Sequestro preventivo sui beni del legale rappresentante

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 29 ottobre 2018, n. 49199.

La massima estrapolata:

La commissione di un reato tributario da parte del legale rappresentante autorizza la misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sui suoi beni quando non sia fornita la prova di beni nella disponibilità della persona giuridica.

Sentenza 29 ottobre 2018, n. 49199

Data udienza 18 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. SOCCI Angelo M. – rel. Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 31/10/2017 del TRIB. LIBERTA’ di TARANTO;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI;
sentite le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI: “Inammissibilita’ del ricorso”;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), sost. proc., che ha chiesto “Accoglimento del ricorso”.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Taranto, in sede di riesame, con ordinanza del 31 ottobre 2017, ha rigettato l’istanza di riesame di (OMISSIS) (titolare della ditta (OMISSIS) s.r.l.), avverso il decreto di sequestro preventivo per equivalente, del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, dell’11 ottobre 2017, relativamente al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, fino alla concorrenza di Euro 257.770,07.
2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), tramite difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. Mancanza ed illogicita’ della motivazione.
Il controllo del giudice del riesame non deve limitarsi alla semplice sussistenza dell’astratta configurabilita’ del reato, ma deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali, indicando le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e un plausibile giudizio prognostico negativo per l’indagato, anche relativamente all’elemento soggettivo del reato.
Per il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, il dolo richiesto e’ specifico, si richiede, infatti, che il soggetto agisca con il fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto; il dolo specifico deve accertarsi anche con riferimento alle soglie di punibilita’, quali elementi costitutivi del reato. Nel caso in giudizio la verifica fiscale ha riguardato altri anni di imposta, senza superamento delle soglie di punibilita’; le soglie sarebbero state superate solo per il 2014.
Il provvedimento impugnato sul punto e’ affetto da carenza ed illogicita’ della motivazione, posto che, non solo non sono stati analizzati gli elementi indicati nell’istanza di riesame ma, al contrario, ne sono stati valorizzati altri, in contrasto con i principi enucleati dalla Corte di Cassazione.
Inoltre il Pubblico Ministero aveva l’onere di aggredire direttamente i beni della societa’, il profitto del reato, prima del sequestro per equivalente nei confronti del ricorrente. Il sequestro per equivalente, infatti, e’ possibile solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, o quando i beni della societa’ non siano aggredibili.
L’ordinanza del Tribunale del riesame richiama una vecchia giurisprudenza del 2014, non pertinente, e peraltro superata. Sul punto, quindi, la motivazione del provvedimento impugnato, oltre ad essere superficiale e lacunosa, si presenta anche illogica, posto che la commissione di tutti i reati tributari, non solo di quello contestato al ricorrente, si sostanziai per la societa’) in un risparmio di imposta, e dunque mai in denaro corrente. Seguendo la tesi prospettata dal Tribunale del riesame, di fatto, tutta la recentissima giurisprudenza di legittimita’ sul punto, non sarebbe applicabile in nessun caso concreto, e il Pubblico Ministero dovrebbe sempre, e solo, richiedere il sequestro per equivalente. La motivazione del provvedimento impugnato, pertanto, e’ viziata.
Ha chiesto pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ fondato, e l’ordinanza impugnata deve annullarsi senza rinvio, unitamente al decreto di sequestro del Giudice per le indagini preliminari, disponendo la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto.
Quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, e’ legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilita’ di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilita’ della persona giuridica nei cui confronti disporre la confisca diretta. (Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 – dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 265158). Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente puo’ essere disposto anche quando l’impossibilita’ del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purche’ sussistente al momento della richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata. (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 258648).
Il sequestro per equivalente puo’, quindi, essere chiesto, ed effettuato, solo quando sia impossibile, in fatto, il sequestro diretto di beni della societa’: “In caso di reati tributari commessi dall’amministratore di una societa’, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente puo’ essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato” (Sez. 4, n. 10418 del 24/01/2018 – dep. 07/03/2018, Rubino, Rv. 27223801).
Nel nostro caso con il decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto, dell’11 ottobre 2017, e’ stato disposto il sequestro preventivo per equivalente nei confronti del ricorrente (fino alla concorrenza della somma di Euro 257.770,07), senza nessuna analisi, in fatto, della possibilita’ concreta del sequestro diretto nei confronti della societa’ (OMISSIS) s.r.l..
Il Giudice per le indagini preliminari esclude in radice la possibilita’ del sequestro preventivo diretto nei confronti della societa’ per le ipotesi di reato Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 5: “perche’ il profitto consiste nel mancato versamento dell’imposta e dunque in un’entita’ immateriale che non si e’ mai incorporata in moneta contante e che non ha mai comportato un afflusso diretto di denaro nelle casse della societa’ non potra’ mai procedersi al sequestro (ai fini di confisca) in forma diretta, ma solo esclusivamente nella forma per equivalente”.
Cosi’ non e’, in quanto “Il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito” (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 – dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 26443601).
Inoltre, “Qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilita’, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato” (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 – dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 26443701).
E’ pur vero che parte della giurisprudenza, peraltro minoritaria, della Cassazione, esclude il sequestro preventivo diretto del denaro relativamente al mancato esborso di somme a titolo di imposte: “In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il profitto del reato tributario che si sostanzia in un mancato esborso dell’imposta dovuta, consistendo in una posta contabile di natura immateriale, mai convertita in moneta contante, non puo’ costituire oggetto di sequestro diretto, ma solo nella forma per equivalente” (Sez. 3, n. 49631 del 30/05/2014 – dep. 28/11/2014, P.M. in proc. Guarracino, Rv. 26114801).
Tuttavia deve evidenziarsi che il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito; conseguentemente il mancato pagamento delle imposte (per omessa dichiarazione) comporta un vantaggio economico, derivante dal risparmio delle somme non versate all’erario. E, pertanto, il denaro eventualmente esistente nelle casse dell’ente puo’ e deve sequestrarsi in via diretta, ove possibile.
La questione della confisca diretta del denaro e’ stata efficacemete chiarita dalla Sentenza Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014 – dep. 05/03/2014, Gubert, Rv. 25864701: “E’ legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto nella disponibilita’ di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo legale rappresentante, non potendo considerarsi l’ente una persona estranea al detto reato”.
Quanto alla determinazione del profitto in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, e’ costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e puo’, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario. (Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036 in tema di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11).
Nello stesso senso e’ stato chiarito che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile, anche nelle forme per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, va individuato nella riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio su cui il fisco ha diritto di soddisfarsi e, quindi, nella somma di denaro la cui sottrazione all’erario viene perseguita, non importa se con esito favorevole o meno, attesa la struttura di pericolo del reato. (Sez. 3, n. 33184 del 12/06/2013, Abrusci, Rv. 256850; conf. nn. 33185, 33186, 33187, 33188 del 2013 non massimate).
Va anzitutto sottolineato che la confisca diretta del profitto di reato e’ istituto ben distinto dalla confisca per equivalente. Deve essere tenuto ben presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non e’ confisca per equivalente, ma confisca diretta. La giurisprudenza di legittimita’ ha infatti affermato che, nel caso in cui il profitto del reato di concussione sia costituito da denaro, e’ legittimamente operato in base alla prima parte dell’articolo 322 ter c.p., comma 1, il sequestro preventivo di disponibilita’ di conto corrente dell’imputato. (Sez. 6, n. 30966 del 14/06/2007, Puliga, Rv. 236984). Qualora il profitto tratto da taluno dei reati per i quali e’ prevista la confisca per equivalente sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non e’ subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilita’ dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare. (Sez. 3, n. 1261 del 25/09/2012, dep. 2013, Marseglia, Rv. 254175. Fattispecie in tema di reati tributari). E’ pertanto ammissibile il sequestro preventivo, ex articolo 321 c.p.p., qualora sussistano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare cio’ che proviene dal reato e che si e’ cercato di nascondere con il piu’ semplice degli artifizi. (Sez. 6, n. 23773 del 25/03/2003, Madaffari, Rv. 225757). Infatti, in tema di sequestro preventivo, nella nozione di profitto funzionale alla confisca rientrano non soltanto i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilita’ che sia conseguenza, anche indiretta o mediata, dell’attivita’ criminosa. (Sez. 2, n. 45389 del 06/11/2008, Perino, Rv. 241973). La trasformazione che il denaro, profitto del reato, abbia subito in beni di altra natura, fungibili o infungibili, non e’ quindi di ostacolo al sequestro preventivo il quale ben puo’ avere ad oggetto il bene di investimento cosi’ acquisito. Infatti il concetto di profitto o provento di reato legittimante la confisca e quindi nelle indagini preliminari, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, i(suddetto sequestro, deve intendersi come comprensivo non soltanto dei beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilita’ per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma altresi’ di ogni altra utilita’ che lo stesso realizza come conseguenza anche indiretta o mediata della sua attivita’ criminosa. (Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, dep. 1995, Giacalone, Rv. 200855. Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che legittimamente fosse stato disposto dal g.i.p. il sequestro preventivo di un appartamento che, in base ad elementi allo stato apprezzabili, era risultato acquistato con i proventi del reato di concussione). Le Sezioni Unite avevano, del resto, ritenuto che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’articolo 322 ter c.p., costituisce “profitto” del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo. (Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700: fattispecie in tema di concussione nella quale il danaro era stato richiesto da un ufficiale di p.g. per l’acquisto di un immobile). In tutte le ipotesi sopra richiamate non si e’ in presenza di confisca per equivalente ma di confisca diretta del profitto di reato, possibile ai sensi dell’articolo 240 c.p., ed imposta dall’articolo 322 ter c.p., prima di procedere alla confisca per equivalente del profitto di reato.
Questa analisi e’ mancata completamente nel decreto di sequestro del Giudice per le indagini preliminari, e nell’ordinanza del Tribunale del riesame oggi impugnata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonche’ il decreto di sequestro del G.I.P. Tribunale di Taranto in data 11/10/2017 e dispone la restituzione di quanto in sequestro all’avente diritto mandando alla cancelleria ai sensi dell’articolo 626 c.p.p..

Avv. Renato D’Isa

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