Risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 ottobre 2021| n. 26869.

Risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali.

Nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 287 del 1990, articolo 33, comma 2, per il risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali, nell’ipotesi in cui il procedimento avanti all’AGCOM si sia concluso con una decisione con impegni assunti dall’impresa a norma dell’articolo 14-ter della stessa Legge a proposito della posizione rivestita sul mercato e della sussistenza di un comportamento implicante abuso di posizione dominante, il giudice del merito, considerate le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria (e in particolare dalla sentenza 23 novembre 2017, causa C-547/16, della Corte di giustizia), non è in alcun modo limitato nelle sue valutazioni e deve anzi porre a fondamento del proprio accertamento anche gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria svolta; in particolare deve tener conto della valutazione preliminare della Commissione e degli elementi desumibili dalla comunicazione delle afferenti risultanze, onde considerarle quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale della condotta contestata, nel contesto di tutte le emergenze, anche di diverso tenore, acquisite in giudizio.

Ordinanza|4 ottobre 2021| n. 26869. Risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali

Data udienza 10 settembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Servizi di distribuzione e gestione rete pubblica gas – Concessionario – Abuso di posizione dominante – Procedimento dinanzi AGCM – Decisione con impegni – Danni – Istruttoria – Prova

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere

Dott. VELLA Paola – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

Dott. RUSSO Rita – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 6477/2017 proposto da:
(OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1470/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 12/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/09/2021 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che chiede il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato a settembre 2010 la (OMISSIS) s.r.l. convenne ai sensi della L. n. 287 del 1990, articolo 33, dinanzi alla corte d’appello di Firenze, la (OMISSIS) s.p.a., affinche’, previo accertamento di un abuso di posizione dominante da parte di questa per condotte poste in essere nel periodo 2005-2008, quale concessionaria in via esclusiva dei servizi di distribuzione e gestione della rete pubblica del gas metano in diversi comuni della regione Toscana, ne venisse pronunciata condanna al risarcimento dei danni.
Specificamente l’attrice sostenne che la convenuta aveva abusato della propria posizione in quanto, in alcune lottizzazioni private, si era rifiutata di eseguire i lavori di propria competenza (di assistenza, allacciamento alla rete e collaudo), salvo che fosse stata incaricata della costruzione dell’intero metanodotto.
Radicatosi il contraddittorio la corte d’appello di Firenze con sentenza non definitiva del 4 ottobre 2013, accertava l’effettivita’ dell’abuso e respingeva, tuttavia, la domanda di risarcimento del danno all’immagine; mentre con successiva sentenza definitiva in data 12 settembre 2016, eseguita una c.t.u., quantificava i danni effettivamente risarcibili in 389.217,71 Euro, oltre interessi compensativi e spese.
Avverso le due sentenze (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo, illustrato da memoria.
La societa’ (OMISSIS) ha resistito con controricorso e memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. – L’unico motivo di ricorso e’ formulato come “violazione o falsa applicazione di legge (..) in relazione della L. 10 ottobre 1990, n. 287, articolo 14-ter, in relazione alla sentenza non definitiva (..) e alla sentenza definitiva (..), per avere il giudice (..) proposto una interpretazione della norma non conforme ai principi dell’ordinamento nazionale e dell’Unione Europea, attribuendo erroneamente efficacia probatoria alla decisione con impegni adottata all’esito del procedimento davanti all’AGCM”.
La ricorrente sostiene che la corte d’appello, anziche’ procedere a un accertamento ex novo, avrebbe preteso di attribuire agli impegni assunti da (OMISSIS) nel corso dell’istruttoria davanti all’autorita’ garante la funzione di un vero e proprio accertamento, “quasi provvisto di efficacia di giudicato”, in ordine all’esistenza dell’abuso di posizione dominante.
II. – Il motivo e’ in parte infondato e in parte inammissibile.
III. – In ordine della L. n. 287 del 1990, articolo 14-ter, questa Corte ha reso il principio per cui “nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 287 del 1990, articolo 33, comma 2, per il risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali, nell’ipotesi in cui il procedimento avanti all’AGCOM si sia concluso con una decisione con impegni assunti dall’impresa a norma dell’articolo 14 ter L. cit., in ordine alla sua posizione rivestita sul mercato ed alla sussistenza di un comportamento implicante un abuso di posizione dominante, il giudice di merito puo’ porre a fondamento del proprio accertamento gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria svolta e, segnatamente, quelli desumibili dalla comunicazione delle sue potendo essere contrastati da emergenze di diverso tenore” (Cass. n. 5381-20).
Tale principio contraddice l’affermazione preliminare della ricorrente, secondo la quale invece, chiudendosi il procedimento dinanzi all’AGCM con decisione con impegni senza accertamento dell’infrazione, di nessuna rilevanza sarebbero le risultanze di quel procedimento.
III. – Reputa la Corte che il citato principio debba essere confermato con la precisione che segue, tratta dal confronto con la piu’ recente giurisprudenza comunitaria.
E’ infatti di sicura rilevanza la circostanza che la ricorrente, richiamando la sentenza della Corte di giustizia 29 giugno 2010 (causa C-441/07, Alrosa), abbia inteso focalizzare l’attenzione sulle forme attuative delle previsioni comunitarie in tema di concorrenza, onde trarne un condizionamento nell’esegesi della norma interna.
IV. – Ora la sentenza richiamata da (OMISSIS) (C. giust. 29 giugno 2010, Alrosa) ha ben vero affermato che l’istituto degli impegni costituisce “un nuovo meccanismo (…) volto a garantire l’applicazione efficace delle norme sulla concorrenza previste dal Trattato CE mediante l’adozione di decisioni che rendono obbligatori gli impegni proposti dalle parti e giudicati appropriati dalla Commissione al fine di fornire una soluzione piu’ rapida ai problemi di concorrenza da essa identificati, invece di avviare l’iter per la constatazione formale di un’infrazione”. E cio’ per il fatto che l’articolo 9 dell’afferente Regolamento (CE) n. 1 del 2003 (concernente l’applicazione delle regole di concorrenza ex articoli 81 e 82 del TFUE) e’ alfine ispirato “a considerazioni di economia processuale”.
Tale impostazione certamente postula che la decisione di accettazione degli impegni da parte dell’AGCM chiuda il procedimento senza accertare se vi sia stata o continui a esserci una violazione del diritto della concorrenza.
Essa pero’ non comporta affatto che delle risultanze di quel procedimento non debba tenersi conto nel giudizio di danni.
Che’ anzi, proprio nella citata sentenza Alrosa, la Corte di giustizia ha precisato che le disposizioni di cui agli articoli 7 e 9 del Regolamento citato “perseguono (…) due obiettivi diversi che mirano, l’uno, a porre fine all’infrazione constatata e, l’altro, a rispondere alle preoccupazioni della Commissione risultanti dalla sua valutazione preliminare” (punto 46).
V. – Il senso dell’affermazione risulta ben decifrabile per il tramite della piu’ recente sentenza della stessa Corte di giustizia 23 novembre 2017 (causa C-547/16, Gasorba), nella quale e’ stato per l’appunto stabilito che i giudici nazionali non possono ignorare le decisioni con impegni, in quanto esse rivestono in ogni caso carattere decisorio.
In questa ottica e’ stato anche precisato che sia il principio di leale cooperazione, di cui all’articolo 4, par. 3, TUFE, sia l’obiettivo di un’efficace e uniforme applicazione del diritto della concorrenza dell’Unione impongono al giudice nazionale “di tener conto della valutazione preliminare della Commissione e di considerarla quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale” della condotta contestata (sentenza ult. cit., punto 29).
VI. – La conseguenza da trarre e’ che, giuridicamente, non puo’ affermarsi – come la ricorrente ha fatto – che il giudice del merito sia condizionato in senso solo negativo dalla decisione con impegni, e cioe’ che egli sia in qualche misura tenuto a non attribuire rilevanza di sorta agli impegni assunti dal monopolista quali elementi probatori dell’avvenuto illecito.
A integrazione dell’insegnamento di Cass. n. 5381-20, va invece enunciato il seguente principio: “nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 287 del 1990, articolo 33, comma 2, per il risarcimento dei danni derivanti da illeciti anticoncorrenziali, nell’ipotesi in cui il procedimento avanti all’AGCOM si sia concluso con una decisione con impegni assunti dall’impresa a norma dell’articolo 14-ter della stessa Legge a proposito della posizione rivestita sul mercato e della sussistenza di un comportamento implicante abuso di posizione dominante, il giudice del merito, considerate le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria (e in particolare dalla sentenza 23 novembre 2017, causa C-547/16, della Corte di giustizia), non e’ in alcun modo limitato nelle sue valutazioni e deve anzi porre a fondamento del proprio accertamento anche gli elementi di prova acquisiti nel corso dell’istruttoria svolta; in particolare deve tener conto della valutazione preliminare della Commissione e degli elementi desumibili dalla comunicazione delle afferenti risultanze, onde considerarle quale indizio, o addirittura quale principio di prova, della natura anticoncorrenziale della condotta contestata, nel contesto di tutte le emergenze, anche di diverso tenore, acquisite in giudizio”.
VII. – Va aggiunto che non e’ vero che la corte d’appello di Firenze, per valutare l’esistenza dell’illecito di (OMISSIS), si sia nel caso concreto basata sulla sola assunzione di impegni, in forza di un accertamento “quasi provvisto” (secondo la peculiare espressione della ricorrente) di un’efficacia di giudicato.
La corte d’appello ha semplicemente valutato le risultanze del procedimento, per l’appunto alla stregua di elementi di prova, nel contesto di una piu’ complessiva considerazione dipanata dalle ammissioni della medesima (OMISSIS) nelle comunicazioni intercorse con l’attrice; le quali comunicazioni sono state ritenute esse stesse indice dell’abuso “concretizzato nell’impedire in sostanza alla (OMISSIS) l’attivita’ di posa di metanodotti in aree private (..) e nel condizionare il necessario collaudo e collegamento delle opere alla rete pubblica (..) all’esecuzione dell’impianto da parte sua”.
In questo senso la decisione e’ nel complesso allineata al principio sopra esposto, e la tesi sostenuta nel ricorso, secondo la quale sarebbe mancato un riscontro effettivo (ex novo) dell’illecito concorrenziale, oltre che infondata nel presupposto giuridico, si risolve in una petizione inammissibile, essendo in contrasto con gli accertamenti di fatto desunti dai provvedimenti impugnati.
VIII. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 12.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro, per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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