Corte di Cassazione, penale, Sentenza|16 novembre 2021| n. 41582.
Società non responsabile per l’indebito rimborso fiscale.
I reati in materia fiscale di cui agli articoli 2 e 8 del Dlgs 10 marzo 2000 n. 74, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravata a danno dello Stato di cui all’articolo 640, comma 2, numero 1, del Cp, in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni: solo in tale ultima ipotesi è possibile il concorso fra il delitto di frode fiscale e quello di truffa perché l’ulteriore evento di danno che il soggetto agente si rappresenta non inerisce al rapporto fiscale, essendo l’attività frodatoria diretta non solo a fini di evasione fiscale, ma anche a finalità ulteriori (sezioni Unite, 28 ottobre 2010, Giordano) [nella specie, integrata dall’annotazione mendace su di una fattura di un importo quale Iva versata e poi dal riporto di tale annotazione nella dichiarazione fiscale, con il fine evidente di evasione dell’Iva, rappresentato dal fine di conseguire un indebito rimborso, la Corte ha ritenuto la sussumibilità della condotta nella fattispecie di cui all’articolo 2 del Dlgs n. 74 del 2000, escludendo l’applicabilità della disposizione del reato di tentata truffa aggravata invece ritenuta in sede di merito].
Sentenza|16 novembre 2021| n. 41582. Società non responsabile per l’indebito rimborso fiscale
Data udienza 10 settembre 2021
Integrale
Tag – parola: Reati tributari – Operazioni inesistenti – Fatto precedente la legge 157/2019 che ha introdotto la responsabilità dell’ente per l’articolo 2 del Dlgs 74/2000 – Società non responsabile per l’indebito rimborso fiscale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – rel. Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere
Dott. SESSA Gennaro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) s.r.l.;
avverso la sentenza in data 11/02/2020 della Corte d’appello di Reggio Calabria;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Corbo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
Società non responsabile per l’indebito rimborso fiscale
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 11 febbraio 2020, la Corte di appello di Reggio Calabria, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la sentenza del Tribunale di Locri nella parte in cui aveva dichiarato la societa’ “(OMISSIS) s.r.l.” responsabile dell’illecito amministrativo derivante dal reato di tentata truffa aggravata a danno dello Stato (capo D), e la aveva condannata alla sanzione pecuniaria per n. 200 quote di importo pari ad 800 Euro ciascuna.
Secondo i giudici di merito, la “(OMISSIS) s.r.l.” sarebbe responsabile dell’illecito amministrativo dipendente dal reato di tentata truffa commesso nel suo interesse o comunque a suo vantaggio dal legale rappresentante, (OMISSIS), nei cui confronti la Corte d’appello, in riforma della decisione di condanna di primo grado, ha pronunciato sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. La tentata truffa sarebbe stata integrata dall’annotazioneinelle scritture contabili della indicata societa’ di una fattura recante l’importo di 22,41 Euro ed I.V.A. pari a 4,48 Euro, aggiungendovi del tutto arbitrariamente l’importo di 1,00 Euro di imponibile
e 1.702.514,00 Euro di I.V.A. detraibile, e dal successivo riporto di tale annotazione alla voce “variazioni e arrotondamenti d’imposta” del modello unico 2009 relativo all’anno d’imposta 2008, quali operazioni dirette ad indurre l’Amministrazione finanziaria in errore circa l’effettiva entita’ dell’I.V.A. detraibile e a procurare all’ente un ingiusto profitto rappresentato dalla predetta somma di 1.702.514,00 Euro.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe la societa’ “(OMISSIS) s.r.l.”, con atto a firma degli avvocati e procuratori speciali (OMISSIS) e (OMISSIS), articolato in un unico motivo con il quale si denuncia violazione di legge, in riferimento al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 1, lettera d), articoli 2 e 3, a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), avendo riguardo alla ritenuta configurabilita’ del reato di tentata truffa.
Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto configurabile il delitto di tentata truffa, sebbene: a) sussiste un rapporto di specialita’ tra le fattispecie penali in materia di frode fiscale e il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, come puntualizzato da Sez. U, n. 1235 del 2011; b) la condotta ritenuta accertata era diretta ad ottenere un indebito rimborso di imposta, mediante l’impiego di modalita’ artificiose costituite dalle rappresentazioni mendaci effettuate nelle scritture contabili e nella dichiarazione; c) detta condotta, quindi, era astrattamente sussumibile nella fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3, attesa la parificazione, ex articolo 1, lettera d), Decreto Legislativo cit., tra fine di evadere le imposte e fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un credito d’imposta inesistente, ma non anche in quella di truffa o tentata truffa, siccome non mirava a realizzare un profitto ulteriore e diverso da quello di evasione fiscale; d) non e’ configurabile il tentativo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 3, atteso il disposto di cui all’articolo 6, Decreto Legislativo cit.
Società non responsabile per l’indebito rimborso fiscale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato per le ragioni di seguito precisate.
2. Invero, posto che il fatto per il quale e’ stata condannata la “(OMISSIS) s.r.l.”, e’ qualificabile come dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e che tale disposizione si pone in rapporto di specialita’ rispetto a quella di tentata truffa aggravata a danno dello Stato, escludendone l’applicabilita’, vi e’ difetto di un reato presupposto, secondo la disciplina vigente all’epoca del fatto, per la responsabilita’ amministrativa a norma del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
3. Innanzitutto, occorre rilevare che la condotta contestata ed accertata e’ sussumibile nella fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito.
3.1. La fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, a norma del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, comma 1, e’ costituita dalla condotta, di chi, “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.
A norma del comma 1, lettera a) del Decreto Legislativo cit., “per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.
3.2. Nel caso di specie, il fatto materiale risulta puntualmente ricostruito dalla sentenza impugnata e non vi sono contestazioni del ricorrente in proposito.
Precisamente, il fatto e’ stato commesso mediante l’annotazione nelle scritture contabili della “(OMISSIS) s.r.l.” di una fattura recante l’importo di 22,41 Euro ed I.V.A. pari a 4,48 Euro, aggiungendovi del tutto arbitrariamente gli importi di 1,00 Euro di imponibile e di 1.702.514,00 Euro di I.V.A. detraibile, e, poi, mediante il riporto di tale annotazione alla voce “variazioni e arrotondamenti d’imposta” del modello unico 2009 relativo all’anno d’imposta 2008 dell’impresa, al fine di indurre l’Amministrazione finanziaria in errore circa l’effettiva entita’ dell’I.V.A. detraibile e, cosi’, di procurare all’ente l’indicata somma di 1.702.514,00 Euro.
La Corte d’appello aggiunge che la societa’ “attraverso l’artificio sopra descritto” – siccome il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 38 bis, consente il rimborso, in pendenza dell’accertamento fiscale, previa presentazione di idonea garanzia – “ha perseguito lo scopo di ottenere immediata liquidita’ (…) per il solo effetto dell’esposizione del credito I.V.A. e della prestazione di una garanzia, indipendentemente dall’accertamento fiscale che avrebbe potuto verificare che il rimborso era indebito a distanza di anni”.
3.3. La condotta cosi’ ricostruita deve ritenersi sussumibile nella fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2.
Innanzitutto, la condotta, nella specie, e’ integrata dall’annotazione mendace su di una fattura dell’importo di 1.702.514,00 Euro quale I.V.A. versata, e poi dal riporto di tale annotazione nella dichiarazione fiscale. In questo modo, la fattura in questione “indica (…) l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale” e, quindi, a norma del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 1, comma 1, lettera a), e’ da classificare tra le “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”. La stessa, inoltre, in quanto riportata nel suo contenuto mendace nella dichiarazione fiscale, e’ utilizzata per indicare in quest’ultima “elementi passivi fittizi”.
Il fine di evasione dell’I.V.A., poi, si evince dal fatto che l’esposizione dell’annotazione mendace costituisce la premessa per ottenere il rimborso della somma di 1.702.514,00 Euro, indicata come fittiziamente versata.
Ne’ la conclusione appena indicata puo’ essere messa in dubbio perche’, come osserva la sentenza impugnata, il fine della societa’ era quello di ottenere immediata liquidita’. Invero, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera d), il fine di evadere le imposte si intende comprensivo “anche del fine di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta”. E la liquidita’ cui mirava la societa’ – meglio: il suo legale rappresentante – attraverso la condotta fraudolenta era perseguita proprio mediante il conseguimento di un indebito rimborso. Quindi, se la societa’ (meglio: il suo legale rappresentante) aveva lo scopo di procurarsi liquidita’ attraverso un indebito rimborso, il fine perseguito era necessariamente quello di “conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito di imposta”. Del resto, puo’ aggiungersi, nell’esperienza empirica, il fine di conseguire un indebito rimborso e’ indefettibilmente funzionale all’esigenza di reperire liquidita’ o comunque disponibilita’ monetarie.
4. Posto che la condotta ritenuta sussistente dalla sentenza impugnata e’ sussumibile nella fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, deve escludersi l’applicabilita’ della disposizione di tentata truffa, come invece ritenuto dalla Corte d’appello, in ragione del principio di specialita’ tra le due previsioni incriminatrici.
Invero, secondo un principio enunciato dalle Sezioni Unite, e dal quale non vi sono ragioni per dissentire, e’ configurabile un rapporto di specialita’ tra le fattispecie penali tributarie in materia di frode fiscale (Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli 2 ed 8) ed il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato (articolo 640 c.p.,, comma 2, n. 1), in quanto qualsiasi condotta fraudolenta diretta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno del quadro delineato dalla normativa speciale, salvo che dalla condotta derivi un profitto ulteriore e diverso rispetto all’evasione fiscale, quale l’ottenimento di pubbliche erogazioni (Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, Giordano, Rv. 24886501).
5. Non essendo configurabile il reato di tentata truffa, bensi’ quello di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, deve escludersi che, nella specie, ricorra un reato idoneo, secondo la disciplina vigente all’epoca del fatto, ossia nel 2009, a costituire presupposto per la responsabilita’ amministrativa a norma del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
Invero, a norma del Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 2, l’ente non puo’ essere ritenuto responsabile per un fato costituente reato se la sua responsabilita’ amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.
Ora, la responsabilita’ dell’ente per un fatto costituente reato a norma del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e’ stata prevista solo in epoca di molto successiva al fatto in contestazione, e precisamente per effetto del Decreto Legge 26 ottobre 2019, n. 124, articolo 39, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157.
6. La mancata contestazione e configurabilita’ di un reato presupposto, secondo la disciplina vigente all’epoca del fatto, per la responsabilita’ amministrativa a norma del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, esclude in radice la possibilita’ di ravvisare la sussistenza di quest’ultima.
Di conseguenza, si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto all’illecito amministrativo di cui al capo D) perche’ il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto all’illecito amministrativo di cui al capo D) perche’ il fatto non sussiste.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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