Riscatto agrario di cui all’art. 8 della l. n. 590 del 1965

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 5 marzo 2019, n. 6302.

La massima estrapolata:

In tema di riscatto agrario di cui all’art. 8 della l. n. 590 del 1965, requisito indispensabile per l’esercizio del diritto da parte di una società agricola di persone, ex art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 99 del 2004, è l’indicazione del nominativo dei soci aventi i requisiti per la qualifica di coltivatore diretto nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’art. 2188 c.c., in virtù dell’univoco tenore letterale della detta norma (che, a differenza dell’art. 2193 c.c., non consente di dimostrare in altro modo il possesso del requisito richiesto) nonché della sua “ratio”, intesa a coniugare il riconoscimento dello sviluppo della forma societaria in agricoltura con la tutela del terzo acquirente.

Ordinanza 5 marzo 2019, n. 6302

Data udienza 14 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente

Dott. CIGNA Mario – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25020-2016 proposto da:
(OMISSIS) SOCIETA’ AGRICOLA SEMPLICE, in persona del socio amministratore e legale rappresentante (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1022/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/11/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso 23-9-2011 l’ (OMISSIS)., societa’ agricola semplice, adi’ il Tribunale di Verona al fine di far dichiarare validamente esercitato il diritto al riscatto nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione ad immobili (un locale deposito e ad alcuni lotti di terreno siti nel Comune di (OMISSIS)) da quest’ultimi acquistati al prezzo di Euro 12.000,00 con atto 17-9-2010 per notar (OMISSIS) intercorso con il venditore (OMISSIS).
A sostegno della domanda evidenzio’ di possedere tutti i requisiti (soggettivi ed oggettivi) normativamente previsti (L. n. 590 del 1965, articolo 8, L. n. 817 del 1971, articolo 7 e Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 2, comma 3) per essere preferita ai detti acquirenti, e che, cio’ nonostante, la vendita era avvenuta senza la preventiva comunicazione all’Azienda.
Con sentenza 2465/2013 del 31-10-2013 l’adito Tribunale rigetto’ la domanda.
Con sentenza 1022/2016 del 12-1/5-5-2016 la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello proposto dall’Azienda; in particolare la Corte ha ribadito che il riscatto era precluso dall’omessa indicazione della qualifica di coltivatore diretto del socio nell’iscrizione dell’impresa alla sezione speciale del relativo registro, cosi’ come invece espressamente previsto dal Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 2, comma 3, sicche’ mancava la possibilita’ legale di conoscenza di tale qualifica soggettiva da parte di qualsiasi terzo; nel caso, quale quello di specie, di omessa indicazione di quanto sopra, la mancanza della detta possibilita’ di conoscenza da parte del terzo era presunta iuris et de iure, senza alcuna possibilita’ di fornire aliunde la prova della detta conoscenza; siffatta norma, appositamente emanata in materia, era da ritenersi speciale rispetto alla piu’ generale disciplina codicistica di cui all’articolo 2193 c.c., che faceva invece salva la prova contraria.
Avverso detta sentenza l’ (OMISSIS) societa’ agricola semplice, propone ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi ed illustrato anche da successiva memoria.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 2, comma 3, anche in relazione all’articolo 3 Cost., lamenta che la Corte abbia considerato requisito ostativo dirimente rispetto al riscatto l’omessa indicazione del socio coltivatore diretto ( (OMISSIS), uno dei due soci che costituivano la societa’ agricola) nella sezione speciale del Registro delle imprese; al riguardo sostiene che in tal modo la Corte abbia dato preminente rilievo alla tutela del terzo acquirente, preferendo una interpretazione formalistica della detta disposizione, in contrasto con la ratio della stessa (favorire il riconoscimento e l’esercizio del diritto di prelazione) e con l’articolo 3 Cost. per disparita’ di trattamento tra coltivatore diretto esercente la sua attivita’ come sinaolo (titolare del diritto di prelazione a prescindere dalla detta iscrizione) e coltivatore diretto esercente la sua attivita’ all’interno di una societa’ di persone di cui sia socio (titolare del diritto di prelazione a condizione dell’iscrizione).
Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 2188 c.c., comma 1, sostiene che la Corte, nel ritenere requisito essenziale per il riscatto la detta iscrizione nel registro delle imprese, abbia erroneamente riconosciuto valenza costitutiva alla iscrizione.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli articoli 2193 e 2727 c.c., sostiene che erroneamente la Corte abbia ritenuto che la norma di cui al Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 2, comma 3 prevedesse una “presunzione iuris et de iure” e fosse da considerare come speciale e derogatoria rispetto a quella di cui all’articolo 2193 c.c., trattandosi infatti di norme operanti su piani completamente diversi (la prima individua i requisiti sostanziali per l’esercizio della prelazione, la seconda disciplina l’efficacia, (dell’iscrizione, prevedendo l’inopponibilita’ ai terzi dei fatti non iscritti, se non da essi conosciuti).
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articolo 118 disp. att. c.p.c. e articolo 111 Cost. in quanto la parte motiva della sentenza impugnata era stata scritta a mano con grafia di difficile lettura e comprensione.
Il quarto motivo, da esaminare con precedenza rispetto agli altri in quanto di natura preliminare, e’ infondato.
Per condiviso principio di questa S.C. “in mancanza di un’espressa comminatoria, non e’ configurabile alcuna nullita’ della sentenza nei caso in cui il testo originale, anziche’ formato dal cancelliere, in caratteri chiari e facilmente leggibili, mediante copiatura dalla minuta redatta dal giudice, risulti pubblicato direttamente nell’originale minuta scritta di pugno dal giudice, ancorche’ con grafia non facilmente leggibile; l’inosservanza delle disposizioni concernenti la formazione, ad opera del cancelliere, del testo originale della sentenza e la redazione della minuta in caratteri chiari e facilmente leggibili danno infatti luogo a semplici irregolarita’, a meno che il testo autografo del giudice non sia assolutamente inidoneo ad assolvere la sua funzione essenziale, consistente nell’esteriorizzazione del contenuto della decisione” (Cass. 7269/2012; conf. Cass. 5869/2018); questa S.C. ha anche precisato che “in tema di provvedimenti giudiziari, in caso di mera difficolta’ di comprensione del testo, stilato dall’estensore con scrittura manuale, non e’ configurabile la nullita’ della sentenza attesa l’assenza di una espressa comminatoria e la facolta’ della parte di richiedere alla cancelleria, ex articoli 743 e 746 c.p.c., copia conforme dattiloscritta, che deve essere leggibile” (Cass., 18663/2016).
Nel caso di specie, il testo autografo consente di assolvere alla detta funzione, come desumibile anche dalla circostanza che lo stesso ricorrente ha riportato nel contenuto del ricorso l’intero contenuto (con esclusione di una sola parola) della impugnata decisione.
I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono infondati.
Ai sensi del Decreto Legislativo 29 marzo 2004, n. 99, articolo 2, comma 3, “l’esercizio del diritto di prelazione o di riscatto di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, articolo 8 e successive modificazioni, ed alla L. 14 agosto 1971, n. 817, articolo 7 spetta anche alla societa’ agricola di persone qualora almeno la meta’ dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 c.c. e ss.”.
Non vi e’ dubbio, in primo luogo, della portata derogatoria di detta norma, regolante lo specifico istituto del riscatto agrario, rispetto alla disciplina codicistica di cui all’articolo 2193 c.c., che regola in generale l’efficacia dell’iscrizione nel registro delle imprese e che consente di provare che i terzi abbiano avuto aliunde conoscenza dei fatti per i quali e’ prevista l’iscrizione.
Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello, sulla base di detta speciale disposizione, senza quindi violare l’articolo 2188 c.c. con riferimento alla funzione dell’iscrizione nel registro delle imprese, ha ritenuto requisito ostativo dirimente per l’esercizio del riscatto l’omessa indicazione del socio coltivatore diretto ( (OMISSIS)) nella sezione speciale del registro delle imprese.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, siffatta interpretazione non solo e’ fondata sul chiaro ed univoco tenore letterale della detta norma (che richiede espressamente l’iscrizione e non prevede in alcun modo la possibilita’ di dimostrare aliunde il possesso del requisito richiesto) ma e’ da ritenersi anche in linea con la ratio della stessa; con la norma in esame, invero, il legislatore ha inteso coniugare il riconoscimento dello sviluppo della forma societaria in agricoltura con la tutela del terzo acquirente, estendendo si’ alla societa’ agricola il diritto di riscatto spettante ai coltivatori diretti del fondo confinante, ma alla condizione che almeno la meta’ dei soci siano coltivatori diretti e che tale qualifica, proprio a tutela del terzo acquirente, risulti dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all’articolo 2188 c.c..
Al riguardo va, inoltre, evidenziato, ad ulteriore conferma della correttezza dell’interpretazione fornita dalla Corte territoriale e dell’esigenza di tutela del terzo che ispira la norma, che le agevolazioni tributarie di cui al medesimo Decreto Legislativo n. 99 del 2004, articolo 4 ove non rileva la tutela del terzo, sono riconosciute “alle societa’ agricole di persone con almeno un socio coltivatore diretto” (articolo 2, comma 4 bis Decreto Legislativo n. cit.), senza quindi che in tal caso sia richiesto che la qualifica di coltivatore diretto risulti dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese (ubi lex voluit ibi dixit).
Ne’ siffatta interpretazione puo’ ritenersi, come sostenuto dalla ricorrente, “foriera di disparita’ di trattamento tra il coltivatore diretto laddove eserciti la sua attivita’ quale singolo e laddove invece la eserciti all’interno di una societa’ di persone di cui faccia parte quale socio”, atteso che il differente trattamento e’ determinato proprio dall’esercizio in forma societaria dell’attivita’ di coltivatore diretto, che, come tale, impone, a tutela del terzo acquirente e della libera circolazione dei beni, una piu’ immediata e certa conoscenza dell’eventuale qualifica di coltivatore diretto dei soci e, conseguentemente, del diritto di riscatto in capo alla societa’.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, poiche’ il ricorso e’ stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed e’ stato rigettato, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato paria quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano in Euro 2.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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