761 del 1974; n. 3489 del 1972; n. 1742 del 1964).

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1100 e 1102 c.c., il diritto di ciascuno dei partecipanti alla comunione di servirsi della cosa comune trova, invero, limiti, non solo nell’esigenza che non resti pregiudicato il diritto degli altri partecipanti, ma anche nella destinazione che alla cosa sia stata impressa dal titolo e che non può essere alterata dal singolo comproprietario. La costituzione di una servitù illegittima, più correttamente, si ha non per effetto del mero ampliamento di uso della cosa comune, imprimendole una destinazione diversa da quella in atto seguita da tutti i partecipanti, ma per effetto della concessione di uso o godimento della medesima cosa comune per l’utilità di un fondo (non di una “persona”), ex art. 1027 c.c., che non vi avrebbe diritto.

La circostanza che D’.An. e Ma.Em. si fossero trovati ad essere dal (Omissis) proprietari sia della particella (Omissis) sia di porzione della originaria particella (Omissis), sia, ancora titolari di una servitù per l’esercizio di un’attività di impresa su altra piccola area di proprietà di D’.Fi., se può avere una sua incidenza nel determinare la misura dei vantaggi ritraibili dalla strada interpoderale in comunione, non consente comunque di alterarne la destinazione o di farne uso strumentale in favore di altri fondi separati da quelli di cui tale è parte integrante.

5.3. Le ulteriori considerazioni svolte nel secondo motivo di ricorso, circa l’ampliamento delle dimensioni del viottolo comune e l’invocazione dei principi in tema di collatio agrorum privatorum, non sono pertinenti, giacché si è qui in presenza di un contratto costitutivo di comunione della strada, recante l’inequivoca manifestazione del consenso unanime dei comproprietari, espressa nella forma scritta essenziale, alla situazione di contitolarità dell’immobile individuato nella sua consistenza e localizzazione. Viceversa, le vie vicinali agrarie formate “ex collatione privatorum agrorum” traggono la loro origine da situazioni giuridiche obiettive di diversa natura, le quali possono essere determinate dalla volontà coincidente, anche se non concorde, di tutte le parti, manifestata attraverso il fatto materiale del conferimento in relazione all’effettiva esigenza dei fondi; fermo restando che anche le strade vicinali agrarie private sono destinate a dare accesso esclusivamente ai fondi latistanti o terminali e costituiscono un accessorio comune soltanto ai fondi per il cui servizio sono state costruite ed alla cui utilità sono destinate, sicché parimenti ciascun partecipante alla relativa comunione immobiliare non può, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della strada comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva proprietà, distinto dai fondi a servizio dei quali la strada medesima sia stata originariamente destinata.

6. Il terzo motivo di ricorso deduce, invece, in via principale la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. quanto al rigetto dell’appello incidentale volto ad ottenere la declaratoria di intervenuta usucapione di servitù di passaggio, veicolare e pedonale, sull’area non recintata di mq. 20 posta a confine della palazzina di proprietà D’.Fi. con la strada comunale e il viale comune di accesso, in favore dei fondi di proprietà dei ricorrenti. Lo stesso motivo contiene poi una censura subordinata ai primi due motivi, sempre per violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., quanto al rigetto dell’appello incidentale volto ad ottenere la declaratoria di intervenuta usucapione di servitù di passaggio, veicolare e pedonale, sul viottolo.

Al riguardo, la Corte d’appello di Napoli, pronunciando sulla domanda volta a far dichiarare l’avvenuto acquisto per usucapione in capo a D’.An. e Ma.Em. del diritto di servitù sul viale nella sua attuale consistenza, in essa inclusa la fascia di terreno di mq. 17,95, ne ha ravvisato l’infondatezza per difetto del presupposto temporale del passaggio con mezzi pesanti diretti al fondo su cui è ubicato l’opificio destinato ad attività conserviera. I giudici di appello hanno motivatamente dedotto che l’uso del viottolo da parte del Ma.Em. era iniziato solo successivamente all’acquisto del terreno identificato con la p.lla (Omissis) (avvenuto con atto del 26 febbraio 1985) e che, alla stregua delle risultanze peritali, “l’immobile adibito ad opificio di proprietà convenuta, insistente sulla ex part. 1389 (…) ed avente accesso dal viale comune … è stato realizzato a cavallo degli anni (Omissis)”, riconducendo la necessità di utilizzare il viale oggetto di causa all’incremento dell’attività aziendale ed alla realizzazione dell’opificio nella sua attuale consistenza”.

Viceversa, la Corte di Napoli ha stimato insufficienti ai fini probatori dell’acquisto per usucapione della servitù di passaggio con mezzi pesanti le emergenze della prova per testi, stante la genericità delle dichiarazioni assunte quanto all’epoca di inizio della pratica di passaggio di mezzi pesanti diretti all’opificio.

6.1. Il terzo motivo di ricorso critica la sentenza d’appello perché la Corte d’appello si sarebbe “eccessivamente appiattita” sulle conclusioni del CTU, e così invoca un rinnovato esame delle prove testimoniali, una diversa ricostruzione storica delle vicende, la individuazione di una diversa data dell’avvenuto ampliamento del viottolo.

Le censure rivelano profili di inammissibilità là dove richiedono alla Corte di cassazione un riesame delle risultanze probatorie, proponendo i ricorrenti apprezzamenti di fatto difformi da quelli operati dalla Corte d’Appello nell’esercizio del potere, che l’art. 116 c.p.c. attribuisce al giudice di merito, di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le emergenze istruttorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Non sono invero consentiti alla Corte di cassazione un accesso diretto agli atti delle fasi di merito e una loro delibazione in punto di verifica di fondatezza delle contrapposte pretese di merito sulla base di autonome regole inferenziali. Né il vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (in relazione al quale qui opera peraltro la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., applicabile ratione temporis) permette – sub specie del vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) – di invocare un diverso esame degli elementi probatori quando il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. Per dedurre invece la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sezioni unite 30 settembre 2020, n. 20867).

In particolare, l’accertamento relativo al possesso ad usucapionem, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto, come nella specie, da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 3630 del 1981; Cass. n. 4035 del 2007; n. 9106 del 2000).

7. Il ricorso va perciò rigettato, con condanna in solido dei ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati dagli avvocati An. D’O. e Vi. So.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore degli avvocati An. D’O. e Vi. So.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, l’11 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2024

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