Sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c.

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 15 maggio 2019, n. 12999.

La massima estrapolata:

La sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c., ha lo scopo di evitare il conflitto di giudicati, sicché può trovare applicazione solo quando in altro giudizio debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, soccorrendo in tal caso la previsione dell’art. 336, comma 2, c.p.c. sul cd. effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione di una sentenza sugli atti e i provvedimenti (comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la pregiudizialità soltanto logica tra il giudizio sull’inefficacia della cessione di “leasing” ed il riconoscimento di parte del risarcimento per il godimento del bene da restituire e l’opposizione a decreto ingiuntivo, fondato sulla pronuncia di inefficacia del contratto, concernente altra parte delle somme dovute per la mancata restituzione del bene).

Sentenza 15 maggio 2019, n. 12999

Data udienza 14 marzo 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17723/2017 proposto da:
Fallimento (OMISSIS), in persona del curatore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2165/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 22/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/03/2019 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto.



FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Varese pronunciava, su ricorso del Fallimento di (OMISSIS), un decreto ingiuntivo nei confronti di (OMISSIS) s.r.l.. Il provvedimento monitorio si fondava sulla sentenza resa dallo stesso Tribunale: pronuncia – questa – con cui era stato dichiarato inefficace il contratto di cessione di leasing intercorso tra (OMISSIS) (all’epoca in bonis) e l’ingiunta e condannata inoltre quest’ultima alla restituzione del bene oggetto del contratto, consistente in una gru completa di accessori; l’importo portato dal decreto ingiuntivo, pari a Euro 11.850,00, costituiva una parte dell’indennita’ dovuta al Fallimento (o meglio, del risarcimento del danno, visto che si faceva questione di somme dovute per “il mancato adempimento dell’obbligo di restituzione”: cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
L’opposizione proposta veniva respinta e la societa’ intimata era condannata al risarcimento del danno ex articolo 89 c.p.c., comma 2, per l’impiego, negli atti processuali, di espressioni sconvenienti o offensive.
2. – Interposto gravame, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 12 luglio 2017, riformava la sentenza di prime cure: revocava il decreto ingiuntivo opposto e negava la spettanza del risarcimento di cui si e’ appena detto. Il giudice distrettuale osservava che la sentenza con cui era stata dichiarata l’inefficacia della cessione del contratto di leasing posta a base del decreto impugnato era stata impugnata e che la Corte di appello aveva dichiarato nulla la stessa rimettendo la causa al giudice di primo grado; in seguito – e’ stato spiegato – quest’ultimo aveva respinto le domande del fallimento. Se ne desumeva – ad avviso della Corte di merito – che il decreto ingiuntivo andasse revocato, essendo stata accertata l’inesistenza del diritto di credito del Fallimento. Lo stesso giudice distrettuale, con riferimento alla condanna risarcitoria ex articolo 89 c.p.c., osservava, poi, che le espressioni censurate, pur essendo offensive e sconvenienti, presentavano attinenza con la tesi difensiva prospettata da (OMISSIS) ed erano comunque dirette a indirizzare la decisione del Tribunale: sicche’ doveva escludersi competesse il domandato risarcimento.
3. – La sentenza e’ impugnata per cassazione con tre motivi dal Fallimento di (OMISSIS); resiste con controricorso (OMISSIS) s.r.l.. La causa, avviata alla trattazione presso la sesta sezione civile, e’ stata successivamente rimessa alla pubblica udienza di questa prima sezione. Sono state depositate memorie.



RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo e’ dedotta la violazione o l’erronea applicazione dell’articolo 336 c.p.c., comma 2. Assume il ricorrente che la Corte di Milano aveva fatto impropriamente riferimento a tale disposizione; il giudice del gravame avrebbe infatti dovuto tener conto che il rapporto tra i due giudizi (quello deciso e quello avente ad oggetto la declaratoria di inefficacia della cessione del contratto di leasing) si ravvisava una relazione di pregiudizialita’ e che la causa pregiudicante era pendente.
Col secondo mezzo viene denunciata la violazione dell’articolo 295 c.p.c.. Si sostiene che la Corte di merito avrebbe dovuto disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello vertente sull’inefficacia della cessione.
I due motivi si prestano a una trattazione congiunta, e sono, nel complesso, infondati.
Tra il primo giudizio, vertente sulla inefficacia della cessione del contratto di locazione finanziaria e il riconoscimento di una parte del risarcimento accordato al Fallimento per il godimento del bene (ma, evidentemente, anche sulla sussistenza dell’obbligo di (OMISSIS) di rivalere la controparte del danno derivante dall’accertata sua detenzione sine titulo del bene concesso in leasing) e il secondo giudizio, avente ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo concernente altra parte della “indennita’” maturata sul presupposto di quella inefficacia (e dell’obbligo di cui si e’ detto, che ad essa si correlava), si ravvisa una pregiudizialita’ in senso logico, e non una pregiudizialita’ in senso tecnico-giuridico.
Come precisato da Cass. Sez. U. 26 luglio 2004, n. 14060, con la prima espressione si indica il rapporto giuridico dal quale nasce l’effetto dedotto in giudizio o, secondo altra convergente accezione, il fatto costitutivo del diritto fatto valere davanti al giudice (ad esempio: il contratto di compravendita rispetto alla richiesta di pagamento del prezzo della cosa venduta), integrante il “punto pregiudiziale”, mentre la seconda indica quella fattispecie che, essendo esterna al fatto costitutivo del diritto, ne integra il presupposto o, come anche si afferma, quella situazione che ugualmente rappresenta un presupposto dell’effetto dedotto in giudizio, ma che si distingue, attesa la sua autonomia, dal fatto costitutivo sul quale si fonda l’effetto (ad esempio: la qualita’ di erede del creditore rispetto alla domanda di pagamento del prezzo oggetto del contratto di compravendita stipulato dal defunto) ed integra la “questione pregiudiziale”. Le stesse Sezioni Unite hanno poi precisato che poiche’ lo scopo perseguito dalla sospensione necessaria e’ quello di evitare il conflitto di giudicati, l’articolo 295 c.p.c., puo’ trovare applicazione solo quando in altro giudizio debba essere decisa, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, sussistendo in tal caso il rischio del conflitto di giudicati, e non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, non configurandosi in questo caso il menzionato rischio. Infatti, nel caso di pregiudizialita’ in senso logico soccorre la previsione dell’articolo 336 c.p.c., comma 2, circa il c.d. effetto espansivo esterno, e cioe’ circa il propagarsi degli effetti della riforma o della cassazione al di la’ della sentenza, agli atti ed ai provvedimenti (ivi comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata. E’ del resto insegnamento risalente di questa Corte che l’articolo 336 c.p.c., nel disporre che la riforma con sentenza passata in giudicato o la cassazione di una precedente sentenza estende i suoi effetti a tutti gli atti ed ai provvedimenti da questa dipendenti, non richiede che tali atti o provvedimenti siano stati adottati nello stesso processo in cui e stata emanata la sentenza riformata o cassata, sicche’ gli effetti della cassazione o della riforma si estendono anche ai provvedimenti dipendenti di natura istruttori o decisori pronunciati in un diverso procedimento (Cass. 24 febbraio 1975, n. 678).



Va condiviso, dunque, il principio, richiamato dalla controricorrente, secondo cui l’effetto espansivo esterno del giudicato previsto dall’articolo 336 c.p.c., comma 2, opera anche nel caso in cui il diritto posto alla base di un decreto ingiuntivo sia stato negato a seguito della riforma o cassazione della sentenza che l’aveva accertato, e travolge gli effetti anche esecutivi del decreto stesso (cosi’, infatti, Cass. 13 giugno 2014, n. 13492). Deve essere difatti ribadito che la riforma o la cassazione della sentenza concernente l’accertamento del diritto pone sempre nel nulla la sentenza che abbia deciso sul quantum (e cio’ ancorche’ su quest’ultima si sia formato il giudicato formale per mancata tempestiva impugnazione) (Cass. 22 agosto 2003, n. 12364; Cass. 29 aprile 1997, n. 37247).
Nei detti termini l’applicazione che la Corte di appello ha inteso dare dell’articolo 336 c.p.c., comma 2, non merita censura e infondata si dimostra la doglianza riferita alla mancata applicazione dell’istituto della sospensione necessaria di cui all’articolo 295 c.p.c..
D’altro canto, va aggiunto, la norma da ultimo citata non potrebbe comunque regolare la fattispecie che interessa, dal momento che nel procedimento vertente sull’inefficacia della cessione la sentenza posta a fondamento del decreto ingiuntivo e’ stata annullata e la pronuncia che l’ha sostituita ha respinto le domande del fallimento. Vale rammentare, in proposito, che se l’autorita’ di una sentenza impugnata e’ spendibile in altro procedimento la sospensione, a norma dell’articolo 337 c.p.c., comma 2, e’ facoltativa, potendo il giudice sempre conferire rilievo alla pronuncia di primo grado (per tutte: Cass. Sez. U. 19 giugno 2012, n. 10027; Cass. 3 novembre 2017, n. 26251).
2. – Il terzo motivo censura la sentenza impugnata per violazione o erronea applicazione dell’articolo 89 c.p.c.. Assume il ricorrente che la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria risultava essere incomprensibile ed illogica e che la condotta processuale di controparte, che aveva attribuito alla curatela intenti e comportamenti fraudolenti non poteva integrare un “apporto utile all’oggetto della causa” ed escludere, quindi, la responsabilita’ risarcitoria che era stata invocata.
Il motivo e’ inammissibile
Per un verso, la censura si risolve, in buona sostanza, in una richiesta di riesame della connotazione di sconvenienza o offensivita’ degli scritti; ma l’apprezzamento dell’avvenuto superamento dei limiti di correttezza e civile convivenza entro cui va contenuta l’esplicazione della difesa integra esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimita’ (Cass. 22 febbraio 1992, n. 2188): e tanto meno, oggi, sotto il profilo della congruita’ motivazionale, visto che l’articolo 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato dal Decreto Legge n. 83 del 2012 (convertito in L. n. 134 del 2012), non consente piu’ tale sindacato. Per altro verso, il motivo e’ comunque carente di autosufficienza, in quanto la menzione delle singole espressioni di cui trattasi, estrapolate dal contesto cui ineriscono, non consentirebbe di apprezzarne compiutamente la portata.
4. – Il ricorso e’ respinto.
5. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.



P.Q.M.

La Corte:
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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