Risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 12 giugno 2020, n. 11298.

La massima estrapolata:

In tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, e ai fini dell’individuazione dell’exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla legge 210/92, spetta alla controparte dimostrare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, sia l’esistenza della malattia, sia la sua riconducibilità causale alla trasfusione.

Sentenza 12 giugno 2020, n. 11298

Data udienza 17 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Danni da emotrasfusione – Risarcimento del danno alla salute – Individuazione dell’exordium praescriptionis – Data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla legge 210/92 – Domanda presentata dalla vittima – Prova – Controparte – Circostanza che già prima di quella data il danneggiato conosceva sia l’esistenza della malattia sia la sua riconducibilità causale alla trasfusione – Obbligo dimostrativo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 23776/2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in (OMISSIS), presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2603/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2019 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. del proposto ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) propone due motivi di ricorso per cassazione contro il Ministero della Salute, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 2603/2017, del 12.6.2017, con la quale veniva accolto l’appello del Ministero e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettate le sue richieste risarcitorie per il danno da contagio da HCV derivante allo stesso da emotrasfusione effettuata nel (OMISSIS) presso la Facolta’ di Medicina e Chirurgia di (OMISSIS), con positivita’ ai test dell’HCV accertata nel (OMISSIS), domanda di indennizzo ex lege n. 210 del 1992, proposta in data 28.1.2003 e domanda risarcitoria notificata il 24.2.2004, accogliendo l’eccezione di prescrizione formulata dal Ministero.
2.Resiste il Ministero con controricorso.
3. La causa, dapprima veicolata per la trattazione in adunanza non partecipata della Sesta sezione civile (con proposta nel senso della inammissibilita’ del ricorso, perche’ contrastante con i consolidati precedenti della Sezione), e’ stata da questa rimessa alla pubblica udienza della Terza Sezione con ordinanza interlocutoria n. 3936 del 2019.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, il danneggiato denuncia l’erronea individuazione dell’exordium praescriptionis, con violazione e falsa applicazione degli articoli 2935, 2946 e 2947 c.c., in riferimento al risarcimento del danno in caso di malattia lungolatente.
1.1. Sostiene che il giudice di appello non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi di diritto elaborati dalla Corte in materia, non tenendo in alcun conto il trattarsi di malattia lungolatente, ed in particolare della documentata non coincidenza cronologica tra il fatto illecito, l’insorgere del contagio, la cronicizzazione della malattia, la presa di coscienza della sussistenza di essa da parte del danneggiato e della riconducibilita’ di essa al fatto dannoso di terzi in generale, e del Ministero in particolare.
1.2. Segnala l’errore nel quale sarebbe incorsa la corte d’appello laddove ha ritenuto che facendo uso della ordinaria diligenza e tenuto conto delle conoscenze che l’epoca aveva maturato lo (OMISSIS) potesse essere in grado di stabilire una connessione causale tra la patologia della quale era risultato affetto e le emotrasfusioni risalenti al (OMISSIS) gia’ nel (OMISSIS), allorche’ cioe’ si manifesto’ la patologia di epatite cronica attiva e cirrosi epatica, e non soltanto nel momento cronologico successivo, datato (OMISSIS), allorche’ si sottopose ad ulteriori esami.
1.3. Critica in particolare il punto della motivazione in cui la corte d’appello afferma che all’epoca – secondi anni âEuroËœ90 – le conoscenze scientifiche diffuse (ovvero le informazioni a carattere scientifico di accesso comune) lo avrebbero posto in condizione di ricondurre causalmente la patologia riscontrata a suo carico alla trasfusione praticata molti anni addietro, e cio’ in quanto era comunemente e notoriamente diffusa all’epoca la nozione che le trasfusioni di sangue fossero uno dei principali veicoli di diffusione dei virus epatici e dell’HCV.
1.4. La sentenza prosegue poi affermando che gia’ allora il danneggiato stesso, sulla base di quelle nozioni di comune esperienza, avrebbe potuto quanto meno acquisire dai sanitari che formularono la diagnosi informazioni utili sulla causa dell’infezione.
1.5. Sostiene invece il ricorrente che negli indicati passaggi motivazionali la corte d’appello ha violato l’articolo 2935 c.c., nella sua interpretazione data dalla corte di legittimita’ in relazione a questo tipo di fattispecie: ha appiattito l’exordium praescriptionis sul giorno della individuazione e comunicazione della patologia al danneggiato, in tal modo troncando la serie della riconducibilita’ causale, di solito valorizzata nelle sentenze in materia, che fanno iniziare a decorrere la prescrizione solo dal momento, in genere oltre che logicamente anche cronologicamente successivo, in cui il danneggiato e’ in grado di tracciare, all’indietro, la linea di riconducibilita’ causale fino alla causa scatenante della patologia.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione nonche’ la violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. e dell’articolo 2935 c.c., in riferimento all’esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti.
2.1. Sostiene il ricorrente che la corte d’appello individui correttamente il principio di diritto rilevante nel caso di specie, affermato da Cass. S.U. n. 576 del 2008 e poi piu’ volte richiamato, secondo il quale “In tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, non sussistono tre eventi lesivi, bensi’ un unico evento lesivo, cioe’ la lesione dell’integrita’ fisica (essenzialmente del fegato) in conseguenza dell’assunzione di sangue infetto; ne consegue che gia’ a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B – la cui individuazione spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto – sussiste la responsabilita’ del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo” (principio consolidato, al quale hanno fatto riferimento numerose pronunce successive, tra le quali ex multis, Cass. n. 17865 del 2011, Cass. n. 5954 del 2014, Cass. n. 18520 del 2019, Cass. n. 1566 del 2019, Cass. n. 17421 del 2019), ma poi lo smentisce e contraddice platealmente nella motivazione, dando luogo ad una insanabile contraddittorieta’.
2.2. Ricorda che nello stesso provvedimento della Commissione Medica Ospedaliera che accordava l’indennizzo, proveniente dal Ministero, si affermava che la consapevolezza causale era maturata solo nel novembre 2002, quando venne cioe’ documentata la persistenza della replicazione virale.
2.3. Quindi, evidenzia che la corte d’appello in primo luogo non ha tenuto conto di questo documento decisivo, e poi evidenzia che, stante la responsabilita’ per colpa omissiva del Ministero, l’affermazione della corte d’appello sulla riconoscibilita’ della catena causale ben prima della proposizione della domanda risarcitoria, priva di alcun riscontro e di una adeguata giustificazione ancorata alla vicenda personale del danneggiato, fosse inidonea ad ancorare efficacemente ad un momento precedente alla presentazione della domanda di indennizzo l’exordium praescriptionis per il danneggiato.
3. I due motivi, che possono essere trattati insieme in quanto connessi, sono fondati.
3.1. Essi ripropongono una problematica gia’ piu’ volte sottoposta all’esame della Corte, relativa in particolare alla individuazione del momento in cui inizia a decorrere la prescrizione negli illeciti c.d. lungolatenti, in cui cioe’ il danno alla salute puo’ iniziare a manifestarsi a lunga distanza di tempo rispetto al fatto dannoso che lo ha provocato, nel caso di specie dalla trasfusione di sangue infetto determinante la contrazione delle patologie epatiche. E’ una problematica frequentemente presente proprio a proposito dei danni da emotrasfusioni, in cui il soggetto puo’ vivere anni prima che il virus produca i suoi danni nell’organismo, che possono manifestarsi sotto un profilo prima piu’ blando di danno epatico, e poi in taluni casi degenerare in AIDS, e nelle svariatissime e gravi patologie conseguenti alla immunodeficienza.
3.2. Ripercorrendo i consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia, si e’ piu’ volte affermato che il Ministero della Salute, in base ad una pluralita’ di fonti normative (per l’elenco esaustivo delle quali, cfr. tra le piu’ recenti, Cass. civ. Sez. III, 13-07-2018, n. 18520), e’ tenuto ad esercitare un’attivita’ di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex articolo 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni 6 conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584. V. altresi’, conformemente, Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., 2371/2014, n. 1355).
3.3. Dallo stesso quadro normativo in base al quale risultano attribuiti al Ministero poteri di vigilanza e controllo in materia, si evince come fosse gia’ ben noto sin dalla fine degli anni âEuroËœ60 – inizi anni âEuroËœ70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la rilevazione (indiretta) dei virus essendo possibile gia’ mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti-HbcAgin, e che gia’ da tale epoca sussistevano obblighi normativi (L. n. 592 del 1967; Decreto del Presidente della Repubblica n. 1256 del 1971; L. n. 519 dei 1973; L. n. 833 del 1973) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto. Sin dalla meta’ degli anni âEuroËœ60 erano infatti esclusi dalla possibilita’ di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT – indicatori della funzionalita’ epatica fossero alterati rispetto ai limiti prescritti (cfr. Cass., 20/4/2010, n. 9315).
3.4. Il dovere del Ministero della salute di vigilare attentamente sulla preparazione ed utilizzazione del sangue e degli emoderivati postula l’osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, specificamente in relazione all’impiego delle misure necessarie per verificarne la sicurezza, essendo tenuto ad evitare o ridurre i rischi a tali attivita’ connessi (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581).
3.5. Ancora, si e’ osservato che la colpa della P. A. rimane integrata anche in ragione della violazione dei dovuti comportamenti di vigilanza e controllo imposti dalle fonti normative piu’ sopra richiamate, costituenti limiti esterni alla sua attivita’ discrezionale ed integranti la norma primaria del neminem laedere di cui all’articolo 2043 c.c. (cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404), in base alle quali essa e’ tenuta ad un comportamento attivo di vigilanza, sicurezza ed attivo controllo in ordine all’effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio di emotrasfusione di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto (cfr. Cass., 28/9/2009, n. 20765; Cass., 23/5/2011, n. 11301), non potendo invero considerarsi esaustiva delle incombenze alla medesima in materia attribuite la quand’anche assolta mera attivita’ di normazione (emanazione di decreti, circolari, ecc.).
3.6. Le Sezioni Unite del 2008 hanno addirittura sottolineato come si tratti di un “rischio che e’ antico quanto la necessita’ delle trasfusioni” (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581), legittimando la conclusione poi ripetutamente ribadita da questa Corte che il Ministero della salute non puo’ non ritenersi tenuto, anche anteriormente alle sopra riportate date indicate da Cass., 31/5/2005, n. 11609, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi (v. Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., 23/1/2014, n. 1355; Cass., 12/12/2014, n. 26152; Cass., 4/2/2016, n. 2232; Cass., 31/10/2017, n. 25989).
3.7. A tale stregua, la trasmissione del virus resa possibile dalla condotta colposa di chi tale evenienza era chiamata ad impedire comporta doversi ritenere al medesimo causalmente ascrivibile la malattia che da quel virus si sviluppi, anche in conseguenza della relativa evoluzione o mutazione, tale evento costituendo integrazione del rischio specifico che la regola violata tende(va) ad evitare.
3.8. Al riguardo, vale ulteriormente osservare che nello specificare che il Ministero della Salute risponde “anche per il contagio degli altri due virus” gia’ “a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B”, trattandosi non gia’ di “eventi autonomi e diversi” ma solamente di “forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrita’ fisica da virus veicolati dal sangue infetto”, le Sezioni Unite non hanno certamente inteso limitare la rilevanza del fenomeno e la relativa responsabilita’ alla “data di conoscenza dell’epatite B” quanto tracciare il principio della unicita’ dell’evento lesivo, dal quale consegue che gia’ a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B – la cui individuazione spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto – sussiste la responsabilita’ del Ministero della salute, sia pure col limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo” (conformi, ex multis, Cass. n. 17685/2011 e Cass. n. 5954/2014).
3.9. Tutto cio’ premesso quanto alla responsabilita’ del Ministero della Salute, il profilo maggiormente dibattuto rimane quello legato alla prescrizione, non tanto in relazione alla durata (essendo da subito stata affermata la durata quinquennale di essa, trattandosi di illecito extracontrattuale, ed esclusa la possibilita’ di far riferimento a termini piu’ lunghi, associati a particolari tipi di reato, non associabili alla fattispecie in esame) quanto alla decorrenza iniziale.
3.10. Va in questa sede ribadito il principio consolidato secondo il quale il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita – o possa essere percepita usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, cioe’ dal giorno in cui la vittima sia in grado di tracciare la riconducibilita’ causale della malattia alla sua causa scatenante, e quindi ai possibili responsabili (in questo senso, da ultimo, Cass. n. 24164 del 2019; Cass. n. 2789 del 2019, Cass. n. 33169 del 2018, Cass. n. 13745 del 2018, Cass. n. 22045 del 2017).
3.11. Il riferimento univoco a questo principio (affermato da Cass. S.U. n. 576 del 2008 e poi piu’ volte richiamato) nelle pronunce di legittimita’ non esclude alcune oscillazioni nella interpretazione del suo contenuto e quindi nelle sue ricadute applicative.
3.12. E’ ben vero che il dies a quo della prescrizione non puo’ essere identificato, unitariamente e per tutti i soggetti che hanno subito il contagio, nel giorno della presentazione della domanda per la corresponsione dell’indennizzo, in quanto, come pure e’ stato affermato (tra le altre, Cass. n. 27757 del 2017; Cass. n. 23635 del 2015), esso costituisce solo il momento ultimo di decorrenza iniziale del termine di prescrizione, in corrispondenza del quale e’ ragionevole attendersi che il soggetto contagiato, proprio perche’ si e’ attivato a richiedere l’indennizzo, disponga delle necessarie informazioni per ricondurre causalmente il contagio verificatosi all’evento scatenante (v. Cass. n. 27757 del 2017: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita – o possa essere percepita usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche – quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo. Incorre, pertanto, in un errore di sussunzione e, dunque, nella falsa applicazione dell’articolo 2935 c.c., il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la dichiarazione anamnestica con la quale il paziente privo di conoscenze mediche – rispondendo ad una non meglio identificata interrogazione del sanitario ed in mancanza di specifiche indicazioni nel referto circa la causa della malattia epatica diagnosticatagli – aveva fatto riferimento ad una trasfusione a cui si era sottoposto quindici anni prima, non integrasse il presupposto, rilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, della percezione, da parte dello stesso paziente, della riconducibilita’ causale della patologia alla trasfusione).”).
3.13. La consapevolezza della riconducibilita’ causale puo’ ben verificarsi in capo al danneggiato anche in un momento precedente alla presentazione della domanda per la concessione dell’indennizzo, qualora egli sia venuto in possesso in precedenza di sufficienti informazioni, secondo i parametri indicati gia’ da Cass. n. 576 del 2008 della ordinaria diligenza e del livello di conoscenze scientifiche dell’epoca.
3.14. Tuttavia, nella sua valutazione di merito, che l’ha portata a ritenere il diritto del ricorrente prescritto, allorche’ ha ritenuto, a pag 9 della motivazione, che facendo uso dell’ordinaria diligenza e tenuto conto delle conoscenze che l’epoca aveva maturato, lo (OMISSIS) potesse essere in grado di stabilire una connessione causale tra l’epatopatia e le trasfusioni cui era stato sottoposto nel (OMISSIS) gia’ nel (OMISSIS), quando fu accertata la positivita’ al virus dell’epatopatia HCV, o quanto meno nel periodo immediatamente successivo, in cui risulto’ affetto da epatopatia cronica attiva e cirrosi epatica, la corte d’appello e’ incorsa in violazione di legge ed in particolare delle norme sulla distribuzione dell’onere probatorio, oltre che in un vizio di motivazione.
3.15. Deve infatti ritenersi che una volta che la vittima abbia dimostrato la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, che costituisce la data ultima, in relazione alla quale deve ritenersi che essa abbia maturato la consapevolezza della origine del contagio, rientri nell’onere probatorio della controparte dimostrare che gia’ prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza della malattia e la sua riconducibilita’ causale alla trasfusione.
3.16. Tale prova puo’ esser data anche per mezzo di presunzioni semplici, ma pur sempre sulla base di dati di fatto obiettivi che si riferiscano al soggetto danneggiato, alle informazioni alle quali quello abbia avuto accesso ed alle sue personali vicende e cognizioni, sulla base delle quali poter presumere una piena consapevolezza della malattia e dei dati rilevanti per l’instaurazione del giudizio in un momento precedente a quello della proposizione della domanda di indennizzo. E’ necessario cioe’ che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle “praesumptiones de praesumpto” (Cass. n. 17421 del 2019), specifica e non generica, ovvero attinente alla condizione del singolo danneggiato. La prova, come detto, puo’ anche fornirsi in via presuntiva, ma “sideve fondare su fatti certi”, ovvero, “si deve dedurre da questi sulla base di massime d’esperienza o dell'”id quod plerumque accidit””, non potendo consistere in una congettura, ovvero in “una mera supposizione”, cio’ che si verifica quando la presunzione “si fonda su fatti incerti” e “viene dedotta da questi in via di semplice ipotesi”; evenienza alla quale e’ stato ricondotto il caso – identico a quello oggetto del presente ricorso – in cui il giudice “ha ritenuto di poter desumere il fatto ignoto della conoscenza o conoscibilita’ della causa della malattia”, dalla mera scoperta, da parte della persona emotrasfusa “di essere ammalata di epatite”, e dalla circostanza che essa “aveva sin d’allora iniziato a curarsi” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 17421 del 2019, richiamata anche dalla successiva Cass. 3129 del 2020 in fattispecie analoga alla presente. cit.).
3.17. Nel caso di specie, la Corte di appello non ha rispettato ne’ la distribuzione dell’onere probatorio sul punto, ne’ il necessario rigore nel ricorso alle presunzioni, non avendo fatto alcun riferimento alle informazioni a disposizione di quella particolare vittima (e alla diligenza che essa avrebbe dovuto spiegare non in astratto, ma in concreto, sulla base delle informazioni a sua disposizione). In conclusione, ritiene questo Collegio sussistere la lamentata violazione degli articoli 2935 e 2697 c.c.. La prima norma e’ stata falsamente applicata, per avere la sentenza d’appello accertato in facto la mera conoscenza della malattia da parte della danneggiata, ed averne tratto in iure la conseguenza della azionabilita’ della pretesa risarcitoria, e dunque della decorrenza del termine di prescrizione (cosi’, gia’, Cass. n. 17241 del 2019; Sez. 3 -, Ordinanza n. 13745 del 31/05/2018, Rv. 649040 – 01).
La seconda norma e’ stata invece nella parte in cui la corte d’appello ha addossato al danneggiato l’onere di acquisire dai sanitari, in presenza della diagnosi di epatite ogni utile informazione sulla causa dell’infezione.
3.18. Anche sotto il profilo motivazionale la sentenza e’ viziata non avendo tenuto conto di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, la cui omessa considerazione mina alle fondamenta la decisione, ossia dello stesso provvedimento della Commissione Medica Ospedaliera, riconducibile al Ministero, in cui la CMO, nel momento in cui riconosceva il diritto all’indennizzo, riteneva tempestiva la relativa istanza riconoscendo che il ricorrente avesse acquisito piena consapevolezza del danno funzionale epatico solo in epoca vicina a quella della presentazione della domanda amministrativa, datata 28.1.2003: in particolare nel novembre 2002 quando venne cioe’ documentata la persistenza della replicazione virale (e non nel momento di anni antecedente in cui la corte d’appello colloca tale conoscenza).
3.19. Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione perche’ si pronunci anche sulle spese del presente giudizio attenendosi ai seguenti principi di diritto:
(a) “in tema di risarcimento del danno alla salute causato da emotrasfusione con sangue infetto, ed ai fini dell’individuazione dell’exordium praescriptionis, una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, spetta alla controparte dimostrare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che gia’ prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, sia l’esistenza della malattia, sia la sua riconducibilita’ causale alla trasfusione;
(b) in tema di prova presuntiva, il fatto noto dal quale e’ consentito al giudice risalire al fatto ignorato deve consistere in una circostanza obiettivamente certa, e non in una ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto di ricorso alle praesumptiones de praesumpto.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione perche’ si pronunci anche sulle spese del presente giudizio.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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