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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza del 7 novembre 2014, n. 46085. Il criterio adottato dal legislatore per stabilire se determinate cartucce siano da considerarsi munizioni da guerra o da arma comune da sparo è quello indicato dal complesso delle disposizioni della L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 1, comma 3, secondo cui sono munizioni da guerra le cartucce destinate al caricamento delle armi da guerra, nonchè dalla citata Legge, art. 2, comma 4, in virtù del quale non possono essere munizioni per armi comuni da sparo quelle costituite con pallottole a nucleo perforante o aventi le altre caratteristiche di particolare capacità offensiva indicate nel predetto articolo. In altri termini, l'unico criterio valido per stabilire se munizioni, utilizzabili indifferentemente sia per armi da guerra che per armi catalogate armi comuni da sparo possano o meno qualificarsi munizioni da guerra occorre far riferimento, non esistendo alcun tipo di munizioni legislativamente riservato per calibro od altro, (blindatura del proiettile), alle sole armi da guerra, integrandole fra loro, alla definizione che di munizioni da guerra dalla L. n. 110 del 1975, art. 2 e la disposizione di cui successivo art. 2, comma 4 per il quale "le munizioni a palla destinate alle armi comuni non possono comunque essere costituite con pallottole a nucleo perforante, traccianti, incendiarie, a carica esplosiva, autopropellenti…". Se, pertanto, le munizioni hanno caratteristiche vietate per il munizionamento civile resta provato che esse sono destinate all'armamento bellico

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza del 7 novembre 2014, n. 46085 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIORDANO Umberto – Presidente – Dott. CAVALLO Aldo – rel. Consigliere – Dott. BONITO Francesco M.S – Consigliere – Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. – Consigliere – Dott. CENTONZE...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 20 novembre 2014, n. 48264. Ciò che caratterizza l'attività di vigilanza o custodia (di proprietà mobiliari od immobiliari) e di investigazioni, ricerche o raccolta di informazioni per conto di privati, di cui tratta l'art. 134 r.d. n. 733 del 1931 (T.U.LP.S.), è che detta attività sia svolta, per conto terzi, in forma professionale. La sottoposizione a controllo amministrativo dell'attività di vigilanza e custodia, svolta in forma imprenditoriale, è qualificata dal fatto che essa è suscettibile di interferire con la funzione di polizia, in quanto costituente attività integrativa di essa. La subordinazione dell'attività di vigilanza al rilascio dell'autorizzazione prefettizia dipende, quindi, dal pericolo di compromissione della sicurezza pubblica e della libertà dei cittadini, pericolo che può derivare anche dall'attività – integrativa – diretta alla segnalazione dei reati contro il patrimonio mobiliare o immobiliare e non solo dall'esercizio di attività professionali svolte con l'impiego di armi. Tanto ineludibilmente postula, perciò, da un lato che essa sia svolta in forma professionale, o imprenditoriale che dir si voglia (e non sembra doversi qui ricordare che l'impresa può essere anche individuale); dall'altro che sia rivolta alla protezione o al soddisfacimento di interessi di un numero indeterminabile a priori di "terzi", giacché solo la potenziale diffusione della attività e il generico coinvolgimento di qualsivoglia terzo consente di ritenere configurabile quell'astratto pericolo per la "pubblica sicurezza" che integra l'oggettività giuridica della violazione sanzionata ai sensi, appunto, del "Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza".

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 20 novembre 2014, n. 48264 Ritenuto in fatto 1. Con la decisione in epigrafe la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza in data 17 novembre 2008 del Tribunale di Monza, sezione di Desio, appellata dalla parte civile C.M.T. , che aveva assolto con la formula...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 11 novembre 2014, n. 46479. In tema di bancarotta semplice, le pene accessorie devono essere commisurate alla durata della pena principale, in quanto essendo determinate solo nel massimo, sono soggette alla regola dettata dall'articolo 37 c.p., per il quale la loro durata è uguale a quella della pena principale inflitta

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 11 novembre 2014, n. 46479 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LOMBARDI Alfredo M. – Presidente Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere Dott. GUARDIANO Alfre – rel. Consigliere Dott. MICHELI Paolo – Consigliere...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 10 novembre 2014, n. 46170. Il "palpeggiamento" improvviso che sorprende la vittima integra il reato di violenza sessuale. Il compimento improvviso dell'atto sessuale in senso stretto oppure del mero toccamento impedisce e previene la manifestazione di dissenso della vittima.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 10 novembre 2014, n. 46170 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 10 novembre 2014, n. 46340. Il coinvolgimento di un tecnico qualificato nell'indagine sulla sicurezza dei manufatti ben può esonerare da responsabilità l'amministratore che sull'apprezzamento del proprio consulente abbia fatto affidamento

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 10 novembre 2014, n. 46340 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente Dott. MARINELLI Felicetta – Consigliere Dott. BLAIOTTA Rocco Mar – rel. Consigliere Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza 20 novembre 2014, n. 47999. La parte civile non è legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che abbia annullato o revocato, in sede di riesame, ai sensi dell'art. 318 cod. proc. pen., l'ordinanza di sequestro conservativo disposto a favore della stessa parte civile

Suprema Corte di Cassazione S.U.P. sentenza 20 novembre 2014, n. 47999 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata il 18 dicembre 2013 il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame da G.F. contro il provvedimento con cui il locale Tribunale, in composizione collegiale, aveva disposto, il 19 novembre 2013, il sequestro preventivo del 50%...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 20 novembre 2014, n. 48036. I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici. Le società in house hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Gli organi delle società in house sono preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, sicché è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. Per l'integrazione del reato di abuso di ufficio non si esauriscono nella violazione della regola esaminata. Invero, ai fini del perfezionamento del reato di abuso d'ufficio non assume alcun rilievo, stante la sua natura di reato di evento, l'adozione di atti amministrativi illegittimi da parte del pubblico ufficiale agente, ma unicamente il concreto verificarsi (reale o potenziale) di un ingiusto vantaggio patrimoniale che il soggetto attivo procura con i suoi atti a sé stesso o ad altri, ovvero di un ingiusto danno che quei medesimi atti procurano a terzi. È, quindi, necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Ne consegue che occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio conseguito dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dalla accertata esistenza dell'illegittimità della condotta; in particolare, la violazione di legge cui fa riferimento l'art. 323 cod. pen. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche le condotte che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione rispetto alla quale si configura l'elemento soggettivo del dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell'evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 20 novembre 2014, n. 48036 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 27.11.2012 il Tribunale di Pescara ha assolto D.G.B. e C.B. dal reato di cui all’art. 323 c.p. loro rispettivamente ascritto perché il fatto non sussiste. L’accusa mossa agli imputati, nella rispettiva qualità di direttore generale...