Sequestro probatorio di materiale digitale

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 17 ottobre 2019, n. 42576.

Massima estrapolata:

In tema di sequestro probatorio di materiale digitale, i dati informatici acquistano la qualifica di “cose pertinenti al reato” se si faccia riferimento a questi come in stretto rapporto alla fattispecie di reato espressamente indicati nel decreto. Il giudice dovrà fare affidamento ad un consulente per estrarre esclusivamente quei dati che si ritengano di interesse e pertinenti al reato.

Sentenza 17 ottobre 2019, n. 42576

Data udienza 22 maggio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 11/10/2018 del Tribunale di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Giuseppe Noviello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Barberini Roberta Maria, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 11 ottobre 2018 il Tribunale di Bari, sezione del riesame, adito ai sensi dell’articolo 324 avverso il decreto di
convalida di sequestro probatorio della polizia giudiziaria, avente ad oggetto la mailbox in uso a (OMISSIS), emesso dal Pm del tribunale di Bari in data 9 luglio 2018, confermava l’anzidetto decreto.
2. Avverso la pronuncia del giudice della cautela propone ricorso per cassazione (OMISSIS) mediante il proprio difensore, che solleva due motivi di impugnazione, di cui il secondo articolato a sua volta in piu’ profili differenti.
3. Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per erronea applicazione dell’articolo 253 c.p.p. e articolo 324 c.p.p., comma 3, per avere il tribunale, a fronte della eccepita, dalla difesa, inutilizzabilita’ di una memoria depositata dal Pm nel corso dell’udienza camerale ed inammissibilita’ della allegata annotazione di pg, ritenuto infondata tale deduzione, cosi’ violando l’articolo 127 c.p.p., comma 2 – che sancisce il termine, non rispettato, di 5 giorni per il deposito di memorie – e articolo 324 c.p.p., comma 3 ai sensi del quale gli atti a supporto del provvedimento oggetto di riesame devo essere trasmessi entro il giorno successivo all’avviso di trasmissione degli stessi. Inoltre, sul punto il tribunale avrebbe omesso ogni motivazione.
4. Con il secondo motivo deduce i vizi ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) per erronea applicazione dell’articolo 253 c.p.p. e ss., oltre che per mancanza di motivazione. Preliminarmente il ricorrente ha riportato taluni passaggi motivazionali con cui il tribunale, in ordine al decreto – di convalida di sequestro adottato dal P.M. il 9.7.2018 (impugnato) e relativo al sequestro di pg della mailbox in uso a (OMISSIS), ha ritenuto legittimo tale atto siccome necessario per l’eventualita’ che la predetta mailbox contenesse documentazione estranea ai documenti oggetto di un precedente decreto di perquisizione e sequestro e siccome effettuato in conformita’ della legge processuale, senza che peraltro si fosse proceduto al sequestro di un intero archivio elettronico. Il ricorrente ha dichiarato di ritenere non corrette tali argomentazioni, osservando come il 6 luglio del 2018 la polizia giudiziaria procedente dava atto dell’ordine orale del PM di acquisire anche il contenuto della casella di posta elettronica del legale rappresentante della societa’ (OMISSIS) perche’ ritenuto utile ai fini delle indagini ed a fronte di cio’ la difesa aveva eccepito la nullita’ e/o inefficacia del successivo decreto di convalida trattandosi di attivita’ non consentita: cio’ in ragione della intervenuta configurazione, invero, di una “auto convalida” di un sequestro disposto dallo stesso PM e motivata in maniera differente da quanto indicato nel verbale di sequestro convalidato. In altri termini, il decreto di convalida del PM sarebbe inefficace perche’ il decreto di sequestro convalidato, siccome del PM, non richiedeva convalida. Conseguentemente, l’unico decreto di sequestro residuante sarebbe corredato della sola motivazione indicata nel verbale dalla guardia di Finanza del 6.7.2018, ossia “la mancata consegna dei documenti richiesti”, con correlata assenza di motivazione e configurazione di uno strumento normativamente non consentito per “esplorare” una casella di posta elettronica, con violazione di principi costituzionali e di norme processuali.
Ha quindi aggiunto che anche a voler qualificare il sequestro della casella di posta come attivita’ di polizia giudiziaria, il tribunale avrebbe formulato a sostegno della propria decisione una motivazione errata e carente, non comprendendosi a cosa si faccia riferimento nel precisare la limitazione del sequestro ai soli messaggi dell’archivio di posta elettronica rispetto “all’intero archivio elettronico” che non sarebbe stato invece interessato, ed inoltre avrebbe travisato il fatto, atteso che non vi sarebbe mai stato un rifiuto di consegnare documenti prima del disposto sequestro e convalida come riportato dal tribunale ne’ vi sarebbe stata estrazione solo di dati di interesse, perche’ sarebbe stata sequestrata l’intera casella email.
Inoltre, il decreto di convalida di sequestro sarebbe illegittimo per assenza dei presupposti – non essendo il (OMISSIS) indagato, non costituendo la corrispondenza sequestrata corpo del reato ne’ essendo pertinente al reato per essere ignoti i relativi contenuti, dovendosi altrimenti dilatare inammissibilmente l’ambito di estensione delle res sequestrabili – e per carenza di motivazione siccome consistente in una generica parafrasi dell’articolo 253 c.p.p., oltre che diversa da quella indicata nel verbale redatto dalla polizia giudiziaria.
Sul punto nulla avrebbe osservato il tribunale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
2. Quanto al primo motivo, la censura relativa al mancato rispetto del termine di cui all’articolo 127 c.p.p., comma 2, norma per la quale non e’ espressamente prevista una specifica sanzione processuale, e’ inammissibile poiche’ la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullita’, inutilizzabilita’, inammissibilita’ o decadenza, come espressamente disposto dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c). Quanto alla censura inerente la produzione di una annotazione di pg in violazione dell’articolo 324 c.p.p., comma 3, e’ anche essa inammissibile atteso l’inconferente richiamo procedimentale, in quanto, come sostanzialmente riconosciuto dallo stesso ricorrente, non si tratta di atti sulla base dei quali venne assunto il decreto di convalida impugnato in sede di riesame. Va ricordato altresi’, dovendosi riconoscere la piena legittimita’ della acquisizione ammessa dal tribunale, che alla stregua del disposto dell’articolo 309 c.p.p., comma 9, espressamente richiamato dall’articolo 324 c.p.p., comma 7, il tribunale decide “anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza”. Proprio nel rispetto di tale previsione legislativa, questa Corte ha costantemente affermato che in tema di misure cautelari reali, le parti possono presentare nel procedimento di riesame nuovi elementi direttamente all’udienza camerale mediante la produzione di documenti o altri elementi rappresentativi del fatto oggetto della decisione (Sez. 4, n. 33659 del 19/05/2010 Rv. 248344 – 01 Calo’).
L’adeguatezza giuridica della acquisizione censurata supera ogni altra censura motivazionale, sub specie di carenza di motivazione, peraltro proposta in maniera generica a fronte comunque di un’articolata motivazione giustificativa.
4. Riguardo al secondo motivo di impugnazione, esso e’ infondato in ordine alla censura incentrata sulla inconfigrabilita’ di una ritenuta “auto convalida” del decreto di sequestro del PM: a fronte di un sequestro della mailbox del (OMISSIS) non contemplato nell’originario provvedimento di perquisizione e sequestro del 5.7.2018, e quindi effettuato di iniziativa dalla polizia giudiziaria, deve ritenersi necessaria e corretta, come reputato dal tribunale del riesame, l’adozione del decreto di convalida del predetto sequestro da parte del PM. Invero, posto il principio per cui l’obbligo di motivazione che deve sorreggere, a pena di nullita’, il decreto di sequestro probatorio in ordine alla ragione per cui i beni possono considerarsi il corpo del reato ovvero cose a esso pertinenti e alla concreta finalita’ probatoria perseguita con l’apposizione del vincolo reale, deve essere modulato da parte del pubblico ministero in relazione al fatto ipotizzato, al tipo di illecito cui in concreto il fatto e’ ricondotto, alla relazione che le cose presentano con il reato, nonche’ alla natura del bene che si intende sequestrare. (cfr. Sez. 6 – n. 56733 del 12/09/2018 Rv. 274781 – 01 Macis), costituisce comprensibile corollario quello per cui l’esecuzione ad opera della polizia giudiziaria di un decreto con cui il Pubblico Ministero abbia ordinato la perquisizione e il sequestro delle cose pertinenti al reato, senza alcun’altra specificazione, comporta la necessita’ che il P.M. provveda alla convalida del sequestro, ai sensi dell’articolo 355 c.p.p., in quanto la predetta indeterminatezza rimette alla discrezionalita’ degli operanti l’individuazione del presupposto fondamentale del sequestro e cioe’ della qualifica dei beni come corpo del reato (o cose ad esso pertinenti), la quale richiede un controllo dell’autorita’ giudiziaria, pena l’inefficacia del vincolo probatorio e il sorgere dell’obbligo di restituzione delle cose sequestrate (Sez. 2, Sentenza n. 5494 del 28/01/2016 Rv. 266306 – 01 Bisogno; Sez. 3, n. 9858 del 21/01/2016 Rv. 266465 – 01 Yun). In tale contesto giuridico si riconduce il caso in esame, laddove pur a fronte, come sostenuto dalla difesa, di un ordine orale di sequestro del PM, il successivo vincolo imposto sulla mailbox, stante l’inevitabile carenza motivazionale, deve ritenersi effettuato dalla PG, con conseguente corretto ed inevitabile decreto di convalida del PM e, come rilevato dal tribunale, con motivazione tutt’altro che insussistente.
Quanto alla ulteriore censura di non condivisibilita’ della motivazione e di travisamento del fatto in ordine allo svolgimento dell’antefatto rispetto al momento del sequestro, si tratta di critiche inammissibili, non rientrando nel perimetro, rispettivamente, del ricorso in materia di misure cautelari reali e del ricorso per cassazione in generale. Quanto al primo aspetto infatti, riguardante al piu’ critiche, estremamente vaghe e generiche, di illogicita’ o contraddittorieta’, occorre ricordare come il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e’ ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (cfr. Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017 Rv. 269656 – 01 Napoli); in ordine a secondo profilo, si evidenzia come anche a seguito della modifica apportata all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimita’ il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018 Ud. (dep. 02/05/2018) Rv. 273217 – 01 Ferri).
Con riguardo all’ultima censura relativa al decreto di convalida, definito illegittimo dal ricorrente per assenza dei presupposti e carenza di motivazione, si rileva la manifesta infondatezza in quanto oggetto del presente giudizio e’ il provvedimento del tribunale del riesame, che non puo’ essere trascurato per censurare direttamente e nuovamente il decreto di convalida del PM.
Sopravvive quindi solo l’affermazione critica secondo cui il tribunale non avrebbe fornito sul punto alcuna motivazione. Censura da una parte inammissibile, attesa l’estrema genericita’ conseguente alla omessa analisi dei profili argomentativi dell’ordinanza da cui desumere una tale affermazione;
dall’altra superata dalla complessiva lettura dell’atto impugnato. Si premette in proposito il principio, valevole anche per le ordinanze cautelari, per cui in relazione ai requisiti della motivazione in genere, la sentenza costituisce un tutto coerente ed organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non puo’ essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione puo’ anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo, sia pure implicito (v. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012 (dep. 2013), Pg in proc. Spezzacatena e altri, Rv. 255096, conf. Sez. 5, n. 8411 del 21/5/1992, Chirico ed altri, Rv. 191487).
Inoltre, con validita’ per il generale tema delle misure cautelari, l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685).
Alla luce dei predetti principi, va osservato che nel caso di specie il tribunale, attraverso il richiamo alle disposizioni relative al sequestro di dati informatici quali “cose pertinenti al reato” e alla circostanza del riferimento, nel decreto di convalida, ad un ambito ristretto del piu’ ampio archivio telematico della societa’ del (OMISSIS), quale la casella di posta elettronica del medesimo (sul rilievo della ritenuta utilita’, secondo il PM, ai fini delle indagini), ha invero risposto alle censure del ricorrente: ha nella sostanza evidenziato come il sequestro abbia fatto riferimento a cose pertinenti al reato, riguardanti vertici societari, in rapporto alla fattispecie di reato espressamente indicata nel decreto medesimo. Tanto piu’ ove si osservi che si e’ premurato anche di rilevare la perfetta adeguatezza e strumentalita’, rispetto alla esigenza di reperire solo dati ricollegabili al reato per cui si procede, della scelta di procedere al sequestro della sola casella di posta, con affidamento ad un consulente del compito di estrare i dati di interesse; cosi’ alfine evidenziando, succintamente ma adeguatamente, la sussistenza e congruita’ della motivazione del PM – peraltro gia’ di per se’ adeguata nell’illustrazione dei presupposti del sequestro nel contesto investigativo in corso e quindi tutt’altro che di stile -, anche in ragione della genericita’ delle doglianze proposte, come risulta dalla avvenuta deduzione di un’istanza di riesame richiamante semplicemente l'”inesistenza dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento in oggetto”, allo stesso modo ribadita in udienza (cfr. verbale di udienza), senza proposizione, per quanto risulta agli atti del collegio, di nuovi e piu’ espliciti motivi, nonostante esplicita riserva.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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