Se tra due soggetti insorgano in tempi diversi reciproci crediti

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 17 maggio 2019, n. 13416.

La massima estrapolata:

Se tra due soggetti insorgano in tempi diversi reciproci crediti, il primo dei quali soggetto a rivalutazione automatica ex art. 429, comma 3, c.p.c. e solo parzialmente estinto, occorre quantificare il credito, comprensivo di rivalutazione ed interessi maturati fino all’estinzione parziale, e calcolare sul residuo quegli stessi accessori fino al momento in cui, divenuto liquido ed esigibile anche il credito contrapposto, opera la compensazione, dopo la quale vanno calcolati rivalutazione e interessi sull’eventuale residuo del primo credito, oppure i soli interessi sull’altro rimasto dopo la parziale compensazione.

Ordinanza 17 maggio 2019, n. 13416

Data udienza 6 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 20289/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 87/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 11/02/2014 r.g.n. 1588/12.

RILEVATO

che:
con sentenza in data 23 gennaio – 11 febbraio 2014 la Corte d’Appello di Catanzaro, definitivamente pronunciando sul gravame interposto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente quali eredi di (OMISSIS) e di (OMISSIS)) avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia, in funzione di giudice del lavoro, pronunciata il 10 luglio 2012, in parziale riforma di quest’ultima, dichiarava il diritto della sig.ra (OMISSIS) di procedere ad esecuzione forzata, nei confronti degli appellati, anche per le somme da interessi e rivalutazione monetaria maturate, sull’importo complessivo di 38.744,34 Euro, dalla data del 6 giugno 2006 fino al soddisfo; conferma nel resto e compensate interamente tra le parti le spese relative al secondo grado del giudizio;
avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) come da atto del primo agosto 2014, ritualmente notificato a mezzo posta (cfr. gli avvisi di ricevimento pervenuti ai destinatari in data 4 e 5 agosto 2014), affidato a due motivi; (OMISSIS) e (OMISSIS) sono rimasti intimati;
con il primo motivo e’ stata denunciata la violazione o falsa applicazione degli articoli 324 e 2909 c.c. e articolo 12 disp. gen., nonche’ di criteri che regolano l’estensione, la portata e i limiti della cosa giudicata in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo la ricorrente ha ricordato di aver intimato a (OMISSIS) e (OMISSIS) precetto di pagamento per la somma di Euro 250.765,83 in base a sentenza della Corte d’Appello pronunciata il 6 giugno 2006, depositata il 27 ottobre successivo, costituente il titolo esecutivo, avverso il quale le suddette (OMISSIS) proposero opposizione. Nelle more di tale giudizio interveniva la sentenza di questa Corte, n. 2592 in data 2 febbraio 2009, con la quale erano respinti i ricorsi proposti contro l’anzidetta pronuncia di appello, donde la formazione anche del relativo giudicato, quindi fatto valere da essa (OMISSIS) gia’ nel corso del giudizio di primo grado di questo procedimento, giudicato pertanto di cui la sentenza qui impugnata doveva tener conto senza alcuna possibile difformita’. In proposito la ricorrente ha evidenziato il dispositivo della sentenza posta a base del precetto, in seguito opposto, unitamente alla relativa motivazione, per cui (OMISSIS) in (OMISSIS) erano state condannate al pagamento della somma di Euro 38.744,34 oltre rivalutazione monetaria interessi legali sulla sorte capitale dalla maturazione al soddisfo al netto di quanto dovuto dalla (OMISSIS) per il godimento dell’immobile delle convenute dal 1963 al 1999, stimato in ragione di complessivi 25 mila Euro. Nella parte motiva della succitata sentenza di Cassazione n. 2592/09, inoltre, era stata rilevata l’infondatezza della censura (dedotta dalle ricorrenti principali, (OMISSIS)), riguardo agli accessori: “Sul quarto motivo, va rilevato che infondata e’ la censura secondo cui gli accessori sulle somme dovute dovrebbero decorrere dal deposito della sentenza, essendo stati individuati, soltanto a seguito della stessa, tutti gli elementi di calcolo. L’articolo 429 c.p.c., comma 3, prevede infatti che gli interessi e la rivalutazione monetaria vanno calcolati fin dal momento della maturazione del credito ed a prescindere dalla sua totale o parziale illiquidita’ v. fra le altre Cass. 17/2/2005 n. 3219, Cass. 21/5/2004 n. 9748, Cass. 16/3/2004 n. 5356, Cass. 4/4/2002 n. 4822, Cass. 12/3/2001 n. 3563, Cass. 18/8/2000 n. 10942)….”. Pertanto, la sentenza impugnata aveva deciso in difformita’ dall’anzidetto giudicato (ammontare delle differenze retributive in ragione di complessivi Euro 79.238,05; interessi legali e rivalutazione monetaria dovuti dalla maturazione e non dalla liquidazione al soddisfo, percio’ dalla scadenza di ciascuno dei mesi relativi alla complessiva durata del rapporto di lavoro in questione; la somma di Euro 38.744,34 costituiva il risultato di una mera operazione matematica volta quantificare la somma dovuta al momento della pronuncia, ma non la sorta capitale concernente il debito contratto da parte datoriale in ordine alle differenze retributive), cosi’ violando i surriferiti articoli 324, 2909 e 12. Inoltre, la Corte distrettuale aveva riconosciuto gli accessori sull’importo complessivo di Euro 38.744,34 soltanto dalla data del sei giugno 2006, disattendendo la tesi dell’appellante circa il vantato credito della stessa relativamente agli anzidetti accessori sull’importo complessivo di 79.238,05 Euro, pero’ dalle singole scadenze fino al saldo;
con il secondo motivo, la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, pure la violazione o falsa applicazione degli articoli 474, 615 c.p.c., articoli 1362 c.c. e segg., nonche’ art.l 12 preleggi, poiche’ nell’interpretazione del titolo esecutivo il giudice adito da parte opponente, aveva tenuto conto dell’elemento volontaristico, trascurando invece totalmente il dispositivo e la motivazione, senza considerare le risultanze della c.t.u., laddove il credito vantato dall’attrice era stato accertato in ragione di complessivi 79.238,05 Euro, da cui poi era stata detratta la somma di 25.000,00 Euro, determinata in via equitativa, per il godimento dell’immobile da parte della (OMISSIS), a favore della quale, inoltre, con ordinanza ex articolo 423 c.p.c., in corso di causa era stato corrisposto l’importo di 15.493,71. Illegittimamente la sentenza qui impugnata aveva opinato che se il credito posto in compensazione, pari a 25 mila Euro, derivava da valutazione equitativa, anche il dovuto complessivo era frutto di tale valutazione, introducendo percio’ un elemento estraneo, quale l’equita’, nell’ammontare del dovuto a titolo di differenze retributive. Per contro, anche dalla succitata pronuncia di questa Corte, n. 2592/02-02-2009, emergeva il diritto agli accessori fin dalla maturazione del credito ed a prescindere dalla sua totale o parziale illiquidita’.

CONSIDERATO

che:
i due motivi, evidentemente tra loro connessione e percio’ esaminabili congiuntamente, appaiono fondati nei seguenti termini;
in via preliminare, la violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’articolo 2909 c.c., e’ denunziabile in cassazione, ma la Corte deve limitare il suo controllo all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potere sindacare la interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perche’ essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, e’ incensurabile in sede di legittimita’, sempre che l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica (Cass. II civ. n. 2742 del 21/07/1969. In senso analogo, v. anche Cass. II civ. n. 222 del 24/01/1969, idem n. 902 del 21/03/1969. V. anche Cass. n. 2788 del 23/07/1969 e parimenti Cass. lav. n. 14297 – 08/06/2017. Cfr., peraltro, anche Cass. III civ. n. 17482 del 9/8/2007, secondo cui l’interpretazione del titolo esecutivo, consistente in una sentenza passata in giudicato, compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione, si risolve nell’apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in sede di legittimita’ se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimita’, atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” – in quanto assunta fuori dal processo esecutivo – non opera come decisione della lite pendente davanti a quel giudice e che lo stesso avrebbe il dovere di decidere – se non fosse stata gia’ decisa, bensi’ come titolo esecutivo e, pertanto, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensi’ come presupposto dell’esecuzione, senza che vi sia possibilita’ di contrasto tra giudicati, ne’ violazione del principio del “ne bis in idem”. In senso conforme, tra le altre, Cass. n. 15852 del 06/07/2010, secondo cui la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” opera come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensi’ come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa. V. parimenti Cass. n. 26890 del 19/12/2014 e n. 15538 del 13/06/2018);
d’altro canto, e’ noto che in sede di opposizione all’esecuzione non e’ consentito alcun controllo intrinseco sul titolo esecutivo giudiziale, diretto ad invalidarne l’efficacia, in base ad eccezioni deducibili nel procedimento in cui il titolo stesso si e’ formato, ma soltanto il controllo circa l’attuale validita’ ed esistenza del titolo, cosi’ da poter stabilire se esso sia effettivamente a base dell’esecuzione o sia venuto meno per fatti posteriori alla sua formazione;
tanto premesso, nel caso di specie appaiono fondati i rilievi di parte ricorrente con riferimento alla sentenza qui impugnata, laddove la Corte territoriale ha ritenuto che se il credito in compensazione derivava da valutazione equitativa, anche quanto complessivamente dovuto alla opposta (OMISSIS) costituiva frutto di tale valutazione, la quale di conseguenza non poteva che essere eseguita al momento della sentenza, perche’ solo in detto momento era insorto il credito della medesima sig.ra (OMISSIS) per come equitativamente liquidato. “Prima della sentenza vi era un credito illiquido e pertanto non suscettibile di esecuzione. Ne consegue che il termine di maturazione indicato in sentenza, deve far necessariamente riferimento alla sentenza medesima, non essendo riscontrabile anteriormente la maturazione di un credito insorto, ma ancora non liquidato nell’ammontare…”;
che il titolo esecutivo di cui all’opposto precetto deriva dalla sentenza passata in giudicato, come desumibile pure dalla succitata pronuncia di questa Corte n. 2592/09 del 10/12/2008 – 02/02/2009, che rigettava entrambi i ricorsi, proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS) in via principale ed in via incidentale dalla controricorrente (OMISSIS), avverso la sentenza n. 1345/2006 della Corte d’Appello di Catanzaro, depositata il 27/10/2006, la quale in parziale riforma della gravata pronuncia condannava le sigg.re (OMISSIS) al pagamento di 38.744,34 Euro, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sulla sorte capitale dalla maturazione al soddisfo; rigettava l’appello incidentale e confermava nel resto le impugnate sentenze, compensando per un terzo le spese del grado e ponendo a carico delle appellate i restanti due terzi. Per la cassazione della detta sentenza ricorrevano (OMISSIS) e (OMISSIS) con otto motivi, cui resisteva (OMISSIS) con controricorso e ricorso incidentale affidato a quattro motivi. In particolare, per quanto qui di immediato e diretto interesse, con il quarto motivo le (OMISSIS), denunciando violazione dell’articolo 429 c.p.c., comma 3, articoli 150 e 118 disp. att. c.p.c., articolo 1126 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in sintesi lamentavano che la sentenza impugnata “si e’ limitata a sancire condanna al pagamento della somma di Euro 38.744,34 oltre rivalutazione monetaria ed interessi sulla sorte capitale dalla maturazione al soddisfo, senza specificare che, risultando la maturazione solo alla data del relativo dispositivo per esser quello il momento di individuazione di tutti gli elementi di calcolo, e’ solo dalla medesima data e sulla cifra di Euro 38.744,34 che devono esser computati gli accessori”. Aggiungevano, inoltre, le ricorrenti principali che la Corte di merito avrebbe erroneamente “inserito nella somma ritenuta dovuta e suscettibile di rivalutazione monetaria ed interessi, anche l’importo di Euro 9.364,94 a titolo di t.f.r. che dal c.t.u. era gia’ stato determinato come comprensivo di rivalutazione”. Sul quarto motivo, invero, Cass. n. 2592/09 (richiamata espressamente nel corso del giudizio di merito di questo processo, in primo ed in secondo grado – cfr. i precisi riferimenti sul punto alle pagg. 5 e 6 del ricorso de quo) giudicava infondata la censura secondo cui gli accessori sulle somme dovute dovrebbero decorrere dal deposito della sentenza, essendo stati individuati, soltanto a seguito della stessa, tutti gli elementi di calcolo. L’articolo 429 c.p.c., comma 3, prevede infatti che gli interessi e la rivalutazione monetaria vanno calcolati fin dal momento della maturazione del credito ed a prescindere dalla sua totale o parziale illiquidita’, giusta la richiamata giurisprudenza di legittimita’. Generica e priva di autosufficienza era, poi, la censura riguardante l’importo relativo al t.f.r. che sarebbe stato “gia’ rivalutato”. Dalla lettura del ricorso, infatti, non era dato comprendere se la rivalutazione “compresa” fosse quella interna nel calcolo del t.f.r. (e relativa alla maturazione progressiva dello stesso ex articolo 2120 c.c., come sostituito dalla L. n. 297 del 1982, articolo 1) o, in ipotesi, quella successiva alla maturazione del trattamento stesso. Del resto, le ricorrenti neppure avevano riportato le parti relative della consulenza da cui poter ricavare la decisivita’ della censura stessa. Il sesto motivo ugualmente non poteva essere accolto, in quanto, la Corte d’Appello, nel valutare equitativamente la prestazione retributiva “corrispondente al godimento dell’immobile” correttamente aveva tenuto conto, appunto, del “godimento dell’immobile nel tempo in cui si e’ svolto il rapporto di lavoro in esame”. Del resto, certamente non poteva assumere valore di parziale corrispettivo della prestazione lavorativa il godimento successivo, pur eventualmente rilevante ad altri fini. Il settimo e l’ottavo motivo del ricorso principale, infine, riguardanti la legittimazione passiva delle (OMISSIS) e la pretesa “interruzione” del rapporto nel 1976, ai fini della eccepita prescrizione, parimenti involgevano valutazioni di fatto delle risultanze istruttorie e, in sostanza, si limitavano a sollecitare un riesame del merito inammissibile in sede di legittimita’;
alla stregua delle anzidette emergenze la sentenza impugnata appare, pertanto, illegittima nell’interpretazione dell’opposto titolo esecutivo, avendo del tutto pretermesso nella propria esegesi quanto statuito riguardo agli accessori in discussione, ormai definitivamente in sede di cognizione, non potendo evidentemente negarsi in sede esecutiva quanto gia’ accertato con pronuncia coperta da cosa giudicata;
inoltre, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. lav. n. 5874 del 4/7/1987), nel caso in cui tra due soggetti insorgano in tempi diversi reciproche ragioni di credito, una delle quali soggetta a rivalutazione automatica, in quanto credito di lavoro (articolo 429 c.p.c., comma 3), ed in relazione a quest’ultimo si verifichino fatti parzialmente estintivi, occorre stabilire quale sia l’entita’ del credito, comprensiva di rivalutazione ed interessi maturati fino all’estinzione parziale e calcolare sul residuo l’ulteriore rivalutazione ed i successivi interessi sino al momento in cui, divenuto liquido ed esigibile anche il credito contrapposto, opera il fatto estintivo della compensazione, dopo la quale la rivalutazione e gli interessi vanno calcolati sul residuo credito prioritariamente insorto, se un residuo sussista, oppure vanno computati i soli interessi sulla contrapposta ragione di credito rimasta in vita dopo la parziale compensazione;
pertanto, l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio ad altra Corte di merito, designata come da seguente dispositivo, per il seguito di competenza, previ opportuni accertamenti in fatto, anche contabili, osservati ai principi soprarichiamati, provvedendo all’esito pure sulle spese di questo giudizio di legittimita’;
infine, visto l’esito positivo dell’impugnazione qui esperita, non sussistono i presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa, per l’effetto, l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della NON sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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