Servizio sanitario nazionale e le scelte di programmazione regionale

Consiglio di Stato, Sentenza|21 giugno 2021| n. 4750.

Servizio sanitario nazionale e le scelte di programmazione regionale.

A seguito delle trasformazioni del SSN (Dlgs n. 502/1992, articolo 8) le prestazioni da parte degli operatori sanitari privati, con aggravio di spesa a carico della Pa, non possono che essere erogate che sulla base del sistema di accreditamento e convenzionamento in ragione della programmazione regionale ed il riconoscimento dell’accreditamento risulta subordinato all’esito di attività di ricognizione del fabbisogno assistenziale e della programmazione sanitaria regionale. Se, da un lato, è richiesta una valutazione del fabbisogno accurata ed attualizzata, che sia preceduta e sorretta da una idonea istruttoria sull’esistenza di una determinata domanda sanitaria sul territorio e di una correlativa offerta da parte delle strutture private, dall’altro lato ciò non si traduce, di fatto, in un illegittimo blocco, a tempo indeterminato, all’accesso del nuovo operatore sul mercato, con una indebita limitazione della sua libertà economica.

Sentenza|21 giugno 2021| n. 4750. Servizio sanitario nazionale e le scelte di programmazione regionale

Data udienza 8 giugno 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Servizio sanitario nazionale – Prestazioni – Erogazione – Accreditamento – Funzione teleologica – Scelte di programmazione regionale – Rilevanza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6674 del 2019, proposto da
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Ma. Pr., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;
contro
Ci. S.r.l. Vi. Be., in persona del legale rappresentante pro tempore ed altri rappresentati e difesi dagli Avvocati Is. Ma. St. e An. Le. Fr., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti e domicilio fisico presso lo studio An. Le. Fr. in Roma, piazza (…);
Co. Lu. non costituito in giudizio;
Commissario ad Acta Sanità per la Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Asl Roma 1 non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 8814 del 2020, proposto da C.I. S.r.l. Vi. Be., in persona del legale rappresentante pro tempore, Ch. Fr., rappresentati e difesi dagli Avvocati Is. Ma. St. e An. Le. Fr., con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;
contro
Regione Lazio, rappresentata e difesa dall’avvocato Ri. Sa., con domicilio eletto presso l’Avvocatura regionale in Roma, via (…);
Asl Roma 1, rappresentata e difesa dagli Avvocati Al. Al. e Gl. Di Gr., con domicilio eletto presso l’Azienda ASL Roma 1 in Roma, borgo (…);
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Umberto I, Commissario ad Acta pro tempore della Regione Lazio, Azienda Sanitaria Locale Roma 2, A.S.L. Roma 3, A.S.L. Roma 4, A.S.L. Roma 5, A.S.L. Roma 6, A.S.L. Latina, A.S.L. Frosinone non costituiti in giudizio;

per la riforma
quanto al ricorso n. 6674 del 2019:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza, n. 8626/2019, resa tra le parti, con cui era accolto il ricorso per l’annullamento del diniego al rilascio dell’accreditamento istituzionale del Presidio poliambulatoriale gestito dall’appellante, inviato dalla Regione Lazio con pec il 6 giugno 2018, prot. n. 335591, e di tutti gli atti del predetto procedimento amministrativo, tra cui la nota della ASL Roma 1 prot. n. 116517 del 5 gennaio 2017;
quanto al ricorso n. 8814 del 2020:
per la riforma della sentenza TAR Lazio 2 novembre 2020, n. 11271/2020 (RG 4037/2010) che ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo per l’annullamento:
del decreto 1 aprile 2010 n. 31 con cui il Commissario ad acta per il Servizio Sanitario Regionale del Lazio revocava la delibera della G.R. Lazio n. 557 del 3 maggio 2002 – assistenza sanitaria erogata in forma indiretta e per il risarcimento danni;
con i motivi aggiunti del 10 agosto 2010:
per l’annullamento della nota ASP 9 ottobre 2009, N. 8383; della circolare 12 maggio 2010, N. 62081; del decreto del Commissario ad acta 5 marzo 2010 N. 16, documenti tutti prodotti dalla Regione Lazio e conosciuti nella Camera di Consiglio del 19 maggio 2010;
e respingeva i motivi aggiunti presentati il 31 luglio 2019 per l’annullamento:
anche del dCA U00073/2018 prodotto dalla Regione Lazio in data 24 maggio 2019;
ed i motivi aggiunti presentati il 10 giugno 2020 per l’annullamento:
del dCA U00449/2019 della Regione Lazio, da questa depositato il 14 febbraio 2020, e di tutti gli atti del sottostante procedimento amministrativo;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto l’art. 6, comma 1, lett. e) del d.l. 1 aprile 2021 n. 44, con il quale è stato prorogato il regime per lo svolgimento delle udienze da remoto fino alla data del 31 luglio 2021;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della C.I. S.r.l. Vi. Be., di Si. Ma. ed altri, di Commissario ad Acta Sanità per la Regione Lazio, della Regione Lazio e della Asl Roma 1;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza con modalità da remoto del giorno 8 giugno 2021 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati Ro. Ma. Pr., Is. Ma. St., An. Le. Fr., Ri. Sa., e Al. Al.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO

I – Con il primo dei ricorsi su indicati in appello, la Regione Lazio, premessa la disciplina in materia di assistenza sanitaria indiretta per la terapia radiante, espone che con d.G.R. n. 557 del 3 maggio 2002, in deroga a quanto stabilito dall’art. 8 septies del d.lgs. n. 502/92 come introdotto dal d.lgs. n. 299/99, aveva ritenuto di prevedere, in considerazione anche dei Livelli essenziali di assistenza sanitaria definiti con d.P.C.M. 29 novembre 2001, la prosecuzione dal 1 gennaio 2002 dell’assistenza sanitaria in forma indiretta esclusivamente per le prestazioni ambulatoriali di terapia radiante ai pazienti affetti da patologie neoplastiche usufruite presso strutture autorizzate non accreditate; successivamente con il d.C.A. n. 31/10 era revocata la d.G.R., ritenendosi che la domanda di prestazioni ambulatoriali di terapia radiante a pazienti affetti da patologie neoplastiche potesse essere soddisfatta presso strutture pubbliche ed equiparate. Nello stesso anno, era adottato il d.C.A. n. 59/10, pubblicato sul B.U.R.L. n. 28 del 28 luglio 10, che, sulla scorta e in attuazione del d.lgs. 502/92 e della regolamentazione regionale (l. reg. Lazio n. 4/2003), riorganizzava la Rete Oncologica. Con d.C.A. n. 73 del 15 marzo 2018, pubblicato sul B.U.R.L. n. 23 del 20 marzo18, la Regione adottava il documento sulla stima del fabbisogno di assistenza sanitaria ambulatoriale, fra cui rientra anche la Radioterapia Oncologica.
Censura la sentenza di prime cure che ha accolto il ricorso avverso il diniego di accreditamento per i motivi di seguito indicati.
1 – Violazione di legge laddove la sentenza ha ravvisato la sussistenza della violazione dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992, dal momento che ha evidenziato la mancata valutazione del fabbisogno regionale, limitandosi alla sola area di competenza della ASL Roma 1; infatti, a suo dire, la valutazione e l’espressione del parere sul fabbisogno, sebbene formalmente rese sul territorio della ASL Roma 1, sarebbe basata sui dati prodotti a livello regionale; infatti, l’indirizzo di programmazione regionale del fabbisogno, secondo quanto emanato due mesi prima del provvedimento in contestazione, condurrebbe alla valutazione della piena soddisfazione delle richieste sull’intero territorio regionale.
2 – Avrebbe errato, altresì, la sentenza nel ritenere il difetto di istruttoria e di motivazione, e la contraddittorietà dell’azione amministrativa per carenza degli acceleratori lineari rispetto a quanto previsto nel rapporto con la popolazione ai sensi dell’allegato al d.C.A. n. 59 del 2013 “Rete Oncologica”; poiché il T.A.R. avrebbe fatto riferimento ad un documento non corrisponde all’Allegato tecnico al d.C.A. n. 59/10, pubblicato sul BU.R.L. n. 28 del 28 luglio 2010, ma ad uno “studio”, non ufficiale e mai approvato dalla Regione Lazio con il decreto commissariale; a pag. 27 del “vero” Allegato al d.C.A. n. 59/10 (corrispondente alla pag. 48 del testo pubblicato sul BURL,) non sarebbe indicato alcun fabbisogno di acceleratori lineari, ma una tabella con i posti letto ordinari e day hospital per il trattamento del tumore dell’utero.
I dati ministeriali riportati dalla stessa nota della ASL Roma 1 riguarderebbero poi il numero di acceleratori lineari presenti sul territorio, e il rapporto tra apparecchiature autorizzate all’esercizio e la popolazione territoriale (su dati ISTAT) – 7,8 acceleratori su un milione di abitanti – che non si tradurrebbe in un fabbisogno di apparecchiature, essendo una fotografia del dato fattuale.

 

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Si è costituita per resistere parte appellata che ha evidenziato i seguenti profili:
– il d.C.A. n. 31/2010, con cui la Regione eliminava il regime di assistenza indiretta era stato sospeso dal TAR del Lazio con l’ordinanza n. 827/2010 resa nel giudizio R.G. n. 4037/2010, con la quale si affermava, ad un primo esame, che le patologie neoplastiche richiedono cicli di terapie con scansioni temporali indifferibili per ragioni di obiettiva urgenza e, quindi, non compatibili con liste di attesa (il giudizio di primo grado, poi con riferimento a tale atto, come di seguito specificato, si concludeva con una dichiarazione di improcedibilità, oggetto del secondo appello in esame);
– il provvedimento di diniego regionale (U. 03355916.6.2018 del 6 giugno 2018, all. 7 fasc. 1° grado), si fonderebbe sulla nota della ASL Roma 1 del 18 gennaio 2018, prot. 27968, che ne fa parte integrante e che afferma che: “nel territorio aziendale insistono n. 12 Centri di Radioterapia, dei quali uno a gestione diretta, 3 privati accreditati equiparati, 1 privato accreditato, 3 afferenti ad Aziende Ospedaliere e 4 privati autorizzati. Il numero di acceleratori lineari accreditati è pari a 20, rispetto ad una popolazione di 1.046.000 residenti nel territorio aziendale; nella Regione Lazio il rapporto è di 7,8 acceleratori lineari per milione di abitanti (dati anno 2006 Ministero della Salute). Tanto si evidenzia rispetto alla rilevazione effettuata limitatamente all’ambito del territorio aziendale” – “alla luce delle citate osservazioni ed informazioni fornite dalla competente ASL, dalle quali si rileva un fabbisogno aziendale di prestazioni assistenziali della fattispecie in questione già ampiamente soddisfatto”; ne discenderebbe che non vi sarebbe spazio ad alcuna diversa interpretazione quanto all’assunzione della determinazione unicamente sulla base della rilevazione del fabbisogno aziendale e non in relazione all’ambito dell’intera regione;
– altresì, il provvedimento non potrebbe essere fondato sul d.C.A. n. 73/2018 in quanto quest’ultimo è datato 15 marzo 2018 e quindi è successivo alla nota della ASL Roma 1 del 18 gennaio 2018 richiamata diniego,
– ancora, il numero dei ‘Punti di specialità ‘ indicati in tale d.C.A. sarebbe errato, in quanto il d.C.A. includerebbe nei Punti di specialità della “Branca Radioterapia” strutture che eseguono invece solo la “Terapia Infusionale”; per cui poiché i pazienti che necessitano della Radio-Chemioterapia sarebbero un numero non rilevante e non esistono liste di attesa, unificando erroneamente le due branche, si arriverebbe a ridurre erroneamente anche le liste di attesa dei pazienti radioterapici, purtroppo assai più lunghe.
Si è costituito il Commissario ad acta per la Sanità della Regione Lazio.

 

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Con l’ordinanza 5906/2020 pubblicata il 6 ottobre 2020 il Collegio ha chiesto alla Regione una analitica e documentata relazione unitaria, sui seguenti punti:
– le specifiche procedure istruttorie a seguito delle quali la d.C.A. n. 3/2010 è giunta all’accertamento del “soddisfacimento della domanda di prestazioni ambulatoriali di terapia radiante a pazienti affetti da patologie neoplastiche”; – le modalità con le quali è stata accertata la domanda sanitaria ai fini della predetta DCA, nonché ai fini della rilevazione più recente ad oggi disponibile, e dei relativi risultati analitici per entrambe le rilevazioni, riferiti partitamente alla domanda di prestazioni di diverso livello;
– l’esatto numero di strutture della Rete oncologica regionale esistenti, suddiviso fra “strutture pubbliche” e “strutture equiparate”, articolato fra i diversi livelli e riferito distintamente alle due predette rilevazioni (quella utilizzata dalla d.C.A. n. 3/2010 e quella più recente ad oggi disponibile);
– il numero di acceleratori lineari presenti nelle due rilevazioni, o a qualunque titolo conosciuti alle corrispondenti date, la rispondenza del dato agli atti pianificatori regionali e nazionali e la durata media, minima e massima delle liste d’attesa dei pazienti per l’erogazione delle prestazioni oncologiche in esame, articolate per livello e, ove il dato sia disponibile, per area geografica infra-regionale di riferimento;
– il corrispondente rapporto fra domanda ed offerta, articolato per livello e per area geografica di riferimento ove il dato sia disponibile;
– gli eventuali accreditamenti operati in favore di altre strutture sanitarie private eroganti i medesimi servizi offerti dall’appellante, intervenuti fra la sua domanda di riconoscimento e la comunicazione della presente ordinanza, con la puntuale indicazione dei motivi che hanno condotto all’eventuale accoglimento delle domande dei soggetti beneficiari;
La Regione ha depositato la relazione in data 11 gennaio 2021, per ribadire la correttezza della stima del fabbisogno e della decisione assunta. In particolare precisa che la regolamentazione inerente il rimborso delle prestazioni indirette non poteva che avere carattere temporaneo.
Quanto al numero di acceleratori, il fabbisogno di acceleratori sarebbe stato aggiornato al 2018 e poi al 2019 sulla base dei dati della popolazione e stimato in 45 macchine per il Lazio, anche calcolando la quantità di prestazioni per macchina. Il 94% delle prestazioni risulterebbe erogato in 30 gg. dalla prenotazione.
Dalla documentazione prodotta emerge, in particolare, l’analisi delle prestazioni di radioterapia nella Regione Lazio datata ottobre 2019.

 

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In essa è inserita la seguente fotografia : “Nel Lazio, nell’anno 2018, sono state erogate, a 14.525 pazienti, 1.261.729 prestazioni di radioterapia in regime ambulatoriale (ad esclusione di visite e terapie con anticorpi monoclonali), di cui il 90% a residenti della Regione. La mobilità attiva, pari al 10% di attività del 2018, ha registrato un incremento percentuale pari al 57% rispetto al 2015. Analizzando la distribuzione sul territorio del Lazio dei macchinari di radioterapia ambulatoriale dal punto di vista geografico, si nota una disomogenea copertura del territorio regionale, con ben l’82% degli acceleratori lineari ubicati nel Comune di Roma.”
“La stima del fabbisogno di acceleratori lineari di radioterapia per i residenti nel Lazio rimane stabile a 45 acceleratori lineari anche applicando diversi criteri di stima. In particolare:
• 45 acceleratori totali, applicando la metodologia del DCA 73/2018, basata sull’invecchiamento della popolazione, ai dati 2018 comprensivi di mobilità extra- regionale
• 45 acceleratori totali, applicando lo standard di riferimento dei paesi europei di numero di macchinari per abitante.
Restringendo l’analisi sulla radioterapia stereotassica, si osserva un trend in crescita di prestazioni offerte nel Lazio che passano da 2.664 nel 2015 a 5.870 nel 2018.Viceversa, per la mobilità passiva, si nota un lieve decremento (2.024 prestazioni nel 2015 rispetto a 1.840 nel 2017).
L’analisi sul territorio mostra la totale assenza di macchinari per la stereotassi in quasi tutte le ASL della provincia di Roma e delle altre province del Lazio, ad eccezione di Rieti e Frosinone.
La stima del fabbisogno di questo tipo di prestazione, a differenza della radioterapia classica, deve essere circoscritta ai presidi che possono attivare un acceleratore per la stereotassi. Gli acceleratori di ultima generazione, infatti, permettono di erogare sia radioterapia classica sia stereotassica pertanto nella maggior parte dei presidi non vi è un acceleratore unicamente dedicato a tale attività . D’altra parte, non è possibile immaginare di forzare le strutture a dedicare un unico macchinario alla stereotassi, costringendole a spostare la restante attività radioterapica su altri macchinari. Si ritiene, pertanto, di poter calcolare unicamente il numero di presidi che possono attivare stereotassi.
Applicando la metodologia del DCA 73/2018, basata sull’invecchiamento della popolazione, ai dati 2018 comprensivi di mobilità extra- regionale, con un volume medio di prestazioni annue standard pari a 1.500 prestazioni, il fabbisogno residuo per la radioterapia stereotassica per i residenti nel Lazio, potrebbe essere soddisfatto attraverso un maggior impiego dei macchinari esistenti ovvero un ammodernamento dei macchinari ritenuti obsoleti (utilizzando un’unica macchina dedicata o più macchine opportunamente adattate).” “Da notare come molte regioni hanno più che raddoppiato il consumo di prestazioni di radioterapia presso strutture della regione Lazio (es. Campania, Toscana, Marche e Umbria). Infine, la Campania e la Calabria sono le regioni da cui maggiormente provengono gli assistiti per ricevere prestazioni di radioterapia nella regione Lazio. I volumi di attività richiesti rappresentano infatti il 42% delle prestazioni erogate in mobilità attiva nell’anno 2018.”

 

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In sintesi:
“Tenendo conto che la popolazione residente nel Lazio al 2018 è pari a 5.897.712 abitanti (dati ISTAT), e prendendo a riferimento lo standard di 1 LINAC per 131.579 abitanti, sarebbero necessarie nel Lazio 45 macchine (5.897.712/131.579=44,82 LINAC)”.
Quanto alla stima del fabbisogno di prestazioni e di presidi dotati di acceleratore per la stereotassi con la metodologia del d.C.A. n. 73/2018, emerge un saldo negativo di – 1.835, tuttavia -asseritamente – colmabile con l’implementazione dell’utilizzo dei macchinari.
Ad esito dell’adempimento l’appellata ha evidenziato che la relazione – a suo parere – sarebbe carente dei dati sul reale fabbisogno di trattamenti radioterapici e delle prestazioni di diverso livello.
La Regione non avrebbe inoltre pubblicato le liste di attesa per le “prestazioni ambulatoriali di terapia radiante”.
Inoltre, fin dal d.C.A. 31/2010, la Regione avrebbe motivato tale scelta non sulla base del numero di pazienti che hanno richiesto e ottenuto (o meno) i trattamenti radioterapici, ma sulla base dell’aumentato numero di prestazioni fornite dal 2002 al 2008, richiamando la nota dell’Agenzia di Sanità Pubblica ASP 9.10.2009, N.° 8383.
Tale nota, nella tabella, peraltro, elenca il numero delle prestazioni ambulatoriali erogate solo dalle strutture pubbliche e private convenzionate, tralasciando quelle effettuate in regime di assistenza indiretta e quelle private (anche coperte dalle assicurazioni). Gli ospedali Pe. ed altri, oltre alla Radiologia Ciarpaglini e all’INRCA, non avevano la radioterapia, e pertanto non potevano fornire “prestazioni ambulatoriali di terapia radiante”, mentre il Policlinico To. Ve. ha attivato la radioterapia solo alla fine del 2006 (a riguardo l’appellata deposita il d.C.A. 31/2010, all. 1 e la NOTA ASP 8383/2009 all. 2, perché non allegati alla Relazione, ed i motivi aggiunti al ricorso T.A.R. sull’assistenza indiretta, all. 3, (RG n. 4037/2010) con i quali si impugnava anche tale nota ASP, sollevando sin da allora la problematica).
Sicché l’Agenzia di Sanità Pubblica (ASP) e la Regione confonderebbero le visite oncologiche con le prestazioni di terapia radiante.

 

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Gli acceleratori al 2019 sarebbero 41 a fronte di 47(Piano Sanitario Regionale allegato al d.C.A. 82/2010) 48 (Rete oncologica regionale allegata al d.C.A. 59/2010) e 55 (D.C.A. 59 e 82/2010).
A riguardo ancora l’appellata invoca il Verbale del DEP della Regione Lazio 19 luglio 2018 (all. 9), redatto da un pool di esperti della Regione stessa, che confermerebbe l’inutilizzabilità dei risultati cui è pervenuto il d.C.A. 73/2018, affermano: “I dati SIAS finora utilizzati non sono rappresentativi né del volume né della qualità delle prestazioni di radioterapia. Non sono utilizzabili ai fini della descrizione né dell’offerta né tanto meno del fabbisogno”.
Con riferimento alle liste d’attesa, inoltre, la Regione confonderebbe le visite oncologiche con le terapie, richiamando esemplificativamente caso relativo al paziente P.P., in cui l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sa., laddove si evidenzia che a dicembre 2020, la visita oncologica, si ottiene in 8 giorni, ma poi il trattamento radioterapico effettivo si inizia “salvo complicazioni” dopo 3 mesi.
Ancora, le liste d’attesa, reperite prima della loro non rintracciabilità e versate in atti in primo grado nel presente giudizio, confermerebbero l’attesa di alcuni mesi prima dell’inizio dei trattamenti radioterapici (documenti da 12 a 17 fascicolo T.A.R, RG n. 9742/2018 e RG n. 4037/2010).
Sempre la Regione, nel d.C.A. n. 449/2019 confermerebbe poi l’importanza e l’aumento di richiesta della radioterapia stereotassica affermando che: “…il fabbisogno residuo per la radioterapia stereotassica per i cittadini residenti nel Lazio, verrà soddisfatto attraverso un maggior impiego dei macchinari esistenti ovvero un ammodernamento dei macchinari ritenuti obsoleti” (pag. 46, ultimo capoverso). L’assenza di tecnologia stereotassica non farebbe che incidere ulteriormente sull’insufficienza del numero di acceleratori lineari, ed infatti ciascun trattamento stereotassico richiede in media il quadruplo del tempo rispetto ai trattamenti classici (25-40 minuti contro 7-10) e dunque l’impiego dei macchinari pe r tale tecnica non farà che aumentare l’indisponibilità de gli stessi e le liste di attesa anche per i trattamenti ordinari.”.
Il d.C.A. 80/2020 confermerebbe la carenza.
Quanto all’ulteriore quesito relativo agli accreditamenti l’appellata precisa che dagli allegati alla relazione si evincerebbe che negli ultimi anni la Regione Lazio ha accreditato nuovi acceleratori, confermando, da un lato, l’insufficienza delle prestazioni offerte e, dall’altro, il danno perpetrato nei confronti della CIRAD, anche in violazione dei principi nazionali e comunitari sulla concorrenza.
Con ulteriore ordinanza istruttoria 546/2021 del 18 gennaio la Sezione ha chiesto un supplemento di indagine sulla base delle controdeduzioni dell’appellata ed in particolare una relazione in ordine a:
– il reale numero degli acceleratori lineari presenti sul territorio regionale a decorrere dal 2010;
– i contenuti sostanziali (al di là, pertanto, del rilievo formale) del Verbale del DEP della Regione Lazio 19 luglio 2018 (allegato dall’appellata);
– la capacità di soddisfare la domanda di prestazioni di terapia radiante mediante tecnologia stereotassica o acceleratori lineari;
In adempimento la Regione ha depositato una relazione con la quale afferma:
1 – il sistema di liste d’attesa non può che essere attinente alla sola visita oncologica, essendo il paziente avviato alla terapia solo dopo essere stato inserito nel percorso di cura; la terapia stereotassica rappresenta una delle 4 sottocategorie della terapia radiante, indicata solo in alcune situazioni cliniche; per ciascuna persona risulta calcolato il tempo tra al visita e la prestazione, le analisi conducono ad un tempo di trattamento di 16 gg dalla visita per il 50% e di 44 gg per il 25 %;
2 – gli acceleratori attivati, anche in sostituzione di macchinari obsoleti, tra il 2010 ed il 2019 ad eccezione di quelli del Campus Biomedico, sono collocati all’interno di strutture ospedaliere già facenti parte della rete oncologica e costituenti centri Hub/Spoke ai sensi dello stesso d.C.A. U00059/2010 che auspicava una razionalizzazione delle risorse attraverso la collocazione dei macchinari di radioterapia nei presidi ospedalieri ad alta specializzazione;
3 – il verbale della riunione DEP 19 luglio 2018 riferito da parte appellata non potrebbe essere considerato poiché la regione non aveva preso parte e non risulta essere un documento sottoscritto.

 

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4 – secondo quanto espresso nel d.C.A. 449/2019, il numero maggiore di macchinari per la terapia stereotassica è concentrato nel territorio di Roma; non sarebbe opportuno dedicare un unico macchinario alla terapia stereotassica, il differenziale di prestazioni in negativo in relazione alla stereotassi non giustifica l’attivazione di altri macchinari specifici, secondo i criteri di efficienza. Con ulteriore memoria l’appellata precisa che le liste d’attesa non sarebbero ancora reperibili. Ribadisce che la Regione farebbe riferimento, per quanto concerne i tempi di attesa, all’intervallo tra la prima visita specialistica e la “centratura/simulazione”, che non è la prima seduta di trattamento, ma un esame, normalmente una TAC.
Ancora deduce che relazione depositata continuerebbe a tacere in merito alle modalità di soddisfazione del fabbisogno con riferimento “alla domanda di prestazioni di diverso livello” (punto 4.2 ordinanza interlocutoria del 24 settembre 2020), alla suddivisione degli acceleratori “fra i diversi livelli” (punto 4.3), alla “durata media, minima e massima delle liste d’attesa dei pazienti per l’erogazione delle prestazioni oncologiche in esame, articolate per livello” (punto 4.4), al “rapporto fra domanda ed offerta, articolato per livello” (punto 4.5).
Dalla tabella del 2010 riportata nella relazione dovrebbero essere espunti l’Acceleratore Lineare della struttura Eu. Ho. che non sarebbe mai esistito, così come quello dell’INI Grottaferrata che al tempo era ancora privato come quello della CIRAD e che quindi non potrebbero essere inclusi. Inoltre all’U. I e al Sa. Ca. sarebbero presenti 2 acceleratori e non 4.
Nel 2010 si conterebbero quindi 31 macchinari, quando invece avrebbero essere tra un numero compreso tra 43 e 51, come previsto dal d.C.A. di n. 82/2010.
In ogni caso, anche a voler considerare l’attuale conteggio della Regione, ne risulterebbero comunque 36.
Ingiustificato poi sarebbe l’accreditamento all’INI ammesso dalla Regione e non alla CIRAD, anche se svolgevano la medesima attività, avendo la CIRAD dal 2004 al 2017 richiesto incessantemente l’accreditamento con sette domande rimaste sempre inevase.
Evidenzia che proprio l’invocato d.C.A. n. 449/2019 (pag. 9) certificherebbe che “l’analisi sul territorio mostra la totale assenza di macchinari per la stereotassi in quasi tutte le ASL della provincia di Roma e delle altre province del Lazio…” e ancora riporta (pag. 9) “nella maggior parte dei presidi non vi è un acceleratore da dedicare unicamente a tale attività …”.
Ciò nonostante il fatto che in ragione della sua importanza, la radioterapia stereotassica è stata inserita nei LEA.
Tale radioterapia è quella maggiormente svolta dalla appellata nel primo giudizio in esame.
Con il secondo ricorso in appello, qui all’esame, la C.I. – premesso di essere una struttura sanitaria autorizzata e non ancora accreditata dalla Regione Lazio, che dal 2004 eroga prestazioni sanitarie in regime di assistenza indiretta per la cura di patologie oncologiche attraverso la tecnica della terapia radiante – censura la sentenza di primo grado che ha dichiarato improcedibile il ricorso avverso il decreto commissariale n. 31 del 2010 con cui si decideva di revocare, con decorrenza dal 30 aprile 2010, la delibera della Giunta regionale del Lazio n. 557 del 3 maggio 2002 – Assistenza sanitaria erogata in forma indiretta ed ha respinto i motivi aggiunti.

 

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Deduce a riguardo i motivi di seguito specificati.
1 – Omesso esame dei motivi di ricorso, erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso originario, relativo all’annullamento del d.C.A. n. 31/2010, ritenendo che il “perimetro” della decisione riguardasse solo il d.C.A. 449/2019, mentre sarebbe proprio e solo il tale decreto che ha soppresso il regime dell’assistenza indiretta nella Regione Lazio e, dunque, sarebbe palese ed attuale l’interesse all’annullamento di tale provvedimento, al fine di far continuare detto regime indispensabile per i malati oncologici laziali.
I successivi dd.C.A. nn. 73/2018 e 449/2019 sarebbero, invece, mere stime del fabbisogno
2 – Illogicità ed erroneità della motivazione – erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato che “si tratta di decisioni dell’Amministrazione che sconfinano nella discrezionalità tecnica”. Nel caso di specie, contrariamente a quanto affermato in sentenza, l’indicazione del numero degli acceleratori lineari non integrerebbe alcuna discrezionalità tecnica, ma si tratterebbe di mere indicazioni di dati forniti dall’Amministrazione, dati che sarebbero stati specificatamente contestati dai ricorrenti fornendo tutti gli elementi utili a dimostrarne l’inesattezza.
3 – Contraddittorietà ed irragionevolezza della motivazione – travisamento dei presupposti di fatto.
In particolare quanto al corretto numero degli acceleratori lineari nella Regione Lazio, il fabbisogno regionale di radioterapia sarebbe quello indicato dalla stessa Regione Lazio nella “Rete Oncologica della Regione Lazio” (all. 17 e all. 9 produzione della documentale del 23 maggio 2019). Inattendibile sarebbero invece i criteri utilizzati con il d.C.A. n. 449/2019. In base alla citata Rete Oncologica (pag. 27 terza riga) sono richiesti 4-5 acceleratori ogni 500.000 abitanti, cioè 8-10 per ogni milione di abitanti, e cioè occorre 1 acceleratore ogni 107.000 abitanti (con un minimo di 1 acceleratore ogni 124.000).
Cosicché ad oggi nella Regione Lazio, considerata l’attuale popolazione (5.896.693, fonte ISTAT al 31.12.2017), dovrebbero essere presenti 55,1 acceleratori lineari pubblici o privati accreditati (con un minimo di 48) a fronte di solo 43.
In riferimento al d.C.A. n. 73/2018 (all. 13), preso alla base del successivo d.C.A. n. 449/2019 (all. 14), vi sarebbero gli errori di seguito specificati.
Erronea sarebbe l’inclusione della terapia infusionale (chemioterapia metabolica) all’interno della Radioterapia, dovendo essere inserita nella sezione relativa alla Oncologia.
Da tale errore conseguirebbe che nel d.C.A. n. 73/2018 sono indicati 24 punti specialità (15 pubblici e 9 privati accreditati), quando in realtà ne esisterebbero solo 18 (11 pubblici e 7 privati accreditati).
Pertanto, tutte le conclusioni riportate sarebbero conseguentemente viziate così come la conclusiva “Stima dei punti specialità per colmare il saldo negativo”, valutata pari a 0 (pag.139).
In ordine alla mancata distinzione dei diversi punti di specialità e dei diversi tipi prestazioni radioterapiche offerte, il d.C.A. erroneamente generalizzerebbe il numero di ‘Punti di specialità ‘, dividendoli per gli abitanti e stimando quanti ‘Punti specialità ‘ sarebbero presenti per 100.000 persone, non considerando però che essi sarebbero diversi tra loro, poiché non tutti in grado di fornire gli stessi tipi di trattamento radioterapico.
Le conclusioni riportate nella tabella della radioterapia, secondo cui il fabbisogno per i trattamenti radioterapici è soddisfatto (pag. 139 del DCA 449/2019, all. 14), sarebbero dunque, per quanto sopra, errate.
In ordine al d.C.A. n. 449/2019, anch’esso sarebbe errato sia nella metodologia che nel contenuto. Esso sarebbe stato emanato in correzione del precedente, per le carenze rilevate dagli stessi esperti regionali nel verbale del 19 luglio 2018. La Regione avrebbe cercato di giustificare il numero di acceleratori lineari in base ad uno studio che però sarebbe del tutto estraneo alla realtà italiana, rendendo più evidente l’insufficienza del fabbisogno radioterapico nel Lazio.

 

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Sullo studio europeo a fondamento del numero necessario di acceleratori lineari, sarebbe stato assunto a base del fabbisogno indicato nel d.C.A. n. 449/2019 uno studio europeo che calcolerebbe 1 acceleratore per 131.579 abitanti. Tuttavia non avrebbe considerato la carenza di dati SIAS come evidenziato nel verbale di riunione del 19 luglio 2018 menzionato.
Sarebbe lo stesso studio a registrare (righe 21-25 dalla fine, colonna a sinistra pag. 162) un’ampia variabilità nell’incidenza tumorale fra i vari paesi e quindi una grande variabilità sul numero degli acceleratori lineari necessari. Infatti ivi si ritiene che, in base alla incidenza dei tumori nei diversi paesi, il numero può arrivare a 10 acceleratori lineari per 1 milione di abitanti, e cioè 1 acceleratore lineare per 100.000 abitanti. Se questo fosse il caso dell’Italia, ne conseguirebbe che nella Regione Lazio gli acceleratori lineari necessari dovrebbero essere addirittura 59 e non i 45 indicati dalla Regione. Pertanto, gli unici dati validi per il calcolo del numero necessario di acceleratori lineari, sarebbero quelli riportati nel documento della Rete Oncologica della Regione Lazio, predisposta congiuntamente dal Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Regione Lazio, IFO, Laziosanità Agenzia di Sanità Pubblica, tutti enti operanti nel territorio italiano e regionale e quindi gli unici ad essere a conoscenza delle specifiche situazioni dei trattamenti radioterapici oncologici. Gli acceleratori necessari dovrebbero, dunque, essere da un minimo di 1 ogni 127.000 sino ad 1 ogni 107.000 (pag. 26, ultimo capoverso, all. 9 produzione del 23 maggio 2019), quindi per la popolazione della Regione Lazio oggi residente, 5.897.712 come calcolata dalla Regione stessa dati ISTAT, gli acceleratori necessari si attesterebbero tra 48 e 55.
Nel merito della radioterapia stereotassica, una delle tecniche maggiormente richieste dai pazienti della C.I.., la stessa Regione Lazio proprio nel d.C.A. n. 449/2019 non potrebbe che certificare la “totale assenza di macchinari per quasi tutte le ASL della provincia di Roma e delle altre province del Lazio” (pag. 2, dell’allegato al d.C.A.).
Con riguardo al verbale della Regione Lazio del 19 luglio 2018, inspiegabilmente, il giudice di prime cure lo avrebbe ritenuto “irrilevante” costituendo esso quanto meno un valido elemento probatorio circa l’inattendibilità dei dati riportati nel d.C.A. n. 73/2018. Secondo la sentenza appellata, invece, esso sarebbe irrilevante perché non sarebbe stato reso pubblico, né sottoscritto e poiché relativo ad una “riunione informale”.
Eppure il verbale evidenziava che “Inoltre, le tecniche di esecuzione delle prestazioni di radioterapia sono molteplici e sono classificabili in diversi livelli di complessità . Questi diversi livelli di complessità non sono deducibili dai dati del SIAS (vedi tabella pg 5 – Allegato 2 Distribuzione dei volumi per singole prestazioni anni 2015-2017)”. E che: “Le caratteristiche fisiche e tecniche nonché i tempi di occupazione dei macchinari rappresentano altri elementi di criticità da tenere presente nella valutazione comparativa dei volumi di attività dei diversi punti di erogazione (“punti specialità “). Questi elementi non si evincono da dati SIAS. È impossibile, quindi, una interpretazione corretta dei dati presentati nel DCA 73/2018 ai fini della stima del fabbisogno complessivo di prestazioni sia di eventuali futuri nuovi “punti specialità ” di radioterapia (vedi tabella 13.24 pg 139 Allegato 1)”. In conclusione: i dati SIAS finora elaborati non sarebbero rappresentativi né del volume né della qualità delle prestazioni di radioterapia e non sarebbero utilizzabili ai della valutazione del fabbisogno.
Con riferimento agli altri accreditamenti, negli ultimi 3 anni la Regione avrebbe installato e accreditato ex novo ben 5 acceleratori lineari (4 dei quali in strutture private al pari della C.I.. s.r.l.) tutti nella zona della ASL RM 1 (1 al Policlinico Ge., 1 al Fa. Be. Fr. Is. Ti., in aggiunta a quello già preesistente, 1 al Fa. Be. Fr. Sa. Pi., 1 al Ca. Bi. ed 1 all’IFO Re. El.).
4 – Sulla domanda risarcimento dei danni, la sentenza gravata sarebbe errata laddove ha ritenuto generica la domanda al risarcimento dei danni.
Secondo il giudice di primo grado, peraltro, nessun affidamento avrebbe potuto l’appellante riporre, essendo l’abolizione dell’assistenza indiretta risalente al d.lgs. n. 502/1992.
Invece, asseritamene, l’appellante avrebbe depositato in prime cure tutta la documentazione utile per valutare i danni sofferti a causa della condotta delle diverse ASL che nel corso del tempo hanno autorizzato con sempre minore frequenza i pazienti ad essere trattati in regime di assistenza indiretta, contravvenendo all’ordinanza del T.A.R. del Lazio n. 827/2010 del 20 maggio 2010, di accoglimento dell’istanza cautelare.
Sarebbe anche errato il riferimento all’abrogazione dell’assistenza indiretta; poiché dal 2001 la competenza sanitaria è regionale e dunque, le regioni potrebbero prevedere la vigenza del regime di assistenza indiretta laddove i centri pubblici non siano in grado di soddisfare il fabbisogno di cure.
Si sono costituite la Regione e la ASL Roma 1per ribadire le proprie difese e la legittimità dei provvedimenti censurati.
La ASL Roma 1 precisa che l’assistenza in forma indiretta è stata abolita a norma dell’art. 8 septies d.lgs. n. 502/92, la proroga avrebbe una valenza del tutto eccezionale. Del resto l’accoglimento cautelare in primo grado sarebbe stato proprio diretto a consentire l’assistenza indiretta a favore dei pazienti neoplastici nelle more del riesame della revoca.
Le successive istanze di accreditamento dell’appellante, peraltro, erano state respinte con le determinazioni G00728 del 22 ottobre 0213 e G08047 dell’1 luglio 2015 (non oggetto del presente contenzioso).
Nel merito i decreti impugnati sarebbero esaustivi nell’indicare la completa copertura del servizio per quanto già riportato nell’ambito del giudizio di cui sopra, contestualmente all’esame del Collegio.
La Regione Lazio, precisando il superamento dell’assistenza indiretta entro 18 mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 502 del 1992, evidenzia la natura di discrezionalità tecnica dei provvedimenti impugnati e la correttezza della pronunzia del giudice di primo grado.
Nel merito espone la correttezza del calcolo degli acceleratori nella regione Lazio sulla base dell’andamento dell’indice di invecchiamento della popolazione ed il rilevamento della disponibilità regionale, riportando la documentazione già esaminata nel connesso giudizio.
La Regione produce, dunque, gli atti di cui al giudizio connesso, in adempimento all’ordinanza istruttoria.

 

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Con memoria per l’udienza di discussione l’ASL Roma 1, ancora, precisa, richiamando i propri scritti, che nel territorio dell’ASL Roma 1 sono presenti n. 22 acceleratori lineari (n. 2 in più rispetto a quanto specificato nella precedente memoria) che rappresentano il 48% di tutti gli acceleratori presenti sul territorio della Regione Lazio e che erogano prestazioni di radioterapia anche per i residenti di altre AA.SS.LL., oltre che per i residenti dell’ASL Roma 1. Ciò dimostrerebbe come nel territorio dell’ASL Roma 1 la richiesta di terapia radiante è pienamente soddisfatta.
Dalla stessa relazione risulterebbe, in ogni caso, come l’intero fabbisogno di prestazioni sia pienamene soddisfatto – secondo criteri di efficienza – tramite il miglior impiego dei macchinari esistenti capaci di erogare terapia stereotassica ma anche radioterapia classica. Ed infatti “la capacità di soddisfare la domanda di terapia radiante è confermata…. dall’analisi dei dati (SIAS) relativi ai cicli di terapia radiante…” (pag. 8).
L’appellante con memoria ha ribadito le proprie difese.
Le parti hanno discusso nell’udienza in via telematica dell’8 giugno 2021. Parte appellante nel secondo giudizio ha anche – subordinatamente – proposto questione di legittimità costituzionale della abolizione dell’assistenza indiretta, ove interpretata secondo la scelta ermeneutica del primo giudice.

 

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DIRITTO

I – Ritiene il Collegio che i ricorsi in appello sopra descritti debbano essere esaminati congiuntamente al fine di una più completa analisi e per la sussistenza di profili oggettivi e soggettivi di connessione.
II – Per ordine logico, deve trovare esame dapprima il secondo degli appelli, proposto da C.I., essendo la decisione in ordine al diniego di accreditamento in parte conseguente alle statuizioni relative al fabbisogno e comunque, questione immediatamente successiva alla decisione relativa all’eliminazione dell’assistenza indiretta.
III – Passando, dunque, ad esaminare il primo motivo di appello proposto da C.I., esso risulta fondato quanto alla pronunzia di improcedibilità e tuttavia, infondato nel merito – che può trovare qui ingresso in forza dell’effetto devolutivo dell’appello – per le motivazioni di seguito esposte.
IV – Il decreto che aboliva le prestazioni in forma indiretta era specificamente impugnato, ritenendo l’allora ricorrente che alla Regione rimanesse uno spazio per autorizzare tali prestazioni in assenza di copertura del servizio. Tra l’altro, l’eliminazione delle prestazioni indirette è posta alla base della pretesa risarcitoria azionata.
Sicché il giudice di primo avrebbe dovuto pronunziarsi, in diritto, sulle censure di legittimità sollevate dalla parte, tanto più che gli effetti del decreto erano stati sospesi con ordinanza in sede cautelare dal medesimo giudice. Da ciò la parte allora ricorrente faceva discendere la riviviscenza della delibera di proroga del regime che prevendeva il rimborso della prestazione indiretta previa autorizzazione della ASL.
Ne deriva che permaneva l’interesse della parte ad una pronunzia in ordine alle censure sollevate.
V – Nel merito il motivo è infondato, non tanto come conseguenza della soddisfazione sul territorio della richiesta terapeutica ma come effetto della trasformazione ordinamentale.
In estrema sintesi deve ricordarsi che a seguito delle trasformazioni del SSN alla luce del d.lgs. n. 502/1992 e dell’intervento di cui al d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, le prestazioni non possono che essere erogate che sulla base del sistema di accreditamento e convenzionamento in ragione della programmazione regionale ed il riconoscimento dell’accreditamento risulta subordinato all’esito di attività di ricognizione del fabbisogno assistenziale e della programmazione sanitaria regionale. Brevemente deve ricordarsi, infatti, che la norma fondamentale che riassume e indirizza il disegno riformatore, in tema di erogazione delle prestazioni sanitarie, è il comma 5 dell’articolo 8 del d.lgs. n. 502/92.
All’utente è rimessa la scelta tra le strutture accreditate sulla base della programmazione e della definizione dei criteri in modo da assicurare le medesime garanzie qualitative delle strutture pubbliche e private.
Sulla legittimità costituzionale del nuovo sistema, infatti, la Corte costituzionale, già con la sentenza n. 416/1995, si esprimeva dichiarando la manifesta infondatezza della questione allora prospettata, precisando, che l’accreditamento delle strutture sanitarie consiste nel riconoscimento, ad opera delle regioni, del possesso, in capo ad organismi sanitari di cura, di specifici requisiti – c.d. standard di qualificazione.
La giurisprudenza amministrativa (sin dall’Ad. Plen., 2 maggio 2006) ha individuato, poi, in modo preciso, la funzione teleologica dell’accreditamento, la quale deve risultare finalizzata alle scelte di programmazione regionale.
VI – Ne discende che il nuovo assetto ordinamentale non ha lasciato spazio alla sopravvivenza della disciplina dell’assistenza indiretta – se non in via temporanea – sì da non potersi dubitare della infondatezza dei vizi di legittimità del decreto impugnato.
V – Ciò posto la questione di legittimità costituzionale, prospettata dalla parte, in via subordinata, a verbale, oltre a non risultare manifestamente fondata, alla luce delle richiamate considerazioni già effettuate dal giudice delle leggi, appare, in forza delle considerazioni che di seguito si svolgono, priva di rilevanza ai fini del presente giudizio, che per quanto ci si accinge a precisare deve essere accolto.
VI – Il secondo e terzo motivo del secondo appello devono essere esaminati congiuntamente, unitamente anche al secondo motivo del primo appello indicato in epigrafe svolto dalla Regione. Infatti, nell’ambito dei due giudizi sono per lo più versati gli stessi documenti e relazioni, seppure -con riferimento all’appello della Regione – a supporto del diniego di accreditamento.
Se astrattamente, appartiene alla discrezionalità tecnica della Regione l’indicazione dei criteri di riferimento ai fini dell’attuazione dell’efficienza terapeutica per il soddisfacimento del fine assegnato dalla legge (e dunque, l’individuazione del rapporto fabbisogno-soddisfacimento alla luce delle risorse), tale esercizio non è sottratto alla verifica da parte del giudice in termini di riscontro del vizio di illegittimità eccesso di potere sotto i profili della manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà o del palese e manifesto travisamento dei fatti (in terminis, parere del Consiglio di Stato, 30 novembre 2020 n. 1958).

 

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Da tempo, infatti, la contrapposizione tra sindacato forte e sindacato debole è stata superata dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che “al di là dell’…antinomia sindacato forte/sindacato debole, deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo” (questa Sezione, 25 marzo 2013, n. 1645).
VII – Ne discende che l’esame dei motivi non può essere condotta prescindendo da un’attenta analisi della coerenza e logicità, anche in ordine ai dati fattuali rilevati in sede istruttoria, delle decisioni assunte. Peraltro, l’esame comporta la valutazione della documentazione e delle relazioni prodotte dalla Amministrazione e dall’appellante in entrambi i giudizi ora all’attenzione del Collegio.
VIII – In ordine alle censure sul d.C.A. del 2018, con riferimento alla materia del contendere, esso consiste nell’approvazione dei dati elaborati dal DEP Lazio.
Esso risulta aggiornato con il documento depositato ad ottobre 2019, recepito nel d.C.A. n. 449 del 2019.
Viene precisato che le prestazioni di radioterapia stereotassica saranno erogate attraverso maggior impiego di macchinari esistenti ed ammodernamento di quelli obsoleti.
È dato mandato di accertare la rispondenza tecnologica dei macchinari.
È previsto il monitoraggio al fine della revisione del fabbisogno.
E’ contenuta una stima di un fabbisogno di 45 acceleratori totali, in applicazione della metodologia dell’invecchiamento della popolazione, applicando lo standard di riferimento dei paesi europei di numero macchinari per abitanti.
Inoltre, il documento giunge all’affermazione – data la carenza di presidi di radioterapia stereotassica – di prevalenza di acceleratori di ultima generazione che possano attivare entrambi i tipi di radioterapia (classica e stereotassica).
Con riferimento al documento scientifico “Grau C et al, Radiotherapy equipment and departments in the European countrie; final result from the ESTRO-HERO survey, Radiotheraphy and Oncology, 2014”, è assunto a riferimento la stima più conservativa dei paesi europei di 1 macchina ogni 131.579 abitanti e il numero di macchinari è calcolato sulla base della popolazione del Lazio secondo l’ISTAT per l’anno 2018 ovvero 5897.712:131579 (derivandone dunque una stima di 44, 8-> 45 macchinari).
La conclusione dell’Amministrazione, dunque, è nel senso della idoneità dei macchinari accreditati nella Regione per la copertura del fabbisogno.
Con riferimento alle risultanze istruttorie devono essere svolte le seguenti considerazioni che minano la congruità e coerenza delle conclusioni di sufficienza ed idoneità del fabbisogno.
In primo luogo siffatta stima appare smentita, in fatto, dagli stessi dati che emergono dalla produzione regionale.

 

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Ciò che emerge con evidenza e che, anche a voler prendere per buoni i tempi di attesa affermati dall’Amministrazione e contraddetti da CIRAD, essi sono di 44 gg. per il 25% dei richiedenti sì da denotare la carenza di una pronta risposta alle esigenze della popolazione.
Se, poi, si vanno ad esaminare i dati che emergono dalle liste di attesa prodotte dalla parte appellante, in primo grado, emerge che presso alcuni ospedali essi consistono in 203 gg. per il trattamento del tumore alla mammella, 102 per il trattamento del tumore al polmone, 110 per i sarcomi, 144 per i tumori all’endometrio.
Di gran lunga superiori in altri casi.
Di più va evidenziato che l’Amministrazione, pur producendo in sede di relazione, i dati inerenti al tempo per le prestazioni, tuttavia non riesce a smentire quanto risultante dalle liste d’attesa prodotte da CIRAD nel primo dei giudizi all’esame, in primo grado e che l’appellante deduce non essere più rinvenibili.
Ancora, non può tacersi il fatto che anche a seguito della seconda istruttoria non risultano chiariti:
– i reali tempi di attesa per l’inizio effettivo del trattamento, avendo confermato l’Amministrazione che ha preso in considerazione la visita;
– non sembrano incluse nella stima del fabbisogno, le terapie effettuate dai soggetti non convenzionati;
– non è stata fornita una risposta adeguata con riferimento al mancato invio dei dati italiani per la redazione dello studio europeo preso a riferimento;
– non è chiarito per quale motivo – in relazione all’efficacia terapeutica – si decida di non implementare i macchinari di radioterapia specialistici, pur essendo stati gli stessi inseriti ell’ambito dei LEA;
– in particolare, ancora, non risulta evidente la motivazione in ordine al criterio di copertura delle carenze prospettate nello stesso documento DEP approvato dalla Regione ed allegato al decreto commissariale, in riferimento alla scelta di non aprire ad altri operatori e a non destinare una quota all’implementazione delle radioterapie specializzate, come attestato mancanti sul territorio.
Inoltre, agli atti risultano prodotte, dall’Amministrazione, le Linee Guida AIRO sulla garanzia di qualità in radioterapia, attestanti l’evoluzione delle malattie oncologiche sul territorio. Ora se esse nulla dicono – come affermato da parte appellata – in ordine alla distribuzione su territorio del Lazio, ciò che, invece, emerge è la differenza di distribuzione in ambito nazionale.
Non si tratta, dunque, in questo caso di interferire nella valutazione discrezionale-tecnica di individuazione dei macchinari più efficienti per assicurare la terapia radiante, quanto di constatare l’insufficienza della risposta terapeutica regionale a fronte di gravi patologie che richiedono una risposta immediata per assicurarne l’efficacia.
IX – Ancora, quanto al verbale del 19 luglio 2018, prodotto da parte appellante, l’Amministrazione ritiene che esso non sia documento ufficiale e che, dunque, non possa essere assunto a fondamento della decisione. Eppure, la stessa Amministrazione non ne discute il contenuto, limitandosi a negarne l’attendibilità, affermando anche che la Regione non avrebbe preso parte alla riunione.
Orbene, il Collegio non può, tuttavia, non dare atto che non risulta smentita l’effettuazione della riunione.
In particolare, emerge dallo stesso che alla riunione hanno partecipato: Vi. Va. Po. Ge. US. ed altri.
Il verbale riporta le criticità evidenziate da parte appellante nel secondo giudizio ed, in particolare, quanto alla eterogeneità dei punti di specialità, alla comparazione dei tempi e volumi dei macchinari differenti.
Tale circostanza corrobora la tesi dell’appellante, quanto meno, in ordine alla insufficienza dell’istruttoria e delle conclusioni svolte che non hanno tenuto in considerazione i rilievi degli specialisti intervenuti, in seno al DEP.
X – Come evidenziato già da questa Sezione(5 marzo 2020 sentenza n. 1637), la valutazione del fabbisogno, alla quale la legislazione nazionale vincola il rilascio dell’autorizzazione e dell’accreditamento poi, non può essere pertanto illimitata né schiudere la strada ad ingiustificate e sproporzionate restrizioni dell’iniziativa economica, senza trovare un ragionevole e proporzionato contro bilanciamento nella cura in concreto, da parte della pubblica amministrazione decidente, dell’interesse pubblico demandatole, mediante un adeguato apparato motivazionale a supporto del provvedimento, e nella presupposta, oggettiva, valutazione dell’interesse pubblico finalizzato alla tutela del diritto alla salute.
Orbene, nella specie tale apparato motivazionale, per quanto si qui si è specificato risulta contenere elementi di contraddizione con il dato fattuale e lacune istruttorie, tali da non poter confortare il raggiungimento dell’efficienza voluta dal legislatore, come sintesi delle diverse esigenze di razionale distribuzione delle risorse e di tutela della salute, prima di tutto.
XI – Inoltre, con riferimento agli ulteriori accreditamenti non trova giustificazione – per quanto sinora considerato – né la decisione di implementare gli operatori già esistenti, né l’amministrazione ha chiarito quale sia la posizione dell’INI, che risulterebbe (dalla documentazione agli atti del primo giudizio di appello) aver ottenuto l’accreditamento. In radice, peraltro, il limite sin qui fissato per l’accreditamento risulta viziato dalle lacune evidenziate nella stima del fabbisogno.

 

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La Sezione ha avuto occasione di precisare già che, ai fini dell’accreditamento “È richiesta quindi una valutazione del fabbisogno accurata ed attualizzata, che sia preceduta e sorretta una idonea istruttoria sull’esistenza di una determinata domanda sanitaria sul territorio e di una correlativa offerta da parte delle strutture private, senza che ciò si traduca di fatto in un illegittimo blocco, a tempo indeterminato, all’accesso del nuovo operatore sul mercato, con una indebita limitazione della sua libertà economica, che non solo non risponde ai criteri ispiratori dell’art. 8-ter, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, ma è contrario ai principi del diritto eurounitario affermati dalla Corte di Giustizia in riferimento alla pur ampia discrezionalità del legislatore in materia sanitaria” (n. 1637 del 2020 cit.).
X – Per quanto riguarda la domanda risarcitoria, che è riproposta in sede di appello, effettivamente – come riscontrato dal primo giudice – essa si appalesa generica.
Infatti, a fronte della produzione del decremento del fatturato dal 2009 al 2018, non è possibile direttamente individuare il nesso causale dall’emanazione dei decreti gravati. Peraltro, deve evidenziarsi che il decreto relativo alla revoca dell’autorizzazione al rimborso delle prestazioni in via indiretta era sospeso dal Tribunale amministrativo in sede cautelare. Ne discende che era rimessa alla valutazione dell’ASL competente l’autorizzabilità delle prestazioni richieste del rimborso nelle more.
Ancora, il diverso sistema, peraltro, non può essere ritenuto fattore determinante, non essendo possibile individuare l’incidenza del calo del fatturato eventualmente dovuta alla effettuazione di altre scelte da parte degli utenti.
XI – Per tutto quanto sin qui ritenuto, in riforma della sentenza n. 11271 del 2020 l’appello proposto da C.I. deve essere in parte accolto e per l’effetto devono essere annullati – quanto ai profili evidenziati – i dd.C.A. U00073/2018 e U00449/2019 gravati in primo grado con i motivi aggiunti.
Nulla deve essere disposto con riferimento agli atti endoprocedimentali.
Per il resto l’appello deve essere respinto.
XII – Passando dunque ad esaminare l’appello della Regione, non possono che ribadirsi le conclusioni già svolte con riferimento alla insufficienza della stima operata.
Ciò comporta l’infondatezza del secondo motivo di appello.
E conseguentemente, l’illegittimità del diniego opposto che trova il suo fondamento sull’asserita copertura del fabbisogno regionale.
A ciò si deve aggiungere la carenza istruttoria, quanto all’assunzione a supporto del diniego, dell’esame dell’intero territorio regionale, secondo quanto evidenziato dalla C.I. e dal primo giudice.
Devono ribadirsi anche in questo contesto le conclusioni già svolte con riferimento alla necessità di una completezza dell’istruttoria in sede di definizione del fabbisogno e dei conseguenti provvedimenti di accreditamento.
XIII – Ne consegue che l’appello della Regione avverso la sentenza n. 8626 del 2019 deve essere respinto, demandando all’Amministrazione il riesame della posizione dei richiedenti, alla luce della rinnovata istruttoria.
XIV – Le spese del presente grado di giudizio sono determinate in complessivi 4.000,00 (quattromila euro/00) ad appello, da liquidarsi a favore della parte appellante nel giudizio 8814/2020 e della parte appellata nel giudizio 6674/2019 e da porsi a carico della Regione Lazio e del Commissario ad acta in via solidale. Devono essere compensate le spese con riferimento alla ASL Roma 1.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, in riforma della sentenza n. 11271 del 2020 accoglie in parte l’appello proposto da C.I. e per l’effetto annulla – quanto ai profili evidenziati – i dd.C.A. U00073/2018 e U00449/2019 gravati in primo grado con i motivi aggiunti. Lo respinge per il resto.
Respinge l’appello della Regione avverso la sentenza n. 8626 del 2019 e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Condanna la Regione Lazio e del Commissario ad acta in via solidale al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che sono determinate in complessivi 4.000,00 (quattromila euro/00) ad appello, da liquidarsi a favore della parte appellante nel giudizio 8814/2020 e della parte appellata nel giudizio 6674/2019. Per il resto compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio da remoto del giorno 8 giugno 2021 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
Giovanni Tulumello – Consigliere

 

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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