Risarcimento del danno per il silenzio della pubblica amministrazione

Consiglio di Stato, Sentenza|25 giugno 2021| n. 4861.

Il risarcimento del danno per il silenzio della pubblica amministrazione su un’istanza del privato, equivalendo al risarcimento di un danno per ritardo nel provvedere, non può essere riconosciuto qualora non sia stata dimostrata la spettanza del bene della vita, ovvero non si dimostri che l’amministrazione avrebbe dovuto accogliere, con ragionevole probabilità, l’istanza avanzata dal privato.

Sentenza|25 giugno 2021| n. 4861. Risarcimento del danno per il silenzio della pubblica amministrazione

Data udienza 20 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Concessione edilizia – Mancato rilascio – Azione di risarcimento danni per silenzio della PA – Presupposti per l’accoglimento – Individuazione – Risarcimento del danno per il silenzio della pubblica amministrazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9416 del 2009, proposto dalla società L’A. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Si. Ae. Vi. e An. Pa., elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, alla via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona della Commissione Straordinaria pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ca., elettivamente domiciliato in Roma, alla Piazza (…),
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, Sezione II, n. 2815 del 21 maggio 2009, resa inter partes, concernente una domanda di risarcimento del danno per il mancato rilascio di una concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2021 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70) il consigliere Giovanni Sabbato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Risarcimento del danno per il silenzio della pubblica amministrazione

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 5980 del 2006, proposto innanzi al T.a.r. per la Campania, sede di Napoli, la società L’A. S.r.l. (di seguito la società ) aveva chiesto il risarcimento per equivalente del danno subì to (non inferiore a Euro 1.114.302,00 oltre al maggiorato costo della manodopera) nonché interessi e rivalutazione, in conseguenza del diniego di un’istanza, avanzata nel 1996 dal precedente proprietario, di concessione edilizia per la realizzazione di 6 villette bifamiliari, diniego annullato dal medesimo Tribunale con la sentenza n. 5331 del 2003.
2. A sostegno della proposta azione risarcitoria, la società, subentrata nella proprietà dell’area, aveva dedotto che il diniego era stato annullato dal Tribunale avendo rilevato l’inapplicabilità delle misure di salvaguardia e che, nelle more, era mutata la destinazione urbanistica dell’area da “zona (omissis)” a “zona (omissis)” così risultando la domanda edificatoria non più accoglibile.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale in resistenza, il Tribunale amministrativo adì to Sezione II, ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente al rimborso delle spese di lite (Euro 1.500,00).
4. In particolare, il T.a.r. ha ritenuto che:
– dalla motivazione della pronuncia annullatoria del diniego “non è dato evincere gli estremi dell’attività vincolata nei termini descritti dalla ricorrente, essendosi piuttosto inteso imporre al Comune una nuova ricognizione della situazione, in cui l’Ente avrebbe dovuto valutare attentamente l’impatto delle nuove opere rispetto alle opere di urbanizzazione esistenti e ciò al fine di valutarne la idoneità alla stregua del progetto depositato”;
– “la constatata illegittimità del diniego non vincola l’amministrazione comunale al rilascio del permesso, rispetto alla quale la posizione dell’interessata rimane di aspettativa, essendo possibile una diversa determinazione del tutto legittima in sede di rinnovazione, purché sia congruamente motivata”;
– “Dall’annullamento di un atto per carenza di motivazione e di istruttoria, come è avvenuto nella fattispecie, deriva infatti solo la pretesa tutelata a che l’Amministrazione riprenda in esame la situazione e la valuti alla stregua dei principi di diritto contenuti nella sentenza”.
5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 17 novembre 2009 e depositato il 24 novembre 2009, lamentando, attraverso due motivi di gravame (pagine 7-55), quanto di seguito sintetizzato:
I) il T.a.r. non avrebbe considerato che la sentenza di annullamento del diniego – a causa di una mutata e sopravvenuta disciplina urbanistica che, di fatto, ha reso inedificabile il fondo – non è più eseguibile con il rimedio del giudizio di ottemperanza, ovvero in forma specifica, compromettendo definitivamente lo ius aedificandi; il T.a.r. nemmeno si sarebbe avveduto che nessun margine valutativo residua in capo all’Amministrazione con riferimento all’assentibilità o meno della richiesta edilizia illo tempore presentata non potendo la pretesa alla legittimità formale del provvedimento essere ristorata attraverso l’eliminazione del vizio formale stante l’intervento dello jus superveniens che ha modificato la destinazione urbanistica dell’immobile;
II) erronea sarebbe la sentenza impugnata per non aver considerato che l’esistenza di due soli motivi (misure di salvaguardia e approvazione di un piano particolareggiato) posti dall’Amministrazione a fondamento del diniego e la conseguente infondatezza di entrambi, come accertata con la precedente sentenza, devono fare ritenere che, all’epoca dei fatti, non sussisteva alcuna altra ragione ostativa all’accoglimento della domanda edificatoria; sarebbero prive di fondamento le ulteriori ragioni, evidenziate dall’Amministrazione soltanto in corso di giudizio al fine di denotare l’inaccoglibilità della domanda edificatoria, nella sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, ivi compreso quello della colpa dell’Amministrazione.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, la condanna del Comune appellato al risarcimento del danno.
7. In data 8 gennaio 2010 parte appellata si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del gravame.
8. In corso di giudizio le parti hanno svolto difese scritte, insistendo per le rispettive conclusioni. Parte appellante ha quantificato l’utile netto da risarcire in euro 1.286.105,00 ed ha chiesto, in via subordinata, la condanna dell’Ente ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a.; controparte ha eccepito, oltre alla mancanza degli elementi costitutivi dell’illecito, il difetto di titolarità al risarcimento in capo all’appellante, in quanto il diritto al risarcimento dei danni compete esclusivamente a chi, essendo proprietario del bene al momento dell’evento dannoso, ha subito la relativa diminuzione patrimoniale. Con memoria di replica parte appellante ha opposto l’inammissibilità dell’eccezione di controparte per mancata proposizione di appello incidentale.
9. Con sentenza non definitiva n. 8613del 20 dicembre 2019, il Collegio ha dichiarato inammissibile la questione della legittimazione alla proposizione della domanda risarcitoria da parte dell’appellante nonché ha disposto verificazione tecnica, ad opera del signor Provveditore regionale alle opere pubbliche della Regione Campania, con facoltà di delegare funzionare della medesima struttura munito delle necessarie competenze, allo scopo di stabilire:
“a) quale sia lo stato di urbanizzazione dell’area di proprietà de L’A. S.r.l. (con rappresentazione fotografica e cartografica), specificandone se lo stesso sia da reputare sufficiente rispetto alle opere in progetto ed al relativo carico urbanistico secondo quanto risulta all’epoca di emanazione del diniego impugnato in prime cure (12 dicembre 1996);
b) se emergono distinti ed ulteriori fattori ostativi, afferenti alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca di emanazione del diniego atto impugnato in prime cure (12 dicembre 1996);
c) ogni altro documento, o chiarimento, utile all’accertamento dei fatti di causa”.
10. Con decreto presidenziale n. 1290 del 3 settembre 2020, si è disposta la reiterazione della predetta istruttoria.
11. In data 23 febbraio 2021, il verificatore, designato nella persona dell’Ing. Fa. Me., ha depositato la richiesta relazione istruttoria.
12. In data 15 marzo 2021, parte appellante ha depositato memoria concludendo per l’accoglimento del ricorso in appello, previo eventuale supplemento d’istruttoria a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio di cui si contestano le conclusioni.
13. In data 20 marzo 2021 il Comune di (omissis) ha depositato memoria concludendo, alla luce delle risultanze della verificazione per il rigetto dell’appello.
14. In data 29 marzo 2021, parte appellante deposita memoria di replica chiedendo lo stralcio della memoria di controparte, perché inammissibile, ed insistendo per l’accoglimento dell’appello anche previo ulteriore approfondimento istruttorio.
15. L’appello è infondato.
15.1 La disamina delle deduzioni sollevate dall’appellante non può prescindere dalle risultanze istruttorie acquisite agli atti di questo giudizio all’esito della disposta verificazione, dovendosi preliminarmente dare atto che il tecnico all’uopo nominato, Ing. Fa. Me., ha dato ampia ed esauriente risposta ai quesiti postigli cosicché non si palesa alcuna esigenza di effettuare l’integrazione istruttoria richiesta dall’appellante.
Parte appellante, in punto di fatto, richiama la sentenza del T.a.r. n. 5331/2003, dell’8 maggio 2003 e passata in giudicato, con la quale il Collegio “accoglieva il ricorso proposto dal sig. Be., ritenendo fondati, in particolare, il terzo e quarto motivo di gravame proposto da quest’ultimo, rilevando come al momento della presentazione della domanda e del successivo diniego non fossero più applicabili le cd. misure di salvaguardia previste dall’articolo 1 della legge 1902/1952 e sostenendo, da ultimo, che sull’area interessata dall’intervento non sussistesse più alcuna necessità di subordinare la concessione del titolo abilitativo all’approvazione di un piano attuativo, giacché essa ricadeva in una zona altamente” (cfr. pagina 3). In realtà, la evocata pronuncia presenta un diverso quadro motivazionale, in quanto, nell’esaminare il quarto motivo di ricorso relativo alla pretesa insussistente necessità di ricorrere ad un previo piano di lottizzazione, ha evidenziato che l’Amministrazione si era limitata a presente atto di tale strumento attuativo mancando di “procedere ad una rigorosa valutazione del nuovo insediamento progettuale in rapporto alla situazione generale dell’area, evidenziando, se sussistenti, le concrete ulteriori esigenze indotte dalla progettata costruzione” (cfr. § 3). La statuizione di annullamento recata da tale pronuncia reca coerentemente la espressa salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, con la conseguenza che dalla rimozione dell’interposto diniego discende la necessità di accertare l’effettivo stato di urbanizzazione dell’area anche rispetto all’incremento di carico urbanistico derivante dall’esecuzione del progettato intervento.
Occorre quindi dar conto dell’esito degli accertamenti espletati dal tecnico verificatore sulla circostanza fattuale che, come meglio si dirà, assume rilievo decisivo ai fini della soluzione della controversia essendo in grado di lumeggiare la sussistenza, al momento dell’intervento della disciplina urbanistica di carattere ostativo, dei presupposti per l’accoglibilità della domanda edificatoria. Al riguardo viene precisamente in evidenza quanto accertato dal verificatore in ordine alla “inesistenza delle opere di urbanizzazione primaria, indipendentemente dalla verifica della sussistenza delle opere di urbanizzazione secondaria, tali da rendere il lotto di terreno inserito, di fatto, in un contesto urbanizzato”.
Il verificatore ha infatti rilevato:
– la mancanza di una “fogna comunale” (circostanza questa evidenziata dallo stesso tecnico redattore del progetto);
– la presenza soltanto “di un tracciato stradale che lambisce il lato sinistro del lotto”;
– l’assenza di illuminazione stradale e di tombini “significativi della presenza di una sottostante rete fognaria o idrica” (cfr. pag. 13 della relazione).
E’, dunque, pervenuto alla conclusione che “il comune non poteva rilasciare il titolo edilizio su concessione diretta in assenza di piano di lottizzazione” (cfr. pag. 15 della relazione).
La perspicuità delle risultanze istruttorie così come descritte impone di respingere la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla parte appellante per difetto del presupposto costitutivo rappresentato dalla effettiva assentibilità dell’intervento edilizio nel periodo (1996) cui risale la sopravvenienza della nuova disciplina urbanistica mercé l’adozione del PRG del 16 gennaio 1993. Trattasi di circostanza decisiva ai fini della soluzione della controversia, atteso che, secondo costante orientamento di questo Consiglio, “il risarcimento del danno per il silenzio della pubblica amministrazione su un’istanza del privato, equivalendo al risarcimento di un danno per ritardo nel provvedere, non può essere riconosciuto qualora non sia stata dimostrata la spettanza del bene della vita, ovvero non si dimostri che l’amministrazione avrebbe dovuto accogliere, con ragionevole probabilità, l’istanza avanzata dal privato” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 marzo 2021, n. 1923; id., sez. III, 2 novembre 2020, n. 6755; id., sez. IV, 22 luglio 2020, n. 4669).
Dalle testè valorizzate risultanze istruttorie discende, infatti, che, stante la mancanza delle opere di urbanizzazione necessarie, la domanda edificatoria, al momento dell’introduzione della nuova disciplina urbanistica, non poteva essere favorevolmente apprezzata e pertanto la sua mancata tempestiva disamina da parte dell’Amministrazione comunale non è in grado di fondare il preteso diritto risarcitorio. La domanda, avanzata dall’appellante, di risarcimento del danno non è quindi suscettibile di accoglimento.
16. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto
17. Per quanto riguarda il riparto delle spese del presente grado di giudizio, avuto riguardo alla protratta inerzia dell’Amministrazione nel provvedere sulla domanda edificatoria, il Collegio ritiene che esse siano da compensare, mentre quelle relative alla verificazione sono da porre in solido tra le parti con riparto interno tra le stesse nella misura del 50 % a carico di ciascuna di esse.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n. r.g. 9416/2009), lo respinge.
Spese del presente grado di giudizio compensate mentre le spese di verificazione, da liquidarsi, su tempestiva istanza del verificatore, con separato decreto, sono solidalmente a carico delle parti con riparto al 50 % per ciascuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 20 aprile 2021, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Ermanno de Francisco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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