Sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica

Consiglio di Stato, Sentenza|26 aprile 2021| n. 3352.

Sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4). L’accertamento di compatibilità è subordinato al positivo riscontro della Soprintendenza e al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.

Sentenza|26 aprile 2021| n. 3352

Data udienza 11 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Beni culturali e Paesaggio – Autorizzazione paesaggistica postuma – Accertamento postumo di compatibilità paesaggistica – Interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica – Art. 167, d.lgs. n. 42 del 2004 – Limiti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6258 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Al.Me., An.Me. e La.Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ca. e Gi.Se., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Omissis;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco De Luca nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2021, svoltasi attraverso l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”, sensi dell’art. 4, comma 1 del Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25 Decreto Legge n. 137 del 2020, conv. dalla L. n. 176 del 2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Il Sig.-OMISSIS-, proprietario della porzione di 1/4 del fabbricato adibito ad abitazione composta da piano terra di mq. 125 e tetto di copertura sito in Omissis alla via (…), ha presentato istanza di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/01 per alcune difformità realizzate rispetto ai titoli edilizi in precedenza rilasciati dal Comune, acquisita al protocollo comunale al n. 18584 del 31 marzo 2017 (all. 11 ricorso in primo grado n. r.g. 38/2018).
Il Comune di Omissis ha rigettato l’istanza con provvedimento n. 65635 del 24 novembre 2017 (all. 1 ricorso in primo grado n. r.g. 38/2018), rilevando l’insussistenza dei presupposti per la sanatoria, tenuto conto che:
– le opere oggetto di accertamento di conformità avevano comportato sia un aumento di superficie utile lorda, mediante l’ampliamento del terrazzo anteriore (mt 1,60 x mt 4,00) e posteriore (mt 1,05 x 4,05), di profondità maggiore di 0,80 mt; sia un aumento di volume, mediante l’innalzamento della quota del solaio di copertura del garage di 50 cm, portandolo alla quota del pavimento del p.t.; sicché l’istanza non risultava assentibile, atteso il contrasto delle opere realizzate con l’art. 4 NTA al PRG, con il Piano di Recupero che, al punto 1-D, per la Ristrutturazione Edilizia non consentiva un incremento della superficie utile lorda, nonché con l’art. 9 L. n. 122/89 (art. 6 L.R. n. 19/01), legittimante soltanto l’esecuzione di parcheggi interrati e non di opere sopra il suolo;
– le opere in esame ricadevano in zona soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi del DM 16/06/1967 e del D. Lgs. n. 42/2004, ragion per cui non sussistevano i presupposti per l’accertamento di compatibilità paesaggistica, ammissibile ex art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42/2004 soltanto per lavori non comportanti la creazione di superfici utili o volumi, mentre nella specie risultavano realizzati aumenti di superficie utile lorda e di volume; né avrebbe potuto applicarsi il sopravvenuto DPR 31/2017 e comunque, anche in caso di aumento entro il limite del 10%, l’autorizzazione paesaggistica semplificata avrebbe richiesto la conformità alle norme edilizie/urbanistiche;
– risultava integrato un cambio di destinazione d’uso da garage a deposito, con conseguente ulteriore aumento di superficie utile lorda in contrasto con l’art. 4 NTA al PRA e con le NTA del Piano di Recupero.
2. La Sig.ra -OMISSIS-, proprietaria della porzione di 1/4 del fabbricato adibito ad abitazione composta da piano terra di mq. 125 e tetto di copertura sito in Omissis alla via (…), ha presentato istanza di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/01 per alcune difformità realizzate rispetto ai titoli edilizi in precedenza rilasciati dal Comune, acquisita al protocollo comunale al n. 18590 del 31 marzo 2017 (all. 12 ricorso in primo grado n. r.g. 43/2018).
Il Comune di Omissis ha rigettato l’istanza con provvedimento n. 65633 del 24 novembre 2017 (all. 1 ricorso in primo grado n. r.g. 43/2018), rilevando l’insussistenza dei presupposti per la sanatoria, tenuto conto che:
– le opere oggetto di accertamento di conformità avevano comportato sia un aumento di superficie utile lorda, mediante l’ampliamento del terrazzo anteriore (mt 1,90 x mt 3,50) e posteriore (mt 1,05 x 9,80), di profondità maggiore di 0,80 mt; sia un aumento di volume, mediante l’innalzamento della quota del solaio di copertura del garage di 50 cm, portandolo alla quota del pavimento del p.t.; sicché l’istanza non risultava assentibile, atteso il contrasto delle opere realizzate con l’art. 4 NTA al PRG, con il Piano di Recupero che, al punto 1-D, per la Ristrutturazione Edilizia non consentiva un incremento della superficie utile lorda, nonché con l’art. 9 L. n. 122/89 (art. 6 L.R. n. 19/01), legittimante soltanto l’esecuzione di parcheggi interrati e non di opere sopra il suolo;
– le opere in esame ricadevano in zona soggetta a vincolo paesaggistico ai sensi del DM 16/06/1967 e del D. Lgs. n. 42/2004, ragion per cui non sussistevano i presupposti per l’accertamento di compatibilità paesaggistica, ammissibile ex art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42/2004 soltanto per lavori non comportanti la creazione di superfici utili o volumi, mentre nella specie risultavano realizzati aumenti di superficie utile lorda e di volume; né avrebbe potuto applicarsi il sopravvenuto DPR 31/2017 e comunque, anche in caso di aumento entro il limite del 10%, l’autorizzazione paesaggistica semplificata avrebbe richiesto la conformità alle norme edilizie/urbanistiche;
– risultava integrato un cambio di destinazione d’uso da garage a deposito, con conseguente ulteriore aumento di superficie utile lorda in contrasto con l’art. 4 NTA al PRA e con le NTA del Piano di Recupero; né avrebbe potuto richiamarsi la C.I.L. prot. 18516 del 27.3.2015, in quanto si faceva questione di procedura edilizia a contenuto dichiarativo di parte, la cui conformità urbanistica è attestata dal dichiarante e dal tecnico che ne sottoscrive gli elaborati.
3. Il Sig.-OMISSIS- ha, quindi, proposto ricorso dinnanzi al Tar Campania, Salerno, rubricato al n. r.g. 38/2018 avverso: il provvedimento prot. n° 65635 del 24.11.2017 del Dirigente del Settore 2 – “Governo del Territorio e Patrimonio”, con cui era stata respinta l’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 D.P.R. n° 380/2001; b) la nota del Comune prot. n° 35545 del 27.6.2017 di preavviso di diniego dell’istanza di sanatoria ex art. 10 bis della legge n° 241/1990; c) la nota prot. n° 69840 del 13.12.2017 del Dirigente del II Settore, con cui si comunicava la riapertura dei termini per la demolizione e l’irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001; nonché ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale, ivi compresa, per quanto occorrente, l’ordinanza dirigenziale R.G. n. 57 del 30.1.2017.
4. La Sig.ra -OMISSIS-, parimenti, ha proposto ricorso dinnanzi al Tar Campania, Salerno, rubricato al n. r.g. 43/2018, impugnando: il provvedimento prot. n° 65633 del 24.11.2017 del Dirigente del Settore 2 “Governo del Territorio e Patrimonio”, con cui era stata respinta l’istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 D.P.R. n° 380/2001; b) la nota del Comune prot. n. 35704 del 27.6.2017 di preavviso di diniego dell’istanza di sanatoria ex art. 10 bis della legge n. 241/1990; c) la nota prot. n° 69842 del 13.12.2017 dello stesso Dirigente del II Settore con cui si confermava la riapertura dei termini per la demolizione e l’irrigazione della sanzione pecuniaria ex art. 31, comma 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001; d) ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale, ivi comprese la nota prot. n. 24769 del 27.4.2015, la nota prot. n. 18081 del 29.3.2006 e, per quanto occorrente, l’ordinanza dirigenziale Reg. Gen. n. 58 del 30.1.2017.
5. A fondamento del ricorso il Sig.-OMISSIS- e la Sig.ra -OMISSIS- hanno dedotto plurimi motivi di censura, incentrati sulla:
1) “Violazione dell’art. 36 del D.P.R. n° 380/01 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 punto 1D delle N.T.A. del P.d.R. delle Frazioni Sud-Ovest – Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria e di motivazione – Apoditticità ed irrazionalità manifesta”;
2) “Violazione dell’art. 36 del D.P.R. n° 380/2001 – Violazione degli artt. 6 e 34 del D.P.R. n° 380/01 – Violazione dell’art. 4 delle N.T.A. del P.R.G. – Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria e di motivazione – Contraddittorietà, apoditticità ed irrazionalità manifesta”;
3) “Violazione dell’art. 36 del D.P.R. n° 380/01 – Violazione dell’art. 23 ter del D.P.R. n° 380/01 e degli artt. 6 e ss. del D.P.R. n° 1142/1949 e relative categorie catastali – Eccesso di potere per erroneità dei presupposti difetto di istruttoria e di motivazione – Genericità – Apoditticità ed irrazionalità manifesta”;
4) “Violazione dell’art. 167 del D.Lgs. n° 42/04 – Violazione dell’art. 2 comma 1 del D.P.R. 13.2.2017, n° 31 e relativo All. n° 1 – Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria ed erronea motivazione – Apoditticità ed irrazionalità manifesta”.
6. Il Tar, riuniti i giudizi n. r.g. 38 e 43 del 2018, ha rigettato i ricorsi, tenuto conto che:
a) nella specie risultava integrato un aumento della volumetria esterna dei garage e della superficie utile lorda riguardante le superfici pertinenziali, atteso che “ciò che rileva, ai fini del regime sanzionatorio, per di più in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, è solo la volumetria esterna; infine, anche le superfici pertinenziali esterne pavimentate, poste a quota appartamento, più in alto del giardino, costituiscono, per l’art. 4 delle NTA del PRG, nuove Superfici Utili Lorde”;
– “gli Uffici non avrebbero mai potuto rilasciare un titolo in sanatoria parziale (limitatamente, cioè, al cambio di destinazione d’uso, conseguente alla diversa distribuzione interna del garage), in presenza di un immobile interessato da altri, più consistenti, abusi (maggiore volume e ingombro esterno), insanabili in zona sottoposta a vincolo paesaggistico”;
– “gli interventi abusivi posti in essere, comunque li si voglia qualificare e valutare dal punto di vista edilizio – urbanistico, resteranno pur sempre, ineluttabilmente, delle “variazioni essenziali”, insuscettibili di sanatoria e da sanzionare, pertanto, con la demolizione”.
7. I Sig.ri -OMISSIS- e-OMISSIS- hanno proposto appello avverso la sentenza di primo grado, contestando che la stessa risultava incentrata sui soli dati tecnici forniti dall’Amministrazione comunale, senza avere esaminato le rilevazioni e i dati recati nelle perizie giurate depositate in giudizio dalle parti ricorrenti e, per l’effetto, denunciandone l’erroneità con quattro motivi di impugnazione, alla stregua delle doglianze già articolate in prime cure.
Le parti appellanti hanno chiesto, in via istruttoria, la nomina di un CTU volta ad effettuare le corrette misurazioni degli ambienti e delle superfici esterne contestate ed a constatare l’assoluta ininfluenza delle contestazioni mosse dal Comune sotto i profili edilizi, urbanistici e paesaggistici ai fini del rilascio della chiesta sanatoria edilizia e paesaggistica.
8. Il Comune appellato si è costituito in giudizio, al fine di resistere all’impugnazione.
Con memoria difensiva il Comune ha eccepito l’inammissibilità dell’appello per assoluta genericità, facendosi questione di mera riproposizione dei motivi di ricorso svolti in primo grado, nonché l’inammissibilità delle censure articolate dagli appellanti in ordine all’ammissibilità dei ricorsi in prime cure, tenuto conto che “Va da sé che il rigetto dell’eccezione di inammissibilità scrutinata dal Giudice di prime cure comporta carenza d’interesse al motivo in esame” (pag. 8 memoria difensiva 19.8.2019).
In ogni caso, il Comune, con puntuali argomentazioni controdeduttive, ha contestato la fondatezza dei motivi di impugnazione, rilevando, altresì, che:
– tutte le doglianze riguardanti la qualificazione degli abusi e la correlata disciplina sanzionatoria andavano formulate tempestivamente nei confronti delle pregresse ordinanze di demolizione, non potendo trovare ingresso in occasione dell’impugnativa del diniego di sanatoria;
– le opere per cui è contestazioni avrebbero comportato aumenti di superficie utile lorda (SUL), mediante la avvenuta realizzazione dell’ampliamento del terrazzo anteriore (mt 1,90 x mt 3,50) che posteriore (mt 1,05 x mt 9,80), di profondità maggiore di 0,80 mt; sia aumento di volume, mediante l’innalzamento della quota del solaio di copertura del garage di 50 cm portandolo alla quota del pavimento del p.t.;
– non sussisterebbe alcuna motivazione postuma in ordine all’aumento della volumetria esterna dei garage, in quanto i provvedimenti impugnati si riferivano espressamente ad una difformità riguardante la maggiore altezza del garage.
9. La Sezione, con ordinanza n. 4136 del 30.8.2019, ha accolto l’istanza cautelare formulata dagli appellanti, fissando l’udienza pubblica di discussione per il giorno 23 aprile 2020.
10. La parte appellante ha depositato, in vista dell’udienza di merito, una nuova perizia giurata e apposita memoria difensiva, con cui ha insistito nei motivi di impugnazione.
11. Con ordinanza n. 2698 del 24.4.2020 la Sezione ha ritenuto necessario disporre una verificazione, al fine di accertare se, in relazione ai garage di proprietà delle parti appellanti, le opere realizzate dai Sig.ri-OMISSIS- e -OMISSIS- avessero comportato, rispetto alle misurazioni di progetto, un aumento della volumetria e/o di superficie utile lorda e/o un mutamento di destinazione d’uso (da garage a deposito).
In particolare, ai sensi dell’art. 66 cod. proc. amm. il Collegio ha disposto che:
1) alla verificazione provvedesse il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università degli Studi di Salerno, con facoltà di delega ad un Professore di ruolo nell’ambito del medesimo Dipartimento in possesso di specifiche competenze per il tipo di attività da svolgere;
2) il verificatore dovesse rispondere al seguente quesito: dica il verificatore, previo esame della documentazione acquisita agli atti di causa, dello stato dei luoghi e di ogni altro elemento rilevante, ivi inclusa la documentazione sussistente agli atti del Comune e delle pubbliche amministrazioni interessate, se la consistenza delle opere realizzate dagli appellanti e riferite ai garage per cui è causa, alla stregua della normativa di riferimento, abbia determinato -rispetto ai progetti assentiti attraverso i titoli susseguitisi- un aumento di volume e/o un aumento di superfice utile lorda e/o un mutamento della destinazione d’uso.
Ai fini dell’espletamento dell’incarico istruttorio, al verificatore è stato chiesto di redigere una relazione, corredata, altresì, da opportuni elaborati grafici e da riproduzioni fotografiche, provvedendo:
a) alla misurazione dell’eventuale aumento di superficie utile lorda e/o di volume dei garage;
b) alla misurazione dell’eventuale innalzamento della quota di calpestio del terrazzo di copertura dei garage e alla conseguente possibilità di qualificare i garage come manufatti interrati;
c) alla misurazione della superficie utile lorda dei manufatti adibiti a garage, con specificazione della superficie utilizzata e comunque utilizzabile come parcheggio e di quella, invece, preclusa ad un tale utilizzo in ragione dei tramezzi e delle modifiche realizzate dagli appellanti in difformità rispetto a quanto assentito dai titoli susseguitisi;
d) allo svolgimento delle ulteriori attività ritenute utili a rispondere al quesito supra formulato.
11. Con ordinanze nn. 5628 del 28.8.2020 e 6671 del 30.10.2020 è stata concessa una proroga del termine di espletamento delle operazioni di verificazione, in accoglimento di istanze all’uopo presentate dal verificatore.
12. Con deposito dell’1.12.2020 il verificatore ha depositato la relazione istruttoria unitamente ai relativi allegati.
13. In data 30.12.2020 il Comune appellato ha depositato delle osservazioni alla relazione di verificazione predisposte dal proprio consulente tecnico di parte e dal competente dirigente comunale.
14. In vista dell’udienza pubblica la parte appellante ha depositato memoria conclusionale, insistendo nelle proprie conclusioni, anche alla stregua delle risultanze della verificazione.
15. Il Comune ha depositato memoria di replica in data 20.1.2021, controdeducendo rispetto a quanto allegato dall’appellante.
16. L’appellante ha, infine, depositato in data 3.2.2021 note di udienza, pure eccependo l’inammissibilità del deposito documentale del Comune appellato in data 30.12.2020.
17. Il verificatore ha presentato richiesta di liquidazione del compenso, quantificato in E. 13.634,40.
18. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2021.

DIRITTO

1. L’atto di appello consta di quattro motivi di impugnazione – suscettibili di esame congiunto, in quanto aventi ad oggetto censure connesse-, con cui si contesta l’erroneità della sentenza di prime cure, nella parte in cui:
– ha reputato inammissibili le censure svolte contro i dinieghi di sanatoria, perché afferenti a questioni già oggetto di ordinanze di demolizione non impugnate;
– ha ritenuto integrato un aumento del volume e della superficie utile concernente i garage;
– ha ravvisato un cambio della destinazione d’uso dei garage;
– ha ravvisato un aumento della superficie utile, in relazione all’ampliamento di aree qualificate come balconi.
1.1 In particolare, con il primo motivo di appello è censurata l’erroneità della sentenza di primo grado, per avere ritenuto le censure svolte con il primo motivo di ricorso (riguardanti l’esatta individuazione delle opere da sanare e la loro corretta qualificazione giuridica), da un lato, inammissibili, in quanto non dirette contro le ordinanze di demolizione, rimaste inoppugnate, dall’altro, infondate, essendosi in presenza di difformità non sanabili alla stregua di quanto previsto dalla normativa urbanistica di riferimento.
A giudizio dell’appellante, l’interesse al ricorso sarebbe divenuto attuale e concreto solo a seguito dei dinieghi delle istanze di sanatoria, nonché nella specie si farebbe questione di difformità parziali, addirittura riduttive delle volumetrie dei garage, come peraltro già ritenuto definitivamente in sede penale dalla sentenza del GUP di Nocera Inferiore prodotta in primo grado.
In particolare, le unità immobiliari per cui è controversia ricadrebbero nella zona A1 di PRG, per i quali il PDR ammetterebbe interventi di ristrutturazione edilizia, idonei, ai sensi dell’art. 1 NTA del PDR e dell’art. 3, comma 1, lett. d), DPR n. 380/01 anche a determinare una modifica delle cubature e delle superfici preesistenti (preclusa soltanto in caso di demolizione e fedele ricostruzione); con la conseguenza che siffatte variazioni parziali avrebbero dovuto essere sottoposte al più mite trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 34 DPR n. 380/01; in ogni caso, nella specie non ricorrerebbe alcun aumento di cubatura, tenuto conto che la cubatura complessiva dei garage realizzati sarebbe inferiore a quella originariamente assentita.
1.2 Con il secondo motivo di appello gli appellanti hanno contestato l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ravvisato un aumento della cubatura e di superficie utile lorda.
In particolare:
– con riferimento ai garage, risulterebbe che gli stessi non hanno subito un aumento della superficie o di cubatura, avendo altezza inferiore di 10 cm rispetto a quanto previsto in progetto (2,90 mt contro 3,00 mt di progetto), così come la porzione dei garage sottostanti le abitazioni avrebbero una volumetria notevolmente più ridotta rispetto a quelle assentite per avere altezza di 3,07 mt in luogo di 3,40 mt come in progetto; il posizionamento del piano di calpestio ad una quota maggiore rispetto alle previsioni di progetto si era, inoltre, reso necessario per non scalzare la testa delle fondazioni in c.a. delle strutture portanti degli edifici, evenienza non considerata in sede di progettazione dell’intervento di realizzazione dei garage; il che aveva determinato un dislivello tra calpestio interno dell’abitazione ed intradosso del garage di 59 cm, una maggiore altezza del solaio di copertura dei garage rispetto alla sistemazione precedente e a quella assentita interessante soltanto elementi tecnici e parte degli elementi strutturali e comunque contenuta in un solo centimetro (pertanto, entro il limite del 2% di cui all’art. 34, comma 2 ter, DPR n. 380/01), una riduzione di altezza interna dei garage di 10 cm rispetto alle misure di progetto (2,90 mt anziché 3,00 mt), una riduzione della superficie e della cubatura dei garage per complessivi 56 mc; con conseguente infondatezza delle contestazioni sollevate dall’Amministrazione comunale in punto di aumento di volumetria. Risulterebbe, comunque, inammissibile la motivazione postuma fondata su un incremento della cubatura dei garage per l’elevazione della relativa copertura, in quanto non posta a base dei provvedimenti amministrativi impugnati in primo grado;
– con riferimento alle maggiori superfici esterne, esse non avrebbero configurato balconi o terrazzini, in quanto:
a) sul lato SE sarebbe stata sistemata per ciascun appartamento una piccola parte esterna adiacente alla terrazza ed alla scala di comunicazione con il garage e con il sottostante giardino in aderenza al fabbricato, per evitare il riversarsi di fango sulla scala e sulla zona di transito pedonale di accesso all’abitazione, non qualificabile come balcone, in quanto deputata a camminamento e avente natura pertinenziale; in ogni caso, trattavasi di aree già pavimentate all’epoca dell’acquisto dell’immobile e poi condonate dal Comune e, comunque, rientranti nella nozione di edilizia libera ex art. 6, comma 1, lett. e) ter DPR n. 380/01;
b) sul lato ovest gli spazi pavimentati costituirebbero ballatoi di accesso all’abitazione dal giardino raccordati con il sottostante giardino mediante tre gradini necessari per superare il dislivello di ca. 50 cm. tra il calpestio dell’appartamento e quello del giardino e, comunque, rientranti nell’edilizia libera di cui all’art. 6, comma 1, lett. e) ter DPR n. 380/01; in ogni caso, anche una qualificazione delle opere come balconi non avrebbe impedito la sanatoria paesaggistica ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04, alla stregua di quanto previsto dalla circolare del Segretariato Generale del Ministero per i beni e le attività culturali del 26.6.2009. Inoltre, per superfici utili di cui all’art. 167 del D.Lgs. 42/04 dovrebbero intendersi solo quelle strettamente interne agli appartamenti con particolare esclusione delle superfici esterne.
1.3 Con il terzo motivo di appello i ricorrenti hanno contestato l’erroneità della sentenza di primo grado, per avere ritenuto integrata una fattispecie di cambio di destinazione d’uso di porzione dei garage, per effetto della realizzazione di tramezzature nelle parti posteriori degli stessi.
A giudizio degli appellanti, invece, la presenza di dette tramezzature non impedirebbe l’utilizzo di tale porzione dei garage come posteggio di biciclette e di motorini, oltre che di deposito di materiale edile residuato dalla costruzione dei fabbricati e di qualche altro bene mobile in attesa di utilizzazione (elementi inidonei a determinare un cambio di destinazione d’uso); in ogni caso, non si sarebbe in presenza di una variazione urbanisticamente rilevante, in quanto garage e depositi sarebbero da ritenere, comunque, pertinenze dell’abitazione e, quindi, qualificabili nell’ambito della medesima categoria residenziale; infine, l’area in contestazione sarebbe di minore consistenza ex art. 23 ter, comma 2, DPR n. 380/01 rispetto all’estensione dei garage in contestazione.
1.4 Con l’ultimo motivo di appello i ricorrenti hanno contestato l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto insussistenti i presupposti per il rilascio del nulla osta paesaggistico.
Nella specie, invece, alcun aumento di cubatura o di superficie utile avrebbe potuto riscontrarsi e comunque, quanto alle superficie esterne, si sarebbe stati in presenza di area di complessivi mq 16,94, inferiore al 25% dell’area di sedime, come tale non rientranti nel divieto di rilascio di sanatoria paesaggistica di cui agli artt. 146 e 167 del D.Lgs. n. 42/04; anche alla stregua di quanto previsto dal DPR n. 31/17.
2. Preliminarmente, occorre pronunciare sull’eccezione di inammissibilità dell’appello opposta dall’Amministrazione comunale, motivata sulla base della genericità dei motivi di impugnazione, tradottisi nella mera riproposizione delle censure articolate in primo grado e disattese dal Tar.
L’eccezione è infondata.
Come precisato da questo Consiglio, “Ai sensi dell’art. 101 comma 1 c.p.a. l’atto di appello deve contenere, per quanto qui interessa, a pena di inammissibilità “le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata”, ovvero, secondo la giurisprudenza, deve contenere motivi di impugnazione specifici nel contenuto e indicati in apposita parte del ricorso a loro dedicata – in tal senso, per tutte, C.d.S. sez. IV 6 ottobre 2017 n. 4659 e sez. VI 4 gennaio 2016 n. 8- fermo che non è sufficiente una riproposizione generica dei motivi dedotti in I grado, ma è richiesta una critica alle conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata – così, sempre per tutte, C.d.S. sez. V 30 luglio 2018 n. 4655” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 dicembre 2019, n. 8609).
In particolare, gli appellanti, dopo avere richiamato i fatti di causa (ricostruendo il contenuto motivazionale del provvedimento impugnato in primo grado, i motivi di ricorso all’uopo svolti e le rationes decidendi sottese alla pronuncia di primo grado), hanno esposto i motivi in diritto in forza dei quali la sentenza emessa dal primo giudice avrebbe dovuto essere riformata.
Dall’esame dell’atto di appello si evince, infatti, che la sentenza di primo grado è stata censurata, altresì:
– per aver ritenuto inammissibili difformità parziali rispetto ai tioli edilizi assentiti, nonostante le unità immobiliari per cui è controversia ricadessero nella zona A1 di PRG, per la quale il PDR ammetteva interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 1, comma 3, NTA del PDR, configurabili anche in presenza di una limitata variazione di cubatura e di superficie utile lorda (primo motivo di appello);
– per aver ritenuto integrato nella specie un aumento della cubatura e della superficie utile lorda, benché i garage fossero caratterizzati da una minore cubatura e le superficie esterne, in quanto meri ballatoi e comunque non qualificabili come balconi, non dessero luogo a superficie utile lorda ex art. 4 NTA al PRG (secondo motivo di appello);
– per aver ritenuto integrato un cambio di destinazione d’uso dei garage, nonostante gli stessi fossero destinati a posteggio di autovetture e, per una parte minoritaria, a parcheggio di motocicli, biciclette o deposito di derrate alimentari e altre cose mobili in via temporanea (terzo motivo di appello);
– per aver ritenuto insussistenti i presupposti per la sanatoria paesaggistica, sebbene si facesse questione di opere non caratterizzate da aumento di superficie utile o di cubatura (quarto motivo di appello).
L’appello risulta, pertanto, ammissibile, in quanto è articolato in specifiche censure in contrapposizione all’iter logico giuridico seguito dal primo giudice per pervenire alla definizione della controversia.
3. Sempre in via pregiudiziale, deve esaminarsi la censura, articolata nel primo motivo di appello, concernente l’asserita dichiarazione di inammissibilità dei motivi di ricorso proposti in prime cure, proposti avverso dinieghi di sanatoria traenti il proprio fondamento su ordinanze di demolizione non impugnate dagli odierni appellanti.
A giudizio dell’appellante, non sussisteva un interesse a contestare in via immediata e diretta le ordinanze di demolizioni, in quanto fondate su difformità rispetto ai titoli edilizi soltanto parziali, oltre che spesso riduttive, le quali, tuttavia, in quanto ricadenti in zona soggetta a vincolo paesaggistico, non avrebbero impedito l’irrogazione della sanzione demolitoria; sicché un eventuale ricorso avverso i provvedimenti di demolizione sarebbe stato respinto, anche dimostrando la sola parziarietà delle difformità contestate dal Comune.
La distinzione tra difformità totale e parziale avrebbe assunto, invece, rilevanza ai fini della sanatoria, ragion per cui avrebbe dovuto ritenersi ammissibile la contestazione dell’erroneità dei rilievi tecnici svolti dall’Ufficio comunale operata nell’ambito del ricorso diretto contro i dinieghi di sanatoria; peraltro, i ricorsi avverso il provvedimento di demolizione sarebbero stati inammissibili se proposti successivamente alla presentazione delle istanze di sanatoria ex art. 36 DPR n. 380/01.
Come reso palese dalla sentenza gravata, il Tar ha dato atto che il Comune aveva opposto specifica eccezione “preliminare, d’inammissibilità dei ricorsi, sollevata dalla difesa dell’Amministrazione, fondata sul rilievo della mancata tempestiva impugnativa, da parte dei ricorrenti, delle presupposte (rispetto al diniego di sanatoria, oggetto di gravame), ordinanze di demolizione, emesse dal Comune di Omissis per le opere, quindi oggetto d’istanza d’accertamento di conformità”.
Tale eccezione, tuttavia, è stata ritenuta dal Tar “infondata, valendo in proposito il principio opposto, espresso compiutamente nella massima che segue: “La mancata impugnativa dell’ordine di demolizione non fa venir meno l’interesse all’impugnativa del diniego adottato sulla domanda di sanatoria ex art. 13 l. 28 febbraio 1985 n. 47, presentata nel termine assegnato per la demolizione, ferma restando la perdurante efficacia dell’ordinanza una volta che l’impugnativa suddetta venga respinta” (T. A. R. Lazio – Latina, 23/05/2001, n. 525)”.
Emerge, dunque, che il Tar ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso, provvedendo all’esame, nel merito, delle doglianze articolate dalle parti ricorrenti; il che è confermato anche dal dispositivo della sentenza gravata, non recante alcuna statuizione di inammissibilità, bensì incentrato sull’infondatezza delle relative doglianze, all’uopo respinte.
Ne deriva:
– da un lato, l’inammissibilità delle censure sollevate dagli odierni appellanti contro una statuizione a loro favorevole recata nella sentenza gravata, con conseguente difetto di interesse alla sua contestazione; in particolare, avendo il Tar rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso, in parte qua non sussiste alcuna posizione di soccombenza dei ricorrenti idonea a giustificare e sostenere l’intrapresa azione impugnatoria; come, peraltro, rilevato dallo stesso Comune, secondo cui “il rigetto dell’eccezione di inammissibilità scrutinata dal Giudice di prime cure comporta carenza d’interesse al motivo in esame” (pag. 8 memoria difensiva);
– dall’altro, in assenza di appello incidentale proposto dall’Amministrazione comunale, la stessa parte pubblica appellata non può eccepire nel presente grado di giudizio l’inammissibilità del ricorso di prime cure, per mancata impugnazione delle presupposte ordinanze di demolizione e, quindi, per irretrattabilità delle qualificazioni giuridiche e del regime sanzionatorio ivi previsto, facendosi questione di una questione su cui ha espressamente statuito il Tar in senso sfavorevole all’Amministrazione resistente e sulla quale, in assenza di impugnazione incidentale, si è formato il giudicato interno, ostativo al suo riesame nell’odierna sede processuale.
4. Sempre in via pregiudiziale, deve accogliersi l’eccezione di inutilizzabilità delle controdeduzioni alla CTU depositate dal Comune in data 30.12.2020.
Non si è, infatti, in presenza di un documento attestante fatti rilevanti ai fini del giudizio, bensì di una consulenza tecnica di parte, recante osservazioni critiche alla relazione di verificazione.
Si tratta, dunque, anziché di un documento probatorio, di un atto recante deduzioni tecniche che avrebbero dovuto essere rassegnate dal difensore della parte processuale nell’ambito di apposita memoria conclusionale da depositarsi nei termini di legge.
Essendosi il Comune limitato a depositare una memoria di replica, avente la sola funzione di controdedurre (anziché alla relazione di verificazione) alle altrui argomentazioni, le osservazioni svolte dal consulente tecnico dell’Amministrazione riportate in una relazione di parte, in quanto non rassegnate nell’atto processuale tipicamente destinato all’illustrazione degli argomenti a propria difesa, non possono essere utilizzate ai fini della decisione.
In ogni caso, tali osservazioni devono essere disattese alla luce delle approfondite argomentazioni tecniche svolte dal verificatore, incentrate su puntuali rilevazioni e sulla corretta applicazione del quadro regolatorio tecnico di riferimento, alla stregua di quanto si osserverà amplius nella disamina dei singoli motivi di impugnazione.
5. Procedendo all’esame dei motivi di impugnazione, deve, in primo luogo, rilevarsi che le uniche ragioni di diniego esaminabili nel presente giudizio sono quelle recate nei provvedimenti impugnati in prime cure, non potendo estendersi il thema decidendum mediante meri scritti difensivi.
Nel processo amministrativo l’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento – nella misura in cui i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta – oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.
La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5984).
In particolare, “la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (si veda Cons. St., Sez. III, 7.4.2014, n. 1629), non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma.
La motivazione del provvedimento costituisce infatti “l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata” (Consiglio di Stato, III, 30 aprile 2014, n. 2247), e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio” (Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2018, n. 5291).
Alla stregua di tali considerazioni occorre soffermarsi sulle sole ragioni di diniego opposte dall’Amministrazione in sede procedimentale, come censurate in giudizio, non potendo trovare ingresso – come fondatamente rilevato dagli appellanti – argomentazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle alla base delle determinazioni comunali per cui è controversia.
6. Ciò premesso, prima di valutare la legittimità degli atti amministrativi de quibus, occorre ricostruire le risultanze della verificazione disposta dalla Sezione ed espletata nel presente grado di giudizio.
In particolare, dall’analisi della documentazione di progetto è emerso che:
– il garage assentito con permesso di costruire n. 918/2006 e permesso di costruire in variante n. 1263/2007, rilasciati in favore della Sig.ra -OMISSIS-, era stato autorizzato per un volume totale di 707,5 m3 ed una superficie utile lorda totale di 244,73 m2 (di cui 192,89 quanto alla superficie utile lorda del garage e 51,84 quanto alla superficie utile lorda della terrazza di copertura);
– il garage assentito con permesso di costruire n. 921/2006 e permesso di costruire in variante n. 1265/2007, rilasciati in favore della Sig.-OMISSIS-, era stato autorizzato per un volume totale di 597,59 m3 ed una superficie utile lorda totale di 211,40 m2 (di cui 163,55 quanto alla superficie utile lorda del garage e 47,84 quanto alla superficie utile lorda della terrazza di copertura);
-per entrambi i manufatti era previsto un dislivello tra la quota dell’estradosso del terrazzo di copertura della parte di garage esterna rispetto alla sagoma del fabbricato residenziale e la quota del pavimento del piano terra del fabbricato residenziale stesso pari a -50 cm.
Gli interventi eseguiti dagli odierni appellanti hanno, invece, condotto alla realizzazione di due manufatti aventi un volume e una superficie utile lorda nel complesso inferiori rispetto a quelli autorizzati.
In particolare:
– la quota del piano di calpestio del garage è stata realizzata più in alto di 36 cm rispetto a quanto autorizzato;
– per entrambi i manufatti è emerso un dislivello tra la quota dell’estradosso del solaio di copertura delle porzioni dei garage esterne rispetto alla sagoma dei fabbricati residenziali e il piano di calpestio del piano terra del fabbricato residenziale, pari a -5,5 cm di media (-3 cm in corrispondenza del filo esterno del fabbricato residenziale e -8 cm in corrispondenza della gronda della terrazza);
– non si sono ravvisate variazioni sostanziali dell’ingombro dei garage, rispetto a quanto autorizzato;
– il garage della Sig.ra -OMISSIS- è caratterizzato da una superficie utile lorda totale pari a 244,51 m2 (di cui 192,67 quanto alla superficie utile lorda del garage e 51,84 quanto alla superficie utile lorda della terrazza di copertura), pressoché identica a quella autorizzata (244,73 m2), e un volume di 659,75 m3, inferiore di circa 47,3 m3 rispetto a quello autorizzato;
– il garage del Sig.-OMISSIS- è caratterizzato da una superficie utile lorda pari a 210,11 m2 (di cui 162,54 quanto alla superficie utile lorda del garage e 47,57 quanto alla superficie utile lorda della terrazza di copertura), inferiore di circa 1 m2 rispetto a quella autorizzata, e un volume di 560,67 m3, circa 36,92 m3 in meno rispetto a quanto autorizzato;
– anche computando il maggiore volume realizzato relativo alla parte di garage realizzata sul soprasuolo delle aree pertinenziali esterne, si valorizzerebbe un aumento di volume di 24,57 m3 nel caso dell’immobile di proprietà -OMISSIS- e a 22,55 m3 per l’immobile di proprietà-OMISSIS-, inferiori rispetto alla riduzione di volume conseguita con la realizzazione del garage con un piano di calpestio più alto rispetto a quanto indicato nei titoli abilitativo;
– le tramezzature interne realizzate nell’ambito dei garage sulla base di apposite comunicazioni di inizio lavori hanno permesso la realizzazione di un’ambiente principale che, nel caso dell’immobile di proprietà -OMISSIS-, ha dimensioni 9,21 × 4,75 ÷ 4,41 metri e superficie utile netta pari a 41,85 m2, e che, nel caso dell’immobile di proprietà-OMISSIS-, ha dimensioni 9,51 × 3,84 ÷ 3,35 metri e superficie utile netta pari a 33,83 m2 – dimensioni tali da consentire il ricovero di due auto per ciascun ambiente – nonché di altri ambienti, tutti privi di finestre, ai quali si accede attraverso vani porta di larghezza comprese tra i 0,80 e i 0,90 metri e altezza pari a 2,10 metri, aventi metratura variabile e risultati adibiti a ricovero di motocicli e materiali di varia natura; in relazione a tali ulteriori ambienti, il verificatore ha dato atto che “anche altri ambienti nei garage, oltre a quello direttamente accessibile dall’esterno, sono risultati essere utilizzati come autorimesse per il ricovero di motocicli”.
Sula base di tali rilievi, il verificatore ha, dunque, ritenuto he:
– “confrontando i titoli abilitativi e il rilievo metrico dello stato di fatto condotto dallo scrivente, computando la Sul e il volume secondo quanto prescritto dall’art. 4 delle Nta del Prg, non si sono riscontrati aumenti di Sul o di volume. In dettaglio, la Sul rilevata è risultata essere pressoché uguale a quella autorizzata mentre si è ravvisata una lieve diminuzione del volume realizzato rispetto a quello assentito (-47,3 m3 per l’immobile di proprietà -OMISSIS-, -36,92 m3 per l’immobile di proprietà-OMISSIS-)”;
– “la realizzazione di parte del volume del garage sul soprasuolo delle aree pertinenziali esterne sia stato determinato da mere esigenze cantieristiche quali la necessità di collegare il solaio di copertura del garage con quello del pian terreno del fabbricato residenziale. Si fa presente che il volume contestato realizzato sul soprasuolo costituirebbe una quota molto contenuta rispetto all’intero volume autorizzato (+3,4% per l’immobile di proprietà -OMISSIS- e +3,7% per l’immobile di proprietà-OMISSIS-), appena superiore al limite della tolleranza costruttiva del 2% di cui all’art. 34bis del Dpr 380/2001 e totalmente ininfluente dal punto di vista del generale assetto planovolumetrico del fabbricato”;
– “attesa l’esiguità della presunta violazione, e in considerazione della impossibilità della remissione in pristino senza arrecare pregiudizio alla parte eseguita in conformità – essa, considerando le tolleranze costruttive, ammonterebbe al 98% degli immobili – si ritiene che il Comune di Omissis, in luogo del diniego dell’istanza, avrebbe potuto pacificamente applicare la sanzione prevista dal comma 2 dell’art. 34 del Dpr 380/2001, quantificata pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 392/1978, della parte dell’opera realizzata in difformità dal PdiC”;
– “Per ciò che riguarda, invece, alla impossibilità di ricorrere all’accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167, comma 4, del DLgs 42/2004, a causa del presunto aumento di volume e di Sul, si ribadisce come, secondo quanto stabilito dall’art. 4 delle Nta del Prg, non si è riscontrato aumento di volume e di Sul tra quanto assentito e quanto realizzato. Si fa osservare, invece, come il DLgs 42/2004 non citi tra i motivi ostativi dell’accertamento di compatibilità paesaggistica, le variazioni di sagoma dei manufatti”;
– “all’esame dello stato dei luoghi, della disciplina urbanistica e degli orientamenti giurisprudenziali, non si ritenga che le opere di cui alle Cil 18516/2015 e 20145/2015 abbiano determinato un mutamento di destinazione d’uso da garage a deposito. Ad ogni buon conto, si fa presente che, trattandosi di semplici tramezzature interne, per altro non aventi funzione strutturale, potrebbero comunque essere facilmente eliminate quelle che determinano una presunta inutilizzabilità degli ambienti come autorimessa”.
7. Alla stregua degli accertamenti svolti dal verificatore – che il Collegio intende porre a fondamento della decisione, caratterizzandosi per l’approfondita disamina svolta dall’ausiliare (sopralluoghi, analisi della documentazione amministrativa e puntuali misurazioni dei volumi e delle superfici lordi), in corretta applicazione della normativa tecnica di riferimento – emerge la fondatezza dei motivi di appello concernenti i due garage per cui è causa.
In particolare, è stato accertato che la superficie utile lorda e il volume dei due garage hanno subito una riduzione rispetto alle misure di progetto; il che mina in radice il fondamento dei dinieghi di sanatoria opposti dal Comune, incentrati su un preteso incremento di volume e superficie utile lorda.
Né potrebbe argomentarsi diversamente in ragione dell’innalzamento della quota dell’estradosso del terrazzo di copertura della parte di garage esterna rispetto alla sagoma del fabbricato residenziale.
Tale violazione, difatti:
– non ha interferito sulla superficie utile lorda dei garage;
– non ha comportato un innalzamento della quota dell’estradosso del terrazzo di copertura de quo tale da eguagliare o superare la quota del pavimento del piano terra del fabbricato residenziale stesso, essendosi mantenuto, comunque, un dislivello come previsto dai titoli edilizi, seppure diminuito a -5,5 cm di media (-3 cm in corrispondenza del filo esterno del fabbricato residenziale e -8 cm in corrispondenza della gronda della terrazza); con la conseguente erroneità del rilievo fondante i dinieghi impugnati in prime cure, incentrati sull’innalzamento della quota del solaio di copertura del garage “di 50 cm portandolo alla quota del pavimento del p.t.”, sulla cui base è pure argomentata la ritenuta violazione dell’art. 9 L. n. 122/89 e dell’art. 6 L.R. n. 19/01; il Comune, infatti, ha contestato (con gli atti di diniego censurati in prime cure) infondatamente “un aumento di volume, mediante l’innalzamento della quota del solaio di copertura del garage di 50 cm portandolo alla quota del pavimento del p.t. e, pertanto, l’istanza non risulta assentibile ai sensi dell’art. 36 del D.PR 380/01, in quanto le opere sopra non risultano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione e al momento della presentazione della domanda (doppia conformità), essendo in contrasto […]con la L. 122/89, in quanto l’art. 9 (e l’art. 6 della L.R. 19/01) non suscettibili di interpretazione estensiva, consentono solo l’esecuzione di parcheggi interrati e non di opere sopra il suolo” (cfr. anche pagg. 8-20 memoria di replica, con cui il Comune infondatamente insiste nel ritenere che gli abusi avessero portato la quota del solaio di copertura del garage alla quota del pavimento del piano terra), quando, invece, come emerso dalla verificazione, la quota del solaio di copertura del garage non ha eguagliato la quota del pavimento del piano terra, con conseguente difetto dei presupposti fattuali alla base delle decisioni amministrative censurate in prime cure;
– non ha comunque comportato un incremento del volume dei garage, diversamente da quanto sostenuto dal Comune anche in sede di replica (cfr. pagg. 16/17, che richiamano anche le deduzioni svolte dal proprio consulente tecnico di parte), tenuto conto che il maggiore volume derivante dall’innalzamento della quota dell’estradosso del terrazzo di copertura de quo è risultato, in ogni caso, inferiore rispetto alla riduzione di volume conseguita con la realizzazione di un piano di calpestio più alto rispetto a quanto indicato nei titoli abilitativi.
Pertanto, dovendosi esaminare unitariamente i manufatti de quibus, al fine di verificare se gli stessi, rispetto alle misure di progetto, abbiano nel complesso prodotto un incremento del volume o della superficie utile lorda rispetto a quanto assentito, deve giungersi alla conclusione che le opere in contestazione, seppure difformi rispetto a titoli edilizi – il che ovviamente costituisce il presupposto per la presentazione delle istanze di sanatoria per cui è causa, avente la loro giustificazione causale proprio in ragione della difformità rispetto alle misure di progetto- non abbiano comunque prodotto un incremento di volume o di superficie lorda, né abbiano eguagliato o superato la quota del pavimento del piano terra dei fabbricati residenziali stessi (come erroneamente ritenuto dal Comune); ragion per cui le determinazioni amministrative impugnate in prime cure, in quanto incentrate su presupposti fattuali erronei, devono essere in parte qua comunque annullate.
8. Le risultanze della verificazione hanno dimostrato, inoltre, che alcuna modifica della destinazione d’uso dei garage de quibus risulta fondatamente contestabile.
Posto che il cambio di destinazione d’uso rilevante in materia edilizia si traduce in ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, nella specie, la realizzazione delle tramezzature interne, pur determinando la realizzazione di diversi ambienti, non ha inciso sulla perdurante destinazione dei relativi spazi a parcheggio; il che è confermato dall’istruttoria svolta in appello, avendo il verificatore riscontrato l’impiego dei vari ambienti quale parcheggio di autovetture e motocicli.
9. Alla stregua delle osservazioni svolte, avuto riguardo all’edificazione dei garage, le ragioni di diniego di sanatoria opposte con i provvedimenti impugnati in prime cure non resistono ai rilievi critici sollevati dalle parti appellanti.
Difatti, posto che le difformità rilevate non hanno comportato l’aumento delle superfici utili o dei volumi rispetto a quanto assentito dai titoli edilizi, né hanno determinato l’edificazione di manufatti con quota del solatio di copertura posta a quota del pavimento del piano terra, non soltanto non si ravvisano le violazioni alla normativa urbanistica ed edilizia richiamate nei provvedimenti di diniego di sanatoria (presupponenti l’incremento di superfici utili lorde e/o di volume, il cambio di destinazione d’uso dei locali o la realizzazione di garage con quota del solaio di copertura del garage alla quota del pavimento del piano terra), ma non risultano integrati neanche i presupposti ostativi all’avvio del procedimento di sanatoria delineato dagli artt. 146 e 167 del D.Lgs. n. 42/04, al fine di verificare la compatibilità con i valori paesaggistici delle difformità rilevate nel caso concreto.
Sotto tale profilo, si osserva, infatti, che sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (art. 167, comma 4). L’accertamento di compatibilità, peraltro, è subordinato al positivo riscontro della Soprintendenza e al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.
Nella specie, non si era registrato alcun aumento di cubatura o di superficie utile, ragion per cui non si ravvisavano motivi ostativi all’attivazione del procedimento di sanatoria delineato dagli artt. 146 e 167 del D.Lgs. n. 42/04, al fine di verificare la compatibilità con i valori paesaggistici delle difformità rilevate nel caso concreto.
10. Risultano meritevoli di accoglimento anche le censure relative alle superfici esterne in contestazione.
Al riguardo, premesso che la verificazione non ha riscontrato un aumento della superficie della terrazza di copertura dei garage, in primo luogo, deve rilevarsi che l’ampliamento delle aree esterne, sebbene deputate esclusivamente al camminamento, rileva, comunque, ai fini della determinazione della superficie utile lorda ex art. 4 NTA PRG.
Ai sensi di tale previsione, in particolare, la superficie utile lorda “è la somma delle superfici di tutti i piani fuori ed entro terra misurati al lordo di tutti gli elementi verticali (…) Negli edifici con destinazione residenziale, dal computo della S.U. sono esclusi: i porticati pubblici e privati (…) le logge rientranti, i balconi, se hanno sporgenza non superiore a ml 0,80 (in caso di sporgenza superiore andrà considerata l’intera superficie)…”.
Sebbene il Comune nei dinieghi di sanatoria, nel richiamare il preavviso di rigetto, abbia definito le aree esterne per cui è causa quali terrazzi, discorrendo di “ampliamento del terrazzo anteriore (…) che posteriore (…), essendo di profondità maggiore di 0,80 mt” – qualificazione contestata in appello – è altrettanto vero che la stessa Amministrazione, nel prendere in esame le osservazioni comunicate dagli istanti in riscontro al preavviso di rigetto, ha precisato che le “superfici pertinenziali esterne pavimentate poste a quota appartamento, più in alto del giardino, costituiscono, per l’art. 4 delle NTA del PRG, nuove Superfici Utili Lorda”.
Pertanto, risultano irrilevanti le censure svolte dagli appellanti circa la funzione e la qualificazione di tali aree esterne, tenuto conto che, come ritenuto dal Comune, alla stregua della previsione dettata dall’art. 4 NTA cit., le superfici di tutti i piani fuori terra concorrono a delineare la superficie utile lorda, eccetto gli elementi edilizi espressamente enucleati nella stessa disposizione definitoria.
Pertanto, la circostanza per cui l’area in esame non rientri tra gli elementi edilizi compresi nell’eccezione al computo della superficie utile lorda non comporta la sua irrilevanza a tali fini qualificatori, bensì determina il suo assoggettamento alla regola generale (per mancata sussunzione sotto la regola eccezionale).
Ne deriva che, pure se le aree per cui è controversia non fossero qualificabili come balconi, le stesse, in quanto espressive di piani fuori terra (essendo destinati, per stessa ammissione degli appellanti, al camminamento), non rientrando in alcuna previsione derogatoria, dovrebbero essere qualificate come superfici utili lorde, integrando gli estremi del piano fuori terra utilmente computabile, per previsione generale nella specie non derogata, nella superficie utile lorda.
Tale qualificazione, tuttavia, come dedotto dagli appellanti nel primo e nel secondo motivo di appello, da un lato, non implica la violazione del punto 1-D del Piano di Recupero per la Ristrutturazione edilizia (in combinato disposto con l’art. 4 NTA PRG cit.), dall’altro, non è, di per sé, ostativa all’avvio del procedimento di autorizzazione postuma paesaggistica.
10.1 Sotto il profilo urbanistico, si osserva che la ristrutturazione edilizia è suscettibile di tradursi – pure alla stregua di quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lett. d), DPR n. 380/01- anche in una modifica delle cubature e delle superfici preesistenti, preclusa soltanto in caso di demolizione e fedele ricostruzione del manufatto.
Sicché, la mera circostanza di un incremento della superficie utile lorda non potrebbe ritenersi in contrasto con il punto 1-D del Piano di Recupero per la Ristrutturazione edilizia (in combinato disposto con l’art. 4 NTA PRG cit.), che vieta tali incrementi per i soli interventi di demolizione e fedele ricostruzione, che non risultano essere stati realizzati nella specie.
Le argomentazioni svolte a sostegno del primo motivo di appello risultano, in particolare, coerenti con il dettato del punto 1-D al Piano di Recupero, che ammette anche interventi di ristrutturazione edilizia rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con la precisazione che nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione del fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente e senza incremento della superficie utile lorda (come definita dall’articolo 4 delle N.T.A. del P.R.G.).
Dalla disciplina urbanistica posta a fondamento dei provvedimenti di diniego emerge, in particolare, che la necessità di evitare un incremento della superficie utile lorda e della volumetria è prevista soltanto per una specie di interventi di ristrutturazione edilizia, caratterizzati dalla demolizione e fedele ricostruzione del manufatto che, dovendo essere identico a quello originario, non può, infatti, presentare variazioni neanche in punto di volumetria e di superficie utile lorda.
Gli ulteriori interventi, comunque riconducibili alla categoria della ristrutturazione edilizia, sono, invece, caratterizzati, secondo quanto previsto dallo stesso Piano di Recupero comunale, dalla trasformazione di un organismo edilizio già esistente, mediante un insieme sistematico di opere da valutarsi unitariamente, tendenti a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente: siffatti interventi, comportando una variazione del manufatto, possono anche determinare una modifica delle volumetrie e delle superfici utili lorde.
Peraltro, tale qualificazione di ristrutturazione edilizia risulta coerente a quanto previsto, anche, dalla disciplina di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 380/01 nella formulazione ratione temporis riferibile alla specie, secondo cui sono da qualificare come ristrutturazione edilizia “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente”.
Emerge, dunque, che l’identità di volume è richiesta per gli interventi di ristrutturazione edilizia di carattere ricostruttivo, in cui si assiste alla demolizione e ricostruzione dell’immobile, ma non anche per gli interventi di ristrutturazione edilizia conservativi, che presuppongono la permanenza dell’originario organismo edilizio, interessato da un insieme sistematico di opere idonee, anche, all’inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma.
Peraltro, l’art. 10 DPR n. 380/01 (nella formulazione vigente al tempo dei fatti di causa) ha espressamente previsto la necessità del rilascio del permesso di costruire anche per “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”; ammettendo, per l’effetto, la configurazione di interventi di ristrutturazione edilizia idonei a modificare la volumetrica complessiva degli edifici o i prospetti.
Anche questo Consiglio, in subiecta materia, ha precisato che “la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell’organismo edilizio prodotto dall’intervento di trasformazione rispetto al precedente (Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016 n. 4267 e 27 aprile 2016 n. 1619; sez. V, 12 novembre 2015 n. 5184) e che essa si distingue dalla nuova costruzione perché mentre quest’ultima presuppone una trasformazione del territorio, la ristrutturazione è invece caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto, in quanto tale trasformazione vi è in precedenza già stata (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763; 12 maggio 2014 n. 2397; 6 dicembre 2013 n. 5822; 30 marzo 2013, n. 2972).
E si è altresì precisato come siano rinvenibili, nell’ambito del citato art. 3, co. 1, lett. d) – almeno fino alla novella del 2013 – due distinte ipotesi di ristrutturazione edilizia:
a) quella contemplata dalla prima parte della norma (c.d. intervento conservativo o risanamento conservativo o restauro conservativo), che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifiche della sagoma, nel qual caso abbisogna del permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 aprile 2014, n. 2194; sez. IV, 23 aprile 2014, n. 2060);
b) quella (c.d. intervento ricostruttivo) attuata mediante demolizione e ricostruzione, nel rispetto del volume e della sagoma dell’edificio preesistente (Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014 n. 5988).
Anche alla luce di quanto innanzi esposto, giova precisare che è con riferimento alla ipotesi di ristrutturazione “ricostruttiva” che è richiesta – almeno fino alla novella del 2013 – (oltre alla preesistenza certa del fabbricato identificabile nella sue componenti strutturali, c.d. demoricostruzione, su cui v. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2016, n. 5106), identità di volumetria e di sagoma (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763; 9 maggio 2014 n. 2384; 6 luglio 2012 n. 3970), affermandosi altresì che, in difetto, si configura una nuova costruzione, con la conseguente applicabilità anche delle norme sulle distanze (Cons. Stato, sez. IV, 23 aprile 2014, n. 2060; sez. IV, 30 maggio 2013 n. 2972; 12 febbraio 2013 n. 844; in termini Cass. civ., sez. un., 19 ottobre 2011, n. 21578)”, aggiungendo che a seguito della novella del 2013 “vi sono ora tre distinte ipotesi di intervento rientranti nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, che possono portare “ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”: – la prima, non comportante demolizione del preesistente fabbricato e comprendente (dunque, in via non esaustiva) “il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”; – la seconda, caratterizzata da demolizione e ricostruzione, per la quale è richiesta “la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica” (ed in questo caso, rispetto al testo previgente, non è più richiesta l’identità di sagoma); – la terza, rappresentata dagli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza” (Consiglio di Stato, sez. IV, 2 febbraio 2017, n. 443).
Anche recentemente si è affermato che “le tamponature esterne a realizzare in concreto i volumi di un edificio, rendendoli individuabili e calcolabili (Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3286), con la conseguenza che la realizzazione di tali tamponature produce senz’altro effetti in termini di aumento di volume; “gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi non si configurano come manutenzione straordinaria (né come restauro o risanamento conservativo), ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia” (Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2014, n. 4523)” (Consiglio di Stato, sez. II, 13 maggio 2019, n. 3058).
Pertanto:
– posto che gli interventi di ristrutturazione edilizia di natura conservativa, non presupponenti la ricostruzione dell’organismo edilizio preesistente, possono comportare anche una modifica della cubatura, con l’inserimento di nuovi volumi e, quindi, con l’ampliamento della superficie dell’organismo edilizio;
– considerato che nella specie le unità immobiliari per cui è controversia ricadono in una zona per cui è ammessa la ristrutturazione edilizia e che gli interventi eseguiti dagli appellanti, non avendo determinato la demolizione con ricostruzione dei manufatti di proprietà, devono qualificarsi di natura conservativa;
il Comune non avrebbe potuto rigettare le istanze di sanatoria, soltanto perché si faceva questione di un complesso di opere comportanti un aumento di volume e superficie utile lorda, risultando tali caratteristiche compatibili con un intervento di ristrutturazione edilizia (conservativa) ammesso dal combinato disposto degli artt. 4 NTA al PRG e al punto 1-D al Piano di Recupero comunale.
10.2 In relazione ai profili paesaggistici, non possono trovare accoglimento le censure incentrate sul DPR n. 31/17, perché argomentate sulla base di un atto sopravvenuto rispetto alla realizzazione delle opere in contestazione, né le censure riguardanti la descrizione dell’area recata in un atto di compravendita, rilevando i soli titoli pubblicistici ai fini della valutazione della liceità dell’intervento in concreto eseguito.
Né potrebbe diversamente argomentarsi sulla base dell’art. 17, c. 2, del D.P.R. n. 31/17, afferente alla riduzione in pristino di interventi ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 2 dello stesso Decreto, tenuto conto che nella specie l’impugnazione è diretta contro dinieghi di sanatoria, non facendosi questione di demolizione delle opere de quibus (oggetto di pregressi atti amministrativi non tempestivamente censurati).
Devono ritenersi, invece, fondate le contestazioni riguardanti la nozione di superficie utile da prendere in esame al fine di perimetrare la portata applicativa dell’art. 167 D. Lgs. n. 42/04, nella parte in cui preclude il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma in caso di incremento delle superfici utili legittimamente edificate.
Come di recente chiarito dalla Sezione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 aprile 2020, n. 2250), in materia di tutela paesaggistica, il rinvio ai concetti di volumetria e superficie utile, contenuto nell’art. 167, comma 4, D.Lgs. n. 42/2004, per cui l’autorità preposta alla gestione del vincolo accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei casi indicati, non può che interpretarsi nel senso di un rinvio al significato tecnico-giuridico che tali concetti assumono in materia urbanistico-edilizia, trattandosi di nozioni tecniche non già specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma solo dalla normativa urbanistico-edilizia.
Con specifico riferimento alla nozione di “superfici utili”, questo Consiglio ha precisato che “le nozioni tecniche in questione non sono specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma solo dalle normative sulle costruzioni (in via esemplificativa e non esaustiva, circolare del Ministero dei lavori pubblici 23 luglio 1960, n. 1820; artt. 5 e 6 d.m. 2 agosto 1969; art. 3 d.m. 10 maggio 1977; art. 1 d.m. 26 aprile 1991; art. 6 d.m. 5 agosto 1994), dove la superficie utile (SU) coincide -in estrema sintesi- con l’area abitabile (superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e balconi) mentre per superficie accessoria (SA) si intendono le parti dell’edificio destinate ad accessori e servizi (cantine, locali tecnologici, vano ascensore e scale, terrazze, balconi, logge e quant’altro)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 1 dicembre 2014, n. 5932; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1945).
La necessità di distinguere le nozioni di superficie utile e di superficie accessoria trova attuale conferma nel Regolamento edilizio-tipo approvato in sede di Intesa Stato-Regioni, in attuazione dell’art. 4, comma 1-sexies del d. P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pubblicato sulla G.U. n. 268 del 16 novembre 2016, comunque invocabile quale parametro esegetico nell’interpretazione della pertinente disciplina edilizia.
Come rilevato da questo Consiglio, tale intervento è stato reso necessario al fine di “omogeneizzarne gli ambiti definitori, ponendo ordine nel variegato linguaggio utilizzato nella prassi degli uffici comunali, rispondente o meno a specifiche indicazioni regolamentari o urbanistiche locali” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 gennaio 2020, n. 241).
Il riferimento a tali definizioni uniformi risulta, quindi, utile al fine di individuare il paradigma cui ricondurre, almeno astrattamente, l’intervento realizzato, alla stregua di quanto emergente dalla documentazione in atti.
Per quanto più di interesse, alla stregua di quanto emergente dal Regolamento edilizio-tipo:
– la superficie utile è rappresentata dalla sola superficie di pavimento degli spazi di un edificio misurata al netto della superficie accessoria e di murature, pilastri, tramezzi, sguinci e vani di porte e finestre;
– la superficie accessoria è, invece, rappresentata dalla superficie di pavimento degli spazi di un edificio aventi caratteri di servizio rispetto alla destinazione d’uso della costruzione medesima, misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci e vani di porte e finestre, comprendente, a titolo esemplificativo, anche i ballatoi, le logge, i balconi e le terrazze.
Per l’effetto, posto che l’art. 167 D. Lgs. n. 42 del 2004 ha riguardo, quale causa generale ostativa alla sanatoria alle sole superfici utili, considerato che tali superfici escludono quelle accessorie, deve ritenersi che nel caso di specie l’ampliamento di superfici accessorie esterne (qualificabili come balconi o ballatoi o terrazze), sebbene sussumibili sotto la nozione di superfici utili lorde ai sensi di quanto previsto dalla normativa urbanistica comunale citata, non integrava gli estremi della superficie utile ai sensi dell’art. 167 D. Lgs. n. 42 del 2004, non potendo, dunque, ritenersi di per sé come ostativo all’avvio del procedimento di autorizzazione postuma paesaggistica, comunque necessario facendosi questione di opere comportanti un mutamento dello stato dei luoghi esterni, in relazione alle quali occorre, dunque, verificare la sua compatibilità con i valori paesaggistici espressi dall’area in cui l’intervento edilizio è stato realizzato.
10.3 Le considerazioni svolte conducono, dunque, all’accoglimento dell’appello anche in relazione agli spazi pavimentati esterni, tenuto conto che un loro incremento non potrebbe ritenersi precluso dal punto 1-D al Piano di Recupero, non facendosi questione di demolizione con successiva fedele ricostruzione, né potrebbe ritenersi, di per sé, ostativo all’avvio del procedimento di autorizzazione paesaggistica ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04, non essendosi in presenza di un intervento comportante un incremento della superficie utile legittimamente edificata.
11. L’appello deve, dunque, essere accolto con conseguente accoglimento, in riforma della sentenza gravata, dei ricorsi di primo grado e annullamento dei dinieghi di sanatoria assunti dall’Amministrazione comunale.
Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, devono essere regolate in applicazione del criterio di soccombenza – tenuto conto dell’esito complessivo della lite – a carico dell’Amministrazione comunale, cui deve imputarsi la posizione di soccombenza (in ragione dell’annullamento degli atti dalla stessa assunti), e a favore degli appellanti, con distrazione in favore dei difensori antistatari che ne hanno fatto espressa richiesta.
12. L’Amministrazione comunale è tenuta, altresì, al pagamento delle spese di verificazione (il cui regime è correlato al riparto delle spese processuali – in termini, Consiglio di Stato, sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 5632).
Al riguardo, si osserva che il verificatore ha presentato una richiesta di liquidazione del compenso, “calcolato ai sensi del DM n. 417 del 3 settembre 1997”, tenuto conto del compenso “a vacazione per impostazione e svolgimento delle attività di consulenza, sopralluoghi ed elaborazione della relazione conclusiva, pari a 240 ore lavorative, pari a 30 giorni”, con conseguente quantificazione di un importo di E. 13.643,40, corrispondente al prodotto di E. 56,81 per 240 ore.
L’istanza di liquidazione del compenso del verificatore può essere accolta soltanto in parte, avendo il verificatore assunto come parametro di valutazione un atto normativo (DM n. 417 del 1997) applicabile per la liquidazione dei compensi a vacazione per le prestazioni professionali degli ingegneri e degli architetti, ai sensi dell’art. 4 della legge 2 marzo 1949, n. 143.
Nel caso di specie, tuttavia, la prestazione professionale è stata svolta dal verificatore in qualità di ausiliario del giudice ex art. 19 c.p.a., ragion per cui deve aversi riguardo alle previsioni e ai criteri di cui agli artt. 50, 51 e 52 D.P.R. 30/05/2002 n. 115 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) e al D.M. 30 maggio 2002 (di adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale), costituenti parametro assumibile nel presente caso a fondamento della liquidazione giudiziale.
Pertanto, tenuto conto di tale distinto parametro di calcolo, considerato il tempo impiegato dal verificatore nello svolgimento dell’incarico (come riportato nella richiesta di liquidazione), coerente con l’oggetto dell’attività richiesta da questo Consiglio, nonché rilevata l’oggettiva complessità degli accertamenti puntualmente ed approfonditamente svolti dal verificatore, con conseguente integrazione della fattispecie di cui all’art. 52 DPR n. 115 del 2002, il Collegio ravvisa i presupposti per la liquidazione in favore del verificatore dell’importo complessivo di E. 6.000,00.
13. Non sussistono, invece, i presupposti per ravvisare una responsabilità processuale aggravata dell’Amministrazione comunale, pure censurata dagli appellanti.
Il comportamento processuale dell’appellata, per quanto erroneo, non rivela la consapevolezza della spettanza della tutela richiesta dalla controparte in prime cure, né evidenzia un grado di imprudenza, imperizia o negligenza accentuatamente anormale, a fronte di una situazione di fatto connotata dall’elevata complessità, che ha richiesto pure di disporre una verificazione in sede giudiziale; il che osta all’accoglimento della domanda proposta dagli appellanti, incentrata sulla condotta processuale dell’Amministrazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie ai sensi di cui in motivazione i ricorsi di primo grado.
Condanna il Comune di Omissis al pagamento in favore degli appellanti, Sig.ri -OMISSIS- e-OMISSIS- -OMISSIS-, delle spese processuali del doppio grado di giudizio, che liquida nell’importo complessivo di E. 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, ove dovuti, da distrarsi in favore dei difensori dichiaratisi antistatari avvocati An.Me., La.Me. e Al.Me. che ne hanno fatto richiesta.
Condanna il Comune di Omissis al pagamento del compenso professionale spettante al verificatore, prof. ing. Roberto Gerundo, pari ad E. 6.000,00 (seimila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti appellanti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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