Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 8 marzo 2019, n. 6738.

La massima estrapolata:

In tema di risarcimento del danno per trattamento inumano subito durante il periodo di detenzione, non incombe sull’attore detenuto l’onere della prova, anche alla luce del recepimento delle norme della relativa Convenzione EDU, non avendo tale responsabilità natura aquiliana bensì contrattuale: saranno dunque onerati gli organi dello Stato, in quanto preposti alla garanzia di diritti costituzionalmente garantiti, a fornire gli elementi dai quali si possa desumere il giusto trattamento degli individui sottoposti al regime di detenzione.

Ordinanza 8 marzo 2019, n. 6738

Data udienza 20 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

 

ha pronunciato la seguente:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 28865-2016 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS) in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui e’ difeso per legge;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 11/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/12/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;
RILEVATO
che:
(OMISSIS), detenuto per circa diciotto anni in vari istituti penitenziari, ha agito nei confronti del Ministero della Giustizia, L. n. 354 del 1975, ex articolo 35 ter, comma 3, per ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa di condizioni detentive inumane;
ha lamentato, in particolare, che le celle in cui era stato ristretto erano prive di acqua calda, di un interruttore interno per l’illuminazione elettrica e di adeguate condizioni di illuminazione ed aereazione naturali e, altresi’, che era stato privato della possibilita’ di svolgere attivita’ educative e/o ricreative e di accesso al lavoro e che in alcuni istituti- vi era una situazione di sovraffollamento e il cucinino era allocato nello stesso locale destinato a bagno;
costituitosi il Ministero (che ha concluso per il rigetto della domanda), il Tribunale ha mandato alla Cancelleria di richiedere specifiche informazioni al D.A.P.; indi ha rigettato il ricorso, affermando che, vertendosi in ipotesi di responsabilita’ extracontrattuale, doveva applicarsi il termine quinquennale di prescrizione (cosicche’ risultava fondata, in relazione ai periodi trascorsi fino al 26.2.2010, l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero), che incombeva al ricorrente la prova delle condizioni indicate e che non risultavano “provate le circostanze integranti il trattamento inumano e degradante”, ossia che il ricorrente “abbia avuto a disposizione uno spazio individuale inferiore a mq 3,00 e/o abbia subito altre situazione di particolare disagio”;
avverso il decreto del Tribunale di Roma, ha proposto ricorso straordinario per cassazione il (OMISSIS) affidandosi a tre motivi; ha resistito il Ministero della Giustizia con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
col primo motivo (“violazione articolo 2935 c.c. – L. n. 354 del 1975, articolo 35 ter come modificato dal Decreto Legge n. 92 del 2014 – articolo 6 Convenzione EDU”), il ricorrente, premesso che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto puo’ essere fatto
valere, rileva che il diritto di cui alla L. n. n. 354 del 1975, articolo 35 ter, comma 3 “e’ divenuto azionabile il 21.08.2014, con l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 92 del 2014” e che “soltanto a partire da tale data chi e’ stato detenuto in condizioni inumane o degradanti (… puo’) far valere il diritto di cui all’articolo 35 ter”; censura pertanto la sentenza impugnata per avere ritenuto prescritto il diritto del ricorrente in relazione ad un periodo anteriore all’entrata in vigore della norma;
il motivo e’ fondato, a fronte del principio -espresso da Cass., S.U. n. 11018/2018- secondo cui “il diritto ad una somma di denaro pari a otto Euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’articolo 3 della CEDU, previsto dalla L. n. 354 del 1975, articolo 35 ter, comma 3, come introdotto dal Decreto Legge n. 92 del 2014, articolo 1, conv. con modif. dalla L. n. 117 del 2014, si prescrive in dieci anni, trattandosi di un indennizzo che ha origine nella violazione di obblighi gravanti “ex lege” sull’amministrazione penitenziaria. Il termine di prescrizione decorre dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni, salvo che per coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del Decreto Legge cit., rispetto ai quali, se non sono incorsi nelle decadenze previste dal Decreto Legge n. 92 del 2014, articolo 2, il termine comincia a decorrere solo da tale data”: ne consegue che, nel caso in esame, il termine prescrizionale applicabile e’ quello decennale, decorrente dalla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 92 del 2014;
il secondo motivo (“violazione L. n. 354 del 1975, articolo 35 ter, articolo 2967 c.c. – articolo 2964 c.c. – articolo 6 Convenzione EDU”) censura la sentenza per non aver considerato che il termine di prescrizione non poteva decorrere in pendenza del termine di decadenza di sei mesi per la proposizione della domanda giudiziale;
il motivo resta assorbito dall’accoglimento del precedente;
col terzo motivo (“violazione L. n. 354 del 1975, articolo 35 ter come modificato dal Decreto Legge n. 92 del 2014 – articolo 3 Convenzione EDU – principio dell’onere della prova affermato dalla Corte EDU”), premesso che “la Corte EDU ha con chiarezza affermato che, proprio per le peculiarita’ del procedimento, l’onere della prova non possa che gravare sulla parte resistente”, il (OMISSIS) censura la sentenza impugnata per non essersi attenuta, nell’individuazione del riparto dell’onere probatorio, al criterio indicato dalla Convenzione EDU, cosi’ come interpretato dalla Corte EDU;
il motivo e’ fondato, nei termini individuati da Cass. n. 31556/2018, alla quale il Collegio intende dare continuita’;
piu’ precisamente, deve osservarsi, in termini generali, che:
“per la Corte EDU l’onere della prova dell’adempimento conforme ai principi sanciti dalla Convenzione (…) grava sempre sulla struttura chiamata a rispondere della violazione di obblighi di protezione e di norme di comportamento”;
“la deduzione della violazione di detti obblighi da parte dello Stato, nel nostro ordinamento, determina (…) una responsabilita’ di tipo contrattuale, derivante dallo stretto rapporto che si instaura tra il soggetto attivo – lo Stato – che dispone la custodia detentiva in carcere e il soggetto passivo – il detenuto – che la subisce, quest’ultimo certamente titolare del diritto incomprimibile di non ricevere un trattamento inumano e degradante”;
“in relazione alla natura degli obblighi di protezione gravanti sullo Stato, il riferimento specifico alla natura contrattuale -e non extracontrattuale- di tale obbligazione si riscontra nell’articolo 1173 c.c. che la fa derivare dalla violazione di obblighi di legge, costituente “fatto o atto idoneo a produrre obbligazioni” (come rimarcato da Cass., S.U. n. 11018/2018);
piu’ specificamente, in riferimento al tema che ne occupa, deve considerarsi che:
“ove (…) lo Stato si sia costituito, il semplice fatto che contesti i fatti addotti dalla controparte mediante produzioni documentali, e il ricorrente non sia stato in grado di contrastare adeguatamente la documentazione offerta e di fornire la prova contraria con documentazione piu’ attinente al trattamento effettivamente ricevuto, alla luce del principio di vicinanza della prova deve ritenersi che tale circostanza non esoneri lo Stato dallo specifico obbligo di provare, attraverso idonea documentazione, l’adempimento specifico dei propri obblighi in tutto il periodo di trattamento”;
“qualora, poi, la documentazione prodotta dal ricorrente si dimostri insufficiente a delineare i termini del complessivo “inadempimento” allegato, (…) vengono certamente in gioco, a favore della parte ricorrente, ma non dell’amministrazione resistente in grado di disporre di appropriati mezzi di prova -nei confronti della quale vale la c.d. strong presumption di inadempimento (…)-, sia il ragionamento per presunzioni, che i poteri integrativi e officiosi del giudice previsti dal rito camerale prescelto dal legislatore”;
tale potere officioso di “assumere informazioni”, conferito dall’articolo 738 c.p.c., comma 3, costituisce evidentemente “un meccanismo riequilibratore di un procedimento in cui la parte ricorrente, nella maggior parte dei casi, non e’ nella possibilita’ di avere pronto ed immediato accesso ai dati relativi ai luoghi effettivamente occupati durante il periodo di detenzione e al programma di trattamento cui in concreto e’ stato sottoposto”; in tale potere deve dunque ravvisarsi “un vero e proprio, parallelo dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti (…) e cio’ in ragione del principio di effettivita’ della tutela accordata dall’ordinamento a diritti di indubbia matrice costituzionale e convenzionale”;
con specifico riferimento al motivo di ricorso in esame, deve dunque affermarsi l’erroneita’ della pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto la natura extracontrattuale della responsabilita’ dedotta in giudizio e ne ha fatto conseguire l’onere del ricorrente di provare specificamente i fatti posti a fondamento della pretesa risarcitoria, considerandolo non assolto; il giudice di rinvio dovra’ pertanto rivalutare la vicenda alla luce di un inquadramento contrattuale (che comporta la necessita’ per l’Amministrazione – piu’ “vicina” alla prova – di fornire elementi idonei a connotare il proprio corretto adempimento e ad escludere il carattere “inumano” del trattamento di detenzione), avvalendosi, oltreche’ del ricorso alle presunzioni, dei poteri officiosi consentitigli dall’articolo 738 c.p.c.;
il giudice di rinvio provvedera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, con assorbimento del secondo, cassa e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Roma, in persona di altro magistrato.

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