In tema spese di pubblicità e di rappresentanza sostenute dalle imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici

Corte di Cassazione, sezione tributaria civile, Sentenza 1 marzo 2019, n. 6092.

La massima estrapolata:

In tema spese di pubblicità e di rappresentanza sostenute dalle imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici, sono deducibili esclusivamente i costi relativi alla concessione di premi, vantaggi pecuniari o in natura, purché ricollegabili all’attività espletata dal medico e di valore trascurabile o comunque coerente con la prassi corrente, le spese relative all’organizzazione di convegni e congressi scientifici, qualora siano di breve durata e prevedano la partecipazione di un numero ristretto di medici specialisti, nonché le spese sostenute per campioni gratuiti di medicinali per uso umano ceduti ai medici autorizzati a prescriverli, nei limiti quantitativi previsti dalla legge. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto non trascurabile il valore di omaggi di importo superiore ad euro 25,82, considerato complessivamente in ragione del singolo medico beneficiario e del periodo di imposta di riferimento).
Il principio di neutralità dell’Iva esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata nonostante l’inadempimento di taluni obblighi formali, a condizione siano soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali. Ne consegue che se un operatore nazionale non ha applicato la procedura di inversione contabile, omettendo la doppia registrazione delle fatture o delle autofatture a fronte di acquisti dall’estero, ha comunque diritto alla detrazione dell’imposta se tali acquisti provenivano da soggetto passivo Iva e le merci erano destinate a operazioni imponibili.

Sentenza 1 marzo 2019, n. 6092

Data udienza 26 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26677/2011 R.G. proposto da:
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), sito in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale e’ domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 23/29/11, depositata il 4 marzo 2011.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2018 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi gli avv. (OMISSIS), per la ricorrente, e (OMISSIS), per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. La (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 4 marzo 2011, che, in reiezione dell’appello principale dalla medesima proposto e in accoglimento di quello incidentale dell’Agenzia delle Entrate, ha dichiarato la legittimita’ dell’avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2003, era stato rettificata la dichiarazione della contribuente, recuperate l’i.r.pe.g., l’i.v.a. e l’i.r.a.p. non versate e irrogate le relative sanzioni.
2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che le riprese operate dall’Ufficio hanno ad oggetto, quanto all’i.r.pe.g., la indebita deduzione di componenti negative, e, quanto all’i.v.a., la mancata autofatturazione di acquisto da soggetto non residente e la dichiarazione di un minor volume di affari rispetto a quello accertato.
2.1. In essa si da’ atto che la Commissione provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso, limitatamente alla ripresa fiscale relativa alla deduzione del costo, pari ad Euro 6.809.324,00, per materiale promozionale.
3. Il ricorso e’ affidato a diciannove motivi.
4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
5. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi dieci motivi la societa’ contribuente censura, sotto diversi profili, il capo della sentenza avente ad oggetto la legittimita’ della ripresa relativa alla indeducibilita’ delle spese promozionali e di rappresentanza.
1.1. Per l’esattezza, con il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, articolo 2, comma 9, Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 74, comma 2, e articolo 75, Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 5, Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, articolo 11, comma 1, e articolo 94, direttiva 2001/83/CE, per aver la sentenza impugnata ritenuto indeducibili i costi, pari a Euro 7.874.649, sostenuti per l’acquisto di oggetti promozionali di modico valore destinati ad omaggio a medici.
2. Con il secondo motivo deduce l’omessa motivazione circa il fatto, controverso e decisivo, secondo cui il valore dei conseguenti benefici economici ricevuti dai medici sarebbe di “entita’ per nulla trascurabile”, evidenziando che, quanto all’importo dedotto di Euro 6.809.324, non e’ mai stato in discussione che il valore unitario degli omaggi fosse inferiore ad Euro 25,82, e che, quanto all’importo dedotto residuo, che solamente una parte si riferiva ad omaggi aventi valore unitario superiore ad Euro 25,82, prudenzialmente trattati quali spese di rappresentanza, ovvero a differenza tra le rimanenze iniziali e quelle finali del materiale promozionale, da considerarsi modeste liberalita’ consentite.
3. Con il terzo motivo si duole, sotto altro profilo, della violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, articolo 2, comma 9, Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 74, comma 2, e articolo 75, e Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 11, comma 1, per aver il giudice di appello individuato quale soglia per la deducibilita’ dei costi rappresentati da spese promozionali rivolte a medici quella del valore unitario del singolo oggetto, pari ad Euro 25,82.
4. Con il quarto motivo lamenta l’omessa motivazione circa il fatto, controverso e decisivo, secondo cui ciascun medico sarebbe “circondato” dalla ricorrente “con ogni sorta di attenzioni (cene, pranzi, software, corsi di formazione gratuiti, convegni aperti a tutti, volumi d’arte, visite ai laboratori dell’azienda)”, ribadendo il modico valore dei vantaggi offerti q’ medici e la loro stretta inerenza con la professione sanitaria.
5. Con il quinto motivo allega la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10, comma 1, per violazione del principio di tutela del legittimo affidamento, implicitamente disconosciuta, in relazione alla deducibilita’ dell’importo in esame, nella misura di Euro 6.809.324,00, riconosciuta, invece, dall’Ufficio nel processo verbale di accesso del 18 luglio 2006.
6. Con il sesto motivo censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 74, comma 2, e Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 1 e articolo 11, comma 1, per aver qualificato le spese in oggetto quali spese di rappresentanza e non quali spese promozionali.
7. Con il settimo motivo contesta l’omessa motivazione circa il fatto, controverso e decisivo, secondo cui la contribuente avrebbe considerato quali spese di rappresentanza i costi sostenuti per l’informazione scientifica, evidenziando la non veridicita’ di siffatta affermazione in quanto solo una minima parte di tali costi avrebbe ricevuto una siffatta contabilizzazione.
8. Con l’ottavo motivo deduce, sotto altro e ulteriore profilo, la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, articolo 2, comma 9, Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 74, comma 2, e articolo 75, e Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 11, comma 1, per aver la sentenza impugnata ritenuto indeducibili le spese controverse pur avendole considerate, sebbene errando, quali spese di rappresentanza.
9. Con il nono motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 12, comma 5, Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 74, comma 2, e articolo 75, e L. n. 289 del 2002, articolo 2, comma 9, per aver il giudice di appello escluso la deducibilita’ delle spese di viaggio ed ospitalita’ in occasione di convegni medici, evidenziando che tali spese si riferivano non gia’ a convegni e congressi, bensi’ a visite guidate presso gli stabilimenti.
10. Con il decimo motivo critica la decisione di appello per omessa motivazione circa il fatto, controverso e decisivo, secondo cui le condotte poste in essere dalla contribuente nei confronti dei medici sarebbero “offensive” di “prerogative di interesse generale della legge”.
10.1. I motivi, unitamente esaminabili in quanto strettamente connessi, sono infondati.
Giova rammentare, in proposito, che, secondo consolidata giurisprudenza, in tema di imposte sui redditi di impresa, costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 108 (gia’, articolo 74), quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne le possibilita’ di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attivita’ svolta (cfr. Cass., ord., 10 ottobre 2018, n. 25021; Cass. 23 maggio 2018, n. 12676; Cass. 4 maggio 2018, n. 10636).
Il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicita’ va, dunque, individuato negli obbiettivi perseguiti, atteso che le prime sono sostenute per accrescere il prestigio della societa’ senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre le seconde hanno una diretta finalita’ promozionale di prodotti e servizi commercializzati e di incremento delle vendite (cfr. Cass. 17 febbraio 2016, n. 3087; Cass. 7 agosto 2015, n. 16596).
10.2. Con particolare riferimento alle deducibilita’ delle spese sostenute da imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici, deve rilevarsi che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 7 (applicabile ratione temporis nella vicenda qui in esame), attuativo della direttiva n. 92/28/CEE, gli operatori sanitari ai quali puo’ essere rivolta la pubblicita’ di un medicinale sono esclusivamente quelli autorizzati a prescriverlo o a dispensarlo (comma 1) e la pubblicita’ di un medicinale presso gli operatori sanitari deve sempre comprendere le informazioni contenute nel riassunto delle caratteristiche del prodotto autorizzato e specificarne la classificazione ovvero la sua denominazione, ma pur sempre con la specificazione della denominazione comune del principio o dei principi attivi che lo compongono (secondo e terzo commi).
Da tali disposizioni e’ stato fatto discendere che il novero delle spese di pubblicita’ e’ limitato alle sole spese volte a render noto un farmaco presso la classe medica e cio’ puo’ avvenire, come desumibile dal successivo articolo 12, anche attraverso la organizzazione di convegni e riunioni, purche’ di breve durata e con la partecipazione di un numero ristretto di specialisti, in ragione del carattere d’informazione scientifica e non gia’ d’intrattenimento dell’incontro (cfr. Cass., ord., 30 novembre 2017, n. 28695; Cass. 16 aprile 2014, n. 8844; Cass. 6 novembre 2013, n. 24932).
D’altra parte, una siffatta conclusione risulta coerente con il fatto che il consumo dei farmaci non e’ regolato dal criterio del piacere, ma da quello dell’utilita’, mediata dalla classe medica, di guisa che i medici sono destinatari di una specifica forma di pubblicita’ che mira non gia’ a reclamizzare astrattamente il prodotto decantandone le virtu’ o la piacevolezza visiva della confezione, ma ad informarli della natura e delle utilita’ farmaceutiche del prodotto, in quali ipotesi risulti indicato, in quali no ed in quali sia addirittura nocivo (cosi’, Cass. 27 novembre 2006, n. 25053).
10.3. Nell’ambito dell’attivita’ promozionale dei prodotti farmaceutici – ossia di informazione e presentazione dei medicinali svolta presso medici o farmacisti – il Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 11 (attualmente non piu’ in vigore) vieta la concessione, l’offerta o la promessa di “premi, vantaggi pecuniari o in natura, salvo che siano di valore trascurabile e siano comunque collegabili all’attivita’ espletata dal medico e dal farmacista” e la sollecitazione o l’accettazione da parte del medico o del farmacista di alcun incentivo vietato, sanzionando la inosservanza di tali prescrizioni con “le pene previste dal testo unico L. sanitarie, articoli 170, 171 e 172 approvato con Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, come modificati dal articolo 16, comma 1, del presente decreto”.
Il divieto della concessione, offerta o promessa a tali persone di premi, vantaggi pecuniari o in natura, con la sola eccezione del caso che siano di valore trascurabile o rientrino nella prassi corrente in campo medico o farmaceutico, risulta confermato, oggi, dall’articolo 94, della direttiva 2001/83/CE, che ha sostituito la direttiva 92/28/CE, in attuazione della quale era stato emanato il Decreto Legislativo n. 541 del 1992.
10.4. Risulta(va), poi, consentita dal Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 13, la cessione di campioni gratuiti di un medicinale per uso umano ai medici autorizzati a prescriverlo, nel rispetto delle formalita’ e dei limiti quantitativi ivi indicati.
10.5. La materia della deducibilita’ dei costi sostenuti dalle imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici, si e’ arricchita della L. n. 289 del 2002, articolo 2, comma 9, che, nella formulazione applicabile ratione temporis, ha espressamente disposto l’indeducibilita’, ai sensi del (previgente) Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, dei costi sostenuti per l’acquisto di beni o servizi destinati, anche indirettamente, a medici, veterinari o farmacisti, allo scopo di agevolare, in qualsiasi modo, la diffusione di specialita’ medicinali o di ogni altro prodotto ad uso farmaceutico (comma 9).
Con l’ottavo comma del medesimo articolo di legge e’ stata, inoltre, prevista, attraverso l’introduzione della L. 24 dicembre 1993, n. 537, articolo 14, comma 4-bis, l’indeducibilita’ dei costi o delle spese “riconducibili a fatti, atti o attivita’ qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti”.
10.6. Dal riferito quadro normativo discende, per quanto interessa in questa sede, la generale indeducibilita’ delle spese sostenute per l’acquisto di quei beni e servizi destinati ai medici, siano essCspese di promozione o di rappresentanza.
Eccezioni a tale principio sono rappresentate, in primo luogo, dalle spese sostenute per la concessione al medico di premi, vantaggi pecuniari o in natura, a condizione che questa sia effettuata nell’ambito dell’attivita’ di informazione e presentazione dei medicinali, che tale attivita’ sia svolta nel rispetto delle prescrizioni della normativa di settore, quanto ai soggetti autorizzati e al contenuto dell’attivita’, e che i vantaggi siano di valore trascurabile o, comunque, coerenti con la prassi corrente in campo medico e collegabili all’attivita’ espletata dal medico.
Altra eccezione e’ rappresentata dalle spese relative all’organizzazione di convegni e congressi scientifici, le quali sono deducibili qualora tali incontri sono di breve durata e prevedono la partecipazione di un numero ristretto di medici specialisti, atteso che il Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 13, limita l’offerta delle spese di viaggio o per ospitalita’ ai soli operatori del settore qualificati e per il tempo imposto dalle esigenze di partecipazione e sempre che tale ospitalita’ non presenti caratteristiche tali da prevalere sulle finalita’ tecnico-scientifiche della manifestazione.
E’, infine, consentita la deduzione dei costi sostenuti per campioni gratuiti di un medicinale per uso umano ceduti ai medici autorizzati a prescriverlo, laddove siano rispettati le formalita’ e i limiti quantitativi previsti dalla legge.
10.7. Cio’ posto, la sentenza impugnata ha ritenuto che le spese per omaggi effettuati ai medici non potessero essere dedotte, in quanto tali omaggi presentavano un valore non trascurabile, poiche’ di importo superiore ad Euro 25,82, considerato complessivamente in ragione del singolo medico beneficiario e del periodo di imposta di riferimento.
In proposito, deve rilevarsi, in primo luogo, che il giudice di appello ha individuato quale parametro cui ancorare la valutazione della “trascurabilita’” del valore del bene concesso in omaggio al fatto del rispetto della soglia economica di Euro 25,82.
Siffatta valutazione si presenta immune da censure, in quanto rispondente a criteri di ragionevolezza e coerente con il limite previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 74, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti, per l’assenza di limitazione nella deducibilita’ delle spese di rappresentanza.
In secondo luogo, si pone in evidenza il fatto che la valutazione del rispetto di tale limite e’ stata condotta dalla Commissione regionale con riferimento al valore complessivo della totalita’ dei vantaggi concessi al singolo medico nell’ambito di un singolo periodo di imposta e non gia’ con riferimento al singolo omaggio attribuito ovvero agli omaggi, sia pure complessivamente considerati, attribuiti in occasione delle singole visite.
Una siffatta interpretazione del dato normativo va condivisa, in quanto coerente con il quadro normativo, cosi’ come ricostruito in precedenza, nonche’ con le finalita’ sottese alla disciplina nazionale ed eurounitaria consistenti, da un lato, di disincentivare comportamenti che determinano una crescita patologica della spesa sanitaria, riflettendosi sui prezzi dei farmaci e sulle quantita’ prescritte, dall’altro, di assicurare che le persone autorizzate a prescrivere medicinali devono poter svolgere tale compito con assoluta obiettivita’, senza essere influenzate da incentivi finanziari diretti o indiretti (cfr., in relazione a quest’ultimo aspetto, il considerando 50 della direttiva 2001/83/CE).
Il riferimento della valutazione in ordine al carattere, trascurabile o meno, del valore dell’utilita’ concessa al medico al singolo vantaggio, anziche’ al complesso dei vantaggi riconosciuti in un arco temporale predefinito (il singolo periodo di imposta), rischierebbe di frustrare tali finalita’, in relazione alla possibilita’ di una effettiva influenza dell’operato del medico mediante l’offerta di una pluralita’ di beni e servizi, di valore trascurabile se singolarmente considerati, ma dall’importo significativo, se complessivamente apprezzati.
10.8. Alla luce delle considerazioni che precedono la decisione della Commissione regionale, sul punto, e la ratio decidendi seguita si presenta corretta e, in quanto tale, resiste alle censure della ricorrente.
10.9. Non pertinente, poi, appare il riferimento al principio di affidamento, invocato con il quinto motivo di ricorso – peraltro, astrattamente utile solo ai fini dell’esonero delle sanzioni (cfr. Cass. 18 maggio 2016, n. 10195) -, poiche’ preordinato all’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, mentre nel caso in esame, il processo verbale di constatazione che conterrebbe un piu’ favorevole accertamento per la contribuente e’, di per se’, inidoneo a giustificare inadempimenti gia’ verificatisi.
11. Con l’undicesimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 66, comma 2, e articolo 75, comma 5, e L. n. 287 del 1990, articolo 2, per aver la sentenza impugnata ritenuto indeducibile, per difetto di inerenza, la sopravvenienza passiva costituita dalla sanzione dei relativi interessi irrogata dall’Autorita’ Garante della Concorrenza e del Mercato per l’importo complessivo di Euro 6.077.013,30.
11.1. Il motivo e’ infondato.
In tema di determinazione del reddito di impresa, la sanzione pecuniaria di cui alla L. n. 287 del 1990, articolo 15, non costituisce una sopravvenienza passiva in quanto, da un lato, non e’ possibile ricollegarla a ricavi ed altri proventi, essendo il riferimento (variabile) della sanzione al 10% dei ricavi dell’esercizio precedente soltanto un parametro, riprodotto sulla base della normativa comunitaria, per determinare la misura della sanzione, e, dall’altro, non potendo la condotta anticoncorrenziale integrare un fattore produttivo – essendo non soltanto autonoma ed esterna alla normale vita dell’impresa, ma radicalmente antitetica al suo corretto andamento – l’imputazione della stessa a reddito d’impresa, a titolo appunto di sopravvenienza passiva, neutralizzerebbe la ratio punitiva della misura, trasformandola in un risparmio d’imposta (cosi’, Cass. 7 giugno 2017, n. 14137; Cass., ord., 26 ottobre 2012, n. 18368; Cass. 11 aprile 2011, n. 8135).
Del resto, anche la Corte di giustizia non ha mancato di rilevare come l’efficacia della sanzione inflitta a garanzia della concorrenza potrebbe essere sensibilmente ridotta dalla sua deducibilita’ fiscale, che avrebbe l’effetto di compensarne il peso con una diminuzione degli oneri tributari (cfr. Corte giust., 11 giugno 2009, Inspecteur van de Belastingdienst).
12. Con il dodicesimo motivo la contribuente allega la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, commi 1 e 2, e Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 5, per aver il giudice di appello ritenuto corretta la ripresa fiscale avente ad oggetto l’indeducibilita’, per difetto di competenza, del costo rappresentato dagli indennizzi pagati all’ (OMISSIS) (organismo costituito tra (OMISSIS) ed (OMISSIS)) per lo smaltimento di medicinali invendibili.
Evidenzia, sul punto, che le prestazioni in oggetto erano state eseguite nell’anno 2003, per cui non assumeva rilevanza il momento in cui le stesse erano state fatturate, ne’ quello in cui era stata acquisita la documentazione giustificativa del costo, trasmessale solo nei primi mesi dell’anno successivo.
12.1. Il motivo e’ fondato.
La Commissione regionale ha negato la deducibilita’ del costo, rilevando che lo stesso era venuto a determinarsi in modo certo ed oggettivo solo nel corso dell’anno 2004, a seguito delle comunicazioni del relativo importo inviate dal prestatore di servizi.
Orbene, in tema di imposte sui redditi d’impresa, i costi sostenuti dopo la chiusura dell’esercizio contabile di riferimento, ma incidenti sul ricavo netto determinato dalle operazioni dell’anno gia’ definito, costituiscono elementi di rettifica del bilancio dell’anno precedente, sicche’ concorrono a formare il reddito d’impresa ed incidono legittimamente in flessione sullo stesso tutte le volte in cui siano divenuti noti, in quanto certi e precisi nell’ammontare, prima della delibera di approvazione del risultato d’esercizio (cfr. Cass. 27 maggio 2015, n. 10903; Cass. 14 febbraio 2014, n. 3484).
Il giudice di appello, nell’escludere la deducibilita’ del costo per difetto di competenza, per il solo fatto che lo stesso e’ divenuto certo e determinato solo successivamente alla chiusura dell’esercizio di competenza, non ha fatto corretta applicazione del riferito principio, omettendo di valutare se tale costo doveva costituire un elemento di rettifica del bilancio dell’anno precedente, laddove divenuto noto – in quanto certo e preciso nell’ammontare – prima della delibera approvativa del risultato di esercizio.
13. Con il tredicesimo motivo la ricorrente allega la nullita’ della sentenza impugnata, nella parte relativa al recupero a tassazione di una parte della spesa sostenuta per il noleggio di un’imbarcazione, per violazione del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 1, comma 2, articolo 36, comma 2, n. 4, e articolo 61, articolo 112 c.p.c. e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articolo 118, disp. att. c.p.c., e articolo 111 Cost., comma 6, perche’ priva di effettiva motivazione, essendosi limitata ad una mera adesione alle motivazioni della pronuncia di primo grado, senza neppure riportarle.
13.1. Il motivo e’ inammissibile, in quanto privo dell’indicazione del contenuto del relativo motivo di appello, necessaria al fine di consentire la valutazione di questa Corte in ordine alla rilevanza del vizio prospettato ai fini di un possibile diverso esito, sul punto, dellimpugnazione.
14. Con il quattordicesimo motivo la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 62, comma 3, articolo 75, e articolo 53 Cost., per aver il giudice di appello escluso la deduzione del costo di Euro 200.000,00, costituito da parte del compenso erogato al presidente della societa’, per difetto della delibera e dell’effettivo sostentamento.
A sostegno della censura evidenzia che erroneamente, nella dichiarazione integrativa, aveva indicato il compenso del presidente nella misura di Euro 600.000, anziche’ in quella corretta di Euro 400.000, ma aveva correttamente fruito della variazione in diminuzione nel giusto ammontare, in relazione al corretto importo del compenso.
14.1. Il motivo e’ inammissibile, in quanto muove da una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dalla sentenza.
La sentenza impugnata, infatti, da’ atto che “i 200.000 Euro dichiarati in piu’, e quindi sottratti all’i.r.pe.g., non sono stati deliberati ne’ corrisposti”, compiendo, dunque, un accertamento di fatto – non aggredito da specifica impugnazione – in ordine alla contabilizzazione di un costo per un importo superiore rispetto a quello sostenuto.
Il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non puo’ che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, cosi’ come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, la’ dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
15. Con il quindicesimo motivo si critica la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 654 c.p.p. e dei principi generali sugli effetti delle risultanze e degli esiti del procedimento penale nel processo tributario, Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 1, comma 2, e articolo 116 c.p.c., per aver escluso la possibilita’ di trarre argomenti utili ai fini della decisione o dal provvedimento di archiviazione del procedimento penale promosso nei confronti del proprio legale rappresentante pro tempore.
15.1. Il motivo e’ infondato, in quanto il giudice di appello, lungi dal non prendere in considerazione le risultanze del procedimento penale, come invece sostenuto dalla ricorrente, ha ritenuto che tali risultanze non fossero idonee ad offrire elementi utili ai fini dell’accoglimento del gravame interposto, operando in tal modo una valutazione di tali risultanze nell’ambito degli elementi probatori sottoposti a suo esame e giungendo ad una valutazione di irrilevanza in ordine ai fatti da accertarsi.
16. Con il sedicesimo motivo la ricorrente censura la sentenza di appello per omessa motivazione circa un fatto, controverso e decisivo, secondo cui, in relazione al recupero relativo all’i.v.a. per omessa autofatturazione, la prestazione di servizi sarebbe stata resa dal fornitore estero in territorio italiano con conseguente imponibilita’ ai fini i.v.a..
16.1. Il motivo e’ fondato.
La sentenza impugnata ha confermato la legittimita’ della ripresa fiscale sulla base della considerazione secondo la quale la neutralita’ dell’i.v.a. non comporta esonero dall’autofatturazione per la prestazione di servizi rese da un fornitore estero.
Nel ritenere che la prestazione di tali servizi configurasse un’operazione imponibile ha implicitamente ritenuto che la stessa si sia svolta nel territorio italiano, senza, tuttavia, indicare gli elementi da cui ha tratto un siffatto convincimento, benche’ la contribuente abbia puntualmente contestato tale circostanza, sia con il ricorso introduttivo, sia con l’atto di appello.
Avuto riguardo a tale profilo, la motivazione della Commissione regionale si presenta insufficiente, in quanto priva dell’indicazione del decisivo elemento fattuale posto a fondamento della decisione e, dunque, carente della rappresentazione dell’iter logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata.
17. Con il diciassettesimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 17, comma 3, e articolo 19, comma 1, e Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, articolo 6, comma 8, nonche’ del principio di neutralita’ dell’i.v.a., per aver la sentenza di appello ritenuto legittimo il recupero fiscale concernente l’i.v.a. per omessa autofatturazione, benche’ tale omissione non comportasse alcuna sottrazione all’erario.
17.1. Il motivo e’ fondato.
Con riferimento agli acquisti intracomunitari, il principio fondamentale di neutralita’ dell’i.v.a. esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata, nonostante l’inadempimento di taluni obblighi formali, se sono soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali, di cui le violazioni formali non impediscano la prova certa, sicche’ il diritto alla detrazione non puo’ essere negato nei casi in cui, pur non avendo l’operatore nazionale applicato la procedura d’inversione contabile (reverse charge) ed in particolare avendo omesso la doppia registrazione delle fatture integrate o autofatture nei registri di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 23 e 25, e’, comunque, dimostrato, o non controverso, che gli acquisti siano fatti da un soggetto passivo i.v.a. e che le merci siano finalizzate a proprie operazioni imponibili (cfr. Cass. 9 marzo 2016, n. 4612; Cass. 14 aprile 2015, n. 7576; tra la giurisprudenza eurounitaria, Corte Giust., 11 dicembre 2014, Idexx).
La violazione degli obblighi formali di contabilita’ e di dichiarazione, pur non impedendo di per se’ la nascita del diritto di detrazione, puo’, peraltro, incidere sul suo esercizio, allorquando entro il termine previsto dal legislatore nazionale il relativo titolare non ne faccia uso (cfr. Cass. 27 settembre 2018, n. 23283).
La Commissione regionale, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’i.v.a. in conseguenza della omessa autofatturazione, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi.
18. Con il diciottesimo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19, comma 1, L. n. 289 del 2002, articolo 2, comma 9 e Decreto Legislativo n. 541 del 1992, articolo 11, comma 1, per aver il giudice di appello escluso il diritto alla detrazione dell’Iva assolta sull’acquisto dei CD contenenti il software (OMISSIS) e sui connessi servizi accessori in ragione della indeducibilita’ dei relativi costi.
18.1. Il motivo e’ infondato.
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 19 bis.1, stabilisce che “non e’ ammessa in detrazione l’imposta relativa alle spese di rappresentanza, come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a lire cinquantamila”.
L’implicito riferimento al TUIR, articolo 74, comma 2, nel testo all’epoca vigente, e’ improprio, in quanto questa norma non fornisce alcuna definizione generale delle spese di rappresentanza, limitandosi a prevederne la misura ed i tempi di deducibilita’ ed a stabilire che si considerano spese di rappresentanza anche quelle sostenute per i beni distribuiti gratuitamente, anche se recano emblemi, denominazioni o altri riferimenti atti a distinguerli come prodotti dell’impresa, e i contributi erogati per l’organizzazione di convegni e simili e che le predette limitazioni non si applicano ove le spese di rappresentanza siano riferite a beni di valore unitario non eccedente lire cinquantamila.
Per individuarsi il concetto di spese di rappresentanza, rilevante a fini dell’applicazione della disposizione in esame, deve, dunque, farsi riferimento all’elaborazione giurisprudenziale formatasi sul punto che, come rilevato in precedenza, ha condotto ad individuare tali spese in quelle sostenute per accrescere il prestigio della societa’ senza dar luogo ad una aspettativa di incremento diretto delle vendite.
Tale disposizione non risulta incompatibile con l’articolo 17, paragrafo 6, della sesta Direttiva del Consiglio CEE n. 77/388, secondo cui le spese di rappresentanza, ove non abbiano un carattere strettamente professionale in quanto volte a propiziare la crescita di immagine, non si possono considerare impiegate ai fini di operazioni soggette ad imposta da parte del soggetto passivo che intende esercitare il diritto di detrazione (cfr., sul tema, Cass. n. 24932 del 2013).
19. Con il diciannovesimo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 212 del 2000, articolo 10, comma 3, Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 5, comma 1, e articolo 6, comma 2, Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 8, L. n. 289 del 2002, articolo 2, comma 9, L. n. 287 del 1990, articolo 2 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 75, comma 5, per aver la sentenza impugnata ritenuta corretta l’irrogazione delle sanzioni in ragione dell’assenza di incertezze nella interpretazione delle norme che disciplinano le materie in rilievo.
Evidenzia, in particolare, che l’indeducibilita’ dei costi sostenuti dalle imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici era stata introdotta con disposizione normativa entrata in vigore solo il 1 gennaio 2003 e che l’unica circolare dell’Agenzia delle Entrate in materia era stata emanata solamente il 18 gennaio 2006, oltre due anni dopo la chiusura del periodo di imposta in oggetto.
Aggiunge, inoltre, che anche in tema della deducibilita’ della sanzione comminata dalla Autorita’ Garante della Concorrenza e del Mercato si erano formati orientamenti giurisprudenziali nel senso favorevole al contribuente.
19.1. Il motivo e’ infondato.
In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilita’ amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocita’ del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non gia’ ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui e’ attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass., ord., 4 maggio 2018, n. 10662; Cass. 23 novembre 2016, n. 23845).
Cio’ posto, l’assenza di una consolidata prassi interpretativa, in ragione della recente modifica del trattamento fiscale dei costi sostenuti dalle imprese farmaceutiche per prestazioni rese a vantaggio dei medici, sia pure in assenza di una circolare esplicativa dell’Amministrazione finanziaria, non costituisce un elemento sintomatico dell’invocata incertezza normativa.
Analoga considerazione deve effettuarsi con riferimento alla indebita deduzione del costo rappresentato dalla sanzione comminata dell’Autorita’ Garante per la Concorrenza e il Mercato, in quanto gia’ all’epoca dei fatti la giurisprudenza di legittimita’ era nel senso della indeducibilita’ delle spese sostenute per il pagamento di sanzioni pecuniarie amministrative (cfr. Cass. 29 maggio 2000, n. 7071, e Cass. 13 maggio 2003, n. 7317, entrambe relative a sanzioni irrogate per infrazioni alle norme sulla circolazione stradale).
20. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il dodicesimo, sedicesimo e diciassettesimo motivo del ricorso; dichiara inammissibili il tredicesimo e quattordicesimo motivo e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.

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