Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 27 gennaio 2020, n. 3236
Massima estrapolata:
Non scatta il reato previsto dall’articolo 617-quinquies del Codice penale se si manomette lo sportello Bancomat con mezzi inadeguati all’intercettazione della banda informatica e dei codici pin della carte introdotte dagli utenti. Commette, al contrario, il reato chi occulta nello sportello Bancomat mezzi idonei al furto dei dati, anche se non ci si riesce .
Sentenza 27 gennaio 2020, n. 3236
Data udienza 22 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SABEONE Gerardo – Presidente
Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere
Dott. MORELLI Francesca – Consigliere
Dott. BELMONTE Maria Tere – rel. Consigliere
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/01/2018 della CORTE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA TERESA BELMONTE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TASSONE Kate, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’;
udito il difensore:
L’AVVOCATO (OMISSIS) SI RIPORTA AL RICORSO.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato, con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio, che ha mitigato, la decisione del Tribunale di quella stessa citta’ che aveva dichiarato (OMISSIS) colpevole del contestato reato di cui all’articolo 617 quinques, per avere installato, presso uno sportello bancomat, apparecchiature in grado di intercettare e memorizzare i dati delle carte e i PIN digitati dagli utenti al momento dell’accesso.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato il quale, con il patrocinio difensivo, svolge due motivi.
2.1. Denuncia, in primis,violazione dell’articolo 617 quinques e correlato vizio della motivazione per avere la Corte di Appello confermato la pronuncia di condanna, pur in carenza di accertamenti in ordine alla funzionalita’ dell’apparecchiatura in questione. Si duole la difesa che, trattandosi di reato di pericolo concreto, avrebbe dovuto essere accertata la reale idoneita’ dell’apparecchiatura sequestrata a captare i dati riportati sulle bande magnetiche delle carte che vi venivano inserite, e evidenzia la contraddittorieta’ della motivazione offerta dalla Corte territoriale sul punto, in quanto fondata su un precedente di questa Corte non pertinente.
2.1. Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione della legge nella commisurazione della pena, dolendosi la difesa che, pur avendo, la Corte di merito, ridotto la pena inflitta dal primo giudice, si e’ tuttavia ingiustificatamente discostata dal minimo edittale nonostante la scarsa rilevanza della condotta concreta e in presenza di dati soggettivi dell’imputato, relativi alla sua giovane eta’ e all’incensuratezza, oltre che alla natura della condotta, che avrebbero dovuto essere presi inconsiderazione. La Corte territoriale ha, invece, rassegnato, sul punto, una motivazione apparente e aspecifica, senza replicare al motivo di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. E’ fondato il primo motivo di ricorso.
2.Premesso che la installazione abusiva di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni relative ad un sistema informatico, mediante il posizionamento nel “postamat” di un ufficio postale di una fotocamera digitale, integra il delitto di cui all’articolo 617 quinquies c.p., considerato che l’intercettazione implica l’inserimento nelle comunicazioni riservate, traendo indebita conoscenza delle stesse (Sez. 5, n. 3252 del 05/12/2006 Rv. 236035), deve considerarsi che il reato in questione e’ strutturato come un reato di pericolo, e, pertanto, per la sua sussistenza, non e’ necessario accertare, ai fini della sua consumazione, che i dati siano effettivamente raccolti e memorizzati (Sez. 5, n. 36601 del 09/07/2010 Rv. 248430). E’ noto, infatti, che nell’ambito della categoria dogmatica dei reati di pericolo – nei quali e’ sufficiente, ai fini dell’incriminazione, che il bene tutelato sia stato minacciato – in quelli c.d. di pericolo concreto – quale e’ quello di cui all’articolo 617 quinques c.p. – il pericolo rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice, onde spetta al giudice, in base alle circostanze concrete del singolo caso, accertarne la esistenza. Diversamente, nei reati di pericolo presunto il legislatore presume, in base a regole di esperienza, che al compimento di determinate azioni si accompagni l’insorgere del pericolo, sicche’ il giudice e’ dispensato dallo svolgere ulteriori indagini circa la verificazione della messa in pericolo del bene, che si accompagna, tipicamente o generalmente, al compimento della condotta, poiche’ il pericolo non assurge a elemento costituito del reato, e il reato sussiste anche se il pericolo non si e’ in concreto realizzato, non essendo ammessa, peraltro, prova contraria della sua effettiva esistenza.
2.1. Con riferimento, dunque, alla fattispecie di cui all’articolo 617 quinques c.p., cio’ che e’ necessario accertare e’ la idoneita’ dell’apparecchiatura installata a consentire tale raccolta o memorizzazione dei dati. Fondatamente la difesa ricorrente deduce che la sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto di cui alla pronuncia, di questa Corte di cassazione, della quale la sentenza impugnata riporta la massima, secondo cui ” Integra il reato di installazione di apparecchiature atte ad intercettare, impedire od interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (articolo 617 quinquies c.p.) la condotta di colui che installi, all’interno del sistema bancomat di un’agenzia di banca, uno scanner per bande magnetiche con batteria autonoma di alimentazione e microchip per la raccolta e la memorizzazione dei dati, al fine di intercettare comunicazioni relative al sistema informatico. Trattandosi di reato di pericolo per la dimostrazione della sua consumazione, non’ e’ stato necessario accertare che i dati siano effettivamente raccolti e memorizzati.” Come si evince gia’ dal tenore della suddetta massima, e ancor piu’ chiaramente dalla motivazione della sentenza, nel caso di specie, i giudici di merito avevano ricostruito le modalita’, i tempi, le persone che avevano installato il congegno di lettura e ne avevano controllato il funzionamento; avevano poi accertato l’avvenuta installazione di un congegno in cui erano presenti tutti i componenti necessari per la raccolta e la memorizzazione; e rilevato l’assenza di qualsiasi elemento da cui dedurre che l’apparecchiatura fosse assolutamente inidonea a creare la situazione di pericolo sanzionata dalla legge. Di tali accertamenti, invece, non v’e’ traccia nella sentenza impugnata, la quale si e’ limitata a osservare che “non appare, quindi, necessario accertare la concreta idoneita’ delle apparecchiature installate nello sportello Postamat di (OMISSIS)”. Ma, cosi’ facendo, i giudici di merito hanno travisato il contenuto del principio di diritto al quale si sono ispirati, che, come premesso, ritiene non necessario – ma solo una volta accertata la idoneita’ degli strumenti alla captazione dei dati – la loro effettiva raccolta e memorizzazione. Come e’ stato gia’ chiarito nella giurisprudenza di legittimita’, lo strumento utilizzato deve caratterizzarsi per la sua idoneita’ ad eludere la possibilita’ di percezione della captazione da parte dei soggetti tra i quali intercorre la comunicazione, atteso che, nel senso accolto dall’articolo 617 c.p., il carattere della fraudolenza qualifica il mezzo utilizzato per prendere cognizione della comunicazione, il quale deve essere, pertanto, idoneo nel senso sopra indicato. In altri termini, la presa di cognizione punita dalla disposizione citata e’ quella realizzata con mezzi che ne garantiscano sostanzialmente la clandestinita’. (Sez. 5, n. 41192 del 17/07/2014 Rv. 261039).
2.2. Dall’accertamento di tale idoneita’, imprescindibile ai fini della sussistenza del reato, la sentenza gravata non da’ conto, ne’ ve ne’ traccia in quella, per vero stringatissima, del Tribunale. Non si rinviene alcun elemento dal quale desumere che sia stata accertata la concreta possibilita’ di intercettare e memorizzare, con l’apparecchio denominato “skimmer”, i dati riportati sulla banda magnetica del bancomat e delle carte di credito al momento dell’inserimento nello sportello “Postamat” per il prelievo, ne’ la idoneita’ della microcamera a riprendere i codici PIN digitati dagli utenti, cosi’ da captare dati e informazioni personali inseriti nel sistema informatico.
3. Ricorrendo il ravvisato vizio di motivazione in ordine alla idoneita’ tecnica, della apparecchiatura installata presso il Postamat di (OMISSIS), all’intercettazione delle comunicazioni informatiche, l’esito del presente scrutinio di legittimita’ non puo’ che essere l’annullamento della sentenza impugnata, per i motivi esposti, assorbenti rispetto alle altre doglianze del ricorrente, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che si atterra’, nel rinnovato giudizio, agli enunciati principi di diritto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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