Sequestro preventivo e l’onere di procedere

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46709.

La massima estrapolata:

Nel sequestro preventivo l’onere di procedere all’aggressione diretta del patrimonio non può trasformarsi in una probatio diabolica. La richiesta di sequestro preventivo per equivalente si distingue nettamente dalla richiesta di sequestro in forma specifica, con la conseguenza che, nel caso di proposizione in tempi successivi di entrambe le richieste la decisione sulla prima istanza non preclude l’esame di quella successiva, stante la diversità del petitum.

Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46709

Data udienza 28 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del 10-07-2017 del tribunale della liberta’ di Brindisi;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Vito Di Nicola;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Simone Perelli che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per i ricorrenti l’avvocato (OMISSIS), sostituto processuale degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari in data 21 giugno 2017 nei confronti, per quanto qui interessa, di (OMISSIS) e (OMISSIS) per il reato continuato di illecita compensazione di crediti inesistenti ex Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-quater.
2. Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza i ricorrenti, tramite i rispettivi difensori e con separati ricorsi, articolano i seguenti motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. (OMISSIS) affida il gravame a due motivi.
2.1.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 324 c.p.p., comma 7, nella parte in cui richiama l’articolo 309, comma 10, stesso codice (articolo 606 c.p.p., comma 11, lettera b).
Sostiene il ricorrente che nell’immediatezza dell’annullamento di un primo decreto di sequestro preventivo emesso per gli stessi fatti, il pubblico ministero aveva richiesto ed ottenuto dal giudice per le indagini preliminari un secondo decreto di sequestro preventivo gravato innanzi al tribunale del riesame.
Con il secondo titolo cautelare il G.I.P. si era limitato a disporre, oltre alla misura per equivalente (eventuale e subordinata), quella diretta nei confronti dell’ente (in concreto, delle varie Cooperative) ma in sostanza aveva reiterato il precedente decreto oggetto di annullamento.
Osserva il ricorrente che il caso in esame non costituisce ipotesi di rinnovazione di provvedimento a seguito di annullamento per motivi meramente formali, bensi’ nuovo provvedimento che si fonda su presupposti gia’ vagliati dal Tribunale del Riesame in sede di annullamento, aspetto la cui rilevanza non puo’ essere ignorata per il sol fatto che non tutti gli elementi siano stati tutti posti a base del provvedimento di accoglimento delle ragioni dei ricorrenti, essendo stati gli stessi comunque oggetto di specifico esame e, come tali, non utilizzabili in sede di rinnovazione della misura, pena la violazione della disposizione contenuta nell’articolo 309 c.p.p., comma 10.
Ne consegue che l’iniziativa cautelare del pubblico ministero era preclusa e, in presenza di un annullamento pronunciato dal tribunale del riesame sugli stessi fatti, al giudice per le indagini preliminari era inibita all’emanazione di un nuovo decreto di sequestro preventivo.
2.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’articolo 321 c.p.p., commi 1 e 2, e del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12-bis, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), sul rilievo che l’articolo 321 c.p.p., prevede che debba essere disposto il sequestro preventivo della cosa pertinente al reato, la cui libera disponibilita’ possa aggravarne o protrarne le conseguenze, ovvero agevolarne la commissione di ulteriori, nonche’ possa essere disposto il sequestro preventivo delle cose di cui e’ consentita la confisca (nella fattispecie, relativa ad ipotesi di reato tributario, ex Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12-bis), in quanto profitto o il prezzo del delitto.
Siccome le societa’ riconducibili al ricorrente non avevano, in un caso, poste attive di alcuna consistenza e, nell’altro caso, la disponibilita’ di poste attive era appena sufficiente alla copertura dei costi di gestione dell’attivita’ e del personale impiegato, il Tribunale non avrebbe mai potuto individuare la sussistenza di pericolo che la libera disponibilita’ di una cosa pertinente al reato potesse aggravarne o protrarne le conseguenze, ovvero agevolare la commissione di ulteriori illeciti, ne’ che vi fosse la possibilita’ di procedere alla confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, per inesistenza concreta di qualsivoglia cosa pertinente al reato che fosse ricaduta sotto il vincolo della misura cautelare in esame, nonche’ per impossibilita’ di individuare beni che potessero costituire il profitto o il prezzo del reato e, come tali, essere assoggettati a sequestro preventivo in vista dell’emanando provvedimento di confisca nella denegata ipotesi di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti.
2.2. (OMISSIS) affida il gravame a quattro motivi.
2.2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale e processuale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), con riferimento agli articoli 321 e 649) per violazione del principio del ne bis in idem cautelare.
Reiterando nella sostanza la medesima doglianza svolta con il primo motivo di ricorso dal (OMISSIS), il ricorrente osserva come, nel caso di specie, il GIP avesse emesso un nuovo decreto di sequestro:
a) in pendenza dei termini per impugnare il provvedimento del Tribunale del Riesame di Brindisi, che pertanto non poteva ancora dirsi definitivo;
b) allorquando detto provvedimento di dissequestro non era ancora stato eseguito;
c) in assenza di qualsivoglia elemento nuovo, con la conseguenza che tale modo di procedere avrebbe comportato la violazione dell’articolo 649 c.p.p. sul rilievo che non e’ consentita la moltiplicazione dei titoli cautelari relativa al medesimo oggetto ed all’interno del medesimo procedimento cosi’ da avere piu’ decreti di sequestro contemporaneamente efficaci per il medesimo fatto.
2.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), con riferimento all’articolo 321), sostenendo che il provvedimento del giudice per le indagini preliminari manchi di un’autonoma valutazione circa i presupposti per l’adozione del titolo cautelare.
Assume che, sulla doglianza sollevata in sede di riesame, il Tribunale cautelare avrebbe del tutto omesso di considerare che se e’ vero che il sequestro ai fini di confisca non richiede una particolare e stringente motivazione ulteriore rispetto alla mera confiscabilita’ dei beni, e’ altrettanto vero che, allorquando (come nel caso di specie) viene richiesto e disposto un sequestro cd. diretto, il relativo (autonomo) onere motivazionale deve essere comunque assolto. Il che non sarebbe avvenuto nel caso di specie, posto che il GIP ha evidenziato, in parte, motivi del tutto inconferenti rispetto alle esigenze di cautela e, in parte, avrebbe ricalcato pedissequamente, parola per parola, l’assunto del pubblico ministero.
2.2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettere b), con riferimento all’entita’ del profitto del reato e alla misura dei beni aggredibili.
Sostiene il ricorrente che il GIP ha disposto il sequestro preventivo anche per equivalente di somme di denaro o beni del valore corrispondente alla imposta evasa (nel caso della SFL Intonaci e del sig. (OMISSIS) pari ad Euro 62.691,39).
Tuttavia recentemente la giurisprudenza di legittimita’ ha stabilito che “in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (e di ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti) il profitto del reato consiste nel corrispondente risparmio di spesa e, in particolare, nelle disponibilita’ liquide giacenti sui conti del contribuente alla data di scadenza del termine per il pagamento e non versate. Ne consegue che il sequestro, per essere qualificato come finalizzato alla confisca diretta del danaro costituente il profitto del reato omissivo, non puo’ mai essere disposto, ne’ essere eseguito, per importi comunque superiori ai saldi attivi giacenti sui conti bancari e/o postali di cui il contribuente disponeva alla scadenza del termine per il pagamento.
Nel caso di specie il pubblico ministero non avrebbe proceduto ad alcuna verifica circa l’entita’ delle somme disponibili sui conti correnti dell’impresa al momento dell’omesso versamento, sicche’ il sequestro operato per l’intero ammontare dell’imposta evasa contrasta con il suddetto principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimita’, che ha anche chiarito come tale orientamento non collida con i principi affermati dalle sentenze rese a Sezioni Unite (Gubert e Lucci) che riguardano le diverse ipotesi in cui “le disponibilita’ monetarie del percipiente si siano accresciute” della somma che costituisce il profitto del reato.
2.2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) con riferimento all’articolo 321 stesso codice) sul rilievo che il sequestro per equivalente ha natura sussidiaria rispetto a quello diretto da eseguirsi a carico del soggetto (persona fisica o giuridica) che abbia conseguito il profitto del reato, con la conseguenza che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto puo’ essere disposto sui beni personali degli amministratori solo nell’ipotesi in cui il profitto (o i beni ad esso direttamente riconducibili) non sia piu’ nella disponibilita’ della persona giuridica, sicche’, il Pubblico Ministero e’ legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo per “equivalente”, invece che in nella forma “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Nel caso di specie, il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari non si sarebbero affatto attenuti a detti principi, posto che ne’ tra gli atti di indagine (quanto meno tra quelli legittimamente utilizzabili in quanto disposti prima della emissione dell’avviso di conclusione delle indagini), ne’ nei provvedimenti emessi (richiesta e decreto di sequestro) vi e’ traccia di una sia pure approssimativa verifica dell’incapienza del patrimonio sociale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi non sono fondati nei limiti di seguito precisati.
2. Il Collegio cautelare ha premesso che la Guardia di Finanza di Francavilla Fontana aveva sottoposto a controllo la (OMISSIS) soc. coop. a r.l. e, in quella occasione, era emerso che la suddetta societa’ aveva effettuato delle compensazioni di credito d’imposta utilizzando il codice tributo 6700 e 2300 (Ires a saldo) per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016, per importi tutti superiori a 50.000 Euro, eccezion fatta per l’anno 2013.
Dal momento che il codice tributo 6700 poteva essere utilizzato sino all’anno 2000 e, quindi, non ne era consentito l’impiego per gli anni di imposta successivi ed oggetto di verifica, gli inquirenti – evidenziato altresi’ che la societa’ non era in grado di fornire in copia ne’ l’istanza necessaria per ottenere il riconoscimento del credito d’imposta e neppure altro analogo provvedimento – chiedevano alla tenutaria delle scritture contabili della societa’ (rag. (OMISSIS)) la descrizione dell’iter seguito per effettuare la suddetta compensazione e costei si limitava a consegnare un articolo, tratto da internet, che riepilogava la normativa in subiecta materia.
A quel punto, la Guardia di Finanza verifico’ la compensazione dei crediti d’imposta effettuata da tutte le societa’ cooperative edili, tra gli anni 2012 e 2016, la cui contabilita’ era affidata alla predetta (OMISSIS) e, a seguito di tale accertamento, emerse che la societa’, amministrata dai ricorrenti, aveva utilizzato, unitamente ad altre 18 societa’, lo stesso modus procedendi, costituito dall’inserimento, mediante forzatura del sistema telematico, del codice tributo 6700 e 2300 (Ires a saldo).
Emerse pure che, pur considerando le sole indebite compensazioni superiori ai 50.000 Euro negli anni 2012 – 2016, l’ingiusto profitto ammontava a 1.911.245,22 Euro, comprensivo anche dell’indebito utilizzo del codice tributo 2003 (Ires a saldo), dal momento che nessuna delle societa’ cooperative sottoposte a controllo aveva esibito copia dei versamenti in acconto dai quali si potesse desumere un eventuale credito Ires, ne’ risultavano, pur in presenza di un debito Ires, maggiori versamenti d’imposta, si’ da ammettere un credito Ires suscettibile di compensazione.
Sulla scorta delle suddette emergenze indiziarie, il pubblico ministero chiese ed ottenne decreto di sequestro preventivo, nei confronti degli amministratori delle singole societa’ cooperative, avente ad oggetto gli importi in denaro, nella loro disponibilita’, pari all’ingiusto profitto conseguito dalla societa’ mediante il reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-quater commesso dai suoi amministratori, ovvero dei beni, sempre nella disponibilita’ dei predetti indagati, il cui valore fosse equivalente all’entita’ dell’ingiusto profitto conseguito attraverso la consumazione del reato tributario.
Il provvedimento, con il quale venne imposto il vincolo cautelare reale, fu tuttavia annullato dal Tribunale del Riesame, con ordinanza del 19 giugno 2017, dal momento che il pubblico ministero avrebbe dovuto indirizzare la propria azione cautelare anzitutto sui beni delle societa’ coinvolte e solo in caso di incapienza o impossibilita’ di apprensione del profitto diretto del reato, sui beni nella disponibilita’ degli indagati.
Il pubblico ministero, uniformandosi alla decisione del Giudice dell’impugnazione, riesercito’ l’azione cautelare, richiedendo una nuova misura reale e ribadendo le argomentazioni gia’ articolate nella prima richiesta di sequestro preventivo sia con riferimento al fumus criminis che al periculum in mora, ravvisato, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 1, nella perdurante indisponibilita’ delle somme da parte dell’Erario e, ai sensi dell’articolo 321, comma 2, stesso codice, sul rilievo che si trattava di beni per i quali era prevista la confisca obbligatoria.
Il Gip, aderendo alla richiesta del pubblico ministero, emise, in data 21 giugno 2017, un nuovo decreto di sequestro preventivo delle somme di denaro che fossero risultate nella disponibilita’ delle cooperative (anche quale sequestro finalizzato alla confisca diretta con reperimento delle somme sui conti correnti bancari di cui le cooperative fossero risultate intestatarie, come gia’ accertato dalla Guardia di Finanza con nota dell’8 giugno 2017), ovvero, qualora l’aggressione delle casse dell’ente fosse risultata impossibile per l’intero ammontare del profitto, dispose il sequestro preventivo, fino al raggiungimento del profitto conseguito e specificamente indicato nel provvedimento cautelare, delle somme che fossero risultate nella disponibilita’ degli indagati (da reperire eventualmente sui conti correnti bancari di cui gli stessi fossero risultati titolari) o dei beni di cui gli indagati avessero avuto la disponibilita’ per un valore corrispondente al profitto del reato, ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis.
3. Sulla base di tale ricostruzione fattuale, neppure contestata specificamente con i ricorsi, il primo motivo di gravame di entrambe le impugnazioni e’ del tutto infondato.
Allo stesso modo e’ infondato il quarto motivo di gravame del ricorso (OMISSIS) che, in quanto collegato ai profili da esaminare, va congiuntamente valutato.
3.1. Infatti, il petitum della seconda richiesta di sequestro preventivo, come gli stessi ricorrenti ammettono, e’ completamente diverso dal petitum della prima richiesta che innesco’ il provvedimento cautelare poi annullato dal Tribunale del riesame.
Inizialmente, il pubblico ministero aveva chiesto ed ottenuto il sequestro per equivalente esclusivamente con riferimento ai beni nella disponibilita’ dei rappresentanti legali della societa’, ossia di coloro che erano ritenuti gli autori del fatto criminoso, senza dare conto dell’impossibilita’, quantunque transitoria, di ricorrere al sequestro in forma diretta del profitto del reato.
A seguito dell’ordinanza di annullamento della misura, il pubblico ministero avrebbe potuto impugnare il provvedimento o valutare la possibilita’ di reiterare la richiesta cautelare.
L’organo dell’accusa ha optato per la seconda alternativa ed i ricorrenti insorgono sostenendo che l’azione cautelare era preclusa dal “giudicando cautelare” determinato dall’annullamento operato dal tribunale del riesame, cosicche’ non poteva essere richiesto ed adottato un nuovo provvedimento restrittivo per il medesimo fatto e nei confronti delle stesse persone in pendenza dei termini per l’impugnazione dell’ordinanza di annullamento.
Il rilievo e’ infondato perche’, avuto riguardo alle precedenti considerazioni e dunque alle ragioni dell’annullamento del primo sequestro nonche’ alla diversita’ del petitum cautelare posto a fondamento della prima e della seconda richiesta, il principio secondo cui la regola del “ne bis in idem cautelare” preclude che possa essere nuovamente adottato un provvedimento della stessa specie in presenza di una decisione giurisdizionale non impugnata o non piu’ soggetta ad impugnazione, vale solo quando sia stata esclusa nella fattispecie esaminata la sussistenza delle condizioni generali giustificanti l’adozione della misura o siano state ritenute mancanti le altre condizioni dell’azione (legittimazione ed interesse ad agire) e sempre che rimanga immutato, in assenza cioe’ di “nova”, lo stato di fatto processuale che ha originato la precedente decisione.
Ne’ puo’ ritenersi operante il divieto del “ne bis in idem cautelare” quando la nuova iniziativa sia fondata, come nella specie, su un petitum sostanzialmente, sia pure parzialmente, diverso da quello posto a fondamento di una precedente richiesta cautelare e l’annullamento della misura sia stato disposto, situazione nella specie ricorrente, proprio in forza dell’errata formulazione del petitum.
Neppure e’ sostenibile l’esistenza di una preclusione dovuta alla contemporanea pendenza dei termini per impugnare il provvedimento del tribunale del riesame di annullamento del decreto di sequestro preventivo da parte del pubblico ministero, potendo quest’ultimo, in pendenza dei termini per esercitare una impugnazione incidentale “de libertate”, azionare, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto, una nuova iniziativa cautelare fondata su un petitum, in tutto o in parte, diverso (e, quindi, nuovo) rispetto a quello precedentemente azionato o sulla base di nuovi elementi, fermo restando che, effettuata la scelta di reiterare l’azione cautelare in base ai nova, resta preclusa la possibilita’ di proporre l’impugnazione cautelare e viceversa.
A queste conclusioni si giunge sul rilievo che l'”idem” il cui “bis” e’ precluso non puo’ concretarsi ed esaurirsi, in ambito cautelare, come avviene invece nel processo cognitivo, nella mera identita’ del fatto, ma ricomprende necessariamente anche l’identita’ degli elementi posti (e valutati) a sostegno o a confutazione di esso e della sua rilevanza cautelare (Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini, in motiv.).
3.2. Infatti, nei reati tributari, non e’ possibile disporre il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente del profitto conseguito dalla persona giuridica attraverso il reato tributario commesso da parte del legale rappresentante dell’ente, ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, articolo 19, perche’ il citato D.Lgs., articolo 24 e ss. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, con esclusione dell’ipotesi, nel caso in esame non sussistente, in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti (Sez. 3, n. 1256 del 19/09/2012, dep. 2013, Unicredit, Rv. 254796).
D’altro canto, il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12-bis – e, prima ancora, la L. 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143, nonche’ l’articolo 322-ter c.p. – configurano, dal punto di vista strutturale, la confisca di valore – e, quindi, il sequestro finalizzato a tale tipologia di confisca – come residuale, ossia sussidiaria, rispetto alla confisca diretta o in forma specifica, che invece colpisce specificamente il prezzo o il profitto del reato, il quale ultimo e’ costituito da qualsivoglia vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata (cd. nesso di pertinenzialita’) dalla commissione dell’illecito (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264436) e puo’, dunque, essere individuato anche nei beni acquisiti con l’impiego dell’immediato profitto del reato (cd. surrogati) ovvero puo’ consistere, come spesso accade nei reati tributari, anche in un risparmio di spesa.
Da cio’ consegue che il sequestro e la confisca di valore sono una conseguenza non solo eventuale, ma residuale del reato, perche’ praticabile solo quando non sia possibile procedere con la confisca diretta del profitto o del prezzo del crimine.
Per questa ragione, il sequestro del “provento” del reato costituisce il primo obiettivo cautelare che il pubblico ministero deve obbligatoriamente perseguire in subiecta materia.
Infatti, la confisca per equivalente – caratterizzandosi per il fatto che puo’ ricadere su beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosita’ della res o con la pericolosita’ individuale del soggetto, non hanno neppure alcun collegamento diretto con il reato – non richiede la prova della sussistenza del nesso di pertinenzialita’ della res rispetto al reato, essendo assoggettabili a confisca beni nella disponibilita’ dell’imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Sez. 6, n. 11902 del 27/01/2005, Baldas, Rv. 231234), perseguendo il legislatore, in tal modo, l’obiettivo di privare il reo di un qualunque beneficio sul versante economico, nella convinzione della portata disincentivante di questo genere di previsione sanzionatoria.
Su queste basi, la giurisprudenza di legittimita’, con orientamento al quale occorre dare continuita’, ha affermato che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato, e’ legittimamente adottato sole se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell’attivita’ illecita non siano rinvenuti nella sfera giuridico – patrimoniale dell’indagato (Sez. 5, n. 46500 del 19/09/2011, Lampugnani, Rv. 251205) o, nel caso di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, non sono rinvenuti nella sfera patrimoniale dell’ente che ha tratto beneficio del profitto del reato e nel cui interesse il reato tributario e’ stato commesso.
Ne consegue che, oltre alla ravvisabilita’ di uno dei reati per i quali tale vincolo e’ consentito e alla non appartenenza dei beni a persona estranea al reato, il sequestro preventivo per equivalente, richiede, per la legittimita’ della sua adozione, che nella sfera giuridico – patrimoniale di chi abbia conseguito l’indebito vantaggio patrimoniale non sia stato rinvenuto, per una qualsivoglia ragione, il prezzo o il profitto del reato.
Logico corollario di tali affermazioni e’ che il carattere residuale della confisca del tantundem rispetto a quella diretta comporta che, di regola, la prima in tanto e’ possibile se ed in quanto sia stato previamente e vanamente esperito, pur senza necessita’ di una preventiva ricerca generalizzata del provento, il tentativo di rinvenire il prezzo o il profitto originario del reato nella sfera giuridico patrimoniale di chi ha tratto il beneficio dall’illecito (solitamente il suo autore o la persona giuridica, nel caso di reati tributari commessi dal legale rappresentante, fatta salva l’ipotesi della “societa’ schermo”), con la conseguenza che lo spostamento della misura dal profitto o prezzo del reato ad altro bene, di pari valore ma ricadente nella disponibilita’ del reo, e’ consentito esclusivamente invia residuale rispetto all’esperibilita’ della confisca diretta, pur dovendosi considerare che l’impossibilita’ del sequestro del profitto del reato (sequestro cd. diretto o in forma specifica) puo’ essere anche solo transitoria, senza percio’ che sia necessaria, come si e’ anticipato, la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato perche’, versandosi in materia di misura cautelare reale, non e’ possibile pretendere la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato, in quanto, durante il tempo necessario per l’espletamento di tale ricerca, potrebbero essere occultati gli altri beni suscettibili di confisca per equivalente, cosi’ vanificando ogni esigenza di cautela (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258648).
Infatti, quando il sequestro interviene in una fase iniziale del procedimento, non si puo’, di solito, stabilire se sia possibile o meno la confisca dei beni che costituiscono il prezzo od il profitto di reato, previa loro certa individuazione (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, in motiv.).
Sul presupposto che tale impossibilita’ non deve necessariamente essere assoluta e definitiva, ma puo’ riguardare anche un’impossibilita’ transitoria o reversibile, purche’ esistente nel momento in cui la misura cautelare reale viene richiesta e disposta, e’ stato affermato che la possibile precarieta’ di tale circostanza condiziona di fatto anche l’onere di motivazione del provvedimento cautelare, che va limitato al richiamo della, sia pur momentanea, indisponibilita’ del bene, senza che sia necessario dare dettagliatamente conto delle attivita’ volte alla ricerca dell’originario prodotto o profitto del reato (Sez. 3, n. 41072 del 30/09/2015, Granato, non mass.; Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, cit.; Sez. 2, n. 19662 del 17/04/2007, D’Antuono, Rv. 236592), in quanto, se l’adozione della cautela fosse condizionata alla completa esecuzione di tali ricerche, la funzione cautelare del sequestro potrebbe essere facilmente elusa durante il tempo occorrente per il compimento delle indagini compiute o da compiersi in proposito, di talche’ deve ammettersi che, ai limitati fini della cognizione sommaria, l’indicazione d’irreperibilita’ del profitto o prezzo del reato deve possedere un limitato grado di specificita’, coerente con lo stadio piu’ o meno embrionale nel quale si trova il procedimento.
Da cio’ deriva che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo, senza che occorra previamente richiedere il sequestro in forma specifica, solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili, e la motivazione che lo dispone dia conto di tale impossibilita’, con la precisazione che, da un lato, non e’ necessario un approfondito accertamento quale presupposto della richiesta cautelare di un sequestro preventivo per equivalente e, dall’altro, il pubblico ministero non ha una libera scelta tra il sequestro diretto e quello per equivalente ma, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, puo’ chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della societa’ o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di allegare, se in suo possesso (ovviamente), elementi dai quali risulti la possibilita’ di disporre il sequestro in forma diretta (Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Scognamiglio, Rv. 265028; Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014, dep. 2015, Bartolini, Rv. 261929) e senza che cio’ si risolva in una inversione dell’onere della prova a carico del soggetto indagato.
Sulla base di tali approdi, questa Sezione ha sostenuto che la fase della ricerca del profitto cd. diretto si esaurisce inevitabilmente nel periodo coincidente con la fase genetica della cautela reale ed immediatamente dopo la sua applicazione, perche’ il sequestro per equivalente nei confronti dell’autore del reato, e soprattutto il suo mantenimento, supera la questione della reperibilita’ del profitto diretto da parte della persona giuridica in quanto l’aggressione dei beni per equivalente postula (essendo diversamente il sequestro illegittimo) l’impossibilita’ genetica o funzionale, quantunque in ipotesi transitoria, di ricorrere al sequestro diretto.
Sotto tale ultima prospettiva, e’ stato affermato (Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, D’Agostino, in motiv.) che l’impossibilita’ di disporre il sequestro in forma specifica e’ genetica quando – prima che sia stata esercitata l’azione cautelare e prima che sia stato disposto il sequestro per equivalente, avendo il pubblico ministero svolto indagini per la ricerca del profitto del reato – risulta, ex actis, che il profitto del reato non e’ rintracciabile presso la persona giuridica, cosicche’ residua solo la possibilita’ di una richiesta di sequestro per equivalente. In tal caso, il pubblico ministero, avendo previamente dimostrato l’impossibilita’ genetica di poter vincolare il profitto del reato, non e’ obbligato a richiedere il sequestro diretto.
Invece, l’impossibilita’ di ricorrere al sequestro in forma specifica e’ funzionale quando, esercitata l’azione cautelare, il pubblico ministero abbia chiesto al giudice il sequestro del profitto o del prezzo del reato nei confronti della persona giuridica e quello per equivalente nei confronti della persona fisica imputata del reato tributario e – disposta dal giudice tanto l’una, quanto l’altra forma di sequestro a condizione che, in fase di esecuzione, sia eseguito prima il sequestro diretto e, in caso di irreperibilita’ del profitto, il sequestro per equivalente – non sia stato rintracciato presso la persona giuridica, in tutto o in parte, il profitto del reato o, comunque, risulta, ex actis, sulla base di accertamenti eventualmente compiuti dopo l’esercizio dell’azione cautelare e prima dell’eventuale emissione del decreto di sequestro- preventivo, che presso la persona giuridica non sia rintracciabile il profitto del reato tributario commesso nell’interesse dell’ente.
E proprio perche’ il pubblico ministero, per la tutela delle ragioni cautelari, puo’ pretermettere la preventiva ricerca generalizzata e precisa dei beni da sequestrare, riservandosene l’accertamento e l’individuazione dopo l’esercizio dell’azione cautelare o dopo aver ottenuto la misura e cosi’ configurandosi, all’esito, l’impossibilita’ funzionale di procedere al sequestro in forma specifica, la giurisprudenza di legittimita’ e’ compatta nel ritenere che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento non e’ tenuto ad individuare concretamente i beni da sottoporre alla misura ablatoria, ma puo’ limitarsi a determinare la somma di denaro che costituisce il profitto o il prezzo del reato o il valore ad essi corrispondente, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al “quantum” indicato nel sequestro e’ riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero (Sez. 6, n. 53832 del 25/10/2017, Cavicchi, Rv. 271736; Sez. 2, n. 24785 del 12/05/2015, Monti, Rv. 264282; Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, dep. 2015, Giallombardo, Rv. 262893; Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014, Chidichimo, Rv. 260148; Sez. 3, n. 20776 del 06/03/2014, Hong, Rv. 259661; Sez. 2, n. 35813 del 29/05/2013, Scimemi, Rv. 256827).
In definitiva, deve ritenersi che l’onere di procedere, da parte dell’accusa, all’aggressione diretta del profitto del reato non puo’ trasformarsi in una probativo diabolica, nel senso che, per dimostrare l’impossibilita’ di procedere al sequestro in via diretta, non devono ritenersi necessari accertamenti specifici e capillari, sebbene ne sia auspicabile il preventivo compimento quando cio’ non comporti pregiudizio per il perseguimento delle esigenze cautelari.
Stando cosi’ le cose, la richiesta di sequestro preventivo “per equivalente” avanzata direttamente ed esclusivamente nei confronti del reo, che implica la prova cautelare, nei sensi in precedenza precisati, dell’impossibilita’ di procedere al sequestro del profitto del reato, si distingue nettamente, per diversita’ di oggetto e di presupposti, dalla richiesta congiunta (a questo punto necessaria in quanto, in assenza di accertamenti, non si puo’ ancora sapere se sia possibile o meno porre il vincolo sul profitto del reato) di sequestro in forma specifica e, in via residuale, per equivalente, con la conseguenza che, nel caso di proposizione in tempi successivi di entrambe le richieste da parte del pubblico ministero, la decisione sulla prima istanza, che non abbia investito, come nella specie, il merito della richiesta cautelare, non preclude l’esame di quella successiva, stante la diversita’ del petitum, che nel primo caso presuppone, in partenza, l’impossibilita’, sia pure transitoria e reversibile, di procedere al sequestro cd. “diretto”, mentre nel secondo caso, riservando alla fase esecutiva o ad un momento successivo all’esercizio dell’azione cautelare l’accertamento circa l’impossibilita’ di procedere al sequestro in forma specifica, deve necessariamente prevedere, in primis, il sequestro “diretto” perche’ “e’ sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non e’ possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilita’, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto” (articolo 12-bis, comma 1, decreto legislativo n. 74 del 2000).
4. Sono infondati anche il secondo motivo del ricorso (OMISSIS) nonche’ il secondo ed il terzo motivo del ricorso (OMISSIS) che, essendo tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati.
In tema di omesso versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-quater, il profitto del reato e’ costituito dal risparmio di spesa corrispondente all’ammontare del tributo non versato, pari all’imposta evasa nella sua totalita’ (Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014, dep. 2015, Libertone, Rv. 262394).
Essendo stato il sequestro disposto sulle somme di denaro esistenti sui conti delle societa’, il vincolo preventivo deve ritenersi eseguito in forma specifica, in quanto il risparmio di spesa, rappresentando il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito, costituisce il profitto del reato di indebita compensazione di crediti inesistenti.
Trattandosi poi di profitto costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui la societa’ abbia la disponibilita’, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione causale (cd. nesso di pertinenzialita’) tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437).
Neppure e’ risultato, al di la’ delle generiche, e percio’ non ammissibili, affermazioni dei ricorrenti, che le somme di denaro sequestrate non fossero nella disponibilita’ della persona giuridica, allorquando fu commesso il reato produttivo del beneficio economico del quale la persona giuridica si e’ avvantaggiata per effetto del delitto commesso dal legale rappresentante nell’esclusivo interesse della societa’.
Trattandosi infine di sequestro del profitto del reato, suscettibile di confisca obbligatoria, il “periculum in mora” coincide con la confiscabilita’ del bene.
Ne consegue che, con cio’ assorbito ogni altro rilievo, neppure e’ fondata la doglianza secondo la quale il decreto di sequestro non contiene l’autonoma valutazione delle esigenze cautelari.
5. Sulla base delle precedenti considerazioni, i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti pertanto condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

Avv. Renato D’Isa