Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 29 novembre 2019, n. 8173.
La massima estrapolata:
Lo scarico in mare di materiale dragato costituisce attività soggetta ad autorizzazione ai sensi del previgente art. 35 del d.lgs. n. 152/1999, norma poi riprodotta nell’art. 109 del d.lgs. n. 152/2006, che consente l’immersione deliberata in mare di materiali di scavo di fondali marini, quando è dimostrata, nell’ambito dell’istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo in conformità a predeterminate modalità (Cons. Stato, VI, 20 febbraio 2008, n. 588). Sicchè, in via di interpretazione letterale “a contrario”, deve ritenersi che l’art. 109 del d.lgs. n. 152 del 2006 esclude l’autorizzazione per gli interventi di ripascimento delle fasce costiere, e, in via di interpretazione sistematica, che l’autorizzazione stessa non era prevista neanche dal previgente art. 35 della l. 152/1999: tali interventi (di tutela e preservazione delle fasce stesse) non rientrano nel campo di applicazione del Codice dell’ambiente. Anche l’attuale formulazione dell’art. 109 (conseguente alle modifiche apportate dall’art. 24, comma 1, lett. d), n. 1) del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla l. 4 aprile 2012, n. 35) non prevede l’autorizzazione per il ripascimento delle fasce costiere, atteso che il novellato comma 2 continua a riferire l’atto autorizzativo alla sola “immersione in mare” del materiale di cui al comma 1, lettera a).
Sentenza 29 novembre 2019, n. 8173
Data udienza 10 ottobre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 8731 del 2010, proposto da
Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. An. Ma., elettivamente domiciliata in Roma, via (…);
contro
Provincia di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Di Fa. e Pa. Co., elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Br. Mi. in Roma, piazzale (…);
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (sezione prima) n. 07161/2010, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’appello incidentale della Provincia di Napoli;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Ro. Pa. in dichiarata delega dell’avv. An. Ma. e l’avvocato dello Stato Pa. Ma.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
L’art. 109 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, riproducendo le previsioni del previgente art. 35 del del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, consente al comma 1 l’immersione deliberata in mare dei materiali di cui al comma 1, lettera a), costituiti da “materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi”, assoggettandola al comma 2 ad autorizzazione.
Con delibera n. 1426 del 2009 la Giunta della Regione Campania, ai sensi dell’art. 21 della l. 31 luglio 2002, n. 179, prevedente che l’autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione in parola è la regione, adottava le linee guida relative alle procedure autorizzatorie di propria competenza, tra cui inseriva gli interventi relativi al ripascimento delle fasce costiere (punto 1.2.b) e alla realizzazione di scogliere, moli, pennelli e altri manufatti già sottoposti a procedura di valutazione di impatto ambientale (punto 1.2.f).
La Provincia di Napoli impugnava la predetta delibera con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, contestando l’applicazione del regime autorizzatorio ai due predetti interventi sotto vari profili, tutti riconducibili alla carenza di una conforme previsione nell’ambito della normativa statale, e alla conseguente impossibilità della Regione di integrarla, vieppiù con una mera delibera di Giunta.
L’adito Tribunale, sezione prima, nella resistenza della Regione Campania e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, accoglieva il ricorso con sentenza n. 7161/2010. Compensava tra le parti le spese del giudizio.
Per giungere a tale conclusione il primo giudice effettuava la ricognizione, anche sistematica, del quadro normativo della materia e riteneva che il ripascimento delle fasce costiere non rientrasse nel campo di applicazione dell’art. 109 del d.lgs. 152/2006, mentre, quanto agli interventi di realizzazione di scogliere, moli, pennelli e altri manufatti già sottoposti a procedura di valutazione di impatto ambientale, osservava che il tenore letterale della disposizione non lasciasse adito ad alcun dubbio in ordine alla loro esclusione dall’autorizzazione de qua. Pertanto, assorbita ogni altra questione pure introdotta dalla Provincia di Napoli, annullava parzialmente la gravata delibera giuntale.
La Regione Campania ha appellato la predetta sentenza, chiedendone la riforma sulla base delle seguenti censure: 1) Violazione della legge 1034/1971 e del d.lgs. 152/2006, erronea esegesi della disciplina delle autorizzazioni di interventi di ripascimento; 2) Violazione della legge 1034/1971 e del d.lgs. 152/2006, erronea valutazione del riparto di competenze tra lo Stato e le regioni; 3) Violazione della legge 1034/1971 e del d.lgs. 152/2006, erronea applicazione della disciplina in materia di tutela del suolo e tutela delle acque; 4) Violazione della legge 1034/1971 e del d.lgs. 152/2006, erronea esegesi dei principi espressi dalla delibera 1426/2009; 5) Violazione della legge 1034/1971 e del d.lgs. 152/2006, erronea valutazione degli interventi soggetti a V.I.A..
La Provincia di Napoli si è costituita in resistenza, concludendo per la reiezione dell’appello e formulando, in subordine, appello incidentale condizionato, con cui ha riproposto le doglianze, svolte in primo grado e assorbite dalla sentenza gravata, di: 1) Illegittimità della delibera di Giunta regionale n. 1426/2009, punto 1.2., lettere b) e f) per violazione degli artt. 14 e ss. della l. 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 47 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554; 2) Illegittimità della delibera di Giunta regionale n. 1426/2009, punto 1.2., lettere b) e f) per eccesso di potere sub specie di contraddittorietà tra dispositivo e motivazione.
Si è costituito in appello anche il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, instando per la sua estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 10 ottobre 2019.
DIRITTO
1. Va esaminata preliminarmente l’eccezione di carenza di legittimazione passiva spiegata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
1.1. Occorre premettere che la sentenza appellata ha accolto il ricorso proposto dalla Provincia di Napoli nei confronti della Regione Campania e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
In particolare, quest’ultimo, destinatario della notifica del ricorso di primo grado insieme alla Regione, amministrazione che ha adottato l’atto impugnato, si è costituito in quel giudizio instando, con memoria “di stile”, per la reiezione dell’impugnativa.
La Regione Campania, anch’essa costituitasi in resistenza nel giudizio di primo grado e rimasta soccombente, ha poi notificato l’appello in trattazione sia alla Provincia di Napoli che al predetto Ministero, che si è costituito nell’odierno giudizio spiegando l’eccezione in esame.
1.2. Tanto chiarito, si osserva che l’art. 41 del Codice del processo amministrativo, Notificazione del ricorso e suoi destinatari, al comma 2 stabilisce che, qualora sia proposta azione di annullamento, il ricorrente, a pena di decadenza, deve notificare il ricorso alla pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati “che sia individuato nell’atto stesso”. Si tratta del controinteressato in senso formale. La giurisprudenza equipara, poi, il controinteressato individuato testualmente dall’atto a quello facilmente individuabile in ragione delle indicazioni contenute nell’atto impugnato, e riconosce ulteriormente la qualità di controinteressato in senso sostanziale a chi, oltre a essere nominativamente indicato nel provvedimento impugnato o comunque ivi agevolmente individuabile (il c.d. elemento formale), si presenti come portatore di un interesse giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto (c.d. elemento sostanziale), in quanto questo, di norma, gli attribuisce in via diretta una situazione giuridica di vantaggio. Tale interesse deve essere di natura eguale e contraria a quella del ricorrente (tra tante, Cons. Stato, V, 21 gennaio 2019, n. 495; 17 settembre 2018, n. 5420; 7 giugno 2017, n. 2723; IV, 12 aprile 2017, n. 1701; VI, 11 novembre 2016, n. 4676), ovvero personale, attuale e diretto.
Alla stregua di tali coordinate, deve rilevarsi che nel ricorso di primo grado conclusosi con la sentenza appellata il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non rivestiva la qualità di controinteressato.
In particolare, il predetto Ministero non era controinteressato formale, non essendo in alcun modo menzionato nella gravata delibera regionale; non era controinteressato sostanziale, perché non portatore di alcun interesse qualificato alla conservazione delle parti della delibera oggetto di impugnativa, che non hanno investito in alcun modo le sue competenze.
Né può essere attribuita rilevanza al fatto che il ricorso di primo grado gli sia stato notificato e che, in seguito alla notifica, il Ministero si sia costituito in giudizio, concludendo per la reiezione del ricorso: si tratta infatti di elementi che, in quanto meramente fattuali, perché non assistiti da alcuna reale ragione processuale, non valgono a far acquisire la qualità di controinteressato a un soggetto che, nella sostanza, è terzo ed estraneo rispetto alla vicenda procedimentale oggetto del giudizio, in quanto i relativi esiti sono per lui, in concreto, irrilevanti.
1.3. La sopra accertata carenza di legittimazione passiva del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nell’ambito del giudizio di primo grado si riflette anche nel presente giudizio di appello, il cui petitum, parimenti, non coinvolge in alcun modo la predetta Amministrazione centrale, in quanto nessuna domanda giudiziale proposta in questa sede è suscettibile, ora come allora, di ritenersi rivolta verso il Ministero o di investire le competenze a esso attribuite.
Va pertanto dichiarata la carenza di legittimazione passiva del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
2. Passando all’esame dell’appello principale proposto dalla Regione Campania, si osserva che i primi quattro motivi si rivolgono avverso la parte della gravata sentenza con cui il primo giudice, affermando che il ripascimento delle zone costiere non rientra nel campo di applicazione dell’art. 109 del d.lgs. 152/2006, c.d. Codice dell’ambiente, in quanto la diposizione non assoggetta ad autorizzazione tale tipologia di intervento, ha escluso che la Regione potesse normare il relativo procedimento autorizzatorio a mezzo delle linee guida adottate dalla Giunta con la delibera n. 1426/2009.
Detti motivi sono tutti infondati.
2.1. Non può essere condiviso il primo motivo, con cui la Regione afferma che il regime autorizzatorio del ripascimento dei litorali, già previsto dal decreto del Ministero dell’ambiente 24 gennaio 1996, attuativo della legge 10 maggio 1976, n. 319, Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento, c.d. legge Merli, sarebbe stato conservato prima dall’art. 35 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, che ha abrogato la legge Merli, poi dalla conforme diposizione dell’art. 109 del d.lgs. n. 152/2006 qui in rilievo.
In particolare, concentrando l’odierna disamina sulle disposizioni più recenti, si osserva né il previgente art. 35 del d.lgs. n. 152/1999 né l’art. 109 del d.lgs. n. 152/2006 possono condurre alle conclusioni assunte dalla Regione.
Il portato di tali norme è stato delineato da questo Consiglio di Stato, che, rilevata l’insussistenza di un assoluto divieto di scarico in mare di materiale dragato, trattandosi, più limitatamente, di attività soggetta ad autorizzazione ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 152/1999, ha osservato che tale norma “consente l’immersione deliberata in mare di materiali di scavo di fondali marini, quando è dimostrata, nell’ambito dell’istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo in conformità a predeterminate modalità “, rilevando inoltre come la stessa disposizione sia stata poi riprodotta nell’art. 109 del d.lgs. n. 152/2006 (VI, 20 febbraio 2008, n. 588).
Una siffatta conclusione consegue del resto alla espressa lettera del previgente art. 35, che, consentito al comma 1, lett. a) l’immersione deliberata in mare dei “materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi”, e nel prevedere la relativa autorizzazione al comma 2, chiariva che l’autorizzazione stessa “è rilasciata dall’autorità competente solo quando è dimostrata, nell’ambito dell’istruttoria, l’impossibilità tecnica o economica del loro utilizzo ai fini di ripascimento o di recupero ovvero lo smaltimento alternativo…”. Lo stesso chiarimento era rinvenibile anche nell’art. 109, comma 2, nella formulazione vigente alla data di adozione della delibera giuntale qui in esame e della sentenza appellata (ambedue anteriori alle modifiche apportate dall’art. 24, comma 1, lett. d), n. 1) del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla l. 4 aprile 2012, n. 35).
Sicchè ben ha fatto il primo giudice a considerare, in via di interpretazione letterale “a contrario”, che l’art. 109 del d.lgs. n. 152 del 2006 esclude l’autorizzazione per gli interventi di ripascimento delle fasce costiere, e, in via di interpretazione sistematica, che l’autorizzazione stessa non era prevista neanche dal previgente art. 35 della l. 152/1999, desumendone che tali interventi (di tutela e preservazione delle fasce stesse) non rientrano nel campo di applicazione del Codice dell’ambiente.
Può solo aggiungersi che anche l’attuale formulazione dell’art. 109 non prevede l’autorizzazione per il ripascimento delle fasce costiere, atteso che il novellato comma 2 continua a riferire l’atto autorizzativo alla sola “immersione in mare” del materiale di cui al comma 1, lettera a).
2.2. Con il secondo motivo la Regione Campania, sempre al fine di sostenere la soggezione ad autorizzazione del ripascimento delle fasce costiere, invoca la sentenza della Corte costituzionale n. 114 del 2003, che, sotto l’egida del previgente art. 35 del d.lgs. n. 152/1999, nel dichiarare inammissibile il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Liguria nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in occasione dell’adozione della circolare 260/3/2001 del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, riguardante le direttive inerenti le attività istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni di cui allo stesso art. 35, per ottenere la dichiarazione che non spetta allo Stato, e per esso al predetto Ministero, adottare provvedimenti autorizzatori in ordine all’immersione in mare di determinati materiali a fini di ripascimento degli arenili per la realizzazione di interventi e opere di competenza regionale, ha rilevato che “l’oggetto del conflitto è stato profondamente inciso dal ius superveniens costituito dalla citata legge n. 179 del 2002, che ha individuato nella Regione l’autorità competente al rilascio delle autorizzazioni previste dall’art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 152 del 1999, in materia di ripascimento delle zone costiere…”.
Al riguardo, si osserva che l’autorizzazione cui si riferiscono la pronunzia del giudice delle leggi e l’art. 21 della ivi citata legge n. 179/2009 è quella prevista dal già citato comma 2 dell’art. 35 del d.lgs. n. 152 del 1999 (e, ora, dal comma 2 dell’art. 109 del Codice dell’ambiente), che, come sopra visto, non concerne il ripascimento dei litorali.
Ne deriva che il richiamo alla predetta statuizione, per i motivi già illustrati al punto che precede, non può giovare alla tesi della Regione, la quale, evidentemente di tanto ben consapevole, è costretta ad affermare che, a monte, la disposizione dell’art. 21 della l. 179/2009, e, conseguentemente, la sentenza della Corte Costituzionale n. 114 del 2003, sono affette da un errore materiale, costituito dal riferimento al comma 2, anziché al comma 1, del ridetto l’art. 35.
Ma si tratta di una ardita ricostruzione nella quale la Regione non può essere seguita, in quanto, a tacer d’altro, sia l’art. 21 in parola sia la sentenza del giudice delle leggi n. 114 del 2003 sono incentrati sulla postestà autorizzatoria, e l’unica autorizzazione emergente dai commi 1 e 2 dell’art. 35 del d.lgs. n. 152 del 1999 è quella di cui al comma 2.
Quanto, invece, alle ulteriori questioni pure introdotte dal motivo in esame e fondate sulla circostanza che l’art. 21 della l. n. 179/2002 affida alla Regione anche il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 35, comma 2, del d.lgs. n. 152/1999 “per gli interventi di ripascimento della fascia costiera”, basti osservare che la norma, come correttamente rilevato dal primo giudice, persegue unicamente la finalità di precisare il riparto di competenze amministrative fra Stato e regioni: non è pertanto consentito trarne elementi finalizzati a una ricostruzione della disciplina sostanziale della materia che si ponga in palese contrasto con quella recata dalle specifiche norme a essa dedicate.
2.3. E’ infondato il terzo motivo, con cui la Regione Campania afferma che il primo giudice avrebbe errato nel ritenere, a conferma delle proprie conclusioni, che “il d.lgs. 152 del 1999 (poi trasfuso nel codice dell’ambiente del 2006) si occupa della tutela delle acque e, coerentemente con tale precipua finalità, regolamenta l’immersione in mare dei materiali di vario genere, laddove il ripascimento delle fasce costiere interessa la protezione del suolo”.
E’ la stessa Regione ad affermare che l’attività di ripascimento è opera di difesa della costa, e quindi del suolo, mentre le ulteriori considerazioni della censura volte ad affermare la necessità dell’autorizzazione al ripascimento degli arenili ai fini generali della tutela dell’ambiente e della salute umana, come visto, non trovano corrispondenza nell’ambito del vigente ordinamento.
2.4. Anche il quarto motivo è dedicato alla dimostrazione da parte della Regione della necessità dell’autorizzazione al ripascimento degli arenili, stavolta ricollegata ai dubbi insorti in occasione dell’intervento di ripascimento dell’arenile e di implementazione del pennello a protezione dell’abitato di (omissis), nel Comune di (omissis), di competenza dell’ente attuatore Provincia di Napoli.
In particolare, la Regione evidenzia che per i ripascimenti degli arenili, come attestato proprio dallo specifico intervento di cui sopra, potrebbero essere utilizzati non solo i materiali provenienti dai dragaggi marini di cui al comma 1, lett. a) dell’art. 35 del d.lgs. n. 152/1999, ma anche i materiali inerti provenienti da cave fluviali e terrestri, per i quali lo stesso art. 35, al comma 1, lettera b) e al comma 3, confermati dall’art. 109 del d.lgs. n. 152/2006, ha previsto la dimostrazione della compatibilità ambientale e dell’innocuità, assicurate ai fini dell’autorizzazione regionale dal parere dell’Arpac, né opererebbe la causa di esclusione di cui al comma 3, che attiene ai soli nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale: in altre parole, per la Regione, l’autorizzazione de qua consentirebbe anche l’accertamento della compatibilità del materiale concretamente impiegato nel ripascimento.
Il motivo non può essere condiviso.
La ricostruzione operata dalla Regione fonda interamente su previsioni che sia l’art. 35 del d.lgs. n. 152/1999 che l’art. 109 del d.lgs. 152/2006 hanno espressamente attagliato all’intervento di “immersione in mare”, cui non può essere equiparato sic et simpliciter il ripascimento delle fasce costiere, per la semplice ed evidente ragione che esso, come sopra visto, è stato sottratto – mediante l’incidentale di cui al comma 2 delle predette norme, e segnatamente da quella di cui al comma 2 dell’art. 109 nella formulazione ratione temporis qui applicabile – alla valutazione di innocuità ambientale, prevista, sia per i materiali di dragaggio di cui al comma 1, lett. a), che per gli inerti, i materiali geologici inorganici e i manufatti di cui al comma 1, lett. b), esclusivamente per l’immersione in mare.
Piuttosto, dal motivo si traggono ulteriori elementi per ritenere che la fattispecie autorizzatoria de qua sia stata individuata dalla Regione Campania al di fuori di quelle contemplate dall’art. 109.
E una tale operazione si pone in contrasto con quanto espressamente riferito nella relazione della delibera giuntale impugnata, che riferisce che le linee guida adottate “non costituiscono atto di natura regolamentare, limitandosi esse al richiamo della normativa statale vigente”, e sono finalizzate a conseguire risparmi di spesa, recupero di efficienza e semplificazione procedimentale, e, quindi, a introdurre una mera regolamentazione di dettaglio dei procedimenti autorizzatori siccome previsti dal legislatore statale.
La stessa operazione, inoltre, non è conforme alla legge statale che la Regione si propone di attuare, considerato che l’art. 21 della l. n. 179/2002, più volte invocato dalla stessa Regione nell’ambito dell’odierno appello, nello stabilire che l’autorità competente per l’istruttoria e il rilascio dell’autorizzazione di cui trattasi è la regione, chiarisce che tale competenza deve essere esercitata nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge statale.
Inoltre, non sembra superfluo rilevare che nello stesso motivo in esame si riferisce come la Provincia di Napoli avesse fatto presente, nell’ambito dell’interlocuzione svoltasi con la Regione Campania, che lo specifico intervento di cui sopra aveva ottenuto il parere favorevole di compatibilità ambientale espresso dalla Commissione V.I.A. della Giunta regionale nella seduta del 23 novembre 2006.
2.5. I primi quattro motivi dell’appello principale vanno pertanto respinti.
3. Con il quinto e ultimo motivo dell’appello principale la Regione avversa la parte della sentenza appellata che ha annullato le linee guida di cui trattasi anche laddove hanno assoggettato ad autorizzazione regionale gli interventi volti alla realizzazione di scogliere, moli, pennelli e altri manufatti già sottoposti a procedura di valutazione di impatto ambientale.
Il motivo deve essere respinto.
Il primo giudice è pervenuto alla conclusione di cui sopra facendo corretta applicazione della previsione del comma 3 dell’art. 109 del d.lgs. n. 152/2006, secondo cui “L’immersione in mare di materiale di cui al comma 1, lettera b), è soggetta ad autorizzazione, con esclusione dei nuovi manufatti soggetti alla valutazione di impatto ambientale”.
Ciò posto, non convince la tesi della Regione secondo cui l’autorizzazione regionale sarebbe necessaria anche per tali interventi, al fine di colmare il vuoto della predetta previsione normativa, che non assicura che il procedimento di V.I.A. si sia specificamente occupato della compatibilità e dell’innocuità ambientale degli inerti impiegati: infatti, per un verso, la dichiarata finalità integrativa della norma di legge statale attesta che la previsione in parola riveste carattere regolamentare, che le linee guida assumono invece di non possedere, e che travalica anche la competenza della Giunta regionale, che, come pure osservato dalla sentenza appellata, non si estende agli atti di natura regolamentare (artt. 19 e 20 dello Statuto della Regione Campania); per altro verso, l’argomentazione lascia insuperato il rilievo del primo giudice che “in tanto ha senso richiedere una specifica autorizzazione all’immissione in mare di inerti, materiali geologici inorganici e manufatti (al solo fine di utilizzo), in quanto gli stessi non siano stati sottoposti alla valutazione di impatto ambientale, cui è affidato il compito di verificarne la compatibilità con il rispetto dell’ambiente”.
4. Per tutto quanto precede, l’appello principale della Regione Campania deve essere respinto.
Consegue l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’appello incidentale condizionato della Provincia di Napoli.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo quanto alla resistente Provincia di Napoli, mentre possono essere compensate quanto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che solo in sede di appello ha rappresentato la propria estraneità alla controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe:
– dichiara la carenza di legittimazione passiva del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
– respinge l’appello principale della Regione Campania;
– dichiara improcedibile l’appello incidentale della Provincia di Napoli.
Condanna la Regione Campania alla refusione in favore della Provincia di Napoli delle spese di giudizio del grado, che liquida nell’importo pari a Euro 5.000,00 (euro cinquemila/00). Compensate le altre.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Stefano Fantini – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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