Riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata

Consiglio di Stato, Sentenza|28 marzo 2022| n. 2238.

Riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata.

In termini generali, infatti, la riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata dal Giudice di primo grado richiede la precisa enucleazione contenutistica della stessa, affinché il relativo portato argomentativo sia autonomamente percepibile dagli atti del giudizio, senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure.

Sentenza|28 marzo 2022| n. 2238. Riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata

Data udienza 24 febbraio 2022

Integrale

Tag- parola chiave: Processo amministrativo – Appello – Riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata dal Giudice di primo grado – Presupposti di ammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7932 del 2016, proposto dal signor Gi. De Sa., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Fa. e Ni. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Pu., studio Ug. e Nu., in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Cl. St. in Roma, via (…);
nei confronti
dei signori Le. Fa. e An. Fi., rappresentati e difesi dall’avvocato Fe. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mo. Ba. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sezione prima, n. 607 del 9 giugno 2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e dei signori Le. Fa. e An. Fi.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2022 il consigliere Claudio Tucciarelli e uditi per le parti gli avvocati Ni. Mo., Fr. Be. e Fe. Ch.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata

FATTO

1. Con il ricorso in appello proposto contro il Comune di (omissis) e nei confronti dei signori Le. Fa. e An. Fi., il signor Gi. De Sa. chiede la riforma e/o l’annullamento della sentenza n. 607/2016 con cui il T.A.R. per la Basilicata ha dichiarato irricevibile il ricorso proposto dall’odierno appellante avverso il permesso di costruire n. 55/2013 emesso dal Comune di (omissis) a favore dei controinteressati.
2. L’appellante, proprietario di immobile adiacente a quello in contestazione, aveva impugnato con atto consegnato per la notificazione agli ufficiali giudiziari il 14 marzo 2014 e depositato il 7 aprile 2014, il permesso di costruire n. 55/2013 rilasciato ai controinteressati il 14 novembre 2013, relativo al restauro e alla trasformazione dell’immobile sito in (omissis), via (omissis), e alla realizzazione di un nuovo fabbricato, in sopraelevazione sullo stesso, composto da unità immobiliare al primo piano e da un terrazzo con balcone sporgente al secondo piano.
3. Il ricorso in primo grado era supportato dai seguenti motivi.
3.1. Violazione dell’art. 9, comma 2, del D.M. n. 1444/1968, eccesso di potere per carenza d’istruttoria. In particolare, il provvedimento impugnato avrebbe illegittimamente assentito la realizzazione di una nuova costruzione, anche in sopraelevazione, a distanza inferiore a dieci metri ovverosia alla distanza minima prescritta dalla disciplina urbanistica.
3.2. Violazione degli articoli 873, 905 e 907 cod. civ., eccesso di potere per carenza d’istruttoria. In particolare, sarebbe violata anche la prescrizione di distanza minima tra gli edifici dettata dal codice civile (tre metri).
3.3. Violazione dell’art. 12, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, violazione dell’art. 41-sexies della legge n. 1150/1942, violazione dell’art. 32 della Costituzione, eccesso di potere per carenza d’istruttoria. In particolare, sarebbe violata anche la normativa in materia di urbanizzazione primaria, segnatamente per carenza di aree di parcheggio.
3.4. Violazione dell’art. 2, comma 7, della legge regionale Basilicata n. 25/2009, eccesso di potere per difetto d’istruttoria. In particolare, risulterebbe violata la disciplina regionale, per quanto concerne le distanze e l’urbanizzazione primaria.

 

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3.5. Violazione del P.R.G., del Regolamento edilizio e della disciplina urbanistica vigente nel Comune di (omissis). L’art. 3, n. 17, e l’art. 3, n. 18, del Regolamento edilizio, come pure le N.T.A. (art. 7.6, zone B1) fisserebbero distanze minime che il provvedimento impugnato avrebbe disatteso.
3.6. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per errata presupposizione del fatto, per istruttoria incongrua, lacunosa ed erronea, nonché per difetto di motivazione. L’istruttoria sarebbe stata condotta in modo lacunoso e il provvedimento impugnato sarebbe carente di motivazione congrua.
4. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti sia il Comune di (omissis) sia i controinteressati, eccependo la tardività del ricorso e sostenendone comunque l’infondatezza nel merito.
I controinteressati hanno presentato poi ricorso incidentale con cui hanno chiesto l’annullamento dei titoli edilizi (il nulla osta n. 31/05/76, concessione edilizia n. 356/91, nulla osta regionale n. 1463 del 20 settembre 1989) rilasciati al ricorrente principale (e/o al suo dante causa), sostenendone l’illegittimità .
Il ricorrente principale ha depositato memoria sostenendo l’inammissibilità, la tardività e comunque l’infondatezza del ricorso incidentale.
5. Nel giudizio di primo grado è stata dapprima rigettata l’istanza cautelare (ordinanza n. 61/2014).
La sentenza impugnata ha poi accolto l’eccezione di irricevibilità del ricorso, rilevando che:
– in fatto, il permesso di costruire n. 55/2013 era stato rilasciato dal Comune in data 14 novembre 2013, il relativo cartello era stato affisso in cantiere il 16 novembre 2013 e la comunicazione di inizio lavori era stata effettuata il 21 novembre 2013, mentre il completamento strutturale dei lavori di realizzazione del muro perimetrale in sopraelevazione era avvenuto in data 8 gennaio 2014 (su quest’ultimo punto, la sentenza impugnata rinvia all’attestazione in data 21 aprile 2014 del direttore dei lavori, in atti, non oggetto di specifica contestazione); il ricorso avverso il permesso di costruire era stato consegnato agli ufficiali giudiziari per la notificazione in data 14 marzo 2014;
– il ricorso era tardivo in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza, l’effettiva conoscenza dell’atto si perfeziona quando la nuova costruzione riveli in modo certo e univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica; ne consegue che, per quanto in linea di principio, in assenza di altri elementi probatori, il termine per l’impugnazione inizi a decorrere dal completamento dei lavori, la piena conoscenza può intervenire anche prima, quando si sostenga l’assoluta inedificabilità dell’area o si producano censure relative a fatti rilevabili sin dalla fase iniziale dei lavori, come avviene per il rispetto delle distanze fra fabbricati; nella fattispecie ricorre per l’appunto tale ultima circostanza, giacché le censure del ricorrente si sono appuntate sul mancato rispetto delle distanze prescritte, con riferimento alla sopraelevazione realizzata dai controinteressati e il completamento strutturale di tale sopraelevazione risulta avvenuto in data antecedente all’8 gennaio 2014, per cui almeno da tale data il sig. De Sa. ha avuto piena conoscenza della lesività del titolo edilizio rilasciato ai controinteressati.
La sentenza ha infine compensato le spese di giudizio.
6. Il ricorso in appello, dopo avere richiamato i contenuti della sentenza impugnata e la vicenda controversa, si sofferma sulla regola generale affermata dal Consiglio di Stato con riguardo alla decorrenza del termine per ricorrere dal completamento dei lavori edilizi o dal momento in cui le opere rivelino, in modo certo ed univoco, le loro caratteristiche. Nel caso di specie il termine dovrebbe decorrere dalla data di completamento dei lavori, a meno che non venga provata una conoscenza anticipata o si deducano censure di assoluta inedificabilità dell’area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell’iniziativa in corso.

 

Riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata

L’appellante sostiene di avere avuto contezza della lesività dell’opera nel momento in cui riusciva a verificare quanto realizzato, ossia soltanto il 18 febbraio 2014, quando inviava al Comune di (omissis) la nota di richiesta di annullamento del provvedimento. Il ricorso, notificato in data 14 marzo 2014, sarebbe quindi tempestivo.
L’appellante contesta inoltre il rilievo attribuito alla dichiarazione resa dal direttore dei lavori, redatta un mese dopo la presentazione del ricorso. L’amministrazione e gli appellati non avrebbero prodotto elementi probatori atti a collocare in modo certo nel tempo i lavori di realizzazione della struttura in sopraelevazione all’edificio preesistente – e insieme la conoscenza del contenuto lesivo del provvedimento abilitativo e l’effettiva conoscibilità in concreto – in un periodo antecedente a sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso giurisdizionale.
La sentenza impugnata avrebbe invece basato il proprio convincimento su due elementi: a) la data del completamento strutturale della sopraelevazione, avvenuto in data antecedente all’8 gennaio 2014; b) la prova consistente nell’attestazione rilasciata dal direttore dei lavori in data 21 aprile 2014, circa la realizzazione del muro stesso in data 8 gennaio 2014.
L’appellante contesta l’efficacia probatoria dell’attestazione del direttore dei lavori.
Ciò premesso, l’appellante deduce i seguenti motivi.
6.1. Violazione degli artt. 63 e 64 del c.p.a. per inammissibilità della dichiarazione del direttore dei lavori, errore in giudicando, difetto e/o insufficiente motivazione. La dichiarazione del direttore dei lavori non potrebbe essere ritenuta un elemento probatorio ammissibile nel giudizio amministrativo, non costituendo una certificazione rilasciata da un soggetto che ricopre una veste pubblicistica, quale non è il direttore di lavori privati, stanti le differenze di ruoli e di funzioni rispetto al direttore dei lavori di rilevanza pubblica.
6.2. Violazione dell’art. 64 del c.p.a., errore in giudicando per inattendibilità del documento, difetto di istruttoria, difetto e/o insufficiente motivazione. L’appellante contesta la data di formazione dell’attestazione del direttore dei lavori, successiva alla presentazione del ricorso, oltre all’assenza di alcun elemento oggettivo di data certa dal quale dedurre la veridicità di quanto attestato, finalizzato alla precostituzione di una prova nel giudizio. Viene inoltre contestata l’attendibilità dell’attestazione, in quanto troppo breve sarebbe il tempo intercorso (circa un mese nel periodo delle festività natalizie) tra la data di avvio dei lavori e il loro asserito completamento.
6.3. Violazione dell’art. 64 del c.p.a., errore in giudicando per irrilevanza della specifica impugnazione, difetto e/o insufficienza di motivazione. L’appellante censura quanto sostenuto nella sentenza circa l’omessa contestazione del documento e richiama il riparto dell’onere della prova nel processo amministrativo, non potendo costituire onere probatorio della parte, nei cui confronti l’eccezione è sollevata, la non veridicità del contenuto dell’eccezione sollevata dalla controparte, avendo la parte solo l’onere di documentare la veridicità delle proprie deduzioni come contenute nell’atto introduttivo ed eventualmente nei motivi aggiunti. La specifica contestazione del documento sarebbe quindi irrilevante sia perché non sussiste un onere di prova contraria a carico del soggetto nei cui confronti l’eccezione è stata sollevata sia perché essa non sarebbe necessaria in relazione alla natura inammissibile del documento, quale dichiarazione di terzo.

 

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6.4. Errore in giudicando per difetto di istruttoria, difetto e/o insufficienza della motivazione, non conoscibilità in concreto della lesività del provvedimento impugnato. L’attestazione del direttore dei lavori sarebbe infondata mentre il T.A.R. avrebbe omesso di accertare la situazione nel caso di specie, in cui alla data dell’8 gennaio 2014 i lavori relativi al muro perimetrale erano stati solo avviati e non sussisteva l’effettiva conoscibilità da parte dell’appellante dell’opera realizzata, in presenza di un’alta impalcatura e di una fitta rete frangivista attorno all’edificio del controinteressato. La mera circostanza della installazione di un impalcato di maggiore altezza rispetto a quella dell’edificio preesistente non sarebbe sufficiente a rivelare la natura dell’opera edilizia oggetto di contestazione.
L’appellante chiede che venga accolto l’appello e con esso, previa ammissione ed espletamento dei mezzi istruttori articolati nel ricorso introduttivo, che si abbiano per riproposti, le conclusioni nel medesimo ricorso formulate.
7. Il Comune si è costituito il 2 dicembre 2016.
I controinteressati si sono costituiti, depositando propria memoria, il 18 dicembre 2018.
I medesimi hanno depositato documenti il 5 gennaio 2022 (relazione del C.T.U. del 24 agosto 2019 nel giudizio civile n. 2016/2017 davanti al Tribunale di Matera, tra appellante e controinteressati odierni, avente a oggetto le distanze tra gli edifici).
Il Comune di (omissis) ha depositato propria memoria il 23 gennaio 2022, con cui chiede la conferma della sentenza impugnata e comunque sostiene l’infondatezza dell’appello.
I controinteressati hanno depositato memoria il 24 gennaio 2022 con cui controdeducono avverso l’appello e chiedono il rigetto dell’appello medesimo, condanna delle spese di lite ed accessori di legge, nonché, nel caso di riforma della sentenza di primo grado, chiedono il rigetto del ricorso promosso dal sig De Sa. in quanto infondato e accoglimento del ricorso incidentale i cui contenuti sono stati trascritti e a cui i controinteressati rinviano espressamente.
Gli stessi controinteressati hanno depositato memoria di replica il 3 febbraio 2022, con cui eccepiscono l’inammissibilità del ricorso in appello in quanto parte appellante non avrebbe riproposto formalmente le domande non esaminate in primo grado ex art. 101, comma 2, c.p.a.
8. All’udienza pubblica del 24 febbraio 2022, come da verbale, il Presidente del collegio ha dato atto, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 73, comma 3, del c.p.a., dei possibili profili di inammissibilità dell’appello per la mancata riproposizione, nell’atto di appello, delle doglianze di merito. La causa è, quindi, stata trattenuta in decisione.

 

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DIRITTO

9. Il Collegio ritiene di dovere valutare preliminarmente l’ammissibilità dell’appello proposto. Si tratta quindi di valutare se, ai sensi dell’art. 101, comma 2, del c.p.a., l’appellante abbia assolto all’onere di riproposizione ovverosia se siano state espressamente riproposte nell’atto di appello le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado o se, al contrario, esse debbano intendersi rinunciate. In questa seconda evenienza, l’appello sarebbe inammissibile, in quanto inidoneo ad assicurare alcuna utilità all’appellante anche laddove, in ipotesi, fossero riconosciuti come fondati i motivi dal medesimo dedotti avverso la sentenza impugnata, con riguardo alla declaratoria di irricevibilità del ricorso.
Si tratta di profilo che non solo è stato indicato dai controinteressati nella memoria di replica, ma è rilevabile d’ufficio dal giudice ai sensi dell’art. 35, comma 1, lettera b), del c.p.a.
L’art. 101, comma 2, del c.p.a. costituisce un temperamento dell’effetto devolutivo dell’appello nel processo amministrativo, consistente nella riemersione automatica del materiale di cognizione di primo grado ed espressione della funzione rinnovatoria del gravame. Tale temperamento, manifestazione di diritto positivo del principio dispositivo, fa sì che la devoluzione in appello sia delimitata dal thema decidendum fissato dall’appellante.
La disposizione del c.p.a., utilizzando il termine “espressamente” ha evidentemente inteso pretendere il requisito, ai fini del rituale assolvimento dell’onere, che la parte specifichi l’ambito della devoluzione al giudice di secondo grado, sì da mettere questi nelle condizioni di avere una conoscenza compiuta delle questioni, come pure alle controparti di contraddire sulle stesse.
E d’altronde è preclusa al giudice di appello la conoscenza, di propria iniziativa, dei motivi di ricorso di primo grado non riproposti, pena il vizio di ultrapetizione della pronunzia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 2880 del 2015; Sez. II, n. 2839 del 2020).
Conseguentemente, l’esame dei motivi di ricorso assorbiti (o, comunque, non valutati) in primo grado è consentito al giudice di appello solo se la parte appellante indichi specificamente le censure che intende devolvere alla sua cognizione, proprio al fine di consentirgli una compiuta conoscenza delle relative questioni, ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 3261 del 2013; Sez. II, n. 2838 del 2020). Al contrario, un rinvio indeterminato alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contenevano, privo della precisazione del loro contenuto, è inidoneo ad introdurre nel giudizio di appello i motivi in tal modo solo genericamente richiamati e gli stessi devono intendersi rinunziati, a mente della medesima norma (cfr. ex multis Cons. giust. amm. Sic., n. 258 del 2017; Con. St., sez. VI, n. 2044 del 2019; sez. IV, n. 572 del 2020).
Non può essere richiesto al giudice d’appello, infatti, lo spoglio degli atti del primo grado del giudizio – ammesso pure che siano tutti immediatamente reperibili – alla ricerca dei motivi di ricorso, non esaminati dal primo giudice, e che si vuole siano conosciuti nel grado d’appello (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1994 ove è ben spiegato che: “In termini generali, infatti, la riproposizione al Giudice di appello di una censura non delibata dal Giudice di primo grado richiede la precisa enucleazione contenutistica della stessa, affinché il relativo portato argomentativo sia autonomamente percepibile dagli atti del giudizio, senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure”, ed anche Cons. Stato, IV, 14 novembre 2018, n. 6416; V, 22 giugno 2018, n. 3874; Sez. V, n. 6908 del 2019).
Una volta che il giudice di primo grado ha definito in rito il ricorso, non può essere ammesso l’appello che si limiti ad affermare che devono intendersi “con il presente atto integralmente riversati tutti i motivi già dedotti con il ricorso di primo grado”. Il mero richiamo non consente al giudice di recuperare i vizi denunciati in primo grado e non sarebbe, dunque, possibile passare ad esaminare il merito della controversia. Tale profilo di inammissibilità consente al Collegio di soprassedere dall’esame delle ulteriori eccezioni in rito, sollevate dall’Amministrazione resistente (cfr. Cons. St., Sez. III, n. 5643 del 2019).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata, accogliendo l’eccezione di controparte, ha dichiarato irricevibile, in quanto tardivamente proposto, il ricorso in primo grado e non ha esaminato i motivi dedotti.
Il ricorso in appello (v. pagg. 26 e 27), dopo avere esposto le ragioni in base alle quali avversa la declaratoria di irricevibilità della sentenza impugnata, si limita a richiamare genericamente la necessità di una pronuncia nel merito delle domande proposte dal ricorrente e non esaminate e a chiedere di conseguenza l’accoglimento, previa ammissione ed espletamento dei mezzi istruttori articolati nel ricorso introduttivo, che si abbiano per riproposti, le conclusioni formulate nel ricorso introduttivo ovvero: l’annullamento del provvedimento amministrativo concessorio del permesso di costruire, la dichiarazione di illegittimità della ristrutturazione e trasformazione dell’immobile esistente e della realizzazione dell’immobile in sopraelevazione; l’ordine di demolizione di quanto realizzato in esecuzione del provvedimento annullato; la condanna al risarcimento dei danni dei resistenti, in solido fra loro.
E’ palese pertanto che il ricorso in appello non ha soddisfatto le condizioni poste dall’art. 101, comma 2, del c.p.a., e consolidate dalla giurisprudenza, in quanto si è limitato a richiamare in modo generico e indeterminato le domande proposte in primo grado dall’odierno appellante e non esaminate.
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso in appello, in quanto strutturalmente privo della riproposizione delle censure di merito avverso il provvedimento impugnato in prime cure e, dunque, ontologicamente inidoneo a veicolare una sostanziale domanda di giustizia.
10. Ad ogni modo, il ricorso si rivela anche infondato nel merito.
10.1. Quanto all’utilizzazione quale elemento probatorio della dichiarazione resa dal direttore dei lavori in data 21 aprile 2014, circa lo stato di avanzamento dei medesimi all’8 gennaio 2014 e, in particolare, circa l’avvenuto completamento strutturale del piano terra e del piano primo (sopraelevazione, a mezzo muratura portante, del piano terra esistente) senza nessuna variazione della sagoma, del numero di unità immobiliari, da cui la sentenza impugnata ha tratto la conclusione della tardiva proposizione del ricorso, occorre tenere conto di tre convergenti considerazioni.
In primo luogo, funzioni e natura del direttore dei lavori non si esauriscono con la loro caratterizzazione esclusivamente interna, di impianto privatistico, ampiamente citata dall’appello. Infatti, sono numerose le funzioni di attestazione e certificazione a rilevanza esterna svolte dal direttore dei lavori in base alle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 380 del 2001, cui si riconnettono conseguenti responsabilità . Basti considerare quanto previsto dagli artt. 24 e 25 (in tema di agibilità ), dall’art. 64 ss. (con riguardo alla disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica). In specie, l’art. 66, nel disciplinare i documenti in cantiere, stabilisce che nei cantieri, dal giorno di inizio delle opere a quello di ultimazione dei lavori, devono essere conservati, tra gli altri documenti, un apposito giornale dei lavori e che della conservazione e regolare tenuta di tali documenti è responsabile il direttore dei lavori, il quale è anche tenuto a vistare periodicamente, ed in particolare nelle fasi più importanti dell’esecuzione, il giornale dei lavori. L’inottemperanza a quanto previsto in capo al direttore dei lavori dall’art. 66 è sanzionata con un’ammenda (art. 73).
Ne deriva che la funzione di attestazione del direttore dei lavori, cui la legge riserva specifici compiti di verifica e attestazione, non può essere relegata al ruolo che le assegna l’appello.
In secondo luogo, come ha correttamente specificato la sentenza impugnata, la dichiarazione resa dal direttore dei lavori non è stata oggetto di contestazione dopo la sua produzione nel corso del giudizio in primo grado a cura dei controinteressati con la memoria di costituzione del 3 maggio 2014.
Né, in terzo luogo, risulta che tale dichiarazione sia stata oggetto di querela di falso da parte dell’appellante.
Va quindi ribadita l’idoneità probatoria di tale dichiarazione e disatteso il primo motivo dell’appello.
10.2. Per le stesse ragioni va disatteso anche il secondo motivo dell’appello, le cui considerazioni sulla brevità del periodo di tempo intercorso di circa un mese tra la data di avvio dei lavori e il loro asserito completamento non sono supportate da elementi rilevanti e ulteriori rispetto alla mera prospettazione.
10.3. Quanto esposto vale anche a disattendere il terzo motivo del ricorso in appello, con la specificazione – riguardo al riparto dell’onere della prova – che risulta soddisfatto l’onere (in questo caso dei controinteressati) di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni. Il giudice di primo grado ha quindi posto a fondamento della propria decisione la prova proposta dalla parte e, insieme, i fatti non specificatamente contestati (v. art. 64 del c.p.a.), senza che sia dato riscontrare incongruità nel percorso argomentativo svolto. Sebbene non sussista un onere di prova contraria a carico del soggetto nei cui confronti l’eccezione di non contestazione sia stata sollevata, tuttavia – come si è visto – alla omessa contestazione si aggiungono gli ulteriori elementi che suffragano gli elementi probatori prodotti dai controinteressati.
10.4. Analogamente è infondato anche il quarto motivo. Non può essere condiviso, per le ragioni già esposte, l’assunto dell’appellante, secondo cui la sentenza impugnata avrebbe omesso di accertare la situazione nel caso di specie. Né può essere accolto, alla luce dei semplici dati di esperienza, l’ulteriore rilievo volto a escludere la effettiva conoscibilità da parte dell’appellante dell’opera realizzata, in presenza di un’alta impalcatura e di una fitta rete frangivista attorno all’edificio del controinteressato, in quanto – secondo quanto sostenuto dell’appellante – la mera circostanza della installazione di un impalcato di maggiore altezza rispetto a quella dell’edificio preesistente non sarebbe sufficiente a rivelare la natura dell’opera edilizia oggetto di contestazione. Al contrario, l’impalcato di maggiore altezza costituisce indizio inequivoco della natura e consistenza dell’opera edilizia interessata.
11. Per le ragioni esposte, l’appello è inammissibile. Spese del giudizio come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di (omissis) e degli intimati, delle spese del giudizio che liquida in euro 3.000 (tremila) in favore di ciascuna parte (quindi, tremila euro in favore del Comune e tremila euro in favore degli intimati), oltre agli accessori di legge (IVA, CPA e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Luca Lamberti – Presidente FF
Alessandro Verrico – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere
Claudio Tucciarelli – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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