Riproposizione al giudice di appello di una censura non delibata dal giudice di primo grado

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 25 ottobre 2019, n. 7297.

La massima estrapolata:

La riproposizione al giudice di appello di una censura non delibata dal giudice di primo grado richiede la precisa enucleazione contenutistica della stessa, affinché il relativo portato argomentativo sia autonomamente percepibile dagli atti del giudizio, senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure .

Sentenza 25 ottobre 2019, n. 7297

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3 del 2019, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Co. De Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del difensore, in Roma, viale (…);
contro
il Comune di Latina, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Di Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Po. in Roma, piazza (…);
nei confronti
-OMISSIS-, Regione Lazio non costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione staccata di Latina, n. -OMISSIS-.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Silvia Martino;
Uiti per le parti rispettivamente rappresentate gli avvocati Co. Mo. (su delega dell’avvocato Co. De Si.) e Fr. Di Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per il Lazio, sezione staccata di Latina, la società odierna appellante impugnava la delibera n. 58 del 26 febbraio 2016, con cui il Commissario straordinario del Comune di Latina aveva disposto la sospensione delle delibere di Giunta n. 292 del 2012, e n. 5 del 2013, relative al Piano di Recupero di (omissis), nonché l’avvio del procedimento preordinato alla declaratoria di annullamento della medesime.
Successivamente, con motivi aggiunti, l’impugnazione veniva estesa alla delibera commissariale n. 207 del 24 maggio 2016, di annullamento del Piano.
L’impugnativa veniva affidata ai motivi così rubricati.
1) Palese vizio istruttorio: annullamento di un atto deliberativo (delibera n. 637/14) in precedenza non contemplato dalla delibera commissariale n,58/16, in totale difetto di avvio del procedimento e di alcuna attività istruttoria al riguardo;
2) Palese illegittimità della delibera commissariale n. 207/16 per vizio proprio, in rapporto all’omesso avvio del procedimento di annullamento della delibera di G.M. n. 637/14, alla omessa assegnazione dei termini di cui all’art. 8 della l. n. 241/90 e all’ingiustificato atteggiamento di disattenzione mostrato verso il parere richiesto all’Avvocatura comunale. Illegittimo ed immotivato tentativo di devalutazione degli effetti della delibera di G.M. n. 637/14, ed in particolare della approvazione delle norme tecniche da essa contemplate.
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 111 della Costituzione in materia di giusto procedimento. Palese vizio istruttorio per evidente travisamento dei fatti. Violazione e falsa applicazione dei principii affermati dalla l. n. 241/90;
4) Vizio di incompetenza funzionale in relazione ai provvedimenti di nomina del Commissario straordinario ed ai poteri di ordinaria gestione dell’Ente locale. Violazione e falsa applicazione die principii che regolano l’ordinaria attività commissariale;
5) Violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e ss della l. n. 241/90 e delle norme e dei principi contenuti nella legge della Regione Lazio n. 36 del 1987. Violazione e falsa applicazione del principio secondo il quale le determinazioni assunte in materia urbanistica costituiscono un atto complesso della Regione e del Comune. Non consentito esercizio del potere di autotutela, attesa la formazione del provvedimento approvativo per silentium da parte della Regione;
7) Palese reiterazione dei vizi già denunciati in giudizio, anche in relazione alla limitatezza temporale dei poteri esercitati dal Commissario. Violazione e falsa applicazione dei principii della presunzione di legittimità dell’atto amministrativo e della conservazione dei suoi effetti giuridici. Violazione e falsa applicazione dei principii di tipicità e nominatività dell’atto amministrativo;
8) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 bis della l.r. 2 luglio 1987, n. 36. Reiterazione dei medesimi vizi già emersi in occasione delle proposizione del ricorso introduttivo;
9) Reiterazione dei medesimi vizi già illustrati con il sesto motivo di ricorso, in riferimento alla delibera commissariale n. 58/16. Palese erroneità delle motivazioni poste a corredo dell’atto commissariale n. 207/16;
10) Palese reiterazione dei medesimi vizi dai quali è inficiata la deliberazione commissariale n. 58/2016, anche in riferimento alle norme indicate in rubrica e alle disposizioni contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e nell’art. 1 bis della l.r. n. 36/87;
11) Ulteriore reiterazione dei vizi già denunciati con il ricorso introduttivo, in particolare con l’ottavo motivo di ricorso. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241/90, come novellato dall’art. 6 della l. n. 124/15. Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 octies della l. n. 241/90;
12) Illegittimità per reiterazione dei medesimi vizi già denunciati. Vizio istruttorio. Motivazione inconsistente ed erronea, oltre che violativa del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;
13) Palese vizio motivazionale, in relazione a quanto dedotto con il decimo motivo di ricorso;
14) Palese reiterazione dei profili di illegittimità già denunciati con l’undicesimo motivo di ricorso. Violazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;
15) Violazione di legge ed eccesso di potere, in relazione al tema della perequazione e compensazione. Violazione e falsa applicazione di più atti della medesima amministrazione, id est le delibere consiliari n. 68/2001 e n. 201/1994. Eccesso di potere sotto tutti i sintomatici profili;
16) Violazione ed eccesso di potere in relazione a quanto affermato a pag. 9 della deliberazione. Omessa specificazione di quali atti permetterebbero di pervenire alle affermazione e motivazioni contenute nell’atto deliberativo. Violazione del generale obbligo di motivazione dell’atto con specifico riferimento a quelli presupposti e non espressamente richiamati;
17) Palese reiterazione dei vizi già denunciati con il 14°, 15° e 16° motivo di ricorso. Non consentita reiterazione degli stessi vizi, anche per totale omissione di argomenti e tesi difensive contrastanti. Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principii richiamati nel 14°, 15° e 16° motivo del ricorso introduttivo;
18) Palese vizio istruttorio, cagionato dalla omessa motivazione circa l’attuale vigenza ed efficacia della delibera di G.M. n. 272 del 30 aprile 2013, nonché della vigenza ed efficacia della delibera di G.M. n. 196/14;
19) Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 – nonies della l. n. 241/90, in relazione all’art. 21-quater della stessa legge. Palese vizio istruttorio, in relazione alle argomentazioni già dedotte in ricorso. Ulteriore violazione dell’art. 6 della l. 7 agosto 2015, n. 124;
20) Palese vizio istruttorio in relazione alla pretermissione di motivazione in ordine al 14°, 15° e 16° motivo dell’originario ricorso.
2. Nella resistenza del Comune di Latina, il TAR
– dichiarava improcedibile il ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse;
– respingeva i motivi aggiunti con condanna alle spese.
3. La sentenza è stata impugnata dalla società, rimasta soccombente, alla stregua delle censure che possono essere così sintetizzate:
1) Error in procedendo Omessa assunzione di determinazioni sulle istanze istruttorie avanzate nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti – Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 e 39 c.p.a. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 63 e seguenti stesso codice – Eccesso di potere, sotto tutti i sintomatici profili.
Il TAR ha omesso di esaminare l’istanza istruttoria concernente l’incompleta evasione di una istanza di accesso avanzata dal difensore della società in data 7 marzo 2016, in esito alla quale non veniva prodotto l’allegato “n. 6299 – R3 – zonizzazione – scostamenti”.
Analogamente il TAR non si è pronunciato relativamente all’acquisizione istruttoria delle determinazioni assunte dall'”Unità tecnica di progetto” nominata con decreto commissariale n. 32940 del 10.03.2016, nonché delle risultanze dell’istruttoria svolta.
In primo grado la ricorrente aveva richiesto di acquisire, altresì, la documentazione dalle quale fosse possibile evincere i profili di illegittimità rilevati dal Commissario straordinario.
Sarebbe state disattese, altresì, le istanze volte ad acquisire la documentazione probatoria relativa ad eventuali comunicazioni inoltrate dal Comune alla Regione Lazio circa l’avvio del procedimento di sospensione dell’efficacia delle delibere di G.M. n. 292/2012 e n. 5/2013, nonché circa la successiva determinazione di annullamento;
2) Error in procedendo: omessa assunzione di determinazioni sulle istanze istruttorie avanzate nel ricorso e nei motivi aggiunti. Violazione e falsa applicazione degli articoli 38 e 39 c.p.a..Violazione e falsa applicazione degli articoli 63 e ss. stesso codice. Violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e ss c.p.c. Eccesso di potere sotto tutti i profili sintomatici.
La sentenza avrebbe omesso di affrontare numerosi temi che, in relazione alle deduzioni addotte con il ricorso introduttivo e con i primi e secondi motivi aggiunti, avrebbero dovuto indurre il TAR a motivare – sia pure sinteticamente- in ordine a ciascun profilo di doglianza.
Secondo l’appellante, vi sarebbero i presupposti per l’annullamento della sentenza ai sensi dell’art. 105 c.p.a., con conseguente rimessione degli atti al primo giudice;
3) Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione dell’art. 25 della l. n. 47/85. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, della l.r. Lazio n. 36/87 e dei principi affermati da risalente giurisprudenza. Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di sanatoria ai sensi dell’art. 21- octies della l. n. 241/90. Eccesso di potere sotto tutti i profili sintomatici.
Il primo giudice non avrebbe adeguatamente motivato la reiezione del motivo con il quale era stata dedotta la violazione dell’art. 4, comma 2, della legge regionale in epigrafe, secondo cui, una volta decorso il termine di 90 giorni dal ricevimento degli atti da parte della Regione, in difetto di formali provvedimenti e formali iniziative di segno contrario, lo strumento attuativo si intende approvato per silentium;
4) Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione dei principii in materia di rapporti tra atti amministrativi che si susseguono e relativi principii. Violazione e falsa applicazione del principio della c.d. “invalidità caducante”. Eccesso di potere sotto tutti i profili sintomatici.
Il TAR avrebbe erroneamente dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, senza considerare che, avverso la determina di annullamento erano stati dedotti vizi di illegittimità derivati dalla precedente delibera n. 58 del 2016.
In particolare, la ricorrente aveva fatto osservare che il Commissario straordinario non aveva mai proceduto a dare alla Regione comunicazione di avvio del procedimento con conseguente violazione dei principii affermati dall’art. 4 della legge della Regione Lazio n. 36 del 1987, e, più in generale, dei canoni posti a disciplina dell’attività dei due organi, per legge competenti in materia urbanistica.
Analoga omissione, peraltro, sarebbe rilevabile in ordine alla delibera di annullamento n. 207 del 2016;
5) Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 – nonies della l. n. 241/90 secondo la novellazione di cui alla l. n. 124 del 2015. Eccesso di potere sotto tutti i sintomatici profili. Vizio istruttorio.
Il Tar sarebbe anzitutto incorso in un errore di fatto perché il lasso temporale ricompreso tra i due provvedimenti (quello annullato e quello di annullamento) non è di diciannove mesi, ma di 3 anni, 11 mesi e 19 giorni, per quanto riguarda la delibera di G.M. n. 292/12 e di e 3 anni, 4 mesi e 16 giorni per quanto riguarda la delibera di G.M. n. 5/13. Il primo giudice avrebbe inoltre fatto malgoverno dei principi declinati nei precedenti giurisprudenziali richiamati;
6) Errore in iudicando. Applicabilità dell’art. 105, c.p.a. a causa della nullità della sentenza, in rapporto a note pronunce.
Secondo i principi recentemente affermati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 14 del 5 settembre 2018, l’art. 105 c.p.a. trova applicazione ogni qual volta la sentenza “interferendo sul potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi identificativi dell’azione, cioè il petitum e la causa petendi”, e quindi nella sola ipotesi di una grave patologia, spettando invece al giudice d’appello la pronuncia sul gravame ivi dovendo ricomprendersi anche i temi non delibati dal primo giudice,
Nel caso di specie:
1) su molti temi oggetto di ricorso l’amministrazione comunale ha omesso di dedurre e/o di prendere posizione;
2) l’impugnata sentenza, a propria volta, ha totalmente omesso di motivare sugli stessi.
7) Error in judicando: Vizio della motivazione per sua erroneità ed inconferenza in relazione alla contestata incompetenza funzionale del commissario. Omesso rilievo della non avvenuta applicazione dell’art. 21 -quater della l. n. 241/90. Eccesso di potere sotto tutti i sintomatici profili.
La sentenza, illogicamente, non ha considerato che, poiché alla data del 24 maggio 2016 erano stati già indetti i Comizi elettorali, sarebbe stato necessario e sufficiente che il Commissario straordinario sospendesse l’efficacia delle delibera di G.M., n. 292/12 e n. 5/13, così consentendo agli organi elettivi di assumere ogni eventuale e successiva iniziativa, ivi compresa quella caldeggiata dalla stessa Avvocatura comunale, relativa alla convalida degli atti;
8) Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione del principio della necessità del “ripristino della violata legalità ” in rapporto all’ampia fioritura giurisprudenziale in materia. Motivazione manifestamente apparente, Eccesso di potere sotto tutti i sintomatici profili.
Il TAR ha affermato che l’amministrazione comunale in caso di divergenza rispetto al parere reso dalla propria Avvocatura è obbligata a motivare congruamente le ragioni di dissenso.
Tuttavia, tali ragioni non sarebbero state spiegate, essendosi il TAR richiamato all’astratta esigenza di procedere “al ripristino della violata legalità “, senza considerare il legittimo affidamento dei privati.
Il primo giudice non ha poi considerato che l’annullamento di un PPE costituisce un’evenienza non equiparabile all’annullamento di un permesso di costruire, provvedimento di norma incidente esclusivamente nella sfera giuridica del beneficiario del titolo.
In ogni caso, la decisione sull’annullamento di un Piano urbanistico non poteva essere rimessa ad un Organo straordinario dell’Ente;
9) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dei principii generali relativi all’istituto della “compensazione – perequazione” alla luce di note pronunce e pareri della Regione Lazio. Eccesso di potere sotto tutti i profili sintomatici.
Il TAR non ha poi tenuto conto del fatto che sin dal 1994 l’amministrazione comunale, con atto consiliare n. 201 del 19 dicembre, aveva deliberato di stabilire come indirizzo programmatico quello secondo il quale “le norme tecniche di attuazione dei futuri strumenti urbanistici e di quelli in corso di previsione dovranno prevedere l’acquisizione di tutte le aree di interesse pubblico attraverso gli istituti della perequazione e/o compensazione delle aree e delle volumetrie”, oltre alle ulteriori precisazioni contenute nella stessa delibera.
Inoltre, secondo il parere della Regione Lazio, n. 662184-15 del 18 gennaio 2016 la legge regionale, n. 36 del 1987, in ossequio all’art. 48, comma 2, T.U.E.L., ha attribuito alla G.M. il “compito di stabilire i tempi, la quantità e le modalità delle cessioni di aree, nonché di autorizzare il competente dirigente alla sottoscrizione della convenzione urbanistica (o dell’atto pubblico se distinto dalla convenzione) mediante il quale viene materialmente trasferita la proprietà delle suddette aree al comune”.
Conseguentemente, anche la motivazione relativa all’istituto della compensazione/perequazione sarebbe erronea perché non tiene conto né della norma di legge regionale, né del parere reso dalla Regione il 18 gennaio 2016.
La sentenza avrebbe dovuto precisare quale principii del PRG siano ostativi all’applicazione dell’istituto della compensazione – perequazione, già disciplinato dal Consiglio comunale con due distinte deliberazioni, la n. 201 del 19 dicembre 1994 e la n. 68 del 29 maggio 2001;
10) Error in iudicando. Ulteriore violazione di legge in relazione alla evidente tautologia emergente dalla sentenza ed alla emanazione di un provvedimento di autotutela approvato due sole settimane prima del rinnovo degli organi elettivi, anche alla luce della successiva delibera consiliare n. 84 del 9 novembre 2018 – Eccesso di potere sotto tutti i sintomatici profili;
L’esercizio dello jus poenitendi era stato contestato perché il Commissario straordinario non disponeva (a dire della ricorrente), di alcun potere pianificatorio (per altro negato dalla stessa sentenza), ma anche in quanto è intervenuto solo due settimane prima del rinnovo degli organi elettivi.
Non sarebbe stato dimostrato quale sia l’interesse pubblico all’annullamento del Piano soprattutto ove si consideri che anche la recente delibera n. 84 assunta dal Consiglio comunale il 9 novembre 2018, avente ad oggetto “Disposizioni programmatiche, criteri e indirizzi ai fini della ripianificazione degli strumenti urbanistici attuativi annullati e ai fini della dotazione di nuovi strumenti di pianificazione per il governo del territorio nel comune di Latina” ha programmato di redistribuire 764.714 di volumetria residenziale e di utilizzare l’istituto della cessione compensativa.
Si tratta peraltro di un istituto, già disciplinato dalle deliberazioni consiliari n. 201 del 19.12.1994 e n. 68 del 29.05.2001.
Quest’ultima, in particolare, ha per oggetto il “Regolamento di attuazione dell’istituto della perequazione – compensazione urbanistica generalizzata all’intero territorio comunale” e disciplina i principii generali relativi alla realizzazione di opere pubbliche “a costo zero, mediante cessione gratuita delle stesse in cambio di volumetria edificabile in alternativa all’attivazione del procedimento di espropriazione con conseguente indennizzo monetario”, precisando altresì che l’applicazione integrale della relativa disciplina presuppone la revisione globale di tutti i P.P.E. (art. 1, par. 3);
11) Error in iudicando: Richiamo a norme di legge totalmente inconferenti, in quanto emanate da Regioni diverse dal Lazio. Eccesso di potere sotto tutti i sintomatici profili.
A sostegno della ritenuta infondatezza dei rilievi introduttivamente addotti dalla ricorrente in riferimento all’omessa comunicazione alla Regione dell’avvio del procedimento, il TAR ha fatto riferimento al “punto 5 Titolo II reg 4 de1982” disciplina che, tuttavia, riguarda la Regione Campania e non è quindi applicabile al caso di specie.
L’appellante ha infine reiterato la richiesta di esibizione della seguente documentazione;
1) documento indicato a pag. 6 del ricorso introduttivo (“allegato n. 6299 – R3 – zonizzazione – scostamenti”);
2) le determinazioni assunte dalla “Unità tecnica di progetto” nominata con decreto commissariale n. 32940 del 10.03.2016, nonché le ignote risultanze dei lavori delle medesime “Unità tecniche di progetto”;
3) atti completi dai quali emergerebbe che il “Pdr 2 (omissis) oltre a determinare una volumetria residuale insediabile aggiuntiva, rispetto al PRG, pari a mc. 185.350, non conteggia le volumetrie destinate a servizi generali, per circa mc. 82.300 (vedi Unità Minima d’Intervento
“D”)”;
4) atti completi da cui sarebbe risultato che il piano “è stato redatto con una decurtazione pari a circa il 7% della volumetria rilevata…”;
5) gli atti e la documentazione sui quali fonda la motivazione secondo la quale “Si evince dagli atti che il calcolo…” (cfr. pag. 4, ultimo comma), ivi inclusa una motivata relazione illustrativa;
6) gli atti e la documentazione da cui si evincerebbe che “la determinazione dei criteri di calcolo, relativi all’incremento degli abitanti virtuali ancora insediabili, ha comportato altresì l’esclusione dal conteggio…” (cfr. pag. 5 della deliberazione), ivi inclusa una motivata relazione illustrativa;
7) gli atti dai quali risulterebbe che “l’esame degli elaborati tecnici ha evidenziato la modifica di una parte del perimetro rispetto al PRG vigente…”, ivi inclusa una motivata relazione illustrativa;
8) la relazione del Dirigente del Servizio Politiche di Gestione e Assetto Territorio, Patrimonio e Demanio, che la delibera afferma essere “di seguito esposta nei contenuti della presente deliberazione”;
9) una documentata relazione nella quale venga specificato se e quando è stato richiesto all’Avvocatura comunale il parere relativo alla successiva ed imminente emanazione della delibera commissariale n. 207/16, con allegazione, in ipotesi favorevole, del parere e di tutti gli allegati ad esso;
10) una documentata relazione nella quale venga specificato se e quando l’amministrazione comunale ha inoltrato alla Regione previa comunicazione dell’avvio del procedimento per l’emanazione della delibera commissariale n. 58/2016, con allegazione di tutta la documentazione relativa;
11) una documentata relazione cui vengano allegate tutte le eventuali corrispondenze e documenti tra la Regione ed il Comune e tra il Comune e la Regione in riferimento alla specifica questione.
4. Si è costituito, per resistere, il Comune di Latina, significando che, sulla complessa vicenda – che ha interessato interventi di annullamento in autotutela di ben 6 Piani Particolareggiati, adottati dalla Giunta tra il 2012 e il 2013 mediante l’iter semplificato di cui all’art. 1- bis, 1° comma, della l.r. n. 36/87 – risulta incardinato anche un procedimento in sede penale (R.G. n. -OMISSIS-) presso il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina, in cui l’Ente Locale è costituito parte civile (vedasi deliberazione di Giunta Municipale n. 210 del 15 maggio 2018).
In tale procedimento, nella richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero, è stata ipotizzata l’associazione a delinquere che avrebbe avuto proprio nell’adozione da parte della Giunta Municipale dei suddetti piani particolareggiati il suo momento qualificante.
Relativamente al provvedimento di annullamento, ha ricordato che il termine di 18 mesi introdotto dalla l. n. 124 del 2015, si riferisce all’annullamento dei soli provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, salvo che si tratti di provvedimenti conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti, ovvero di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato.
Il “termine ragionevole” entro il quale può essere esercitato lo jus poenitendi va quindi valutato e inquadrato nella disciplina previgente alla l.n. 124/2015.
Anche il termine di diciotto mesi, peraltro, non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione, fatta salva l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990 (Cons. Stato Sez. V, sentenza 19 gennaio 2017 n. 250).
Ha poi sottolineato che la natura insanabile dei vizi che inficiano il merito degli atti di pianificazione attuativa annullati ha impedito l’esercizio del potere di convalida, portando l’amministrazione comunale di Latina – sulla scia di un percorso iniziato nel novembre 2014 dal Sindaco in carica, e quindi proseguito dal Commissario straordinario – fino all’adozione della deliberazione avversata, con la quale si è dato luogo alla definitiva espunzione degli atti illegittimi.
I vizi afferenti i provvedimenti annullati, infatti, non attengono solamente alla procedura abbreviata seguita per l’approvazione in sede di Giunta Municipale, bensì al contenuto dispositivo concreto della pianificazione edilizia contrastante con il PRG.
La “convalida” avrebbe infatti irreversibilmente alterato la conformazione del tessuto urbano e la stessa radice identitaria del corpo sociale ivi insediato.
Nello specifico, i vizi rilevati dal Commissario hanno riguardato:
– il calcolo delle volumetrie rilevate, effettuato con una indebita decurtazione pari al 7% che ha prodotto un incremento della volumetria realizzabile in violazione dei limiti imposti dalla legge statale e dal P.R.G. (Deliberazione n. 207/2016, pag. 3);
– il calcolo delle volumetrie da realizzare effettuato secondo parametri di tipo virtuale, poiché non sono state conteggiate le volumetrie destinate a servizi generali, con il conseguente incremento pari a 185.350 mc di volumetria realizzabile;
– l’applicazione illegittima dell’istituto perequativo/compensativo in assenza di recepimento nel PRG;
– l’omessa effettuazione della VAS nonché dell’acquisizione di pareri obbligatori.
La non conformità della pianificazione attuativa allo strumento urbanistico generale rendeva quindi del tutto inidonea la procedura semplificata ex art. 1 bis della L.R. n. 36/1987 seguita dalla Giunta.
La civica amministrazione ha infine fatto osservare che il disposto annullamento del Piano di recupero di (omissis) da parte del Commissario Straordinario non necessitava di un formale intervento nel procedimento da parte della Regione, la quale era rimasta estranea alla fase di approvazione avvenuta secondo la procedura semplificata di cui all’art. 1 bis della l. r. n. 36 del 1987.
5. L’appellante ha depositato una memoria conclusionale in cui ha ribadito che la sentenza impugnata si è limitata ad affrontare esclusivamente i temi indicati ai punti da 1 a 10 del ricorso introduttivo, omettendo invece di affrontare numerose altre doglianze.
Si tratta in particolare di:
1) omessa valutazione delle istanze istruttorie avanzate in ricorso e con i motivi aggiunti;
2) violazione degli artt. 7 e segg. della legge n. 241/90 (terzo motivo di ricorso);
3) violazione e falsa applicazione delle norme e principii in materia di partecipazione al procedimento amministrativo (quarto motivo di ricorso);
4) violazione e falsa applicazione delle norme e principii in materia di approvazione degli strumenti attuativi, ed in particolare degli artt. 1 e 1 bis della legge n. 36/1987;
5) evidente incompetenza funzionale del Commissario per aver annullato, nella qualità di Organo straordinario, due provvedimenti (le delibere di G.M. n. 292/12 n. 5/31) costituenti espressione di volontà politica;
6) violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quater della legge n. 241/90, il cui secondo comma prevede la sospensione della l’efficacia del provvedimento amministrativo “per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario”; il Commissario straordinario avrebbe dovuto limitarsi a sospendere il Piano poiché, alla data del 24 maggio 2016 (di approvazione della delibera commissariale n. 207/16) erano stati già indetti i comizi elettorali per il rinnovo degli organi elettivi del Comune di Latina;
7) violazione e falsa applicazione dello stesso decreto prefettizio di scioglimento del Consiglio comunale (dovuto a dimissioni del Sindaco) in data 11 giugno 2015, nonché del successivo d.P.R. 2 luglio 2015, i quali fanno entrambi riferimento alla “provvisoria gestione del comune suddetto fino all’insediamento degli organi straordinari, a norma di legge”;
8) violazione e falsa applicazione dei principii in materia di annullamento d’ufficio;
9) violazione e falsa applicazione dei principii generali relativi agli istituti della “compensazione” e della “perequazione”, alle delle deliberazioni consiliari n. 201 del 19 dicembre 1994 e n. 68 del 29 maggio 2001;
10) erroneità dei calcoli richiamati nelle delibere commissariali n. 58/2016 e n. 207/2016 e negli atti presupposti.
Ulteriori omissioni sarebbero state compiute relativamente ai motivi aggiunti i quali “essendo parte del voluminoso fascicolo, possono essere qui per il momento semplicemente richiamati” […]”.
6. L’appello è stato infine assunto in decisione alla pubblica udienza del 26 settembre 2019.
7. La vicenda per cui è causa è scaturita dall’attività di verifica svolta dal Commissario straordinario del Comune di Latina, -OMISSIS-, in ordine alla legittimità di una serie di Piani particolareggiati approvati dalla Giunta Municipale tra il 2012 e il 2014 ed in relazione ai quali, da un lato, la Regione Lazio aveva già rilevato – nel corso del 2015 – numerose criticità, dall’altro, erano state avviate indagini da parte dell’Autorità giudiziaria penale.
In particolare, la Regione Lazio in una serie di riunioni con i funzionari comunali aveva espresso l’opinione che tali strumenti urbanistici avessero introdotto modifiche al vigente PRG, sicché non avrebbero potuto essere approvati con l’iter semplificato di cui agli articoli 1 e 1 bis della l.r. n. 36 del 1987.
La volontà di sottoporre le pianificazioni attuative al vaglio dell’organo consiliare era stato poi esplicitato dallo stesso Sindaco di Latina (con nota prot. n. 73146 del 25 maggio 2015, indirizzata al dirigente competente).
Tuttavia tale intendimento non era stato portato a termine poiché, solo dieci giorni dopo, l’amministrazione aveva cessato anticipatamente il proprio mandato, a seguito della sfiducia al Sindaco votata dalla maggioranza dei consiglieri comunali.
L’attività di verifica svolta dal Commissario Straordinario portava, dapprima, alla sospensione, e poi all’annullamento dei suddetti strumenti urbanistici, tra cui quello di cui oggi si controverte, relativo al Piano di Recupero di (omissis).
Per quanto occorrer possa va ricordato anche che il Commissario straordinario provvedeva a pubblicare l’avvio del procedimento di verifica sul sito istituzionale, all’Albo Pretorio, nonché su alcuni quotidiani, nazionali e locali.
Nel provvedimento di annullamento, egli evidenziava i seguenti profili di illegittimità :
“Risulta confermato il sostanziale e evidente contrasto della perimetrazione del PdR2/(omissis) e il PRT (Comprensorio ASI) […]. Dall’esame degli atti si è evidenziato, altresì, che il Pdr 2 (omissis) oltre a determinare una volumetria residuale insediabile aggiuntiva, rispetto al PRG, pari a mc. 185.350, non conteggia le volumetrie destinate a servizi generali, per circa mc. 82.300 […] e che il calcolo dei volumi da realizzare si sviluppa su dati “virtuali” e giammai basati su dati scientifici, reali. In merito alla decurtazione delle volumetrie si rileva che il piano è stato redatto con una decurtazione pari a ca. il 7% della volumetria rilevata, secondo le indicazioni fornite dalla Commissione Urbanistica Comunale nelle sedute del 7.2.2012 e 5.3.2012. […].
Si precisa che non si rinvengono provvedimenti consiliari di approvazione delle determinazioni di cui sopra delle commissioni consiliari che abbiano assunto valore, natura ed efficacia di provvedimenti di variante alle norme tecniche di attuazione e al relativo PRG.
Questa modalità di stima della volumetria realizzata e da realizzare contrasta con quanto stabilito dall’art. 3 del D.M. 1444/1968 che stabilisce “ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondono mediamente 25 mq di superficie lorda abitabile (pari a circa 80 mc vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq (pari a circa 20 mc vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per abitazioni, studi professionali etcc.)”.
E’ da precisare che ogni integrazione, modifica o variazione delle NTA, come nella fattispecie, in esame, costituisce variante al PRG e pertanto da approvare con le procedure de iure condito.
Ne discende che tale fattispecie costituisce una sostanziale innovazione, assolutamente non introducibile attraverso una pianificazione esecutiva approvata con le forme semplificate di cui all’art. 1 bis della l.r. n. 36/1987 e s.m.i.
Riguardo l’istituto della perequazione/compensazione urbanistica è da rilevare che viene applicato in base al Regolamento comunale approvato con D.C.C. n. 68/2001, giammai evidenziando che lo stesso non è mai stato recepito nelle NTA del PRG con la relativa procedura”.
Riguardo all’assenza dei pareri obbligatori propedeutici “si mette in risalto che numerose osservazioni/memorie evidenziano che il parere geologico vegetazionale ex art. 89 1° co d.P.R. 380/2001 avrebbe potuto essere acquisito anche in fase successiva all’adozione del provvedimento.
Di fatto implicitamente le osservazioni significano l’esigenza di acquisizione di tale parere obbligatorio, rimandandolo solo, in deroga espressa dalla norma e non prevista dalla stessa, ad una fase successiva con le discendenti e ovvie problematiche sostanziali e non formali connesse. Si soggiunge che il parere ex art. 89 del d.P.R. 380/2001 e s.m.i. è un parere preliminare ed obbligatorio, propedeutico all’approvazione degli strumenti urbanistici.
La Regione Lazio ha regolamentato il rilascio di tale parere tramite la pubblicazione di Linee Guida (DGR 2649/1999) che prevedono anche la presentazione dell’indagine vegetazionale.
Con successive modifiche è stata resa obbligatoria anche l’esecuzione di Studi di microzonazione sismica, come regolamentata dalla deliberazione di G.R. n. 545 del 26/11/2010. Pertanto il PPR (omissis), così come formulato, è da ritenersi senza alcun dubbio assoggettato all’acquisizione del relativo parere.
Fattispecie particolare è rivestita dall’assenza di qualsiasi attività riconducibile all’acquisizione della VAS […]. La procedura di valutazione ambientale strategica o la sua verifica di non assoggettabilità assume valenza sostanziale nell’ambito del procedimento di approvazione di piani/programma e va obbligatoriamente svolta anteriormente all’approvazione di dettati piani e giammai può essere elusa o postposta […].
Il Commissario riteneva altresì necessaria anche l’acquisizione del parere paesaggistico nonché del parere idrogeologico di cui all’art. 3, comma 14, delle NTA del Piano di Assetto Idrogeologico (PAI Lazio), approvato dalla Regione con deliberazione del Consiglio Regionale n. 17 del 4 aprile 2012.
Per quanto riguarda l’applicazione dell’art. 21 – nonies della l. n. 241/90, come modificato dalla l. n. 124 del 2015, evidenziava che:
– il Piano in esame “è stato definitivamente approvato con il provvedimento di Giunta Municipale n. 637 del 22.12.2014 […], avente […] natura costitutiva”;
– il limite dei 18 mesi non risultava ancora decorso;
– la norma circoscrive peraltro l’ambito di operatività di tale termine ai provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di benefici economici, questi ultimi da intendersi nell’accezione tipizzata dall’art. 12 della l. n. 241/90:
– i piani urbanistici hanno un contenuto generale, finalizzato all’ordinato sviluppo del territorio, attraverso il contemperamento di una pluralità di interessi; da essi non scaturiscono direttamente diritti soggettivi o interessi legittimi, bensì posizione di mera aspettativa, che assumono consistenza solo in sede applicativa;
– in ogni caso, le gravi irregolarità riscontrate e la lesione arrecata ad interessi pubblici anche di rilievo costituzionale, avevano imposto l’attivazione dello ius poenitendi;
– in tal senso deponeva anche l’art. 34, comma 1, della l.r. n. 15 del 2008 secondo cui la Regione può annullare deliberazioni o provvedimenti non conformi agli strumenti urbanistici nel termine di dieci anni;
– l’interesse pubblico prevalente nel caso di specie era quello di salvaguardare l’equilibrato sviluppo del territorio attraverso una urbanizzazione attuata in maniera conforme alle esigenze recepite nelle previsioni di PRG; la determinazione delle linee di sviluppo del territorio rientra peraltro esclusivamente nelle competenze del Consiglio Comunale;
– il ricorso all’istituto della convalida veniva valutato come “inidoneo ed inattuabile” poiché i vizi emersi non erano solo formali ma anche sostanziali
8. Ciò posto, in via preliminare, va esattamente delimitato il thema decidendum devoluto in secondo grado.
La società appellante, infatti, pur lamentando l’omesso esame, da parte del TAR, di alcuni dei motivi articolati, non li ha ritualmente e tempestivamente riproposti.
Difetta, in particolare, il carattere specifico della riproposizione, che, per superare la presunzione di rinuncia stabilita dall’art. 101, comma 2, c.p.a., deve rappresentare con completezza ed autonomia le censure.
La riproposizione al giudice di appello di una censura non delibata dal giudice di primo grado richiede la precisa enucleazione contenutistica della stessa, affinché il relativo portato argomentativo sia autonomamente percepibile dagli atti del giudizio, senza che sia necessario compulsare il fascicolo di prime cure (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 14 novembre 2018, n. 6416; Sez. V, 22 giugno 2018, n. 3874; v. anche Ad. Plen., 30 luglio 2018, n. 10).
Non rileva, di converso, che nelle memorie conclusive ex art. 73 c.p.a. la parte abbia poi proceduto ad una più precisa specificazione delle censure de quibus.
L’art. 101, comma 2, c.p.a., stabilisce infatti che “Si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello, o, per le parti diverse dall’appellante, con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio”.
Tale disposizione persegue il fine di cristallizzare ab initio il thema decidendum, a tutela delle esigenze difensive della controparte ed in ossequio, altresì, al principio di ragionevole durata del processo.
Nel caso di specie, la non rituale riproposizione dei motivi non specificamente esaminati dal TAR è presumibilmente dovuta al convincimento che l’omissione di pronuncia fosse idonea, ex se, a determinare la regressione del processo in primo grado.
Al riguardo, va tuttavia ricordato che tale evenienza non si traduce automaticamente in una causa di annullamento delle sentenze impugnate, considerando, da un lato, l’effetto devolutivo dell’appello, dall’altro, il carattere “eccezionale e tassativo” delle ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo grado previste dall’art. 105 c.p.a. (Cons. Stato, Adunanza plenaria, 5 settembre 2018, n. 14).
Nella fattispecie, le uniche domande, tempestivamente e specificamente riproposte, sono quelle istruttorie, non espressamente esaminate del TAR.
Le istanze vanno, peraltro, rigettate.
Esse infatti, riguardano, da un lato, documentazione inconferente ai fini del decidere, dall’altro tendono a ribaltare la distribuzione dell’onus probandi che caratterizza il processo amministrativo, nel quale l’attenuazione del principio dispositivo si verifica solo nell’ipotesi in cui la parte non possa conseguire agevolmente la disponibilità di atti e documenti idonei a supportare le sue allegazioni.
Nel caso di specie:
– l’allegato “6299 – R3 – zonizzazione – scostamenti” afferisce ad un piano diverso da quello qui in esame, ovvero il PPE R3, relativo al Quartiere (omissis);
– non vi è nessuna prova che alla società ricorrente sia stato precluso l’accesso alle delibere di approvazione del Piano di (omissis) (e ai relativi allegati); tali atti hanno formato oggetto di pubblicazione e sono stati comunque depositati in giudizio dal Comune di Latina;
– sono stati altresì depositati in giudizio anche gli atti relativi alle verifiche disposte dal Commissario straordinario ed, in particolare, la Relazione prot. n. 6299 del 18 gennaio 2016 del Dirigente del Servizio Urbanistica;
– gli atti dai quali “emergono” i profili di illegittimità puntualmente rilevati nella determinazione di annullamento adottata dal Commissario straordinario non sono altri che quelli relativi alla pianificazione attuativa di cui si verte, nonché le risultanze dell’istruttoria svolta dagli Uffici, le quali sono state puntualmente richiamate anche nel provvedimento impugnato.
In definitiva, la società avrebbe potuto agevolmente acquisire tutti gli elementi che il Commissario straordinario ha posto a base delle determinazioni impugnate in primo grado.
9. Ciò posto, nel merito, va in primo luogo evidenziato che l’approvazione del Piano di Recupero di (omissis) è avvenuta in applicazione dell’art. 1- bis della legge della Regione Lazio n. 36 del 1987, la quale, nella versione originaria, vigente ratione temporis, prevedeva che “I piani attuativi, conformi allo strumento urbanistico generale, anche qualora contengano le modifiche di cui al comma 2, sono approvati dalla giunta comunale, senza l’applicazione delle procedure di cui al medesimo articolo 1, commi 2 e 3” (comma 1).
Con l’art. 4, comma 1, della l.r. 10 novembre 2014, n. 10 è stato poi previsto che i piani attuativi “conformi allo strumento urbanistico generale, anche qualora contengano le modifiche di cui al comma 2 o l’individuazione delle zone di recupero di cui all’articolo 27 della L. 457/1978, purché anch’esse conformi allo strumento urbanistico generale, sono approvati dalla giunta comunale previa adozione, pubblicazione e trasmissione alla Regione dello stesso piano attuativo”, senza tuttavia prevedere alcuna forma di controllo e/o approvazione da parte di quest’ultima.
La norma è stata poi ulteriormente modificata (da ultimo con l’art. 10, comma 2, lettera a), della l.r. 18 luglio 2017, n. 7) e stabilisce, oggi, che i “piani attuativi e i programmi urbanistici comunque denominati, conformi allo strumento urbanistico generale, anche qualora contengano le modifiche di cui al comma 2 o l’individuazione delle zone di recupero di cui all’articolo 27 della L. 457/1978, purché anch’esse conformi allo strumento urbanistico generale, sono approvati dalla giunta comunale, pubblicati all’albo pretorio e sul sito web del comune e trasmessi alla Regione per la verifica di conformità alle disposizioni della presente legge. Decorso il termine di sessanta giorni dall’inoltro, la verifica si intende favorevolmente resa. La giunta comunale, con la deliberazione di approvazione del piano attuativo e il programma urbanistico comunque denominato, autorizza l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree cedute a titolo di standard urbanistici, determina i corrispettivi dovuti, individua le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, approva i relativi progetti, stabilisce l’utilizzo del costo di costruzione e di eventuali oneri straordinari ed autorizza la stipula della convenzione”.
All’epoca di cui si verte, non era però previsto alcun passaggio in Regione, né a fini di “controllo”, né tantomeno a fini di approvazione.
Nel caso di specie, l’intervento della Regione, ricordato anche dalla difesa comunale, si è svolto piuttosto su un piano informale, attraverso una serie di riunioni con i funzionari del Comune di Latina, ai quali vennero rappresentate, già agli inizi del 2015, le criticità emerse.
I rilievi che precedono destituiscono pertanto di ogni fondamento sia le argomentazioni relative al presunto affidamento che sarebbe stato ingenerato nei cittadini di Latina, e negli operatori di settore, dal “silenzio-assenso” della Regione, sia quelle relative alla necessità, per il perfezionamento dell’annullamento in autotutela disposto dal Commissario straordinario, di una omologa determinazione della Regione Lazio.
9.1. Per quanto concerne la critica alla declaratoria di improcedibilità del ricorso introduttivo, va ricordato che esso riguardava il provvedimento di “sospensione” degli effetti del Piano, ovvero un atto che non costituisce affatto un “presupposto” necessario, sul piano logico – giuridico, rispetto al successivo annullamento, quanto una autonoma determinazione del Commissario straordinario volta ad impedire che, nelle more dell’espletamento del procedimento di secondo grado, il Piano fosse portato ad (ulteriore) esecuzione con il rilascio dei permessi di costruire.
In sostanza, tra i due atti esiste non già un rapporto di presupposizione ma di “connessione” in quanto la ragion d’essere di entrambi è costituita dal rilievo dei plurimi profili di illegittimità della pianificazione attuativa – nel primo caso – apprezzata a livello di “fumus” – nel secondo – oggetto di compiuto e definitivo accertamento.
E’ dunque corretta la statuizione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse resa dal TAR sull’assunto che l’annullamento del provvedimento di sospensione non avrebbe recato “alcun vantaggio concreto alla parte ricorrente” e che non era stato rappresentato “alcun interesse di carattere risarcitorio”.
9.2. Tra i rilievi di illegittimità del Piano di Recupero di (omissis), evidenziati dal Commissario straordinario, l’unico effettivamente contestato anche in appello concerne l’istituto della perequazione/compensazione urbanistica.
Il Collegio condivide però le argomentazioni esposte nel provvedimento di annullamento ed avvallate dal TAR.
Esse risultano incentrate non già sull’astratta legittimità dell’istituto della perequazione urbanistica, quanto sul fatto che il ricorso ad esso – con i relativi criteri applicativi (ad esempio per quanto concerne l’individuazione degli indici perequativi) – deve essere declinato già nel PRG, e quindi attraverso il procedimento e le garanzie partecipative proprie dello strumento generale.
A tal fine – considerata anche l’assenza di una specifica disciplina dettata in sede regionale – non appare sufficiente il Regolamento approvato dal Consiglio Comunale di Latina il 29 maggio 2001 (delibera n. 68), il quale si limita a stabilire che “le norme tecniche di attuazione dei futuri strumenti urbanistici e di quelli in corso di revisione, devono prevedere l’acquisizione di tutte le aree di interesse pubblico attraverso l’istituto della perequazione e/o compensazione delle aree e delle volumetrie”.
In sostanza, tale Regolamento reca mere disposizioni di indirizzo, insuscettibili, in sé, di derogare alla gerarchia dei piani urbanistici.
10. Il principale ordine di rilievi della società appellante concerne peraltro l’asserito malgoverno da parte del Commissario straordinario dei criteri dettati dall’art. 21 – nonies della l. n. 241/90 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.
Deve premettersi che, a differenza di quanto assume l’appellante, i poteri del Commissario straordinario, nominato ai sensi dell’art. 141 del T.U.E.L., d.lgs. n. 267/200, si estendono a tutti gli atti di gestione dell’ente, siano essi di ordinaria o di straordinaria amministrazione (ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 29 novembre 2004 n. 7749).
Nel caso di specie, non è poi ben chiaro con quali modalità il Commissario straordinario avrebbe legittimamente potuto limitarsi a prorogare gli effetti del provvedimento di sospensione, laddove esso è ontologicamente “ad tempus” ed esige la prefissazione di un termine che salvaguardi l’esigenza di certezza delle posizioni giuridiche.
10.1 Per quanto riguarda il fatto che il Commissario abbia escluso l’opzione della convalida, osserva il Collegio che tale soluzione richiedeva il trasferimento dei contenuti di un complesso strumento urbanistico esecutivo (unitamente a quelli degli altri affetti da vizi analoghi) in un provvedimento di adozione di variante generale al PRG vigente nel Comune di Latina, e quindi di avviare un processo di trasformazione del territorio comunale, destinato ad incidere sul suo sviluppo futuro.
Non appare perciò irragionevole che il Commissario – in ciò motivatamente disattendendo il parere dell’Avvocatura comunale – abbia optato per l’annullamento d’ufficio, al fine di salvaguardare le determinazioni degli organi di indirizzo dell’ente locale che sarebbero stati di lì a poco scelti dal corpo elettorale.
Giova altresì ricordare che, come già evidenziato da questo Consiglio, l’atto amministrativo di convalida, “non si traduce in una semplice e formale appropriazione da parte dell’organo competente all’adozione del provvedimento” bensì postula, da un lato, l’esternazione delle ragioni di interesse pubblico giustificatrici del potere di sostituzione, dall’altro, la produzione degli stessi effetti che l’atto oggetto di convalida intendeva produrre (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6199).
Nel caso di specie, tali effetti non avrebbero potuto essere prodotti attraverso una semplice convalida, essendo invece necessario, come detto, sostituire i piani adottati con una variante generale al PRG e quindi avviare il relativo, complesso procedimento di approvazione.
Inoltre, anche ad ammettere che fossero presenti tutti gli elementi formali e sostanziali per l’esercizio di tale potere (alternativo a quello esercitato dell’annullamento in autotutela), non vi è dubbio che la relativa scelta impinga nel merito dell’azione amministrativa e come tale si sottragga al sindacato di legittimità, salvo le macroscopiche ipotesi di arbitrarietà, illogicità, irrazionalità, irragionevolezza e/o travisamento dei fatti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2016, n. 3674) che, come testé rilevato, in alcun modo emergono nel caso di specie.
Per quanto concerne l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, va poi soggiunto che, secondo la più recente giurisprudenza di questo Consiglio, all’art. 21- nonies della l. n. 241 del 1990, quale modificato dall’art. 6, comma 1, lettera d), n. 1), della l. n. 124 del 2015, non può attribuirsi una funzione, per così dire “sanante”, dei provvedimenti illegittimi adottati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma.
Pertanto, siffatto termine – fatta salva l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21- nonies L. n. 241 del 1990 – non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (cfr., ex plurimis, Cons. Stato Sez. V, 22 giugno 2018, n. 3874).
Nella fattispecie – in disparte la questione dell’effettiva assimilabilità di un piano urbanistico ai provvedimenti “attributivi di benefici economici” – il termine di 18 mesi, al momento dell’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio, non era ancora decorso.
Relativamente alla valutazione delle ragionevolezza del termine entro cui il potere di autotutela può essere esercitato nonché della correttezza del bilanciamento tra interesse pubblico “specifico” e affidamento del privato, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio (decisione n. 8 del 2017) ha chiarito – con statuizione specificamente applicabile alla materia della pianificazione urbanistica del territorio qui in esame – che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della “rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possono integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio dello ius poenitendi” (par. 11 della decisione n. 8 del 2017; cfr. anche par. 13, punto ii).
Tra gli interessi pubblici “autoevidenti” vi è, a parere del Collegio, proprio quello relativo all’ordinato assetto urbanistico rispetto al quale anche un eventuale affidamento dei privati risulta recessivo, specie se, come nella fattispecie, gli atti illegittimi siano idonei ad incidere su una larga parte del territorio comunale.
Nella fattispecie, appare peraltro dubbia anche la configurabilità di un affidamento incolpevole poiché la società appellante è un operatore professionale e le violazioni delle norme urbanistiche operate dalla Giunta Municipale erano rilevanti e manifeste.
11. In definitiva, per quanto appena argomentato, l’appello deve essere respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, n. 3 del 2019, di cui in premessa, lo respinge.
Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Latina, che liquida, complessivamente, in euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante e le persone fisiche coinvolte nei procedimenti penali menzionati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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