Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|26 maggio 2021| n. 14618.
Risarcimento dei danni da illecito trattamento dei dati personali
l’art. 15 d.lgs. n. 196 del 2003 (vigente “ratione temporis”), nel richiamare il disposto dell’art. 2050 c.c., pone a carico del danneggiato la prova del danno e del nesso di causalità, lasciando al danneggiante la dimostrazione di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare quel danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva rigettato la domanda risarcitoria, fondata sulla dedotta pubblicazione sull’albo pretorio “on line” di una delibera comunale contenente informazioni sullo stato di salute di un cittadino, in mancanza della prova della pubblicazione della menzionata delibera nella sua versione integrale).
Ordinanza|26 maggio 2021| n. 14618. Risarcimento dei danni da illecito trattamento dei dati personali
Data udienza 24 marzo 2021
Integrale
Tag/parola chiave: Privacy – Protezione dati personali – Trattamento illecito – Lesione diritto alla riservatezza ed all’immagine – Risarcimento danni – Art. 2050 c.c. – Ripartizione oneri probatori
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17682/2017 proposto da:
(OMISSIS), nella qualita’ di amministratore di sostegno della figlia (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Cellara (CS), in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 456/2017 del TRIBUNALE di COSENZA, depositata il 02/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2021 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.
Risarcimento dei danni da illecito trattamento dei dati personali
RITENUTO
CHE:
(OMISSIS), nella qualita’ di amministratrice di sostegno di (OMISSIS), aveva chiesto al Tribunale di Cosenza la condanna del Comune di Cellara al risarcimento dei danni subiti dall’amministrata a causa della pubblicazione sull’albo pretorio on-line del Comune di Cellara della (OMISSIS) con la quale era stata accolta la richiesta di ricovero della stessa presso un centro socio-riabilitativo diurno per disabili, contenente informazioni sul suo stato di salute. Il Comune aveva resistito.
Il Tribunale ha respinto la domanda, affermando che la ricorrente non aveva fornito la prova della denunciata pubblicazione della delibera in versione integrale all’albo pretorio del Comune e che tale circostanza risultava ammessa dall’ente convenuto.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto – sulla scorta del ravvisato mancato assolvimento dell’onere della prova da parte della ricorrente, in merito alla condotta denunciata come illecita ed al nesso eziologico tra il fatto e l’evento dannoso – che non poteva darsi luogo all’applicazione della presunzione iuris tantum riguardante l’elemento psicologico della colpa che comportava l’inversione dell’onere della prova a carico dell’autore dell’illecito, tenuto a dimostrare di aver adottato misure idonee ad evitarlo ai sensi del combinato disposto di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 15 e articolo 2050 c.c.
(OMISSIS) propone ricorso con mezzi tre mezzi; il Comune di Cellara ha replicato con controricorso.
Risarcimento dei danni da illecito trattamento dei dati personali
CONSIDERATO
CHE:
1.1. In via preliminare e’ opportuno precisare che, poiche’ si discute di trattamento di dati personali avvenuto nell'(OMISSIS), si applica il codice della privacy (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196) nella stesura anteriore alle modifiche introdotte con il Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101 di adeguamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, entrato in vigore il 25 maggio 2018 (articolo 99, comma 2 Regolamento).
1.2. Va quindi affermata la ammissibilita’ del ricorso per cassazione. In proposito va ribadito che nel giudizio avente ad oggetto tanto la lesione del diritto alla protezione dei dati personali, cui si applica la disciplina processuale speciale di cui al Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 10 – che non prevede la ricorribilita’ in appello -, quanto la domanda di risarcimento del danno per la lesione dei diritti alla riservatezza ed all’immagine, cui si applica il rito ordinario, al fine di identificare il mezzo di impugnazione esperibile, in ossequio al principio dell’apparenza, deve farsi riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse secondo il rito in concreto adottato in relazione alla qualificazione dell’azione effettuata dal giudice (Cass. n. 29336 del 22/12/2020); pertanto, qualora il Tribunale – come nel caso in esame – abbia ritenuto di giudicare unitariamente sulle domande, applicando il rito speciale mutuato dal diritto del lavoro, in quanto i danni risarcibili erano stati prospettati come conseguenza dell’illecita diffusione dei dati personali, risulta rettamente proposto il ricorso per cassazione avverso la sentenza in unico grado.
2.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 15, comma 1, e degli articoli 2050 e 2697 c.c. sotto il profilo della falsa applicazione del principio di presunzione iuris tantum, in quanto risultando provato il comportamento illecito del Comune di Cellara era onere di questo, in osservanza del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 15 che richiama l’articolo 2050 c.c., provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
A parere della ricorrente la decisione impugnata e’ erronea perche’ era il Comune a dover provare che la delibera caricata sull’albo pretorio era stata opportunamente anonimizzata, dimostrando di avere adottato tutte le misure necessarie.
2.2 Il motivo e’ inammissibile perche’ non coglie la ratio decidendi, fondata sulla mancata prova a cura della ricorrente del fatto dannoso, e perche’ sollecita impropriamente la rivalutazione del merito.
2.3. Risulta decisivo osservare che l’illegittimo trattamento di dati sensibili Decreto Legislativo n. 196 del 2003, ex articolo 4 configurabile come illecito ai sensi dell’articolo 2043 c.c., non determina un’automatica risarcibilita’ del danno poiche’ il pregiudizio (morale e/o patrimoniale) deve essere provato dal danneggiato secondo le regole ordinarie, quale ne sia l’entita’ e la difficolta’ di assolvere l’onere probatorio, trattandosi di un danno-conseguenza e non di un danno-evento, senza che rilevi in senso contrario il suo eventuale inquadramento quale pregiudizio non patrimoniale da lesione di diritti costituzionalmente garantiti (Cass. n. 15240 del 03/07/2014). Tuttavia, poiche’ i danni cagionati per effetto del trattamento dei dati personali, in base al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 15 sono assoggettati alla disciplina di cui all’articolo 2050 c.c., il danneggiato e’ tenuto solo a provare il danno e il nesso di causalita’ con l’attivita’ di trattamento dei dati, mentre incombe al danneggiante la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno stesso (Cass. n. 10646 del 26/06/2012; Cass. n. 18812 del 05/09/2014).
2.4. La ricorrente opera una non condivisibile sovrapposizione tra i rispettivi oneri probatori e confonde l’onere della prova del danno e del nesso di causalita’, che gravava su di lei, con l’onere di provare la condotta scriminante ex articolo 2050 c.c., che gravava sull’autore del fatto illecito, senza cogliere la ratio decidendi focalizzata proprio sulla mancata prova dell’assunto costituito dalla avvenuta pubblicazione on cine della delibera in versione integrale, posto che dalle deposizioni dei testi ((OMISSIS) e (OMISSIS), oltre che (OMISSIS), padre della amministrata) non era emerso che gli stessi avessero visionato il testo integrale della delibera on line.
2.5. Infine, la censura sostanzialmente sollecita una inammissibile rivalutazione dei fatti, pur non formulando un vizio motivazionale.
Come piu’ volte chiarito dalla S.C., il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione – come prospettato nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, e’ esterna all’esatta interpretazione delle norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, tutte le volte in cui (a differenza che per la prima ipotesi) sia contestata la valutazione delle risultanze di causa. Da una parte, dunque, si pone la violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa; dall’altra, l’erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta (Cass., sez. lav., 16 luglio 2010, n. 16698; sez. lav., 26 marzo 2010, n. 7394; sez. 3, 4 marzo 2010, n. 5207).
Nel caso di specie la ricorrente lamenta la valutazione compiuta nella sentenza impugnata con riguardo alla circostanza di fatto dell’avvenuta pubblicazione on line della delibera, posta come presupposto del diritto al risarcimento del danno: il che appunto integra censura alla valutazione operata dal giudice del merito, deducibile solo ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la nullita’ della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’addii Cost. e dell’articolo 420 c.p.c., comma 5, per avere il Tribunale di Cosenza erroneamente ritenuto inammissibile la richiesta di prova testimoniale, avente ad oggetto la possibilita’ di accedere alla copia integrale della delibera cliccando il link della pagina on line dell’Albo pretorio, perche’ formulata dalla parte ricorrente tardivamente all’udienza di prima comparizione, atteso che l’esigenza di tale prova – secondo la prospettazione della ricorrente – era sorta solo dopo che il Comune, nel difendersi con l’atto di costituzione, aveva dichiarato che la pubblicazione della delibera all’albo era avvenuta in forma protetta.
2.2. Il motivo e’ inammissibile.
La ricorrente, per sostenere l’ammissibilita’ della deduzione istruttoria formulata all’udienza di comparizione, sembra assumere che il Comune, prima dell’atto di costituzione, con la sua lettera del 13/11/2013 a riscontro della diffida del 29/10/2013, avesse negato che i dati in questione fossero dati sensibili, cosi’ implicitamente ammettendo di avere pubblicato l’integrale delibera, per poi mutare linea difensiva con l’atto di costituzione, circostanza questa che avrebbe reso necessaria la nuova richiesta istruttoria.
Tuttavia, l’esplicitazione delle circostanze che avrebbero dovuto consentire – a parere della ricorrente – l’ingresso tardivo di ulteriori deduzioni istruttorie e’ insufficiente e cio’ si riverbera sull’ammissibilita’ del motivo. L’interpretazione che la ricorrente fornisce in merito alla missiva comunale del 13/11/2013 e’ del tutto soggettiva e la mancata trascrizione del testo non consente alla Corte alcun apprezzamento in merito; peraltro, dalla trascrizione del verbale (fol. 17 del ric.) non emerge che la richiesta istruttoria sia stata sottoposta al giudice del merito nei medesimi termini e per le ragioni oggi dedotte, che si palesano anche come nuove.
3.1. Con il terzo motivo si denuncia la illogicita’ della motivazione per erronea valutazione delle prove testimoniali acquisite al processo, nella parte in cui il Tribunale ha statuito che dalle risultanze della prova testimoniale sarebbe risultato indimostrata la condotta illecita denunciata a fondamento della pretesa risarcitoria e cioe’ la pubblicazione integrale – comprensiva dei dati identificativi della amministrata – della delibera.
3.2. Il motivo e’ inammissibile.
Come gia’ chiarito da questa Corte “La riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014) ed inoltre “L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2 riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicche’ sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo.” (Cass. n. 22397 del 06/09/2019).
Nel caso di specie la censura non corrisponde al modello legale del vizio denunciato e si risolve nella sollecitazione di un diverso apprezzamento del materiale istruttorio, conforme a quanto auspicato dalla ricorrente.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis (Cass. Sez. U. n. 23535 del 20/9/2019).
P.Q.M.
– Dichiara inammissibile il ricorso;
– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in Euro 3.000,00=, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52;
– Da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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