Sanzione amministrativa di cui all’art. 3 della l. n. 898 del 1986

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10459.

La massima estrapolata:

La sanzione amministrativa di cui all’art. 3 della l. n. 898 del 1986 non è equiparabile, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, a quella penale per qualificazione giuridica, natura e grado di severità, sicché la doppia punibilità prevista dagli artt. 2 e 3 della l. n. 898 citata non integra una violazione del principio del “ne bis in idem”, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità.

Ordinanza 15 aprile 2019, n. 10459

Data udienza 17 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 5908/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CITTA’ METROPOLITANA di BOLOGNA, succeduta all’omonima Provincia, in persona del Vice Sindaco Metropolitano e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati dell’Avvocatura della Citta’ Metropolitana di Bologna (OMISSIS) ed (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1277/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/10/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

RILEVATO

che:
– (OMISSIS) proponeva opposizione davanti al Tribunale di Bologna contro ordinanza ingiunzione che gli ingiungeva il pagamento della somma di Euro 60.970,00 per la violazione di norme in materia di aiuti comunitari, della L. n. 896 del 1986, ex articoli 2 e 3;
– in particolare per avere indebitamente conseguito aiuti Europei concernenti interventi di diversificazione nelle Regioni colpite dalla ristrutturazione dell’industria dello zucchero, per ottenere i quali era necessario allegare, in caso di acquisti di macchinari o strutture particolari, almeno tre preventivi di altrettante ditte fornitrici ed in concorrenza fra loro;
– nel caso di specie era risultato che il richiedente aveva presentato preventivi attribuibili al medesimo soggetto, in quanto titolare delle tre societa’ firmatarie;
– il tribunale rigettava l’opposizione e la relativa sentenza era confermata dalla Corte d’appello di Bologna;
– secondo la corte territoriale a) il ricorrente avrebbe dovuto curare personalmente la ricerca dei preventivi, mentre aveva prestato il proprio consenso a che gli i preventivi fossero procurati da un terzo; b) l’illecito non implicava la sussistenza di un danno erariale, essendo sufficiente che, mediante la presentazione di dati falsi, il soggetto avesse interferito sulla valutazione dell’autorita’ amministrativa circa la congruita’ del prezzo di acquisto;
– per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a quattro motivi;
– la Citta’ Metropolitana di Bologna ha resistito con controricorso;
– il ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che:
– il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 686 del 1981, articolo 3;
– il collegamento fra le imprese firmatarie dei preventivi non era conoscibile da parte del ricorrente, che non aveva ragione di dubitare che i tre preventivi non provenissero da imprese diverse e in concorrenza fra loro;
– gli elementi fattuali acquisiti alla causa dimostravano l’assenza di qualsivoglia negligenza nell’operato del ricorrente;
– il motivo e’ infondato:
“in tema di sanzioni amministrative, la buona fede rileva come causa di esclusione della responsabilita’ amministrativa quando sussistono elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceita’ della sua condotta e quando l’autore medesimo abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva. L’onere della prova degli elementi positivi che riscontrano l’esistenza della buona fede e’ a carico dell’opponente e la relativa valutazione costituisce un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita’ se non sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass. n. 23019/2009);
– la decisione della corte d’appello e’ in linea con tali principi, sia in ordine alla identificazione della nozione di buona fede, sia in ordine alla ripartizione dell’onere della prova;
– quanto all’ulteriore rilievo della stessa corte (il ricorrente avrebbe dovuto curare personalmente la ricerca dei preventivi, invece di acconsentire a che l’impresa da cui aveva acquisto uno dei preventivi gli fornisse anche gli altri), esso costituisce apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede (Cass. n. 23019/2009 cit.);
– il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 896 del 1986, articolo 3;
– secondo il ricorrente la semplice esposizione di dati o notizie false non integra la fattispecie sanzionatoria, occorrendo altresi’ che il conseguimento del contributo sia indebito, facendo difetto diversamente il requisito del danno comunitario;
– in contrasto con tale principio la corte d’appello ha affermato che, ai fini della punibilita’ della condotta, e’ sufficiente che, attraverso la presentazione di dati falsi, l’agente abbia comunque influito sulla valutazione dell’autorita’ amministrativa;
– il motivo e’ infondato;
– si puo’ convenire che l’illecito di cui alla L. n. 898 del 1986, articolo 3, sia un illecito di danno e non di pericolo;
– in questo senso la violazione non sussiste quando le falsita’ non abbiano raggiunto lo scopo (Cass. n. 3125/2005);
– nel caso di specie, pero’, il ricorrente pretende di accreditare una idea del tutto diversa di danno, e cioe’ che il beneficio, seppure conseguito dietro presentazione di documenti non veritieri, non sarebbe indebito, perche’ esso sarebbe stato concesso anche se fossero stati presentati preventivi di imprese in reale concorrenza fra loro;
– ma e’ chiaro che tale considerazione, sulla teorica ricorrenza dei presupposti per ottenere il beneficio, e’ del tutto estranea all’ambito di operativita’ della norma e agli interessi che essa intende tutelare, dovendosi ribadire che, ai fini della realizzazione dell’illecito, e’ sufficiente che l’indebita percezione sia conseguente all’esposizione di dati o notizie false (Cass. n. 19366/2010);
– nella specie e’ fatto acquisito che la presentazione dei tre preventivi ha sortito l’effetto avuto di mira dall’agente;
– il terzo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio;
– non e’ stata raggiunta la prova della antieconomicita’ del preventivi e, in definitiva, della natura indebita dell’erogazione;
– i giudici d’appello non hanno tenuto minimamente in considerazione la “mancanza di prove” sufficienti a fondare la responsabilita’ del ricorrente “e, anzi, hanno irragionevolmente ritenuta piu’ che raggiunta la prova della sua condotta negligente e della natura indebita dell’erogazione”;
– il motivo e’ inammissibile;
– il ricorrente non denuncia un omesso esame di uno o piu’ fatti, dirigendosi la censura, in termini generici e globali, contro la valutazione delle risultanze istruttorie da parte del giudice di merito: cio’ in cassazione non e’ consentito (Cass. n. 11603/2918);
– il quarto motivo solleva “eccezione di legittimita’ costituzionale della L. n. 896 del 1986, articolo 3, in relazione all’articolo 117 Cost., comma 1, per violazione dell’articolo 4 del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo del 1950 e alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo”;
– il ricorrente evidenzia di essere stato sottoposto a procedimento penale presso il tribunale di Bologna, definito con sentenza irrevocabile di assoluzione;
– il presente procedimento si sta quindi svolgendo in violazione del principio del ne bis in idem, sancito, fra l’altro, dal protocollo addizionale n. 7 alla CEDU;
– il motivo e’ infondato;
– la questione sollevata dal ricorrente e’ in linea di principio configurabile non in termini generalizzati, in presenza di un regime nazionale di “doppia punibilita’” dell’illecito – e’ tale quello previsto della L. 23 dicembre 1986, n. 898, articoli 2 e 3 (Cass., n. 1933/1998; n. 24/1999) – ma solo se la sanzione amministrativa abbia natura sostanzialmente penale, secondo l’interpretazione data dalla sentenza emessa dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nella causa “Grande Stevens contro Italia” del 4 marzo 2014, richiamata nel motivo;
– sotto questo essenziale profilo la Corte rileva che la sanzione prevista dall’articolo 3 (oltre alla restituzione dell’indebito, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria pari all’importo indebitamente percepito) non e’ equiparabile, per qualificazione giuridica, natura e grado di severita’, a quella penale (cfr. Cass. 8855/2017, 3656/2016, che hanno negato la natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob ex articolo 190 TUF; Cass. n. 2927/2917, che e’ giunta a identica conclusione in tema di sanzioni disciplinari dei notai);
– conseguentemente la doppia punibilita’ prevista dalla L. n. 898 del 1986, articolo 3, non integra una violazione del principio del ne bis in idem, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalita’ (cfr. Cass. n. 20689/2018);
– per completezza di esame si ritiene di richiamare il principio secondo cui “nel procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione della sanzione amministrativa per indebita percezione di aiuti comunitari (L. 23 dicembre 1986, n. 898, articolo 3), l’efficacia del giudicato penale di assoluzione del presunto trasgressore – nella specie per il reato di truffa aggravata – non puo’ essere estesa, a norma dell’articolo 654 c.p.c., nei confronti della P.A. adottante il provvedimento sanzionatorio la quale, non essendosi costituita nel giudizio penale, a questo non aveva partecipato” (Cass. n. 17907/2008);
– in conclusione il ricorso e’ rigettato con addebito di spese;
– poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 201s3 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;
dichiara ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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