Corte di Cassazione, civile, Sentenza|1 marzo 2023| n. 6124.
Spese processuali e la condanna per responsabilità aggravata
In tema di spese processuali, la condanna per responsabilità aggravata, a norma dell’articolo 96, terzo comma, cod. proc. civ., presuppone un abuso del processo, ed è abuso ogni domanda o eccezione “ictu oculi” infondata (Nel caso di specie, la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha ritenuto incensurabile la sentenza gravata con la quale la corte del merito, respingendo il gravame, aveva condannato i ricorrenti al pagamento in favore del controricorrente della somma equitativamente determinata ai sensi dell’articolo 96, terzo comma, cod. proc. civ.; in particolare, nell’escludere l’esistenza di un contrasto nell’interpretazione della richiamata disposizione, la Corte regolatrice ha osservato che non sussiste alcuna contraddizione tra le decisioni che hanno subordinato la condanna pronunciata ex articolo 96, comma terzo, cod. proc. civ., all’accertamento d’un “abuso del processo”, e quelle che l’hanno subordinata all’accertamento d’una condotta colposa; infatti, qualsiasi “abuso del processo” esige pur sempre una condotta colposa: un “abuso incolpevole” non sarebbe né un abuso, né una condotta sanzionabile; pertanto, conclude il giudice di legittimità, sostenere che la condanna ex articolo 96, terzo comma, cod. proc. civ. presuppone un abuso del processo, equivale a sostenere che la suddetta condanna presupponga una condotta colposa). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, ordinanza 16 settembre 2021, n. 25041; Cassazione, sezione civile L, sentenza 15 febbraio 2021, n. 3830; Cassazione, sezione civile VI, sentenza 24 settembre 2020, n. 20018; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 18 novembre 2019, n. 29812; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 3 luglio 2019, n. 17814; Cassazione, sezione civile III, sentenza 30 novembre 2017, n. 28658; Cassazione, sezione civile III, sentenza 29 settembre 2016, n. 19285; Cassazione, sezione civile III, sentenza 21 luglio 2016, n. 15017; Cassazione, sezione civile VI, ordinanza 18 novembre 2014, n. 24546).
Sentenza|1 marzo 2023| n. 6124. Spese processuali e la condanna per responsabilità aggravata
Data udienza 16 novembre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Spese processuali – Condanna per responsabilità aggravata, a norma dell’articolo 96, terzo comma, c.p.c. – Presupposto – Abuso del processo – Domanda o eccezione “ictu oculi” infondata
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 20565/20 proposto da:
(OMISSIS), e (OMISSIS), quest’ultima in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi dall’avvocato Marco Del Debbio, in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato David Zappelli, in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze 2 aprile 2020 n. 723;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16 novembre 2022 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Spese processuali e la condanna per responsabilità aggravata
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2006 (OMISSIS) chiese ed ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti della societa’ (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS).
Lo stesso anno la societa’ (OMISSIS) s.a.s. vendette alla (OMISSIS) s.s. la nuda proprieta’ di alcuni immobili.
Assumendo che tale atto dispositivo fu compiuto in frode delle proprie ragioni creditorie, (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Lucca le societa’ (OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS) s.s. nonche’ i rispettivi amministratori, e cioe’ (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo che il suddetto atto fosse dichiarato inefficace nei propri confronti ex articolo 2901 c.c..
2. Con sentenza 16 dicembre 2014 n. 1926 il Tribunale di Lucca accolse la domanda.
La sentenza fu appellata dalla (OMISSIS) s.s. e da (OMISSIS) in proprio.
3. Con sentenza 2 aprile 2020 n. 723 la Corte d’appello di Firenze rigetto’ il gravame e condanno’ i due appellanti al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di Euro 2.000, equitativamente determinata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
4. La sentenza d’appello e’ impugnata per cassazione da (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) s.s., con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria. Il ricorso, fissato per la trattazione nella Camera di consiglio dell’8 luglio 2021, ai’ sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., con ordinanza 9 marzo 2022 n. 7628 e’ stato rinviato alla pubblica udienza, sul presupposto dell’esistenza di un contrasto in seno a questa Corte circa l’interpretazione dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
(OMISSIS) ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli articoli 2232, 2233, 2237 e 2901 c.c..
Nella illustrazione del motivo si formula una tesi cosi’ riassumibile:
-) il credito che (OMISSIS) intese garantire attraverso la proposizione dell’azione pauliana era un credito per onorari professionali;
-) il credito per onorari professionali sorge quando la prestazione professionale e’ conclusa;
-) (OMISSIS), gia’ commercialista di fiducia della (OMISSIS) s.a.s., recedette dal rapporto professionale intrattenuto con quest’ultima societa’ con lettera del 15 maggio 2006, pervenuta al destinatario il successivo 17 maggio;
-) l’atto dispositivo oggetto dell’azione revocatoria era stato invece concluso il 21 aprile 2016, e quindi in data anteriore al sorgere del credito;
-) di conseguenza, per accogliere l’azione revocatoria, sarebbe stato necessario accertare la cosiddetta participatio fraudis del terzo, accertamento che invece era mancato.
1.1. Il motivo e’ inammissibile per la sua novita’.
Ne’ puo’ ritenersi, come pretenderebbero i ricorrenti, che lo stabilire il momento in cui sia sorto un credito costituisca soltanto una “questione di diritto”.
Tale accertamento richiede infatti l’acquisizione di circostanze di fatto la cui valutazione e’ riservata al giudice di merito, quale e’ lo stabilire in cosa sia consistita la prestazione professionale, quando si sia esaurita, in che modo le parti avevano regolato il pagamento degli onorari.
2. Col secondo motivo i ricorrenti prospettano il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Nella illustrazione del motivo si deduce che la Corte d’appello avrebbe trascurato di attribuire il giusto peso ad una visura catastale, la quale – se adeguatamente valutata, eventualmente anche per mezzo dell’ausilio di un consulente tecnico d’ufficio – avrebbe consentito di appurare la congruita’ del prezzo di vendita, e di conseguenza avrebbe dovuto condurre ad un diverso giudizio circa la sussistenza della scientia damni.
2.1. Il motivo e’, innanzitutto, manifestamente inammissibile ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c., essendovi state nei gradi di merito due decisioni conformi in punto di fatto.
In ogni caso sarebbe comunque inammissibile perche’ censura la valutazione delle prove.
3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 96 c.p.c..
Deducono i ricorrenti che:
-) in primo luogo non ricorrevano nella specie i presupposti ne’ della malafede, ne’ della colpa grave, necessari ai fini della condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3;
-) in secondo luogo, la motivazione posta dalla Corte d’appello a fondamento della condanna ex articolo 96 c.p.c., era contraddittoria, perche’ la Corte fiorentina da un lato ha affermato che uno dei motivi di appello “poteva astrattamente presentare un minimo di fondatezza”, e dall’altro ha ritenuto temeraria la proposizione del gravame.
3.1. Il motivo e’ infondato.
Va premesso che sull’interpretazione dell’articolo 96 c.p.c., il Collegio non ravvisa contrasti nella giurisprudenza di questa Corte.
Non vi e’, in particolare, contraddizione tra le decisioni che hanno subordinato la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, all’accertamento d’un “abuso del processo”, e quelle che l’hanno subordinata all’accertamento d’una condotta colposa.
Infatti qualsiasi “abuso del processo” esige pur sempre una condotta colposa: un “abuso incolpevole” non sarebbe ne’ un abuso, ne’ una condotta sanzionabile.
Pertanto sostenere che la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, presuppone un abuso del processo, equivale a sostenere che la suddetta condanna presupponga una condotta colposa.
E’ doveroso aggiungere che i due gruppi di sentenze ritenuti “contrastanti” dall’ordinanza interlocutoria di rimessione alla pubblica udienza, ed ivi indicati ai pp. 3.2 e 3.3, se esaminati nelle motivazioni, piuttosto che nelle sole massime, non contengono alcun contrasto:
-) nel primo gruppo delle suddette decisioni (Cass. 3830/21; Cass. 20018/20; Cass. 29812/19), infatti, si afferma che la condanna ex articolo 96, comma 3, presuppone un “abuso del processo”, e che costituisce abuso l’avere agito o resistito pretestuosamente;
-) nel secondo gruppo (Cass. 17814/19; 28658/17; Cass. 19285/16) si dice che la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, presuppone un “abuso del processo”, e costituisce abuso il proporre una impugnazione basata su motivi manifestamente infondati.
In conclusione, l’articolo 96 c.p.c., comma 3, presuppone un abuso del processo, ed e’ abuso ogni domanda o eccezione ictu oculi infondata (ex permu/tis, in tal senso, (Sez. U., Ordinanza n. 25041 del 16/09/2021, Rv. 662248 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 15017 del 21/07/2016, Rv. 641449 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24546 del 18/11/2014, Rv. 633289 – 01).
3.2. Cio’ posto in linea generale, rileva il Collegio che nel caso di specie non sussiste nella sentenza impugnata la contraddizione censurata dai ricorrenti. La lettura che essi danno della sentenza impugnata, infatti, e’ parziale e frutto dell’estrapolazione di passi avulsi dal contesto.
La Corte fiorentina non ha infatti mai affermato quel che i ricorrenti pretendono di farle dire: l’avere, cioe’, da un lato ritenuto un motivo di appello “astrattamente fondato”, e dall’altro l’avere condannato per lite temeraria l’appellante.
La Corte d’appello ha affermato una cosa ben diversa, e cioe’ che l’appellante aveva proposto un gravame in parte manifestamente infondato, ed in parte basato su documenti neanche prodotti in causa, e comunque non depositati in appello, e cio’ costituiva una colpa grave.
Dunque l’inciso secondo cui i suddetti documenti, se prodotti, avrebbero potuto “astrattamente presentare un minimo di fondatezza” costituisce un mero obiter ininfluente sulla correttezza della motivazione.
Lo stabilire, poi, se la suddetta condotta integri o meno gli estremi della colpa grave e’ un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimita’.
4. Le spese del presente giudizio di legittimita’ vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.s., in solido, alla rifusione in favore di (OMISSIS) delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 1.850, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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